R E P U B B L I C A I T A L I A N A
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE DI APPELLO DI ROMA Terza
Sezione Civile composta dai signori magistrati Dott.ssa NOME COGNOME Presidente, Dott.ssa NOME COGNOME Consigliere Dott.ssa NOME COGNOME Consigliere rel. ha pronunciato la seguente
S E N T E N Z A N._625_2025_- N._R.G._00007877_2018 DEL_30_01_2025 PUBBLICATA_IL_30_01_2025
nella causa civile di II
° grado iscritta al n. 7877/2018 del Ruolo Generale degli Affari Civili Contenziosi, riservata in decisione in data 1.10.2024 all’esito della trattazione scritta disposta ai sensi degli artt. 127, terzo comma e 127-ter e vertente tra avv. NOME COGNOMERAGIONE_SOCIALE ), elettivamente domiciliato in Roma, INDIRIZZO presso lo studio dell’avv. NOME COGNOMERAGIONE_SOCIALE. ), che lo rappresenta e difende come da procura estesa in calce atto di citazione in appello
– appellante –
C.F. C.F. che la rappresenta e difende giusta procura estesa in calce alla comparsa di costituzione e risposta in appello (p. iva ), in persona del legale rappresentante pro tempore, con sede in Torino ed elettivamente domiciliata in Napoli, INDIRIZZO, presso lo studio dell’avv. NOME COGNOMEc.f. , che la rappresenta e difende giusta procura estesa in calce alla comparsa di costituzione e risposta in appello – appellate – Oggetto: Somministrazione
CONCLUSIONI
DELLE PARTI:
Parte appellante:
“Voglia Codesta Ecc.ma Corte di Appello di Roma, in accoglimento dell’appello proposto con il presente atto:
A) annullare e riformare, in parte qua, la sentenza del Tribunale di Roma, Sezione VIII Civile, Giudice dott. NOME COGNOME, n. n. 21151/2017 dell’11 novembre 2017 resa nel giudizio recante n. 7627/2006 R.G.;
B) per l’effetto, 1) accertare e dichiarare che i comportamenti di meglio indicati nella premessa dell’atto di citazione introduttivo del giudizio e sopra riportati, integrano gli estremi di illeciti contrattuali ed extracontrattuali, che sono di tale gravità da costituire violenza nei confronti dell’odierno appellante, che è stato costretto a subire, ingiustamente, la privazione di un bene essenziale e vitale, quale è l’acqua, e a corrispondere somme non dovute, con profitto ingiusto per le società convenute, odierne appellate, accertando e dichiarando, quindi: la) il carattere illecito, abusivo, arbitrario e vessatorio del comportamento di che ha proceduto, in data 16 dicembre 2002, all’interruzione dell’erogazione della fornitura di acqua relativa all’utenza dell’immobile ” RAGIONE_SOCIALE“, sito in Rocca di Papa, INDIRIZZO costringendo l’odierno appellante al pagamento della somma di € 9.126,42, nonostante fosse intervenuto, come condizione per la voltura dell’utenza, l’accordo del 5 agosto 1997, di cui in premessa, e si fosse proceduto, da parte dell’odierno appellante, al pagamento, a saldo e stralcio, della somma di lire 1.515.000 ed ignorando che, C.F. è detto) gran parte del preteso credito era prescritto, come da eccezione formulata dall’odierno appellante con riferimento alla suddetta ipotesi. 1b) il carattere illecito, abusivo, arbitrario e vessatorio del comportamento di cui al punto la) perché, in ogni caso, quanto preteso da ed ottenuto da quest’ultima, a seguito dell’interruzione della fornitura d’acqua del 16 dicembre 2002, non era, almeno in gran parte, dovuto, in quanto l’importo della fatture per complessivi € 7.352,29 si doveva e si deve considerare abnorme e non corrispondente all’effettivo consumo di acqua, considerato, anche, che la società erogatrice ha omesso qualsivoglia opportuno chiarimento e verifica, senza fornire alcuna prova dell’affidabilità dei dati registrati dal contatore (come, peraltro, insegnato dalla Suprema Corte Sez. III, con la sentenza del 15 marzo 2004, n. 5232); 1c) il carattere illecito, abusivo, arbitrario e vessatorio del comportamento di perché ha preteso ed ottenuto, per il ripristino della fornitura di acqua, interrotta in data 16 dicembre 2002, anche il pagamento della somma di € 1.774,15 a titolo di interessi su una somma (€ 7.352,29) non dovuta, almeno in gran parte, e quantificata senza alcuna doverosa specificazione:
