REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE D’APPELLO DI ROMA
III SEZIONE LAVORO
composta da
Ha pronunciato, a seguito di trattazione scritta ex articolo 221, commi secondo e quarto, del d.l. n. 34 del 2020 convertito con modificazioni dalla l. n. 77 del 2020 e successive proroghe, la seguente
SENTENZA n. 2750/2021 pubblicata il 22/07/2021
nella causa civile in grado di rinvio iscritta al n. /2019
TRA
XXX rappresentata e difesa dall’avv. elettivamente domiciliata presso la cancelleria della Corte
RICORRENTE IN RIASSUNZIONE E
YYY S.p.a. rappresentata e difesa dall’avv.
RESISTENTE IN RIASSUNZIONE
OGGETTO: giudizio di rinvio a seguito di ordinanza della Corte Suprema di Cassazione n. 14673/2019 del 20 novembre 2018 – 29 maggio 2019.
CONCLUSIONI RICORRENTE IN RIASSUNZIONE: Chiede che codesta Corte d’appello, sezione lavoro, voglia accogliere le seguenti conclusioni:
1) Ai sensi e per gli effetti dell’art. 32, comma 5 della legge 183/10 liquidare l’indennità risarcitoria per il c.d. periodo intermedio nella misura massima di 12 mensilità della retribuzione globale di fatto pari ad € 1.702,89, conseguentemente condannare YYY S.p.A., in persona del suo legale rappresentante pro tempore, a pagare alla ricorrente l’importo di € 20.434,68 oltre rivalutazione ed interessi legali al tasso di cui al comma 2 dell’art. 1284 cod. civ. a decorrere dalla data della sentenza di conversione (18/6/13) al saldo.
2) Condannare altresì YYY s.p.a., sempre in persona del suo legale rappresentante pro tempore, a pagare alla ricorrente le retribuzioni a decorrere dalla predetta data del 18/6/13 e sino al ripristino del rapporto di lavoro, oltre rivalutazione ed interessi legali al tasso di cui al comma 4 dell’art. 1284 cod. civ. a decorrere dalla data di instaurazione del giudizio ossia dal (12/12/09) al saldo.
3) Liquidare le spese del giudizio nelle seguenti misure: € 8.000,00 per il giudizio di primo grado, € 9.000,00 per il giudizio di secondo grado, € 7.902,00 per il giudizio di legittimità, quest’ultimo da liquidarsi a favore dello scrivente difensore ex art. 93 c.p.c. che si dichiara antistatario, oltre spese generali ed accessori di legge.
4) Conseguentemente condannare YYY a pagare a favore di XXX l’importo di € 17.000,00 ed allo scrivente difensore l’importo di € 7.902,00 oltre spese generali ed accessori di legge.
5) Con vittoria di competenze e spese del presente grado da liquidarsi sempre a favore dello scrivente difensore che si dichiara antistatario anche per questa fase.
CONCLUSIONI RESISTENTE IN RIASSUNZIONE: Voglia la Corte di Appello, in sede di giudizio di rinvio ex art. 392 c.p.c., in applicazione del principio di diritto sancito dalla Suprema Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 14673/2019, determinare l’indennizzo onnicomprensivo di cui all’art. 32, commi 5 e 6, della Legge n. 183 del 4 novembre 2010 nella misura del minimo pari a 2,5 mensilità della retribuzione globale di fatto, o nella misura ritenuta di giustizia, comunque non superiore a 6 mensilità, in luogo del risarcimento del danno liquidato dalla sentenza della Corte di Appello di Roma poi cassata sul punto dalla Corte di Legittimità.
Conseguentemente, condannare la ricorrente alla restituzione della maggior somma percepita in esecuzione della sentenza della Corte di Appello di Roma come da documentazione allegata (all.2 e 3), e pari alla differenza tra quanto spettante e quanto ricevuto.
Con vittoria di spese, o in subordine compensazione, anche parziale, delle spese competenze ed onorari del giudizio di legittimità e quello di rinvio.
