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Contratto di compravendita a corpo

Qualora le parti concludano un contratto di compravendita a corpo indicando, nell’ambito di esso, la misura del bene compravenduto, si applica il rimedio di cui all’articolo 1538 c.c., comma 1, in presenza di una divergenza quantitativa della misura del bene maggiore di un ventesimo di quella indicata nel contratto. Resta salva la facoltà delle parti di escludere l’efficacia della norma dianzi richiamata, mediante specifica clausola negoziale, pur in presenza dei requisiti previsti per la sua applicabilità

Pubblicato il 06 November 2022 in Diritto Immobiliare, Giurisprudenza Civile

Anche nella compravendita a corpo “immobiliare”, la menzione nel contratto della misura dell’immobile costituisce, nella previsione dell’articolo 1538 c.c., un elemento cui la norma stessa, ricorrendo determinati presupposti di carattere oggettivo (misura reale del bene inferiore o superiore di un ventesimo rispetto a quella indicata in contratto), attribuisce importanza al fine della possibilità di chiedere la rettifica del prezzo, che può essere ritenuta esclusa solo nel caso in cui, dalla interpretazione del contratto, risulti che le parti abbiano inteso derogare alla norma medesima, escludendone l’applicabilità, per avere esse considerato irrilevante del tutto l’effettiva estensione dell’immobile, quale che essa sia (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 11793 del 19/05/2006; conf. Cass. Sez. 2, Sentenza n. 7238 del 26/06/1995, e Cass. Sez. 2, Sentenza n. 7594 del 09/07/1991).

L’esclusione della clausola legale di cui all’articolo 1538 c.c., in presenza di contratto di compravendita a corpo contenente l’indicazione della misura del bene compravenduto, presupporrebbe dunque la prova di un’esplicita pattuizione tra le parti.

In altra occasione, invece, la Suprema Corte ha affermato che “Ai sensi dell’articolo 1538 c.c., nella vendita a corpo – a differenza di quella a misura disciplinata dall’articolo 1537 c.c. – il prezzo pattuito è determinato con riguardo all’immobile nella sua entità globale indipendentemente dalle effettive dimensioni, salvo che la sua misura reale sia inferiore o superiore di un ventesimo a quella indicata in contratto, sicché l’estensione del fondo, ancorché sia stata dalle parti indicata in contratto, assume rilevanza soltanto ai fini della identificazione del bene effettivamente venduto, che va compiuta attraverso l’interpretazione secondo i canoni legali della volontà negoziale” (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 19600 del 29/09/2004).

Secondo questa ipotesi ricostruttiva, parzialmente divergente da quella seguita dall’orientamento prevalente, l’operatività del rimedio di cui all’articolo 1538 c.c., potrebbe essere esclusa anche in assenza di specifica pattuizione delle parti, all’esito del procedimento interpretativo del contratto e della volontà dei paciscenti, da condurre nel rispetto dei criteri generali di cui all’articolo 1362 c.c. e ss..

Infine, in altra fattispecie si è affermato che “Nella vendita a corpo il prezzo è stabilito in relazione all’entità globale del bene indipendentemente dalle sue dimensioni reali, sicché non si procede a diminuzione salvo che la misura reale sia inferiore di un ventesimo rispetto a quella precisata nel contratto, che determina il venir meno della presunzione di indifferenza delle parti rispetto al minor valore dell’immobile e l’applicazione delle ordinarie regole di riduzione del corrispettivo in caso di non corrispondenza tra qualità promesse e cosa trasferita” (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 18263 del 17/09/2015).

Secondo questa terza ipotesi interpretativa, si configurerebbe una presunzione di indifferenza della divergenza quantitativa del bene oggetto del progetto negoziale, che sarebbe superata dalla dimostrazione dell’entità di detta divergenza (maggiore di un ventesimo rispetto alla misura indicata nel contratto).