1d) il carattere illecito, abusivo, arbitrario e vessatorio del comportamento di che, successivamente al pagamento, da parte dell’odierno appellante, della somma di € 9.126,42, rimetteva due fatture (la n. NUMERO_DOCUMENTO e la n. NUMERO_DOCUMENTO, rispettivamente di € 533,50 e di € 535,00) sproporzionate ed invitava, con successivo atto di diffida, datato 29 ottobre 2005 e pervenuto all’odierno appellante, anche per l’erroneo indirizzo, solo in data 10 novembre 2005, al pagamento delle suddette fatture e, nel contempo (e precisamente in data 2 novembre 2005), procedeva all’interruzione della fornitura, non con la semplice chiusura dell’erogazione, ma rimuovendo il contatore esterno (probabilmente strumento della vessazione che l’odierno appellante ha subito), costringendo, in tal modo, l’odierno appellante a corrispondere la somma di € 1.658,51, di cui alla fattura con scadenza 25 gennaio 2006; 2) conseguentemente condannare alla restituzione di tutte le somme non dovute, nella misura che sar à accertata in corso di causa e che l’odierno appellante è stato costretto a corrispondere, nonché al risarcimento di tutti i danni patrimoniali e non patrimoniali, patiti e patiendi, nella misura che sarà accertata in corso di causa (restituzione delle somme non dovute;
mancata disponibilità dell’immobile nei periodi di illecita interruzione dell’erogazione dell’acqua; danni morali per la violenza subita ecc.);
3) in ogni caso, per la denegata ipotesi e con riserva di gravame, che non si dovesse ravvisare nei consumo di acqua, condannando, conseguentemente, a restituire quanto indebitamente percepito, oltre interessi;
4) accertare e dichiarare, in ogni caso, che la pretesa creditoria, azionata dalla con atto di diffida del 3 ottobre 2000 e di cui alle fatture con scadenza 22 gennaio 1991 e 25 agosto 1995, per un importo di lire 3.455.000, pari ad € 1.784,36, si doveva e si deve considerare prescritta ex art. 2948 cod.civ.
e che, essendo stato effettuato il correlativo pagamento non in via spontanea, ma per la violenza subita dall’odierno appellante, non era (e non è) operante la soluti retentio, con conseguente condanna di e/o alla restituzione di dette somme, oltre interessi;
C) con vittoria di spese e compensi del doppio grado di giudizio, oltre spese generali, CPA e IVA come per legge.
In via istruttoria ed all’occorrenza si insiste nella richiesta di prova testimoniale sui capitoli articolati nell’atto atto di citazione introduttivo del giudizio e nella successiva memoria ex art. 184 c.p.c. del 15 ottobre 2007, da intendersi quivi integralmente richiamati e trascritti e con i testi ivi indicati.
” Parte appellata :
“Piaccia all’Ill.ma Corte d’Appello adita, contrariis rejectis rigettare il presente appello in quanto infondato, confermando integralmente l’impugnata sentenza.
Con vittoria di spese e compensi professionali”.
Nel richiamare gli atti e i documenti prodotti nel fascicolo di 1° grado, che si allega, si deposita in copia ricorso in appello notificato e procura generale alle liti.
Nella denegata ipotesi di ammissione a prova testimoniale di controparte si chiedere essere ammessi a prova contraria.
” Parte appellata “Voglia l’Ecc.ma Corte d’Appello adita, in accoglimento delle svolte deduzioni IN VIA PREGIUDIZIALE Dichiarare l’inammissibilità dell’appello in quanto tardivamente proposto;
NEL MERITO ogni sua parte.
Con vittoria di spese, diritti ed onorari del doppio grado di giudizio.