Svolgimento del processo
1.XXX ricorre, in data 24 ottobre 2007, al giudice del lavoro del Tribunale di Roma allegando di essere stata assunta dalla società *** S.p.a. e di avere lavorato, in virtù di tre distinti contratti di lavoro somministrato a termine, presso l’ufficio postale di *** per il periodo complessivo dal 10 marzo 2005 al 30 settembre 2005.
Deduce che i contratti di lavoro recavano come causale la copertura di assenze non programmabili e l’adeguamento del mix occupazionale e professionale per supportare le esigenze di cambiamento in atto.
Deduce, con plurime argomentazioni, sull’illegittimità dell’apposizione del termine e conclude perché, previa declaratoria della nullità e/o illegittimità dei contratti di somministrazione e relative proroghe, sia accertata l’avvenuta costituzione, dal 10 marzo 2005 o dalla data dei successivi contratti (1° aprile 2005 o 1° giugno 2005), di un unico rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato tuttora in corso con YYY S.p.a. e, per l’effetto, quest’ultima sia condannata al ripristino del rapporto ed al pagamento di tutte le retribuzioni maturate dalla data della messa in mora sino al giorno dell’effettivo ripristino.
2.Si costituisce YYY S.p.a. che deduce sulla piena legittimità dei contratti di somministrazione di lavoro intervenuti con la società *** S.p.a., rispondenti ad occasioni di lavoro temporanee dettate dalla necessità di assicurare la regolare funzionalità del servizio di recapito presso l’ufficio postale di ***. Conclude, quindi, per il rigetto del ricorso.
3.Il Tribunale di Roma, con la sentenza n. 20455 del 16 dicembre 2008 respinge il ricorso condannando XXX al pagamento delle spese di lite. Avverso tale decisione propone appello la XXX, con ricorso depositato il 15 dicembre 2009, chiedendo l’integrale riforma della pronuncia di primo grado e l’accoglimento delle domande proposte con il ricorso introduttivo.
La Corte d’Appello, con la sentenza n. 6072/2013 del 18 giugno 2013 – 7 agosto 2013, accoglie l’impugnazione e dichiara che tra le parti si è instaurato un rapporto di lavoro subordinato, tuttora in corso, a decorrere dal 10 marzo 2005 e condanna YYY S.p.a. a pagare all’appellante le retribuzioni spettanti dal 27 giugno 2006 fino alla data della sentenza d’appello. Compensa interamente tra le parti le spese di lite di entrambi i gradi del giudizio.
YYY S.p.a. impugna tale ultima decisione dinanzi alla Corte di Cassazione con ricorso affidato a quattro motivi, di cui l’ultimo afferente la mancata applicazione dello jus superveniens di cui all’art. 32 legge n. 183/2010.
XXX propone ricorso incidentale affidato ad un solo motivo concernente la violazione degli articoli 91 e 92 c.p.c. circa la decisione di compensare le spese di lite di entrambi i gradi del giudizio.
La Corte Suprema respinge tutti i motivi del ricorso principale tranne l’ultimo ed afferma quindi l’applicabilità dello jus superveniens di cui all’articolo 32 della legge 183/2010.
Cassa, quindi, la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto, dichiara assorbito il ricorso incidentale di XXX e rinvia, quindi, il processo alla Corte d’Appello di Roma, in diversa composizione, anche per il regolamento delle spese di lite del giudizio di legittimità.
4.Riassume il giudizio XXX chiedendo l’applicazione dell’articolo 32 legge 183/2010 nella misura massima di 12 mensilità della retribuzione globale di fatto indicata nella somma mensile di € 1.702,89, il pagamento di tutte le retribuzioni non corrisposte dalla data della conversione del contratto dichiarato nullo a quella dell’effettivo ripristino del rapporto, nonché il pagamento delle spese di lite di tutti i gradi del giudizio.
