fbpx
Generic filters
Parola esatta ...
Cerca nei titolo
Search in excerpt
Filtra per categoria
Codice Civile
Codice Penale

Contratto di apertura di credito, aumento unilaterale dei tassi

La sentenza analizza la legittimità dell’aumento unilaterale dei tassi da parte della banca e del successivo recesso dal contratto di apertura di credito a tempo indeterminato. La Corte, pur riconoscendo la possibilità di modifica unilaterale e di recesso, ne circoscrive la validità al rispetto di specifici presupposti, tra cui la comunicazione dettagliata delle ragioni che giustificano la decisione e il rispetto della buona fede contrattuale. Nel caso specifico, la banca non ha adempiuto agli obblighi informativi, rendendo inefficace la modifica unilaterale dei tassi. Tuttavia, il recesso è stato ritenuto legittimo in quanto esercitato dalla banca per tutelare il proprio credito a fronte dell’incapacità del cliente di far fronte al debito.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE DI APPELLO DI ANCONA PRIMA SEZIONE CIVILE Composta dai seguenti Magistrati:
dr. NOME COGNOME Presidente;
dr. NOME COGNOME Consigliere;
dr. NOME COGNOME Consigliere rel.
; ha pronunciato la seguente

SENTENZA N._883_2024_- N._R.G._00000256_2022 DEL_05_06_2024 PUBBLICATA_IL_06_06_2024

nella causa civile di secondo grado iscritta al n. 256/22 del ruolo generale degli affari contenziosi civili dell’anno 2022, promossa (C.F. ), rappresentata e difesa, in virtù di pro- cura speciale alle liti, dall’Avv. NOME COGNOME
appellanti CONTRO , rappresentata e difesa, in virtù di procura speciale alle liti, dall’Avv. NOME COGNOME
appellata avente ad oggetto: inadempimento di contratto di apertura di credito;

conclusioni:

appellante:
“voglia l’Ill.ma Corte di Appello:
– rigettare l’appello incidentale tardivo spiegato dalla controparte;
– accogliere l’appello promosso da , una volta accertato e dichiarato, per i motivi esposti in già al contratto di apertura di contratto di conto corrente stipulato con in data 26 ottobre 2005 – nella parte in cui, violando il contenuto di cui agli artt.1 e 2 del suddetto contratto, ha addebitato alla odierna attrice interessi non dovuti, cagionandole così lo sconfinamento che altrimenti non vi sarebbe stato – con la conseguente declaratoria di invalidità del recesso dal rapporto di c/c intestato a , operato dalla ridetta con comunicazione del 13.07.17 e la condanna di quest’ultima alla restituzione in favore di dell’importo di € 140.726,81, ovvero della diversa somma che sarà ritenuta di giustizia; in via altrettanto principale – accogliere l’appello promosso da una volta accertata e dichiarata l’invalidità del recesso dal rapporto di c/c intestato a , operato da già con comunicazione del 13.07.17, con la conseguente condanna di già al ristoro di di ogni pregiudizio e danno cagionatole quantificato in € 50.000,00, ovvero nella diversa somma ritenuta di giustizia;

In via subordinata – accogliere l’appello promosso da anche nella denegata ipotesi che dovesse essere ritenuto legittimo il recesso operato da già , e, quindi, accertato il reale debito portato dalla società nei confronti del suddetto istituto, epurato dagli interessi addebitati dalla banca e non dovuti, alla luce della violazione del contenuto di cui agli artt.1 e 2 del contratto di apertura di credito in conto corrente, di cui più analiticamente dedotto in atto introduttivo.

Con vittoria di spese e competenze di lite del primo e del secondo grado di giudizio”;

appellata:
“voglia l’Ecc.ma Corte d’Appello di Ancona, disattesa ogni contraria e diversa istanza, eccezione e deduzione, emesse le più opportune pronunce e declaratorie, in via preliminare, rigettare l’istanza di sospensione della provvisoria esecutorietà della appellata sentenza;
rigettare l’appello principale, in quanto inammissibile ed infondato e, in Tribunale di Pesaro n. 618 del 14 settembre 2021, condannare la pagamento delle somme di cui al dispositivo della sentenza appellata con maggiorazione di interessi al tasso di mora del 12,5% annuo a far data dal 27 luglio 2017 e sino al saldo effettivo e porre per l’intero a carico della medesima gli esborsi ed i compensi e le spese di CTU del primo grado di giudizio, da liquidarsi quanto ai primi in € 1.245,45, e quanto ai secondi in misura pari ai parametri medi di cui alla tabella 2 allegata al d.m. 55/2014 nella misura di € 21.387,00, oltre spese generali nella misura del 15%; con vittoria di esborsi e compensi del giudizio di appello”;