” SVOLGIMENTO DEL PROCESSO La sentenza appellata così ha riportato i fatti di causa e la decisione adottata:
Con atto di citazione notificato in date 24/30.1.2006, l’avv. NOME COGNOME proprietario, sin dal 1981, della villa “RAGIONE_SOCIALE” sita in Rocca INDIRIZZO, INDIRIZZO località INDIRIZZOINDIRIZZO“,
e, perciò, titolare subentrante della relativa utenza idrica n. 546969390001, lamentando che l’RAGIONE_SOCIALE
, prima, e la poi, malgrado l’intervenuta transazione, nel mese di agosto 1997, del debito apparente (ma assolutamente abnorme – trattandosi di immobile abitato per soli venti giorni l’anno nel mese di luglio -) di vecchie £. 6.960.000 per somministrazione d’acqua (risultante, per altro, da bollette intestate alla precedente proprietaria l’accettazione ed effettiva e tempestiva riscossione, in due rate, del concordato pagamento della minor somma di vecchie f. 1.500,000, hanno continuato a pretendere da lui un importo ancor più alto di attuali € 7.352,29, ha convenuto entrambe in giudizio, innanzi all’intestato Tribunale, per sentir accertare che i comportamenti dalle stesse rispettivamente tenuti nella fattispecie (in particolare, l’interruzione della fornitura di acqua in data 16.12.2002 – che lo ha costretto ad anticipare indebitamente, salvo ripetizione, sia la cospicua somma di attuali € 9.126,42, dei quali ben 1.774,15 per interessi, sia l’ulteriore somma di € 1.658,51, per ottenere la reinstallazione del contatore esterno rimosso -) «integrano gli estremi di illeciti contrattuali ed extracontrattuali» e sentirle condannare a risarcire tutti i danni patrimoniali e non subiti o, almeno, a restituire gli importi indebitamente pretesi, siccome prescritti e, comunque, non corrispondenti agli effettivi consumi. Con comparsa di risposta tempestivamente depositata il 23.3.2006 (udienza di prima comparizione fissata, ex art. 168-bis, quinto comma, cod. proc. civ. per il successivo 15.6.2006), si è costituita la convenuta eccependo, in via preliminare, il difetto di legittimazione passiva (per l’intervenuta cessione di ramo d’azienda, il 30.11.2001, a ;
l’incompetenza territoriale del giudice adito (stante il foro convenzionale esclusivo dell’Autorità giudiziaria del luogo in cui ha sede l’esercizio che gestisce il servizio d’acquedotto);
la sospensione della prescrizione ex art. 2941 n.8 cod. civ. (stante il comportamento colposo del debitore, che si è a lungo “occultato”, senza dichiarare alla mediante pubblici proclami;
la riferibilità, in punto di fatto, da un lato, dei due pagamenti invocati ex adverso piuttosto a bollette per consumi relativi, rispettivamente, al periodo novembre 1995 – ottobre 1996 e al periodo novembre 1996 – ottobre 1997 e, dall’altro, della maggior somma richiesta a ulteriori arretrati;
la verifica positiva, infine, della correttezza della misurazione dei cospicui consumi (dovuti alla tipologia dell’impianto idraulico dell’abitazione, costituito da una grossa cisterna interrata di accumulo e da alcuni cassoni nel sottotetto) eseguita da tecnici della comparente in contraddittorio con l’attore e con un imprenditore di fiducia di quest’ultimo.
Con comparsa depositata in Cancelleria in data 11.4.2006, si è costituita, altresì, eccependo, anch’essa, l’incompetenza territoriale del Giudice adito;
l’inesistenza e inopponibilità della pretesa transazione e il corretto funzionamento dell’impianto.
Dopo lo scambio delle memorie ex artt. 183 e 184 cod. proc. civ. e previo diniego di ammissione dei mezzi di prova costituenda rispettivamente richiesti (siccome irrilevanti o concernenti circostanze di natura documentale), la causa è stata rinviata per la precisazione delle conclusioni all’udienza indicata in epigrafe e viene, quindi, in decisione, dopo la scadenza degli assegnati termini di legge per lo scambio delle comparse conclusionali e di replica.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Preliminarmente si deve dar atto che i verbali di causa sono stati ricostruiti in copia fotostatica fino all’udienza di precisazione delle conclusioni, come da ordinanza pronunziata alla stessa (e nessuna contestazione in merito è, successivamente, rinvenibile negli scritti conclusionali e di replica delle parti).
Si deve, inoltre, respingere l’eccezione d’incompetenza territoriale, poiché la deroga contrattuale in favore dell’invocato foro esclusivo (vale a dire quello del luogo in cui ha sede l’esercizio che gestisce il servizio d’acquedotto) si appalesa doppiamente inefficace, siccome non è stato dimostrato che sia stata specificamente approvata e siccome essa è in evidente contrasto con la peculiare normativa in materia di tutela del consumatore (quale, indubbiamente, ai fini che qui interessano, è da considerare l’attore, la relativa qualifica spettando solo alle persone fisiche – anche se esercenti un’attività imprenditoriale o professionale, ma, in tal caso, soltanto allorquando concludano un contratto per la soddisfazione di esigenze della vita quotidiana estranee all’attività in questione -) di cui agli artt. 1469-bis e segg. cod. civ., nel testo vigente “ratione temporis” (legge n. 52/1996; oggi legge n. 206/2005), secondo la quale il foro territorialmente competente in via esclusiva è, piuttosto, quello del luogo in cui il consumatore ha la residenza o il domicilio elettivo.
Quanto alla “legittimazione passiva” di RAGIONE_SOCIALE (cedente l’azienda), in realtà, si tratta di questione di merito vero e proprio e, sebbene sia il principale “illecito” (quello, cioè, dell’interruzione della somministrazione e della rimozione del contatore esterno) sia l’indebita riscossione siano imputati a nondimeno l’accertamento dell’esorbitanza dei consumi appare correttamente richiesto nel contraddittorio anche con la somministrante dell’epoca alla quale gli stessi risalirebbero. Quanto, infine, alla questione della prescrizione dei crediti per somministrazione, sebbene non ricorra affatto, nella specie, la pur invocata ipotesi dell’occultamento doloso del debito di cui all’art. 2941, n. 8, cod. civ., nondimeno la stessa non è stata adeguatamente sviluppata, con opportuni riferimenti al dies a quo di ogni singola partita di debito e alla decorrenza del rispettivo termine.