Si costituisce YYY S.p.a. chiedendo l’applicazione dell’indennità risarcitoria quantificata nella misura minima di legge e la condanna della ricorrente alla restituzione di quanto pagato in eccedenza in mera esecuzione della sentenza della Corte d’Appello.
Motivi della decisione
5. La Corte Suprema di Cassazione ha respinto tutti motivi di ricorso con cui YYY S.p.a. ha impugnato il capo della sentenza della Corte d’appello di Roma n. 6072/2013 relativo alla dichiarazione di nullità dei contratti di lavoro somministrato a termine e di sussistenza di un unico rapporto di lavoro a tempo indeterminato fra le parti.
La Corte Suprema, invece, ha accolto l’ultimo motivo di ricorso relativo all’applicazione dello ius superveniens di cui all’articolo 32 della legge 183/2010, ed ha rinviato il processo a questa Corte di merito per nuova liquidazione del risarcimento del danno sulla base della normativa sopravvenuta.
Il presente giudizio, quindi, come chiaramente delimitato dall’ordinanza di rinvio del Supremo Collegio, ha come unico oggetto la determinazione dell’indennità forfettaria di cui all’articolo 32, comma 5, della legge 183/2010 ed i relativi accessori, nonché le domande consequenziali alla pronuncia della Suprema Corte. Essendo, quindi, intervenuto il giudicato sulla pronuncia di nullità dei contratti di somministrazione di lavoro intervenuti tra le parti, con conseguente conversione in un unico rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato alle dipendenze di YYY S.p.a. a decorrere dal 10 marzo 2005, questa Corte è oggi chiamata a pronunziarsi unicamente sulle conseguenze risarcitorie facendo applicazione dell’art. 32, commi da 5 a 7, della più volte richiamata legge 183/2010.
6. La nuova disciplina dettata dall’articolo 32, comma 5, legge 183 del 2010 stabilisce che <<Nei casi di conversione del contratto a tempo determinato, il giudice condanna il datore di lavoro al risarcimento del lavoratore stabilendo un’indennità onnicomprensiva nella misura compresa tra un minimo di 2,5 ed un massimo di 12 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, avuto riguardo ai criteri indicati nell’articolo 8 della legge 15 luglio 1966, n. 604>>; detta disciplina, ai sensi del successivo comma 7, trova <<applicazione per tutti i giudizi, ivi compresi quelli pendenti alla data di entrata in vigore della presente legge>>. L’articolo 1, comma 13, della legge n. 92/2012 ha altresì previsto che <<La disposizione di cui al comma 5 dell’articolo 32 della legge 4 novembre 2010, n. 183, si interpreta nel senso che l’indennità ivi prevista ristora per intero il pregiudizio subito dal lavoratore, comprese le conseguenze retributive e contributive relative al periodo compreso fra la scadenza del termine e la pronuncia del provvedimento con il quale il giudice abbia ordinato la ricostituzione del rapporto di lavoro.>>. La giurisprudenza di legittimità, richiamando la pronuncia della Corte Costituzionale n. 303 del 2011, ha affermato che <<In tema di risarcimento del danno nei casi di conversione del contratto di lavoro a tempo determinato, l’indennità di cui all’art. 32, commi 5 e 7, della legge 4 novembre 2010, n. 183, come disciplinata dall’art. 1, comma 13, della legge 28 giugno 2012, n. 92, con norma di interpretazione autentica, ha carattere “forfetizzato” ed “onnicomprensivo” e pertanto ristora per intero il pregiudizio subito dal lavoratore per i danni causati dalla nullità del termine nel periodo cosiddetto “intermedio”, che decorre dalla scadenza del termine sino alla sentenza di conversione e non sino al deposito del ricorso introduttivo del giudizio>> (Cass. 151/2015; conformi le successive pronunce Cass. 14461/2015, 26234/2018).
