REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
TRIBUNALE ORDINARIO DI ROMA
SEZIONE XVII CIVILE
Il Giudice, in persona del dr., ha pronunciato la seguente
SENTENZA n. 5127/2019 pubblicata il 07/03/2019
nel procedimento civile di II grado iscritto al n. 69005/2015 del Ruolo Generale degli Affari
Civili, posto in deliberazione all’udienza del 12/12/2018 e promosso da:
XXX nato a, (C.F.) YYY nata a, (C.F.)
entrambi residenti in, elettivamente domiciliati in presso lo studio degli Avv.ti che li rappresentano e difendono in virtù di delega in calce dell’atto di appello
APPELLANTI contro
ZZZ S.R.L. con sede in, (C.F.:), elettivamente domiciliata in presso lo studio dell’avv., che la rappresenta e difende come da mandato allegato alla comparsa di risposta
APPELLATA CONCLUSIONI:
per la parte appellante: “Piaccia all’Ill.mo Tribunale adito, contrariis reiectis, in accoglimento della proposta impugnazione, per le ragioni tutte di cui alla narrativa esposta, IN VIA INTERINALE E DI URGENZA: previo accertamento del fumus di fondatezza del presente atto, nonché del grave pregiudizio per gli appellanti per via della rilevanza del credito dedotto in giudizio e del probabile compimento di atti esecutivi in loro danno, disporre con provvedimento da adottarsi inaudita altera parte o, al più tardi, in prima udienza e nel contraddittorio delle parti, la sospensione dell’efficacia esecutiva della Sentenza nr. /2015 del Giudice di Pace di Roma, Sez. II Civile, pubblicata in data 4 aprile 2015.
Nel merito in totale riforma della Sentenza nr. /2015 del Giudice di Pace di Roma, Sez. II Civile, pubblicata in data 4 aprile 2015, accogliere le conclusioni formulate nel giudizio di primo grado (…) In ogni caso con vittoria di spese, competenze ed accessori di legge di entrambi i gradi di giudizio”
per l’appellata: “si conclude per l’inammissibilità dell’appello, alla luce delle nuove disposizioni in materia di “filtro”; in subordine, per il rigetto della richiesta sospensiva, per carenza dei suoi presupposti, trattandosi di condanna a modeste spese processuali, non oggetto di esecuzione e comunque per inesistenza dei “gravi motivi” come richiesti dalla norma.
Nel merito, per il rigetto dell’appello per le motivazioni sopra esposte, con condanna degli attori a spese e competenze di giudizio, con attribuzione al sottoscritto difensore antistatario”
MOTIVI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE
Con atto di citazione notificato in data 27/01/2011 XXX e YYY convenivano in giudizio avanti al giudice di pace di Roma la s.r.l. ZZZ chiedendone la condanna al risarcimento dei danni “da vacanza rovinata”, da liquidarsi in € 2.400,00 o, in subordine, in € 425,00, oltre al risarcimento del danno per lite temeraria, vinte le spese di lite. Gli attori esponevano:
– di aver prenotato in data 13/7/2010 un soggiorno turistico dal 28/08/2010 al 04/09/2010, per sé e per la loro figlia *** di anni 2, presso il Villaggio Turistico ***, gestito dalla s.r.l. ZZZ, versando l’acconto di € 400,00 al momento della prenotazione ed il saldo di € 850,00 contestualmente all’arrivo a destinazione;
– che la mattina del 1° settembre 2010 la minore *** aveva accusato dolori, stato febbrile e vomito, pertanto alle ore 12:30 si erano rivolti alla signora ***, che si qualificava come direttrice del villaggio, per ricevere l’assistenza medica prevista dal contratto e dalla legge, espressamente garantita in loco nelle fasce orarie 11:00-13:00 e 18:00-20:00, ma che era stato loro riferito che il presidio medico sarebbe stato attivo in orario pomeridiano;
– che alle 18:00 era stato loro comunicato che il medico era rimasto vittima di un incidente e, dopo ore di incertezza, in cui le condizioni di salute della minore non erano migliorate, avevano manifestato la volontà di partire anticipatamente e soltanto alle 23:00 era stata data loro la possibilità di incontrare un medico, che, dopo una breve visita, si era limitato ad una sommaria diagnosi verbale, in cui aveva prospettato la possibilità di incubazione di una malattia infettiva, confermando lo stato febbrile;
– di aver deciso, quindi, di ripartire per Roma, dove, recatisi al Pronto soccorso, era stata diagnosticata alla minore *** una faringite e, dopo un’approfondita visita pediatrica, una bronchite acuta con prognosi di giorni sette di cure antibiotiche.