Nel merito, per altro, le domande dell’avv.to non possono essere accolte.
Anzitutto, infatti, non può ritenersi asseverato l’assunto attoreo dell’intervenuta transazione fra le parti, della quale non vi è traccia documentale e che non potrebbe giammai essere provata per testimoni.
In secondo luogo, poi, da un lato, in tema di contratti di somministrazione, la rilevazione dei consumi mediante contatore è assistita da una mera presunzione semplice di veridicità, sicché, in caso di contestazione, grava sul somministrante l’onere di provare che il contatore era perfettamente funzionante, mentre l’utente deve dimostrare che l’esorbitanza dei consumi è dovuta a fattori esterni al suo controllo e che non avrebbe potuto evitarla con un’attenta custodia dell’impianto, ovvero di aver diligentemente vigilato affinché eventuali intrusioni di terzi non potessero alterare il normale funzionamento del misuratore o determinare un incremento dei consumi medesimi (cfr. Cass., 22 novembre 2016, n. 23699). Dall’altro, quando sia il debitore a promuovere la ripetizione l’indebito, su di lui ricade l’onere di provare l’inesistenza di una giusta causa delle attribuzioni patrimoniali compiute in favore del convenuto, sia pure solo con riferimento agli specifici rapporti tra essi intercorsi e dedotti in giudizio (cfr. Cass., 25 gennaio 2011, n. 1734, e Cass., 15 luglio 2011, n. 15667), trattandosi di elemento costitutivo della pretesa, ancorché abbia a oggetto fatti negativi, dei quali, naturalmente, può essere data prova mediante dimostrazione di uno specifico fatto positivo contrario o anche mediante presunzioni da cui possa desumersi il factum probandum (cfr. Cass., 10 novembre 2010, n. 22872; cfr. anche Cass., 6 giugno 2012, n. 9099:
«l’onere probatorio gravante, a norma dell’art. 2697 cod. civ., su chi intende far valere in giudizio un diritto, ovvero su chi eccepisce la modifica o l’estinzione del diritto da altri vantato, non subisce deroga coerente con quello derivante dal principio della riferibilità o vicinanza o disponibilità dei mezzi di prova, riconducibile all’art. 24 Cost. e al divieto di interpretare la legge in modo da rendere impossibile o troppo difficile l’esercizio dell’azione in giudizio»).
Orbene, anche prescindendo dalle circostanze documentali (e, perciò, inammissibilmente o irrilevantemente capitolate) ovvero da quelle aventi un controproducente carattere ricognitivo (come l’aver chiesto la voltura contrattuale dell’utenza dopo ben sedici anni dall’acquisto della villa – lamentando, per giunta, che l’impiegato della società somministrante, com’è d’uso, abbia chiesto, in quell’occasione, il saldo degli arretrati – oppure la pretesa constatazione verbale dell’assenza di perdite dell’impianto laddove, proprio il fatto che quest’ultimo risulti non manomesso e privo di difetti di erogazione e registrazione, semmai conferma e non smentisce effettività della somministrazione -), i fatti dedotti a prova testimoniale dall’attore (non la pretesa limitata utilizzazione nel tempo dell’immobile cui si riferisce l’utenza de qua; non la pretesa comparazione con l’adiacente villa in uso alle figlie e dalle rispettive famiglie) non appaiono, né singolarmente né nel loro complesso, idonei a rendere compiutamente ragione dell’inesistenza della causa debendi.
Le spese processuali, tuttavia, stante la natura della causa e il tipo di eccezioni proposte dalle convenute (delle quali, per altro, talune respinte), possono essere compensate per la metà fra le parti e l’attore, che, in quanto soccombente principale, deve, invece, sopportare l’onere della restante metà, liquidata come in dispositivo.
Il Tribunale, definitivamente pronunziando sulle domande proposte da NOME COGNOME con atto di citazione notificato in date 24/30.1.2006, contro RAGIONE_SOCIALE
e convenute costituite, cosi decide:
a) Rigetta le domande di parte attrice;
b) Compensa per la metà fra le parti le spese del presente giudizio e condanna l’attore a rimborsare a ciascuna delle convenute la restante metà, che liquida, d’ufficio, in complessivi € 1.500,00, per competenze difensive, oltre oneri fiscali e previdenziali di legge.