Con recentissima pronuncia la Suprema Corte ha riaffermato il principio statuendo che <<In tema di contratto a termine illegittimo con conversione in unico rapporto a tempo indeterminato, l’indennità di cui all’art. 32, comma 5, della l. n. 183 del 2010, come autenticamente interpretato dall’art. 1, comma 13, della l. n. 92 dei 2012, ha natura risarcitoria ed è onnicomprensiva, ossia esaustiva di tutti i danni che sono conseguenza, sul piano retributivo e contributivo, della perdita del lavoro.>> (Cass. 29949/2018; conformi le successive Cass. 8385/2019 e 16052/2019).
Il chiaro tenore della disposizione interpretativa dettata dall’articolo 1, comma 13, della legge n. 92/2012 e la giurisprudenza richiamata chiariscono, quindi, che l’indennità risarcitoria di cui all’articolo 32, comma 5, legge 183/2010 è onnicomprensiva ed esaustiva di tutti i danni subiti dal lavoratore, in conseguenza della perdita del lavoro, nel periodo intermedio compreso fra la scadenza del termine e la pronuncia giudiziale che dispone la conversione del rapporto (che, nel caso di specie, è la sentenza della Corte d’Appello n. 6072/2013 pronunciata all’udienza del 18 giugno 2013).
7.I criteri per la quantificazione dell’indennità fra il minimo ed il massimo di legge sono quelli di cui all’articolo 8 della legge 604/1966, espressamente richiamati dall’articolo 32, comma 5, della legge 183/2010, vale a dire il numero dei dipendenti occupati, le dimensioni dell’impresa, l’anzianità di servizio del prestatore di lavoro, il comportamento e le condizioni delle parti.
Le notevoli dimensioni di YYY S.p.a. sono notorie, trattandosi di società che ha migliaia di uffici sparsi in tutti i Comuni italiani, che ha alle proprie dipendenze decine di migliaia di lavoratori e che produce un fatturato annuo nell’ordine di miliardi di euro.
Quanto all’anzianità di servizio, si deve prendere in considerazione il periodo di tempo in cui la XXX ha effettivamente lavorato per la società convenuta in virtù dei tre contratti di lavoro somministrato a termine, e relative proroghe, intercorsi tra le parti.
Si tratta di un arco temporale limitato, avendo la ricorrente prestato servizio per poco più di sei mesi dal 10 marzo 2005 al 30 settembre 2005.
Quanto alle condizioni soggettive ed al comportamento tenuto dalle parti, si evidenzia che la XXX ha cessato la prestazione lavorativa in data 30 settembre 2005 ed ha manifestato a YYY S.p.a. la propria volontà di conversione del rapporto, offrendo la prestazione lavorativa, con la raccomandata ricevuta dalla società il 27 giugno 2006, proponendo successivamente l’azione giudiziaria con ricorso depositato in data 24 ottobre 2007.
Il tempestivo e lineare comportamento della XXX evidenzia, quindi, che la finalità dell’azione giudiziale intentata consisteva effettivamente nella conservazione del rapporto di lavoro e non nello scopo lucrativo di ottenere il pagamento di tutte le retribuzioni medio tempore maturate dalla data della cessazione del rapporto di lavoro, o dalla messa in mora, fino alla sua ricostituzione.
Sotto il profilo del comportamento tenuto dalle parti, rileva anche il numero dei contratti di lavoro somministrato stipulati (tre) e delle relative proroghe (due) che evidenzia che il breve periodo di svolgimento effettivo del rapporto di lavoro è stato caratterizzato da un alto indice di precarietà a causa della condotta della società YYY S.p.a.
La complessiva valutazione di tali elementi conduce a liquidare l’indennità in misura pari a 6 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto: la ridotta anzianità di servizio, infatti, deporrebbe per la liquidazione in misura prossima a quella minima di legge, tuttavia questa Corte ritiene che debba essere elevata a sei mensilità sulla base delle precedenti considerazioni riguardanti le dimensioni della società YYY, il leale comportamento della XXX e, al contempo, il comportamento non corretto tenuto dalla società nei circa sei mesi di effettivo svolgimento del rapporto di lavoro.