Gli attori ritenevano la convenuta responsabile dei danni subiti a causa della vacanza rovinata e chiedevano la condanna della controparte al risarcimento dei danni morali e patrimoniali, questi ultimi consistenti nella restituzione delle somme pagate a titolo di pernottamento, pari ad € 200,00, e spese mediche, pari ad € 200,00, quantificando il danno non patrimoniale in complessivi € 2.000,00.
La s.r.l. ZZZ, in persona del legale rappresentante pro tempore, costituitasi con comparsa del 5/5/2011, chiedeva il rigetto dell’avversa domanda, vinte le spese di lite.
La convenuta contestava la configurabilità di qualsiasi ipotesi di sua responsabilità contrattuale o aquiliana, deducendo:
– che la mattina del 1° settembre 2010 presso l’ambulatorio sito all’interno dell’Hotel *** era presente il medico destinato al Villaggio, dr. ***, il quale vi era rimasto fino alle ore 13,10, impegnato nelle rituali visite;
– che alle ore 17:50 circa dello stesso giorno ***, dipendente della società ed addetta alla reception, avendo visto YYY seduta su un divanetto della hall con la figlia in braccio, le aveva chiesto se avesse bisogno di qualcosa e, dopo aver appreso, solo in quel momento, che la bimba era affetta da stato febbrile, la aveva rassicurata, consigliandole di farla visitare dal medico, che sarebbe ritornato nell’ambulatorio del villaggio alle ore 18,00;
– che alle ore 17:55 il dott. *** aveva comunicato telefonicamente alla *** che, a seguito di un incidente, stava per essere trasportato al Pronto Soccorso di , per cui non sarebbe arrivato presso la struttura alberghiera, pertanto la ***, in considerazione dell’impedimento del medico del Villaggio, aveva riferito all’attrice che avrebbe chiamato la guardia medica, o, in alternativa, l’avrebbe fatta accompagnare all’Ospedale di *** o avrebbe potuto chiedere l’intervento di un pediatra privato, ma YYY, riservandosi di decidere, era salita in camera per somministrare alla figlia la tachipirina;
– in seguito, avendo appreso che *** era ancora affetta da stato febbrile, la dipendente aveva comunicato ai genitori che il più vicino Ospedale pediatrico era a ***, distante 45 minuti di automobile dal villaggio e che avrebbe provveduto a farli accompagnare da un dipendente della società, ma, in mancanza di decisioni da parte degli attori, la *** aveva chiesto telefonicamente l’intervento di un pediatra di, dott., il quale, trovandosi a ***, aveva comunicato che sarebbe arrivato in albergo verso la mezzanotte;
– che, riferito quanto sopra agli attori, la predetta impiegata era rimasta in attesa delle loro decisioni per poter richiedere o l’intervento della Guardia medica, prontamente reperibile, a cui gli attori si erano opposti, o l’intervento del pediatra, che sarebbe sopraggiunto alle ore 24:00, o ad accompagnare gli attori e la loro figlia all’ospedale di, dove vi è un reparto di pediatria, ma i coniugi non avevano fornito alcuna risposta alle alternative prospettate e, alle ore 23:00, si erano presentati nella hall pronti per partire;
– che la ***, preoccupata soprattutto per lo stato di agitazione di XXX e quindi per i consequenziali rischi di una guida notturna, nonostante il mancato assenso dei genitori, aveva inviato un dipendente a prelevare la guardia medica dell’ASL di, che arrivò dopo poco al Villaggio e visitò la bimba, diagnosticandole una forma influenzale e prescrivendo di proseguire la cura con la tachipirina, oltre che con specifiche medicine contro i sintomi di raffreddamento;
– che, nonostante ciò, gli attori avevano deciso di partire, rinunziando spontaneamente ai due residui giorni di vacanza.