MOTIVI DELLA DECISIONE

Lo svolgimento del giudizio di primo grado è adeguatamente delineato nell’atto di appello, nella comparsa di costituzione di parte appellata e nella sentenza impugnata, cui si rinvia e che ivi si abbiano per integralmente richiamati, dai quali, peraltro, emerge compiutamente il thema decidendum, così come appunto consolidatosi nel corso del giudizio.

Appare, pertanto, superfluo indugiare nella ricapitolazione degli accadimenti processuali e delle correlate deduzioni difensive svolte dalle parti e, di contro, risulta più proficuo procedere all’immediata delibazione dei tre motivi di impugnazione cui è affidato l’appello principale e dei due motivi in cui si esaurisce l’appello incidentale.
****** I.

Il primo motivo dell’appello principale censura la sentenza del Tribunale di Pesaro laddove, nell’accogliere la domanda riconvenzionale dell’intermediario finanziario, volta a conseguire la condanna di al pagamento del saldo debitore del contratto di conto corrente bancario , ha affermato la sussistenza ed il valido esercizio del diritto potestativo di cui all’art. 118 T.U.B., più volte azionato nel corso della relazione negoziale.

Il motivo è fondato.

La norma di cui all’art. 118 T.U.B., nella lettera ratione temporis applicabile, esige, tra gli altri presupposti, che la modifica unilaterale sia previamente comunicata al cliente, sì da esplicare i propri effetti, ritenendosi dunque tacitamente approvata, qualora quest’ultimo non manifesti tempestivamente il proposito di recedere dal contratto.

avviso del Collegio, che sul punto ritiene condivisibile la giurisprudenza arbitrale richiamata dalla difesa appellante, l’esercizio del diritto di recesso esige che il cliente sia posto in condizione di operare una scelta negoziale consapevole, ossia compiuta all’esito ed in ragione dell’acquisizione del necessario corredo informativo circa la sussistenza del giustificato motivo.

Al riguardo, occorre sottolineare che la norma di cui all’art. 118 T.U.B. non delinea uno scenario assolutamente dicotomico, dunque destinato ad esauristi nelle opposte opzioni del recesso e dell’acquiescenza alla modifica unilaterale, ma, alla luce di principi generali in tema di oggetto ed efficacia del negozio, sottintende una terza prospettiva, ossia che il cliente, lungi dal recedere, abbia ad eccepire la sussistenza del giustificato motivo, ovvero la carenza del presupposto necessario a consentire, in un’ottica necessariamente incentrata all’eccezionalità, la modifica unilaterale del contenuto del contratto. Affinchè ciò sia possibile, l’intermediario finanziario, che sempre deve connotare il proprio agere negoziale alla buona fede oggettiva, tanto più che esso si relaziona con il cliente in una posizione di maggior forza contrattuale, deve necessariamente comunicare le ragioni in cui, hic et nunc, si sostanziano i motivi giustificati.

In altri termini, e semplificando, l’intermediario finanziario non può limitarsi ad allegare la sussistenza dei motivi ma deve anche “giustificarli”, ciò che si risolve nella necessaria prospettazione al cliente delle ragioni sottese all’esercizio dello ius variandi.

Ciò non è avvenuto nel caso di specie e, invero, la circostanza non sfugge alla difesa di che, tuttavia, sostiene che l’art. 1 del contratto di apertura di credito, stipulato con atto pubblico del 26.10.2005, già compie l’indicazione dei giustificati motivi, sì da esonerare l’intermediario finanziario dalla prospettazione di essi al momento dell’effettivo esercizio delle ius variandi.

Tale argomento difensivo è stato in sostanza accolto dal Tribunale di Pesaro.

Esso, tuttavia, sebbene non privo di suggestività, non è suscettibile di condivisione.

La clausola di cui art. 1 prevede, in parte qua, quanto segue:

“il correntista accorda specificamente alla banca la facoltà di modificare la struttura dei tassi, i punti di indicizzazione del parametro ed ogni altro prezzo e condizione economica che regolano il presente contratto, , in caso di variazione in senso sfavorevole al correntista, le prescrizioni del Titolo VI del Testo Unico Bancario”.