” Con atto di citazione ritualmente notificato, lo ha proposto appello avverso tale decisione, impugnando la sentenza di primo grado con tre motivi di gravame.
preliminarmente l’inammissibilità dell’appello in quanto tardivamente proposto ed ex art. 342 c.p.c., nonché chiesto, nel merito, il rigetto dello stesso.
Si è costituita in giudizio anche la (di seguito ), che ha chiesto il rigetto dell’appello.
All’udienza del 18.9.2019, la Corte ha rinviato la causa per la precisazione delle conclusioni all’udienza del 23.3.2022.
Successivamente la causa è stata rinviata all’udienza dell’1.10.2024, svoltasi a trattazione scritta, ove la Corte, previa assegnazione della stessa al presente giudice in ragione della sua risalente iscrizione a ruolo e dell’eccessivo carico di ruolo dell’originario Consigliere relatore, ha trattenuto la causa in decisione, concedendo i termini di legge per lo scambio di comparse conclusionali e di repliche.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Va preliminarmente rigettata l’eccezione di tardività dell’appello avanzata da n relazione sia al termine breve di trenta giorni previsto dall’art. 325
c.p.c. che a quello lungo, previsto dall’art. 327 c.p.c..
Si osserva, infatti, in relazione al primo termine, che l’appellata non ha fornito la prova dell’avvenuta notifica via pec della sentenza n. 21151/17 in forma idonea a far decorrere i termini dell’appello (ovvero della notifica eseguita per via telematica ai sensi dell’art. 9, commi 1 bis ed 1 ter, della legge 21.1.1994 n. 53, da provarsi mediante deposito cartaceo delle copie, su supporto analogico, del messaggio di posta elettronica, dei suoi allegati e della ricevuta di accettazione e di avvenuta consegna, con attestazione della conformità ai documenti informatici da cui erano state tratte, nel caso in cui fosse stato impossibile procedere al deposito telematico dell’atto notificato), atteso che il difensore della stessa ha prodotto unicamente la copia cartacea della email che aveva inviato in data 3.9.2018 ai difensori dell’avv. a cui aveva allegato la copia esecutiva della sentenza n. 21151/2017, notificata via pec ai predetti difensori, al solo fine di sollecitare i medesimi al pagamento della somma di euro 1.500,00, dovuta alla sua assistita a titolo di spese di lite. Inoltre, in relazione al c.d. termine lungo, previsto dall’art. 327, primo comma, c.p.c., si osserva che il giudizio di primo grado era stato introdotto dall’avv. con citazione notificata in data 25.1.2006, per cui allo stesso non era applicabile la riforma introdotta dalla L. 69/2009, che aveva sostituito il termine semestrale al posto del precedente termine annuale.
tempestiva impugnazione della sentenza pubblicata in data 11.11.2017 doveva essere individuato nella data dell’11.12.2018 (che risulta essere stata pienamente rispettata dallo , che aveva, infatti, provveduto alla notifica della citazione dell’atto di appello in data 20.11.2018).
Va, altresì, rigettata l’eccezione di inammissibilità formulata sempre dalla ex art. 342 c.p.c., atteso che l’atto di appello consente di individuare con sufficiente chiarezza i passaggi motivazionali che l’appellante ha inteso impugnare e la soluzione che il medesimo vorrebbe sostituire a quella adottata dal primo giudice.
Ciò detto, il primo motivo di gravame – con il quale l’appellante si è lamentato della decisione del giudice di primo grado di rigettare l’eccezione di prescrizione da lui formulata per mancata indicazione del dies a quo di ogni singola partita di debito ed alla decorrenza del rispettivo termine, sostenendo che dette indicazioni erano state fornite nell’atto di citazione, ove a p. 17 aveva indicato “le fatture con scadenza 22 gennaio 1991 e 25 agosto 1995” – è infondato.