La retribuzione globale di fatto mensile cui fare riferimento è pari ad € 1.702,89, come dedotto da parte ricorrente nel ricorso introduttivo del presente giudizio di riassunzione e non contestata da YYY S.p.a., pertanto il complessivo ammontare dell’indennità risarcitoria è pari ad € 10.217,34.
L’applicazione dell’indennità forfettaria di cui all’articolo 32, cui inerisce anche un profilo sanzionatorio, esclude che si debba tener conto dell’aliunde perceptum. Essendo la liquidazione stata effettuata nell’ammontare di sei mensilità, non assurge rilievo la questione se si debba tenere conto dell’avvenuta stipula, da parte di YYY S.p.a., degli accordi collettivi per l’assunzione del personale già occupato con contratto a termine.
Sulla predetta indennità sono dovuti gli interessi legali e la rivalutazione monetaria dalla data del 18 giugno 2013, in cui la sentenza della Corte d’appello di Roma n. 6072/2013 ha disposto la conversione del primo contratto di lavoro somministrato in un unico rapporto di lavoro a tempo indeterminato con YYY S.p.a.
A tale conclusione si perviene in virtù del già richiamato articolo 1, comma 13, della legge n. 92 del 2012 che prevede che <<La disposizione di cui al comma 5 dell’articolo 32 della legge 4 novembre 2010, n. 183, si interpreta nel senso che l’indennità ivi prevista ristora per intero il pregiudizio subito dal lavoratore, comprese le conseguenze retributive e contributive relative al periodo compreso fra la scadenza del termine e la pronuncia del provvedimento con il quale il giudice abbia ordinato la ricostituzione del rapporto di lavoro>>.
Nel medesimo senso si è ripetutamente pronunciata la giurisprudenza di legittimità che ha affermato che l’articolo 429, comma 3, c.p.c., in tema di rivalutazione monetaria dei crediti di lavoro trova applicazione anche nel caso dell’indennità di cui all’articolo 32 della legge n. 183 del 2010, in quanto si riferisce a tutti i crediti connessi al rapporto e non soltanto a quelli aventi natura strettamente retributiva, fermo restando che alla natura di liquidazione forfettaria e onnicomprensiva dell’indennità consegue la decorrenza, della rivalutazione monetaria e degli interessi legali, dalla data della sentenza che dispone la conversione del rapporto di lavoro a tempo indeterminato (Cass. 5344/2016; Cass. 5953/2018; Cass. 26234/2018).
8.YYY S.p.a., dopo la sentenza della Corte d’Appello, ha provveduto a pagare a XXX, in data 27 settembre 2013, quanto previsto dalla condanna, pari alla somma lorda di € 170.688,44 come risultante dalla busta paga prodotta in atti (allegato 2 alla memoria di costituzione nel giudizio in riassunzione). Di tale somma la società datrice di lavoro ha chiesto la restituzione.
La circostanza dell’avvenuto pagamento non è stata oggetto di contestazione da parte di XXX e comunque è dimostrata dalla ricevuta dell’avvenuto bonifico (allegato 3 alla memoria di costituzione nel giudizio in riassunzione). Quest’ultima, però, ha eccepito di dover restituire la somma ricevuta al netto dei contributi e delle imposte.
La domanda di restituzione merita certamente accoglimento perché è venuto meno il titolo della provvisoria attribuzione, costituito dalla sentenza n. 6072/2013 della Corte d’appello di Roma, in parte qua cassata dalla Suprema Corte.
Sulla quantificazione dell’obbligo restitutorio, si osserva che la Corte di Cassazione ha di recente affermato il principio che la restituzione debba essere effettuata al netto, dovendo il lavoratore restituire al datore di lavoro solamente le somme effettivamente ricevute (Cass. 2135/2018; Cass. 19735/2018), principio che trova applicazione anche con riferimento all’obbligo contributivo assolto dal datore di lavoro perché direttamente obbligato nei confronti dell’ente previdenziale e, quindi, come tale, unico legittimato all’azione di ripetizione (Cass. 2135/2018).