La clausola, pertanto, si limita a delineare, in termini peraltro assai generici, lo scenario astratto da cui possono scaturire i giustificati motivi, ossia “le variazioni intervenute nelle condizioni del mercato monetario e creditizio”, ma di per sé non veicola il coefficiente conoscitivo necessario affinché il cliente possa comprendere l’effettiva sussistenza di un motivo giustificato nel momento (successivo alla stipulazione del contratto) del concreto esercizio dello ius variandi.

Alla luce di quanto osservato, deve essere affermata l’inefficacia dell’aumento dei tassi debitori operata in via unilaterale dell’intermediario finanziario, giusto il disposto della norma di cui al terzo comma dell’art. 118 T.U.B. Ne consegue la necessità di rettificare il saldo debitore del conto corrente n. , alla data del 27.7.2017, nella minor somma di euro 288.556,32, così come prospettato nella relazione dei consulenza depositata in data 9.6.2020, il cui contenuto ivi si abbia per integralmente richiamato, che, in parte qua, giunge a conclusioni che si prospettano immuni da errori di impostazione metodologica, sì da meritare piena adesione. II.

Il secondo motivo censura la sentenza impugnata laddove ha omesso di rilevare illegittimità del recesso dell’intermediario finanziario dal contratto di apertura di credito.

Il motivo è infondato.

Come emerge dall’esame dell’atto pubblico del 26.10.2005, l’apertura di credito è divenuta a tempo indeterminato successivamente alla data del 26.5.2007, circostanza, peraltro, pacifica tra le parti.

La norma di cui al terzo comma dell’art. 1845 c.c. consente il recesso dal contratto di apertura di credito a tempo indeterminato pur in carenza di giusta causa, e dunque anche nell’ipotesi in cui non sia superata la provvista finanziaria messa a disposizione (il c.d. affidamento), sempre che sia rispettato il termine di preavviso pattizio o, in carenza di pattuizione, quello di quindici giorni.
’esercizio del diritto di recesso, sebbene svincolato dalla necessità della sussistenza della giusta causa, esige pur sempre il rispetto del canone comportamentale della buona fede oggettiva.

In altri e più compiuti termini, “il recesso di una banca da un rapporto di apertura di credito in cui non sia stato superato il limite dell’affidamento concesso, benché pattiziamente previsto anche in difetto di giusta causa, deve considerarsi illegittimo, in ragione di un’interpretazione del contratto secondo buona fede, ove in concreto assuma connotati del tutto imprevisti ed arbitrari, contrastando, cioè, con la ragionevole aspettativa di chi, in base ai rapporti usualmente tenuti dalla banca ed all’assoluta normalità commerciale di quelli in atto, abbia fatto conto di poter disporre della provvista redditizia per il tempo previsto e non sia, dunque, pronto alla restituzione, in qualsiasi momento, delle somme utilizzate. Il debitore il quale agisce per far dichiarare l’arbitrarietà del recesso ha l’onere di allegare l’irragionevolezza delle giustificazioni date dalla banca, dimostrando la sufficienza della propria garanzia patrimoniale così come risultante a seguito degli atti di disposizione compiuti (così, Sentenza della Corte di Cassazione 17291 del 24/08/2016;

in tal senso, anche Sentenza della Corte di Cassazione n. 5415 del 29/02/2024)”.

Altresì, “il recesso dal contratto di apertura di credito costituisce una facoltà riconosciuta dall’art. 1845 cod. civ., sicché risulta adeguatamente motivato anche attraverso il mero richiamo a quella norma;
è invece la parte che assume l’illegittimità del recesso (ad esempio per arbitrarietà e contrarietà al principio di buona fede) che ha l’onere di enunciarne le ragioni e di fornire la relativa prova nel caso concreto (così, Sentenza della Corte di Cassazione n.6186 del 07/03/2008;
in tal senso, anche Sentenza della Corte di Cassazione n. 4538 del 21/05/1997 )”.

Declinando tali principi al caso di specie, deve osservarsi che non ha soddisfatto il proprio onere probatorio, indugiando perlopiù sulla circostanza, di per sé irrilevante, dal mancato superamento dell’affidamento concesso, al momento dell’esercizio del recesso, in ragione della rettifica del saldo debitore del conto corrente ove era regolata l’apertura di credito.