Dall’adesione a ciascuna delle tre opzioni interpretative derivano conseguenze in relazione alle caratteristiche, alla portata ed al funzionamento dello specifico rimedio di cui all’articolo 1538 c.c., comma 1, certamente applicabile esclusivamente in presenza di un contratto di compravendita a corpo contenente l’espressa indicazione della misura del bene compravenduto.

La prima ipotesi, infatti, presuppone che la clausola di cui all’articolo 1538 c.c., comma 1, si applichi sempre, a meno che le parti ne abbiano escluso espressamente la vigenza.

La seconda ipotesi, invece, demanda al giudice di merito l’interpretazione dell’effettiva volontà delle parti, da condurre nel rispetto dei principi generali, ed ammette la possibilità di escludere la vigenza della clausola legale in esame anche in assenza di espressa pattuizione dei paciscenti in tal senso.

La terza, infine, fa derivare l’applicabilità del rimedio di cui si discute dalla semplice verifica dell’esistenza di una divergenza quantitative superiore ad un ventesimo di quanto era stato pattuito tra le parti.

Con la sentenza in esame, il collegio ha ritenuto opportuno dare continuità alla prima tesi, anche in ragione della sua prevalenza rispetto alle altre due.

Essa, infatti, da un lato assicura la precisa perimetrazione del rimedio in esame, limitato ai soli casi in cui la vendita sia conclusa “a corpo” con espressa indicazione della misura del bene compravenduto, e dunque con estrinsecazione della volontà delle parti di negoziare proprio un bene dotato delle caratteristiche quantitative indicate in contratto.

Dall’altro lato, valorizza la volontà delle parti, desumibile -appunto- dall’indicazione della misura del bene, ma lascia alle stesse la facoltà di escludere l’efficacia della norma in esame, mediante inserzione di esplicita clausola nel loro regolamento negoziale.

La seconda ipotesi, invece, non assicura analoga certezza nella perimetrazione dell’applicabilità del rimedio in esame, poiché fa confluire la verifica dell’intenzione delle parti di assoggettare il loro regolamento negoziale al rimedio di cui all’articolo 1538 c.c., comma 1, nell’ambito del procedimento di interpretazione del contratto e di ricostruzione della volontà delle parti stesse.

Così argomentando, la circostanza che queste ultime, nell’ambito di un contratto di vendita a corpo, abbiano espressamente indicato la misura del bene negoziato non implica l’automatica applicazione, a quella pattuizione, della norma di cui anzidetto.

La terza opzione interpretativa, d’altro canto, sconfina in un eccessivo rigore, nella parte in cui afferma che l’applicazione del rimedio di cui all’articolo 1538 c.c., comma 1, deriverebbe dalla semplice verifica dell’esistenza di una divergenza superiore ad un ventesimo della misura pattuita tra le parti.

Anche perché, nel momento in cui si postula che la norma in esame si applica soltanto in presenza di contratto “a corpo” nel cui ambito le parti abbiano indicato la misura del bene compravenduto, è evidente che, oltre al presupposto quantitativo sopra indicato (rappresentato dal superamento della soglia di 1/20 della misura pattuita), debba sussistere anche una manifestazione di volontà dei paciscenti.

In definitiva, va data continuità alla prevalente interpretazione, con affermazione del seguente principio di diritto:

“Qualora le parti concludano un contratto di compravendita a corpo indicando, nell’ambito di esso, la misura del bene compravenduto, si applica il rimedio di cui all’articolo 1538 c.c., comma 1, in presenza di una divergenza quantitativa della misura del bene maggiore di un ventesimo di quella indicata nel contratto. Resta salva la facoltà delle parti di escludere l’efficacia della norma dianzi richiamata, mediante specifica clausola negoziale, pur in presenza dei requisiti previsti per la sua applicabilità”.

Corte di Cassazione, Sezione Seconda Civile, Sentenza n. 29363 del 10 ottobre 2022

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