Riguardo alla somma netta, dalla busta paga in atti e dalla ricevuta del bonifico risulta che l’ammontare corrisposto alla XXX è pari all’importo di € 117.897,00. In detta busta paga, però, sono contenute anche voci estranee, quali le retribuzioni per i mesi di agosto e settembre 2013, pagate a seguito della riammissione della XXX in servizio, sicché all’udienza del 3 marzo 2021 questa Corte ha chiesto a YYY S.p.a. di depositare un conteggio relativo alla somma netta versata in esecuzione della sentenza della Corte d’appello n. 6072/2013.
YYY ha provveduto all’adempimento versando in atti i conteggi in allegato alla memoria del 28 maggio 2021 ed indicando la somma netta pagata in esecuzione della sentenza nell’importo di € 116.046,70.
In detto importo vi è anche una voce di € 14.152,80 che la società identifica come “contributi conto\dipendente contenzioso pagato dall’Azienda” che correttamente la difesa della XXX ritiene inspiegabile, tenuto conto che, come già sopra detto, il datore di lavoro è l’unico responsabile del pagamento dei contributi nei confronti dell’Inps.
Pertanto, non trovando detta somma adeguata spiegazione, e comunque risultando attinente a contributi previdenziali che il datore di lavoro ha l’obbligo di pagare direttamente all’Istituto, deve essere stralciata da quella oggetto di restituzione che, quindi, ammonta definitivamente ad € 101.893,90 (116.046,70 – 14.152,80). E’ pacifico, come già in precedenza riferito, l’avvenuto pagamento della somma predetta in data 27 settembre 2013 (vedere ricevuta del bonifico in atti).
Dal netto ricevuto da XXX, pari a € 101.893,90, come risultante dai documenti in atti, dovrà quindi essere detratta la somma che la stessa deve ricevere da YYY S.p.a. quale indennità risarcitoria ex articolo 32, comma 5, legge 183/2010 ed accessori, come sopra liquidata.
Sulla differenza netta oggetto di restituzione, una volta operata la detrazione, sono dovuti gli interessi legali calcolati dal 28 settembre 2013, giorno successivo a quello in cui è stato effettuato il pagamento da parte di YYY S.p.a.
9.Infondata è la domanda di XXX di condanna di YYY S.p.a. al pagamento di tutte le retribuzioni dalla data della sentenza della Corte d’appello di Roma (18 giugno 2013) sino al ripristino del rapporto di lavoro, atteso che dalla busta paga prodotta in atti da YYY S.p.a., nonché dalla memoria depositata il 24 giugno 2021 da parte ricorrente in riassunzione, risulta che il rapporto è stato ricostituito e le retribuzioni sono state regolarmente corrisposte (con la busta paga del 27 settembre 2013 sono state corrisposte le retribuzioni di agosto e settembre 2013).
10.Per quanto concerne le spese di lite, si osserva che il rinvio del processo impone a questa Corte d’appello di provvedere alla liquidazione delle spese di tutti i gradi del giudizio alla luce del complessivo esito della controversia, atteso che con la presente pronuncia si riforma la decisione di primo grado, che aveva respinto la domanda di XXX, e si afferma essere dovuta l’indennità risarcitoria nella misura in precedenza indicata.
Ha affermato la giurisprudenza di legittimità che il giudice del rinvio, al quale la causa sia rimessa dalla Corte di Cassazione anche perché decida sulle spese del giudizio di legittimità, è tenuto a provvedere sulle spese delle fasi di impugnazione, se rigetta l’appello, e su quelle dell’intero giudizio, se riforma la sentenza di primo grado, secondo il principio della soccombenza applicato all’esito globale del giudizio, piuttosto che ai diversi gradi dello stesso ed al loro risultato (Cass. 15506/2018).