, dall’esame dell’intera operazione negoziale emerge che l’intermediario finanziario ha esercitato il recesso al solo fine di tutelare la propria pretesa creditoria e, dunque, senza mirare, tampoco in via eventuale, ad arrecare un qualche pregiudizio ulteriore (rispetto a quello insito nella richiesta della ripetizione delle somme utilizzate e non ancora restituite e, dunque, sprovvisto del connotato dell’antigiuridicità) a ciò che esclude la lamentata violazione del canone comportamentale di cui all’art. 1375 c.c. I documenti prodotti e le deduzioni difensive delle parti riferiscono che esse, per il tramite dell’apertura di credito stipulata in data 26.10.2005, intesero conseguire i medesimi effetti pratici raggiungibili tramite la stipulazione di un contratto di mutuo ipotecario.

Vi è, infatti, che la somma accreditata venne utilizzata da pressochè nella sua interezza e in un’unica soluzione, per l’acquisto di un terreno edificabile con fabbricati sito a Pesaro.

ebbe a locare gli immobili a tale RAGIONE_SOCIALE (vi sono intersecazioni tra le due compagini societarie ma ciò non rilevai ai fini della lite) ed i canoni corrisposti da quest’ultima furono impiegati per la restituzione della provvista finanziaria e dei correlati interessi.

Emerge, altresì, che peraltro costituita in occasione dell’acquisto degli immobili siti a Pesaro, non ha mai svolto attività di impresa ulteriore rispetto alla stipulazione del contratto di locazione ed alla riscossione dei canoni, sì da non poter contare, già in origine, su flussi finanziari alternativi da poter destinare alla restituzione della somma utilizzata.

Così configurata, la relazione negoziale, che appunto riecheggia un rapporto di mutuo ipotecario (ove la somma è subito destinata all’acquisto di un immobile, oggetto poi di garanzia reale, ed il mutuatario restituisce nel tempo il capitale e gli interessi mentre, come noto, l’apertura di credito ha un andamento più dinamico ed è utilizzata affinché, di volta in volta, l’accreditato possa disporre della liquidità necessaria per fare fronte, generalmente, ai costi dell’attività di impresa), ha avuto un iniziale sviluppo fisiologico che, tuttavia, già a far tempo dal 2009, ha assunto una deriva patologica, accentuata, peraltro, dalla circostanza che il di Urbino, con sentenza depositata in data 4.2.2014, ha dichiarato il fallimento di RAGIONE_SOCIALE Invero, dall’esame dell’allegato H) della relazione di consulenza emerge che – nel 2006 ha corrisposto all’intermediario finanziario, a titolo di restituzione della somma utilizzata e dei correlati interessi, somme per un importo complessivo di euro 82.800,00; – nel 2007 ha corrisposto all’intermediario finanziario, a titolo di restituzione della somma utilizzata e dei correlati interessi, somme per un importo complessivo di euro 87.773,51;
– nel 2008 ha corrisposto all’intermediario finanziario, a titolo di restituzione della somma utilizzata e dei correlati interessi, somme per un importo complessivo di euro 66.751,20;
– nel 2009 non ha corrisposto somme;
– nel 2010 ha corrisposto all’intermediario finanziario, a titolo di restituzione della somma utilizzata e dei correlati interessi, somme per un importo complessivo di euro 10.000,00;
– nel 2011 ha corrisposto all’intermediario finanziario, a titolo di restituzione della somma utilizzata e dei correlati interessi, somme per un importo complessivo di euro 7.000,00;
– nel 2012 ha corrisposto all’intermediario finanziario, a titolo di restituzione della somma utilizzata e dei correlati interessi, somme per un importo complessivo di euro 15.377,31;
– nel 2013 non ha corrisposto somme;
– nel 2014 ha corrisposto all’intermediario finanziario, a titolo di restituzione della somma utilizzata e dei correlati interessi, somme per un importo complessivo di euro 9.000,00;
– nel 2015 ha corrisposto all’intermediario finanziario, a titolo di restituzione della somma utilizzata e dei correlati interessi, somme per un importo complessivo di euro 38.292,00;
– nel 2016 ha corrisposto all’intermediario finanziario, a titolo di restituzione della somma utilizzata e dei correlati interessi, somme per un importo complessivo di euro 10.000,00;
– nel marzo del 2017 ha corrisposto all’intermediario finanziario, a titolo di restituzione della somma utilizzata e dei correlati interessi, somme per un importo complessivo di euro 20.000,00.

