Prima che fosse espressamente disciplinato dall’articolo 1751-bis c.c., la giurisprudenza di legittimità riconduceva all’articolo 2596 c.c., il patto di non concorrenza per il periodo successivo alla cessazione del contratto di agenzia.
Si diceva, infatti, che il patto di non concorrenza per il periodo successivo alla cessazione del rapporto rientrava nell’ambito di applicazione dell’articolo 2596 c.c., in considerazione sia del suo carattere di norma generale sui limiti contrattuali della concorrenza, sia della specialità dell’articolo 2125 c.c., la cui normativa, improntata a maggior rigore rispetto a quella dettata dall’articolo 2596 c.c., era considerata non estensibile a contratti diversi da quello di lavoro subordinato, ancorché caratterizzati dalla cosiddetta parasubordinazione, come appunto il contratto di agenzia (Cass. 6 novembre 2000, n. 14454; Cass. 8 novembre 1997, n. 11003; Cass. 24 agosto 1991, n. 9118; Cass. 23 novembre 1990, n. 11282).
Successivamente del Decreto Legislativo n. 303 del 1991, articolo 5 (di attuazione della direttiva n. 86/653/CEE), ha aggiunto nel codice civile l’articolo 1751-bis, sul patto di non concorrenza, con il seguente testo: “il patto che limita la concorrenza da parte dell’agente dopo lo svolgimento del contratto deve farsi per iscritto. Esso deve riguardare la medesima zona, clientela e genere di beni o servizi per i quali era stato concluso il contratto di agenzia e la sua durata non può eccedere i due anni successivi all’estinzione del contratto”.
La suddetta disposizione, in base all’articolo 6 del Decreto Legislativo medesimo, si applica anche ai contratti in corso di esecuzione al 1 gennaio 1990, come quello in controversia, per il quale pertanto non puo’ farsi applicazione del citato articolo 2596 c.c. (da ultimo Cass. n. 4461 del 2015; conformi: Cass. n. 8295 del 2012, Cass. n. 14454 del 2000; Cass. n. 11003 del 1997).
Con la successiva L. 29 dicembre 2000, n. 422, articolo 23 (entrata in vigore il 4 febbraio 2001) si è aggiunto un comma 2 all’articolo 1751-bis c.c., del seguente tenore: “L’accettazione del patto di non concorrenza comporta, in occasione della cessazione del rapporto, la corresponsione all’agente commerciale di una indennità di natura non provvigionale. L’indennità va commisurata alla durata, non superiore a due anni dopo l’estinzione del contratto, alla natura del contratto di agenzia e all’indennità di fine rapporto. La determinazione della indennità in base ai parametri di cui al precedente periodo è affidata alla contrattazione tra le parti tenuto conto degli accordi economici nazionali di categoria. In difetto di accordo l’indennità è determinata dal giudice in via equitativa anche con riferimento: 1) alla media dei corrispettivi riscossi dall’agente in pendenza di contratto ed alla loro incidenza sul volume d’affari complessivo nello stesso periodo; 2) alle cause di cessazione del contratto di agenzia; 3) all’ampiezza della zona assegnata all’agente; 4) all’esistenza o meno del vincolo di esclusiva per un solo preponente”.
Lo stesso articolo 23, ha stabilito che le suindicate disposizioni efficaci a partire dai 1 giugno 2001 – si applicano esclusivamente agli agenti che esercitano in forma individuale, di società di persone o di società di capitali con un solo socio, nonché, ove previsto da accordi economici nazionali di categoria, a società di capitali costituite esclusivamente o prevalentemente da agenti commerciali.
Così ricostruita l’evoluzione normativa del patto di non concorrenza nel contratto di agenzia, in primo luogo, deve ribadirsi che il contratto di agenzia per sua natura è fondato sull’intuitus personae.
In proposito, secondo la Suprema Corte deve darsi continuità al principio di diritto espresso in una recente pronuncia dove si è affermato che: “nel contratto di agenzia, il patto aggiunto di carattere vessatorio non necessita di specifica approvazione per iscritto, ai sensi degli articoli 1341 e 1342 c.c., perché il regolamento negoziale non è riferito ad una platea indifferenziata di soggetti, ma solo agli agenti (nella specie i promotori finanziari di una banca), né lo stesso risulta predisposto a mezzo di moduli e formulari” (Sez. L, Sent. n. 4190 del 2020).
Principio di diritto: “in tema di condizioni generali di contratto, perché sussista l’obbligo della specifica approvazione per iscritto di cui all’articolo 1341 c.c., comma 2, non basta che uno dei contraenti abbia predisposto l’intero contenuto del contratto in modo che l’altra parte non possa che accettarlo o rifiutarlo nella sua interezza, ma è altresì necessario che lo schema sia stato predisposto e le condizioni generali siano state fissate, per servire ad una serie indefinita di rapporti, sia dal punto di vista sostanziale, perché confezionate da un contraente che esplichi attività contrattuale all’indirizzo di una pluralità indifferenziata di soggetti, sia dal punto di vista formale, in quanto predeterminate nel contenuto a mezzo di moduli o formulari utilizzabili in serie. Ne consegue che non necessitano di una specifica approvazione scritta le clausole contrattuali elaborate in previsione e con riferimento ad un singolo, specifico negozio da uno dei contraenti, cui l’altro possa richiedere di apportare le necessarie modifiche dopo averne liberamente apprezzato il contenuto” (Sez. 6-2, Ord. n. 20461 del 2020; Sez. 6-3, Ord. n. 17073 del 2013).
Corte di Cassazione, Sentenza n. 1143 del 14 gennaio 2022
La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di
Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.
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