Il giudice di pace, espletata l’istruttoria, fissava per la precisazione delle conclusioni l’udienza del 16/4/2014, al cui esito, sulle conclusioni rassegnate, tratteneva la causa in decisione. Con sentenza n. 16277/2015 il giudice di prime cure rigettava la domanda attorea, regolando le spese processuali, liquidate in complessivi € 1.205,00, distraendole in favore del procuratore antistatario della convenuta, secondo il principio della soccombenza.
Con atto di citazione notificato in data 21/10/2015 XXX e YYY proponevano appello avverso la citata sentenza, reiterando le conclusioni rassegnate in primo grado e censurando la sentenza impugnata nella parte in cui aveva ritenuto non provata la domanda proposta in prime cure, mentre la s.r.l. ZZZ, costituitasi con comparsa del 15/1/2016, eccepiva preliminarmente l’inammissibilità dell’appello ex art. 348-bis c.p.c., ritenendo l’impugnazione priva di una ragionevole probabilità di essere accolta e, nel merito, ne chiedeva il rigetto
Esperiti gli incombenti preliminari, il giudice fissava per la precisazione delle conclusioni l’udienza del 12/12/2018, al cui esito, sulle conclusioni rassegnate, tratteneva la causa in decisione, concedendo alle parti i termini per le memorie conclusive. ***
L’istanza di declaratoria di inammissibilità dell’appello ex art. 348-bis c.p.c. è superata dalla sua mancata adozione all’udienza del 6/10/2016, al cui esito è stata fissata l’udienza di precisazione delle conclusioni, sicché la fondatezza della impugnazione va funditus valutata con la presente sentenza.
Con il primo motivo gli appellanti deducono l’illogicità della motivazione, nonché la falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. per avere il giudice a quo ritenuto non provate le domande attoree, nonostante le testimonianze assunte su istanza degli attori e la inattendibilità dei testimoni indotti dalla controparte.
Con il secondo motivo XXX e YYY deducono l’illogicità della motivazione della sentenza impugnata e la illegittimità della loro condanna alla rifusone delle spese processuali.
Con il terzo motivo gli appellanti denunciano la violazione, da parte del giudice di pace, del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato e la carenza di motivazione, non avendo il giudice di primo grado accolto la domanda risarcitoria attorea, nonostante sia emerso dagli atti che i predetti sono stati costretti alla ripartenza notturna dal villaggio turistico sito in per rientrare a causa della mancata assistenza medica fornita dalla società convenuta.
I motivi, da trattarsi congiuntamente, stante la loro stretta connessione, sono infondati.
Risulta dagli atti che XXX e ***, in data 13/7/2010, sottoscrivevano con la s.r.l. ZZZ un contratto di soggiorno presso il “” sito in,
per sei partecipanti, con sistemazione in due camere matrimoniali con culle dal 29/8/2010 al 4/9/2010, con quota di iscrizione pari a complessivi € 100, € 25 pro capite, oltre al prezzo del soggiorno di € 1.580, versando l’acconto di € 400 con bonifico eseguito il 13/7/2010. È pacifico, inoltre, che gli odierni attori provvidero al pagamento del saldo di € 850 relativo al loro soggiorno contestualmente all’arrivo a destinazione in data 28/8/2010; è parimenti pacifico che gli odierni attori, unitamente alla coppia di amici composta da *** e ***, interruppero anticipatamente il soggiorno presso il villaggio turistico sopra descritto in data 1°/9/2010.