In ragione del sopravvenuto notevole assottigliamento (rispetto ai primi tre anni) dei flussi finanziari e della circostanza della caducazione del contratto di locazione in ragione del (che non ha provato, ed invero nemmeno allegato, di aver nuovamente locato il compendio immobiliare), appare tutt’altro che abusivo il il proposito dell’intermediario finanziario di recedere dall’apertura di credito a tempo indeterminato ed esigere l’immediata restituzione della somme residue.

In altri termini, lungi dall’assumere una condotta arbitraria, avventata ed inutilmente lesiva degli interessi della controparte, ha agito nel convincimento, sicuramente comprensibile e non censurabile, della sostanziale impotenza finanziaria, quantomeno in prospettiva futura, dell’accreditato.

La circostanza è confermata dalla difesa appellante sin dall’atto introduttivo del processo ove si riferisce che, a far data dal 2009 al 2016, ha sempre conseguito perdite di esercizio, inizialmente più contenute (euro 2.133,00 nel 2009) e poi più importanti (euro 54.338,00 nel 2016), e che, negli esercizi 2011,2012, 2013, 2014, 2015,2015, i ricavi della società sono sempre stati pari a zero.

Il recesso, peraltro, è stato esercitato solo in data 13.7.2017, ovvero dopo le sollecitazioni veicolate con le raccomandate del 20.12.2016, del 27.1.2017, del 3.5.2017, e dopo il sostanziale diniego di alla conclusione di un mutuo solutorio con ulteriore garanzia ipotecaria, ciò che verosimilmente ha rafforzato il convincimento dell’intermediario finanziario di doversi necessariamente attivare per l’adempimento coattivo dell’obbligazione, non potendo più confidare nel pagamento spontaneo del debitore.

In tal senso, va evidenziato che con missiva del proprio difensore del 27.6.2017, si è limitata a contestare l’entità del credito vantato dall’intermediario finanziario, riconoscendosi debitore per il minor importo di euro 283.996,06, ma non ha indicato, nemmeno in via generica, i mezzi con cui procedere al pagamento, per ipotesi anche dilazionato, qualora non avesse esercitato il recesso.

III.

Il terzo motivo censura la sentenza impugnata laddove non ha accolto la domanda di risarcimento del danno patrimoniale asseritamente patito da ragione dell’illegittimo esercizio del diritto di cui all’art. 118 T.U.B. Il motivo è infondato.
la necessità di emendare il saldo debitore del conto corrente, come sopra giù illustrato, nondimeno non ha mai eseguito pagamenti indebiti e, invero, ad oggi è ancora debitrice della somma di euro 288.556,32 oltre interessi.

Anche qualora l’intermediario finanziario non avesse mutato unilateralmente il tasso degli interessi debitori, non avrebbe disposto di una provvista finanziaria “gratuita”, ovvero non bisognevole di essere a sua volta restituita, con gli interessi, a In altri termini, anche volendo ipotizzare che l’intermediario finanziario avesse acconsentito all’ulteriore utilizzo della somma accreditata nei limiti del delta sussistente tra l’accordato originario e le rimesse ripristinatorie eseguite, così come rettificato all’esito dell’applicazione degli interessi convenzionali non modificati in via unilaterale (ciò che, in realtà, appare assolutamente inverosimile poiché, come sopra osservato, l’intera operazione negoziale era finalizzata all’acquisto dell’immobile e si sarebbe dovuta reggere su canoni corrisposti del conduttore), ciò avrebbe unicamente accresciuto l’esposizione debitoria di nei confronti di La difesa appellante sostiene che avrebbe impiegato tale ulteriore provvista finanziaria per estinguere pendenti obbligazioni tributarie, di cui non si premura di specificare e provare l’entità della sorte e degli interessi, sicché tampoco più essere compiuta una valutazione circa la convenienza di una simile operazione, ma è evidente che ciò non sarebbe stato permesso dall’intermediario finanziario che, giova ripeterlo per l’ennesima volta, ebbe a concedere l’apertura di credito onde consentire all’accreditato l’acquisto dell’immobile, oggetto di ipoteca reale, non certo al fine di consentire il pagamento dei debiti (di ammontare sconosciuto) con l’Erario. In alternativa, la difesa appellante deduce che la provvista finanziaria sarebbe stata impiegata per la creazione di un campo da “paintball”.