Con riferimento ai fatti di causa, si ricorda che l’appellante, nell’atto di citazione in primo grado, aveva precisato di:
1) aver ricevuto, in data 20.1.1991, presso la villa denominata “RAGIONE_SOCIALE”, sita nel Comune di Rocca di Papa, INDIRIZZO località INDIRIZZO, da lui acquistata nel 1981, la bolletta n. 1426, con la quale l aveva richiesto alla precedente proprietaria ) il pagamento della somma di lire 2.051.000 a titolo di somministrazione dell’acqua potabile per il periodo compreso tra il mese di ottobre 1989 ed il mese di ottobre 1990 (che egli aveva contestato, ritenendo l’eccessività dei consumi fatturati, con missiva del 21.1.1991); 2) essere venuto a conoscenza, nel 1997, in occasione della volturazione dell’utenza idrica a proprio nome e delle verifiche degli arretrati, del fatto che il suo debito ammontava a lire 6.960.000 in ragione del mancato pagamento non solo della fattura predetta ma anche di quelle con scadenza al giorno 25.8.1995, dell’importo di lire 1.404.000 (relativa a consumi effettuati fino al 17.1.1993);
12.1.1996, dell’importo di lire 924.000 (relativa a consumi effettuati fino al 17.1.1994) e 6.9.1996, dell’importo di lire 2.581.000 (relativa a consumi effettuati fino al 17.1.1995);
3) aver stipulato, in quella occasione, una transazione con l con riferimento alla somma non pagata, raggiungendo un accordo per lire 1.500.000, da pagare in due tranches;
4) aver ricevuto, in data 30.9.2000, la diffida ad adempiere da parte della contenente la richiesta di pagamento dell’importo di lire 6.960.000 per le fatture relative al periodo 1991, 1995 e 1996;
5) aver eccepito l’avvenuta prescrizione del diritto di credito della con riferimento alle fatture con scadenza 22.1.1991 e 25.8.1995 in assenza di atti interruttivi risalenti a periodi precedenti la predetta diffida e capitale ed interessi) in favore della nel frattempo subentrata all , per ottenere la riattivazione dell’utenza dell’acqua potabile, che era stata distaccata da quest’ultima in data 16.12.2002.
Tanto ricordato, con riferimento alla predetta eccezione, si osserva che, sebbene l’atto di citazione contenesse (contrariamente a quanto ritenuto dal giudice di primo grado) l’indicazione del dies a quo del termine prescrizionale, all’epoca quinquennale (ora biennale ex art. 1, comma 295, della L. 160/2019, che ha abrogato l’art. 1, comma 4, della L. 27.12.2017 n. 205), coincidente con il giorno di scadenza del pagamento delle bollette, tuttavia, il credito vantato dall in relazione alla somministrazione di acqua potabile – il cui pagamento era stato richiesto con le bollette scadenti in data 21.1.1991, dell’importo di lire 2.051.000 (relativa ai consumi effettuati fino all’ottobre 1990) e 25.8.1995, dell’importo di lire 1.404.000 (relativa ai consumi effettuati fino al gennaio 1993) – non poteva essere dichiarato prescritto. Ed invero, premesso che le bollette di fornitura integrano, di per sé, un valido atto interruttivo della prescrizione, si osserva che, nel caso di specie, quelle emesse nel 1995, 1997 e 1999, contenevano l’indicazione delle bollette già scadute, emesse con riferimento a fatture del 1991, 1993, 1994, 1995, 1996, e 1997 per somministrazioni di acqua effettuate nei periodi precedenti all’emissione delle stesse, per le quali non risultavano pervenuti i relativi pagamenti (vd doc. 4 e 5 del fascicolo di parte attrice). Pertanto, poiché detto richiamo è interpretabile come un atto di costituzione in mora alla scadenza del termine, idoneo ad integrare un atto interruttivo della prescrizione ai sensi dell’art. 2943, ultimo comma, c.c., atteso che l’atto di costituzione in mora di cui all’art. 1219 c.c. non è soggetto a rigore di forme all’infuori della scrittura e, quindi, non richiede l’uso di formule solenni né l’osservanza di particolari adempimenti essendo sufficiente che il creditore manifesti chiaramente, con qualsiasi scritto diretto al debitore e portato comunque a sua conoscenza, la volontà di ottenere il soddisfacimento del proprio diritto (cfr Cass. 5.4.2016 n. 6549 e 4.5.2006 n. 10270 e ord. del 24.12.2021 n. 41489) e che, in base alle condizioni generali del contratto di fornitura idrica adottate, all’epoca, dall’ (vd doc. 3 del fascicolo di parte attrice), il mancato pagamento delle bollette per un periodo superiore a 15 giorni dalla scadenza ivi indicata, legittimava l’ a sospendere la fornitura ed ad esercitare immediatamente l’azione di recupero dei crediti maturati, ne consegue che la decisione del giudice di primo grado di rigettare l’eccezione Con il secondo e terzo motivo, l’appellante ha censurato la decisione del primo giudice di rigettare le domande restitutorie e risarcitorie da lui avanzate, ritenendo che egli non avesse fornito la prova né dell’infondatezza della pretesa creditoria vantata dalla né della sussistenza di un comportamento illecito posto in essere dalla stessa. In particolare, l’appellante ha affermato che il giudice di primo grado avrebbe dovuto tener conto del fatto che gravava sul gestore provare il corretto funzionamento del contatore;
che i funzionari, nel sopralluogo effettuato nel febbraio del 2002 presso la sua villa, avevano accertato l’assenza di perdite nell’impianto idrico interno dell’immobile e la regolarità delle misurazioni del contatore, che non risultava manomesso;
che il distacco della fornitura dell’acqua nel dicembre del 2002 era illegittimo e finalizzato a costringerlo al pagamento delle fatture e che la sostituzione del contatore, avvenuta in data 2.11.2005, gli aveva impedito di provare l’eventuale difettosità dello stesso e lo aveva costretto a pagare gli interessi di mora e le penalità previste per il mancato pagamento delle fatture.