Essendo stato stipulato il contratto su cui si controverte in data 6/4/2009, è applicabile alla fattispecie il D.Lgs. 206/2005 (c.d. codice del consumo), che ha riordinato la normativa in ordine ai servizi turistici ed alle relative responsabilità di cui agli artt. 82-100 per i pacchetti turistici venduti od offerti in vendita nel territorio nazionale.
L’art. 84 del decreto definisce pacchetti turistici quelli che hanno ad oggetto i viaggi, le vacanze ed i circuiti tutto compreso, risultanti dalla prefissata combinazione di almeno due degli elementi di seguito indicati, venduti od offerti in vendita ad un prezzo forfetario, e di durata superiore alle ventiquattro ore ovvero comprendente almeno una notte: a) trasporto;
b) alloggio;
c) servizi turistici non accessori al trasporto o all’alloggio di cui all’articolo 86, lettere i) e o), che costituiscano parte significativa del pacchetto turistico.
In argomento, con motivazione pienamente persuasiva, la Suprema Corte ha tracciato la linea di distinzione tra la vendita di pacchetti turistici e le ipotesi disciplinate dalla Convenzione di Bruxelles del 23/04/1970, resa esecutiva con L. 27 dicembre 2977, n. 1084.
La fattispecie del contratto di viaggio vacanza “tutto compreso”, secondo la Corte “va invero distinta dal contratto di organizzazione (art. 5 e segg.) o di intermediazione (art. 17 e segg.) di viaggio (CCV) di cui alla Conv. Bruxelles del 23/4/1970 (resa esecutiva con L. 27 dicembre 1977, n. 1084), in base al quale un operatore turistico professionale si obbliga verso corrispettivo a procurare uno o più servizi di base (trasporto, albergo, ecc.) per l’effettuazione di un viaggio o di un soggiorno.
Rispetto a quest’ultimo, in cui le prestazioni e i servizi si profilano come separati, e vengono in rilievo diversi tipi di rapporto, prevalendo gli aspetti dell’organizzazione e dell’intermediazione (cfr. Cass., 17/7/2001, n. 9691; Cass., 6/11/1996, n. 9643), con applicazione in particolare della disciplina del trasporto (v. Cass., 6/11/1996, n. 9643; Cass., 26/6/1964, n. 1706) ovvero – in difetto di diretta assunzione da parte dell’organizzatore dell’obbligo di trasporto dei clienti – del mandato senza rappresentanza o dell’appalto di servizi (v. Cass., 23/4/1997, n. 3504; Cass., 6/1/1982, n. 7; Cass., 28/5/1977, n. 2202), ed al di là del diverso ambito di applicazione derivante dai (differenti) limiti territoriali, il contratto di viaggio vacanza “tutto compreso” (o di package) si caratterizza sia sotto il profilo soggettivo che per l’oggetto e la finalità.
Il “pacchetto turistico”, che può essere dall’organizzatore alienato direttamente o tramite un venditore (D.Lgs. n. 111 del 1995, art. 3, comma 2, ora trasfuso nel D.Lgs. n. 206 del 2005, art. 83, comma 2, – Codice del consumo -), risulta infatti dalla prefissata combinazione di almeno due degli elementi costituiti dal trasporto, dall’alloggio e da servizi turistici agli stessi non accessori (itinerario, visite, escursioni con accompagnatori e guide turistiche, ecc.) costituenti parte significativa del “pacchetto turistico”, con durata superiore alle 24 ore ovvero estendentesi per un periodo di tempo comportante almeno una notte (D.Lgs. n. 111 del 1995, art. 2 e segg., ora trasfuso nell’art. 84 del Codice del Consumo).
La pluralità di attività e servizi che compendiano la prestazione valgono, in particolare, a connotare la finalità che la stessa è volta a realizzare.
Il trasporto o il soggiorno o il servizio alberghiero assumono, infatti, al riguardo rilievo non già singolarmente e separatamente considerati, bensì nella loro unitarietà funzionale, non potendo al riguardo prescindersi dalla considerazione dei medesimi alla stregua della “finalità turistica” che la prestazione complessa di cui si sostanziano appunto quali elementi costitutivi è funzionalmente volta a soddisfare.