Vale quanto sopra osservato circa il sicuro diniego di ad un simile impiego delle somme.

Peraltro, l’assunto difensivo, che sembra lamentare il danno da lucro cessante, è sprovvisto di mera planimetria catastale e non un progetto di un campo da “paintball”, oltre a omettere di fornire ogni ulteriore elemento conoscitivo circa l’effettiva fattibilità in concreto e redditività di una simile iniziativa imprenditoriale.

IV.

Il primo motivo dell’appello incidentale censura la sentenza del Tribunale di Pesaro laddove ha commisurato al tasso legale gli interessi corrispettivi dell’obbligazione relativa al pagamento del saldo negativo del conto corrente e laddove ha fissato la decorrenza di tal interessi dalla data del 9.6.2020.

Entrambi i profili sono fondati.

Ai sensi del combinato disposto delle norme di cui agli artt. 1218, 1224 e 1284 c.c., gli interessi sono dovuti dalla data del 13.7.2017, ossia dalla messa in mora, e nella misura degli interessi convenzionali, per essi intendendosi, ovviamente, quelli pattuiti nel richiamato atto pubblico (e non gli interessi applicati in ragione dell’esercizio dello ius variandi).

V.

Il secondo motivo dell’appello incidentale censura la sentenza del Tribunale di Pesaro laddove, nel compiere la regolazione delle spese del grado, ne ha disposto la compensazione in misura dei due terzi, condannano al pagamento del restante terzo e laddove ha liquidato le spese, nella loro interezza, nella somma di euro 13.430,00, per compenso, oltre rimborso forfetario in misura massima, c.p.a. ed IVA.

Il motivo è infondato.

L’esito ultimo del processo evidenzia la reciprocità della soccombenza atteso l’accoglimento della domanda volta a conseguire la riduzione sensibile dell’entità della pretesa creditoria vantata dall’intermediario finanziario e l’accoglimento della domanda riconvenzionale, sebbene appunto per una somma inferiore rispetto a quanto richiesto.

Ne consegue che le spese del primo grado e della consulenza tecnica d’ufficio devono essere integralmente compensate tra le parti.

La reiterazione della regolazione delle spese del primo grado è comunque imposta dall’accoglimento del primo motivo dell’appello principale e non lede il principio della domanda, posto che ha concluso nel senso della condanna della controparte al pagamento delle spese di entrambi i gradi di giudizio.

P.Q.M.

La Corte d’Appello di Ancona, definitivamente pronunciando, ogni ulteriore domanda ed eccezione assorbita o rigettata, in parziale riforma della sentenza impugnata, così decide:
– condanna all’immediato pagamento, in favore di della somma di euro 288.556,32, oltre interessi convenzionali, così come indicati nell’atto pubblico del 26.10.2005, dalla data del 13.7.2017 al saldo;
– compensa integralmente tra le parti le spese del primo grado di giudizio;
– pone definitivamente a carico di entrambe le parti, in egual misura, le spese della consulenza tecnica d’ufficio;
– conferma per il resto la sentenza impugnata;
– compensa integralmente tra le parti le spese del presente grado.
Ancona, 5.6.2024
Il Presidente Dott.ssa NOME COGNOME Il Consigliere Est.
Dott. NOME COGNOME

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

Desideri approfondire l'argomento ed avere una consulenza legale?

Prenota un appuntamento. La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza / conference call e si svolge in tre fasi.

Prima dell'appuntamento: analisi del caso prospettato. Si tratta della fase più delicata, perché dalla esatta comprensione del caso sottoposto dipendono il corretto inquadramento giuridico dello stesso, la ricerca del materiale e la soluzione finale.

Durante l’appuntamento: disponibilità all’ascolto e capacità a tenere distinti i dati essenziali del caso dalle componenti psicologiche ed emozionali.

Al termine dell’appuntamento: ti verranno forniti gli elementi di valutazione necessari e i suggerimenti opportuni al fine di porre in essere azioni consapevoli a seguito di un apprezzamento riflessivo di rischi e vantaggi. Il contenuto della prestazione di consulenza stragiudiziale comprende, difatti, il preciso dovere di informare compiutamente il cliente di ogni rischio di causa. A detto obbligo di informazione, si accompagnano specifici doveri di dissuasione e di sollecitazione.

Carmine Paul Alexander TEDESCO - Avvocato
Desideri approfondire l’argomento ed avere una consulenza legale?

Articoli correlati