Fra l’altro, l’odierna ricorrente in riassunzione aveva specificamente impugnato, con il ricorso incidentale alla Suprema Corte, il capo della sentenza della Corte d’appello che, dopo aver riconosciuto la fondatezza della sua pretesa, ha poi integralmente compensato le spese di lite dei due gradi.
La valutazione globale dell’esito della lite evidenzia una reciproca soccombenza, essendo stata accolta, da un canto, la domanda della XXX di illegittimità dei contratti di somministrazione di lavoro a tempo determinato e di accertamento della sussistenza di un unico contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato tra la lavoratrice e YYY S.p.a., mentre, d’altro canto, la XXX è risultata parzialmente soccombente sulla domanda risarcitoria che ha trovato accoglimento solo in minima parte rispetto alla richiesta iniziale, con condanna anche alla restituzione della differenza fra quanto medio tempore percepito e quanto liquidato a titolo di indennità risarcitoria.
Tuttavia, tale ultimo esito, per la parte favorevole a YYY S.p.a., è dovuto unicamente allo ius superveniens della legge 183/2010, in difetto del quale la società sarebbe stata totalmente soccombente anche sulle pretese risarcitorie.
Alla luce di tali considerazioni, ritiene questa Corte che le spese di tutti i gradi del giudizio, liquidate in dispositivo tenendo conto del valore indeterminabile della domanda, debbano essere poste a carico della società datrice di lavoro.
P.q.m.
La Corte, decidendo in sede di rinvio, determina l’indennità dovuta da YYY S.p.a. a XXX nella somma di € 10.217,34, pari a 6 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, oltre su tale indennità rivalutazione monetaria ed interessi legali sulla medesima quale via via rivalutata con decorrenza per entrambe le voci accessorie dal 18 giugno 2013 e sino al 27 settembre 2013 e, dato atto della già avvenuta corresponsione di tale somma, condanna XXX a restituire a YYY S.p.a. la differenza tra la somma di € 101.893,90 e quanto a lei spettante per indennità ed accessori nei termini sopra indicati, oltre interessi legali su tale differenza con decorrenza dal 28 settembre 2013.
Condanna YYY S.p.a. a rimborsare a XXX le spese di lite di tutti i gradi del giudizio che liquida, quanto al primo, nella somma di € 5.000,00 per compenso, quanto all’appello nella somma di € 4.000,00 per compenso, quanto al giudizio di cassazione nella somma di € 3.000,00 per compenso e, quanto al presente giudizio di rinvio, nella somma di € 3.000,00 per compenso, tutti oltre accessori legali e spese generali nella misura del 15%, da distrarsi quanto ai compensi del giudizio di cassazione e del presente giudizio di rinvio all’avv. che si è dichiarata antistataria. Così deciso il 30 giugno 2021.
IL CONSIGLIERE ESTENSORE
IL PRESIDENTE
La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di
Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.
Desideri approfondire l'argomento ed avere una consulenza legale?
Prenota un appuntamento.
La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza / conference call e si svolge in tre fasi.
Prima dell'appuntamento: analisi del caso prospettato. Si tratta della fase più delicata, perché dalla esatta comprensione del caso sottoposto dipendono il corretto inquadramento giuridico dello stesso, la ricerca del materiale e la soluzione finale.
Durante l’appuntamento: disponibilità all’ascolto e capacità a tenere distinti i dati essenziali del caso dalle componenti psicologiche ed emozionali.
Al termine dell’appuntamento: ti verranno forniti gli elementi di valutazione necessari e i suggerimenti opportuni al fine di porre in essere azioni consapevoli a seguito di un apprezzamento riflessivo di rischi e vantaggi. Il contenuto della prestazione di consulenza stragiudiziale comprende, difatti, il preciso dovere di informare compiutamente il cliente di ogni rischio di causa. A detto obbligo di informazione, si accompagnano specifici doveri di dissuasione e di sollecitazione.