I plurimi aspetti e profili in cui viene a compendiarsi la complessa prestazione ideata ed organizzata dal cd. tour operator sono, infatti, funzionalizzati al soddisfacimento dei profili – da apprezzarsi in condizioni di normalità avuto riguardo alle circostanze concrete del caso – di relax, svago, ricreativi, ludici, culturali, escursionistici, ecc. in cui si sostanzia la “finalità turistica”, o lo “scopo di piacere” assicurato dalla vacanza, che il turista- consumatore in particolare persegue nell’indursi alla stipulazione del contratto di viaggio vacanza “tutto compreso”. (…) La “finalità turistica” non si sostanzia infatti negli interessi che rimangono nella sfera volitiva interna dell’acquirente il package costituendo l’impulso psichico che lo spingono alla stipulazione del contratto, ma viene ad (anche tacitamente) obiettivarsi in tale tipo di contratto, divenendo interesse che lo stesso è funzionalmente volto a soddisfare, pertanto connotandone la causa concreta (cfr. Cass., 25/5/2007, n. 12235; Cass., 8/5/2006, n. 10490). Causa concreta che, da un canto, vale a qualificare il contratto, determinando l’essenzialità di tutte le attività ed i servizi strumentali alla realizzazione del preminente scopo vacanziero, e cioè il benessere psico-fisico che il pieno godimento della vacanza come occasione di svago e di riposo è volto a realizzare.
Da altro canto, assume rilievo quale criterio di adeguamento del contratto” (Cass. 24/7/2007, n. 16315).
Nella specie, pur non avendo gli attori versato in atti l’opuscolo dell’operatore turistico ZZZ richiamato dal contratto di acquisto del pacchetto turistico, è pacifico che l’obbligazione assunta dall’appellata non era di mera ospitalità alberghiera, ma comprendeva anche gli altri servizi tipici di un soggiorno presso un villaggio turistico, come peraltro si evince dalla voce relativa all’acquisto della quota di iscrizione e del prezzo relativo alla “tessera ***” di € 30 pro capite, tra cui l’assistenza medica mediante un presidio presente presso la struttura ricettiva quotidianamente dalle ore 11:00 alle ore 13:00 e dalle ore 18:00 alle ore 20:00.
Ciò posto, emerge dagli atti e dall’istruttoria orale espletata che l’1/9/2010 ***, figlia minore di anni due degli odierni attori, accusava un forte stato febbrile ed emesi, ma è controverso l’orario in cui di tale circostanza sia stato reso edotto il personale dipendente della convenuta addetto al villaggio ed in particolare ***, che svolgeva le mansioni di accoglienza degli ospiti e direzione della hall, poiché gli attori deducono di aver avvisato la predetta alle ore 12:30, orario compatibile con la prevista presenza in loco del presidio medico, che però, secondo la prospettazione attorea, era assente, mentre la convenuta afferma che ciò è avvenuto alle ore 17:50, orario in cui non era prevista l’assistenza medica presso il villaggio turistico.
Orbene, è condivisibile la decisione del giudice di prime cure, con cui è stata ritenuta non suffragata da idonea prova la prospettazione attorea: ed infatti, a fronte delle dichiarazioni dei testimoni ***, cugina degli appellanti, e ***, amico degli appellanti e compagno di viaggio dei predetti, secondo cui gli attori avrebbero comunicato lo stato di malattia della loro figlia minore a *** alle ore 12:30, la quale li avrebbe informati che il medico sarebbe sopraggiunto soltanto alle ore 18:00, i testimoni ***, dipendente della convenuta, e ***, lavoratore dipendente dell’appellata nell’anno 2010, hanno, al contrario, riferito che lo stato di malattia della minore è stato reso noto al personale della convenuta alle ore 17:50.