I motivi sono entrambi infondati.
Con riferimento al secondo motivo, si osserva che lo non aveva fornito alcuna prova del fatto che i pagamenti di lire 774.000 e di lire 741.000, rispettivamente effettuati in data 1.10.1997 e 26.10.1999, fossero stati determinati dalla transazione asseritamente intervenuta, nel 1997, con in relazione alle bollette scadute fino a quel momento.
L’esistenza di un accordo transattivo in ordine al credito maturato dall fino al 1997 (che quest’ultima aveva, peraltro, sempre negato – vd missiva della del 10.6.2002, doc. 11 del fascicolo di parte dello ), oltre a non essere provabile tramite testimoni in ragione del disposto dell’art. 1967 c.c., appare esclusa, nel caso di specie, dalla stessa documentazione prodotta dallo (vd doc. 4 e doc. 5 del suo fascicolo di parte), da cui emerge che il pagamento di lire 774.000 era riferibile ad una bolletta scaduta il 10.10.1997, relativa a consumi effettuati nell’ottobre/novembre dello stesso anno, mentre quello di lire 741.000 era riferibile ad una bolletta scaduta il 4.10.1999, relativa al periodo di consumo compreso tra il 16.10.1996 ed il 20.10.1997 ovvero, in entrambi i casi, a consumi ulteriori, successivi e diversi, rispetto a quelli che sarebbero stati, a dire dell’attuale appellante, oggetto di transazione (cioè i consumi effettuati nel periodo compreso tra il 1991 ed il 1995). Si rileva, inoltre, che dal sopralluogo effettuato, in data 27 febbraio del 2002, dai funzionari della (che, in data 30.11.2001 ed a seguito dell’avvenuta cessione del ramo di azienda, era subentrata alla nei contratti di somministrazione) presso la villa INDIRIZZO Iannotta, in presenza della moglie dello e di una persona di fiducia del medesimo, era emerso che la stessa era dotata di una cisterna di accumulo di acqua interrata di grosse dimensioni e di alcuni cassoni nel sottotetto e che il malfunzionamento dell’impianto predetto, riferito dalle persone presenti, era stato riparato dalla proprietà poco prima dello svolgimento del predetto sopralluogo (circostanza affermata dalla coniuge dello e da tal , persona di fiducia dello – vd missiva della del 21.6.2002, non contestata, doc. 10 del fascicolo di parte dello e doc. 12 del fascicolo di parte missiva con la quale la predetta società aveva anche diffidato quest’ultimo a pagare tutte le bollette scadute, avvisandolo che, in ipotesi di mancato pagamento, avrebbe dato corso ad un azione legale nei suoi confronti finalizzata al recupero di quanto dovuto ed alla sospensione del servizio di fornitura), per cui la regolarità del funzionamento dell’impianto idrico della villa e l’assenza di manomissioni del contatore, accertati dai funzionari delle nel verbale (mai contestato dallo ) redatto al termine del sopralluogo eseguito nel febbraio 2002 in presenza di terzi, determinava l’onere, a carico del medesimo (non assolto, tuttavia, dallo ), di fornire la prova del fatto che l’asserita eccessività dei consumi non fosse dipesa dalla sua volontà e che egli avesse fatto di tutto per evitarla. Si ricorda, infatti, al riguardo che, secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, in tema di somministrazione di energia elettrica, acqua e gas ed in forza del principio di vicinanza della prova, spetta all’utente contestare il malfunzionamento del contatore richiedendone la verifica e dimostrare l’entità dei consumi effettuati nel periodo (avuto riguardo al dato statistico di consumo normalmente rilevato in precedenti bollette e corrispondente agli ordinari impieghi), mentre incombe sul gestore l’onere di provare che lo strumento di misurazione è regolarmente funzionante. In questo caso, l’utente è tenuto a dimostrare che l’eccessività dei consumi è imputabile a terzi e, altresì, che l’impiego abusivo non è stato agevolato da sue condotte negligenti nell’adozione di misure di controllo idonee ad impedire altrui condotte illecite (cfr per tutte Cass. civ. 9.1.2020, n. 297);
più specificatamente, la giurisprudenza di legittimità ha statuito che la rilevazione dei consumi mediante contatore è assistita da una mera presunzione semplice di veridicità, per cui, in caso di contestazione, grava sul somministrante, anche se convenuto in giudizio con azione di accertamento negativo del credito, l’onere di provare che il dell’impianto, ovvero di aver diligentemente vigilato affinché eventuali intrusioni di terzi non potessero alterare il normale funzionamento del misuratore o determinare un incremento dei consumi (cfr Cass. civ. 19.7.2018 n. 19154). Ciò detto, considerato che, ne caso di specie, il credito vantato – dapprima dall e poi dalla nei confronti dello non risultava prescritto;