A fronte della contraddittorietà delle dichiarazioni rese da un lato dai testimoni indotti dagli appellanti e dall’altro da quelli indotti dalla convenuta, si ritiene più attendibile la versione dei fatti resa dai testimoni indotti dalla società appellata, stante il rapporto di parentela e di amicizia tra la *** ed il *** da un lato e gli odierni attori, mentre il testimone *** risultava indifferente all’epoca in cui ha reso la sua propalazione e risultando inverosimile che gli attori, pur avendo constatato già dalle ore 12:30 il forte stato febbrile della figlia ***, non si siano attivati per un consulto medico, ma abbiano atteso invano l’arrivo del medico addetto al villaggio turistico.
Non è pertanto configurabile l’inadempimento contrattuale della convenuta per non aver fornito assistenza medica nella fascia oraria compresa tra le ore 11:00 e le ore 13:00 del 1°/9/2010; quanto all’ulteriore addebito di inadempimento relativo alla mancata presenza del presidio medico in orario pomeridiano ed in particolare nella fascia oraria tra le ore 18:00 e le ore 20:00, si osserva che dalle testimonianze rese da *** e *** è emerso che il medico addetto al villaggio, dr. ***, si è trovato nell’impossibilità di recarsi presso la struttura alberghiera a causa di un sinistro stradale prontamente comunicato a mezzo telefono e che la *** si è immediatamente attivata, proponendo di chiamare la guardia medica ovvero di accompagnare, tramite un dipendente, gli attori presso il vicino ospedale di o presso il nosocomio di , distante circa 45 minuti di viaggio in automobile.
È comprovato, inoltre, che la minore *** è stata sottoposta a visita medica da parte del dr. *** dell’A.S.P. Regione il 1°/9/2010, come emerge dalla ricevuta di pagamento della visita medica e dall’istruttoria espletata in prime cure.
Non può pertanto ritenersi che l’interruzione anticipata del soggiorno turistico di XXX e di YYY a causa dell’improvvisa patologia che colpì la loro figlia minorenne *** sia imputabile all’inadempimento contrattuale della s.r.l. ZZZ, non essendo a quest’ultima imputabile la mancata attivazione del presidio medico alle 18:00 del 1°/9/2010 presso il “” sito in, dipesa dall’incidente stradale in cui è rimasto coinvolto il medico addetto dr. *** ed essendosi in ogni caso il personale della convenuta attivato per fornire assistenza medica alla predetta minore, procurando la presenza della guardia medica sul posto prima della partenza degli attori.
Ne consegue il rigetto dell’appello e la conferma della sentenza impugnata, che ha correttamente regolato le spese processuali secondo il principio della soccombenza.
Le spese del presente grado, liquidate come in dispositivo e da distrarsi in favore dell’avv., procuratore intestatario della s.r.l. ZZZ, seguono la soccombenza.
Deve darsi atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/2002, dell’obbligo della parte appellante di versare ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello già versato ai sensi dell’art. 13, comma 1-bis D.P.R. n. 115/2002.
P.Q.M.
visto l’art. 352 c.p.c.;
il Tribunale di Roma, definitivamente pronunziando sull’appello proposto con atto di citazione notificato in data 21/10/2015 da XXX e YYY avverso la s.r.l. ZZZ, in persona del legale rappresentante pro tempore, contrariis reiectis:
RIGETTA l’appello e, per l’effetto, conferma la sentenza n. 16277/2015 emessa dal Giudice di Pace di Roma il 2/4/2015;
CONDANNA XXX e YYY al pagamento in favore della s.r.l. ZZZ delle spese processuali, che liquida in € 2.000,00 per compenso professionale, oltre al 15% per spese generali ed agli accessori di legge, da distrarsi in favore dell’avv. , procuratore intestatario dell’appellata.
Visto l’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/2002; si dà atto dell’obbligo della parte appellante di versare ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello già versato ai sensi dell’art. 13, comma 1-bis D.P.R. n. 115/2002.
Così deciso in Roma, li 7/3/2019.
Il Giudice
La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di
Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.
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