che quest’ultima aveva dato prova del regolare funzionamento del contatore, mentre lo non aveva fornito quella dell’addebilità dei consumi eccessivi a fattori esterni e non controllabili da esso con la ordinaria diligenza (ciò che determinava la legittimità della mancata restituzione, da parte della di quanto pagato dallo nel 2003 e l’irrilevanza dell’accertamento in ordine all’asserita mancata spontaneità del pagamento);
che quest’ultimo aveva continuato a non pagare l’importo (sempre maggiore) richiesto dalle società fornitrici per i consumi effettuati dal medesimo dal 1991 al 2002, nonostante le varie diffide inoltrate dalle stesse e l’avvenuto rigetto del ricorso ex art. 700 c.p.c., promosso dallo nel luglio del 2002, per impedire il distacco dell’utenza idrica e del conseguente reclamo ex art. 669 terdecies c.p.c. depositato, in data 8.11.2002, per ottenere l’annullamento dell’ordinanza di rigetto (vd doc. 12 e 12 del fascicolo di parte dello ) e che spettava alla ai sensi dell’art. 5 del contratto di somministrazione, il pagamento, oltre che della sorte capitale e degli interessi legali, anche di quelli di mora, della penale e del corrispettivo dovuto per la sospensione e la riattivazione dell’utenza (circostanza non contestata), ne deriva la piena legittimità (anche in ragione di quanto contrattualmente pattuito dalle parti al momento della stipula del contratto di somministrazione e del disposto dell’art. 1565 c.c., stante la gravità dell’inadempimento e l’avvenuto preavviso) del comportamento tenuto dalla nel dicembre del 2002, quando aveva proceduto al distacco dell’utenza ed alla sospensione dell’erogazione dell’acqua potabile. Inoltre, l’assenza di prove, da parte dello , in ordine all’asserita dipendenza della sostituzione del contatore (probabilmente obsoleto) dal mancato pagamento, da parte sua, degli interessi moratori e delle penali (richiesti dalla con la fattura emessa in data 17.4.2003) e dall’asserita volontà di quest’ultima di impedire ulteriori controlli sulla regolarità di funzionamento del contatore, porta a conclusioni analoghe anche con riferimento al comportamento adottato dalla el 2005.
Con riferimento al terzo motivo, va, infine, evidenziato che lo , oltre a non aver provato la sussistenza dei comportamenti illeciti asseritamente posti in essere dalle stesse nel corso degli anni, non ha neanche mai chiarito quali fossero stati i danni da lui subiti a causa del comportamento da esse tenuto (che, infatti, erano stati solo genericamente ed apoditticamente affermati), né provato gli stessi, per cui la decisione del giudice di primo grado di respingere le domande restitutorie e risarcitorie da lui avanzate appare del tutto condivisibile. La sentenza impugnata va, pertanto, integralmente confermata.
Le spese di lite del presente grado di giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo, secondo i parametri dello scaglione di valore compreso tra euro 5.200,01 ed euro 26.000,00 del decreto del Ministero della Giustizia n. 55 del 10.3.2014, aggiornati dal D.M. n. 147/22 (in vigore dal 23.10.22).
Deve, infine, darsi atto che per effetto dell’odierna decisione sussistono i presupposti di cui all’art. 13, comma 1 quater, del DPR 115/2002 (come novellato dall’art. 1 comma 17 L. 24.12.2012 n. 228) per il versamento dell’ulteriore contributo unificato di cui all’art. 13 comma 1 bis DPR 115/2002.
La Corte, definitivamente pronunciando sull’appello proposto da COGNOME COGNOME avverso la sentenza n. 21151/2017 del Tribunale di Roma, pubblicata in data 11.11.2017, ogni contraria istanza, eccezione e deduzione respinta, così decide:
– rigetta l’appello e condanna l’appellante alla rifusione delle spese di lite sostenute dalla e dalla nel presente grado di giudizio, liquidando il compenso professionale in complessivi euro 5.809,00 in favore di ciascuna appellata (oltre al rimborso forfettario delle spese generali pari al 15% del liquidato compenso), con l’IVA ed il CAP come per legge.
Si dà atto che per effetto dell’odierna decisione sussistono i presupposti di cui all’art. 13, comma 1 quater, del DPR 115/2002 (come novellato dall’art. 1 comma 17 L. 24.12.2012 n. 228) per il versamento dell’ulteriore contributo unificato di cui all’art. 13 comma 1 bis DPR 115/2000.
Così decisa in Roma il 21.1.2025 Il Presidente, (dr.ssa NOME COGNOME
La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di
Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.
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