REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE DI APPELLO DI ROMA
SEZIONE LAVORO E PREVIDENZA
composta dai Signori Magistrati
all’esito della trattazione orale del 07/07/2022 ha pronunciato la seguente
SENTENZA n. 3070/2022 pubblicata il 03/08/2022
nella causa civile in grado di appello iscritta al n. 2323 del Ruolo Generale Affari Contenziosi del 2021, vertente
TRA
ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE – I.N.P.S., in proprio e per conto della S.C.C.I. s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avv.ti
– APPELLANTE – E
XXX, rappresentato e difeso da sé stesso ai sensi dell’art. 86
c.p.c., ed elettivamente domiciliato presso lo studio dell’avv.to
APPELLATO
Oggetto: appello avverso la sentenza n. 339/2021 del Tribunale di Latina, sez. lavoro, pubblicata in data 11/03/2021.
Conclusioni delle parti: come da rispettivi atti introduttivi del giudizio di appello.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con la sentenza indicata il Tribunale di Latina, in funzione di giudice del lavoro, ha accolto l’opposizione proposta da XXX, avvocato iscritto all’albo forense, avverso l’ avviso di addebito n., notificato il 16/01/2018, e l’avviso di addebito n. , notificato il 21/01/2019, emessi dall’I.N.P.S. a titolo di pretesi omessi contributi alla gestione separata relativi agli anni 2010 e 2011, con sanzioni ed interessi.
A fondamento del ricorso il ricorrente aveva eccepito l’intervenuta prescrizione dei contributi richiesti per decorso del termine di prescrizione quinquennale, nel merito aveva contestato la sussistenza dei presupposti fattuali e normativi per la propria iscrizione di ufficio nella Gestione Separata e aveva altresì eccepito l’illegittimità delle sanzioni applicate.
L’I.N.P.S. nel costituirsi in giudizio aveva ribadito la legittimità dell’iscrizione di ufficio della ricorrente nella Gestione Separata e quindi la correttezza della richiesta di pagamento trasmessa dall’I.N.P.S. e aveva contestato l’eccezione di prescrizione, non ancora decorsa alla data della presentazione della dichiarazione dei redditi.
Il Tribunale di Latina, richiamando il principio della ragione più liquida, ha ritenuto fondata l’eccezione di prescrizione per essere stati notificati gli avvisi di addebito oltre il termine quinquennale di prescrizione, maturato per i contributi anno 2010 a giugno 2016 ( scadenza pagamento contributi 16 giugno 2011) e per i contributi anno 2011 a giugno 2017 (scadenza pagamento contributi 16 giugno 2012), essendo stati notificati gli avvisi di addebito rispettivamente in data 16/01/2018 e 21/01/2019.
Avverso tale decisione ha proposto appello l’INPS, con atto depositato telematicamente in data 22/06/2021, limitatamente all’opposizione riguardante l’avviso di addebito n. deducendo l’erroneità della sentenza impugnata nella parte in cui ha affermato che la pretesa creditoria dell’INPS si è prescritta in ragione della decorrenza del termine quinquennale dalla data in cui andava effettuato il versamento, senza aver considerato che il D.P.C.M. del 12 maggio 2011 aveva previsto un differimento del termine dal 16 giugno al 6 luglio 2011 e il primo atto (avviso bonario) era stato notificato in data 04/07/2016, quindi, anteriormente alla prescrizione quinquennale.
Ha concluso, pertanto, chiedendo la riforma parziale della sentenza impugnata, con il rigetto del ricorso di primo grado relativamente all’avviso di addebito n. con vittoria di spese del doppio grado del giudizio.
Si è costituito in giudizio XXX che, resistendo al gravame, ha eccepito l’inesistenza e/o la nullità insanabile della notificazione dell’atto di appello, con conseguente inammissibilità dell’impugnazione ex adverso proposta, avendo parte appellante notificato il gravame ad un soggetto (ndr, avvocato ***) sfornito tanto della rappresentanza processuale del ricorrente, quanto della qualità di domiciliatario, l’inammissibilità dell’appello ai sensi dell’art. 434 c.p.c. e l’improcedibilità dell’appello ex art. 348 bis c.p.c.; nel merito ha ribadito l’eccezione di prescrizione anche per l’avviso di addebito n con conferma della sentenza impugnata.
Destituita di fondamento è l’eccezione di nullità della notifica dell’atto di appello per essere stato notificato a soggetto sfornito di rappresentanza processuale e della qualità di domiciliatario. Agli atti vi è infatti l’atto di nomina di nuovo difensore con allegate dichiarazioni di intesa tra l’abogado *** e l’avv.to ***, e tra l’abogado *** e l’avv.to ***.
In via preliminare, è infondata l’eccezione, proposta dalla parte appellata, di inammissibilità dell’appello per difetto di specificità dei relativi motivi ex art. 434 c.p.c. Come osservato dalla giurisprudenza di legittimità, “l’art. 434, primo comma, cod. proc. civ., nel testo introdotto dall’art. 54, comma 1, lettera c) bis del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 134, in coerenza con il paradigma generale contestualmente introdotto nell’art. 342 cod. proc. civ., non richiede che le deduzioni della parte appellante assumano una determinata forma o ricalchino la decisione appellata con diverso contenuto, ma impone al ricorrente in appello di individuare in modo chiaro ed esauriente il “quantum appellatum”, circoscrivendo il giudizio di gravame con riferimento agli specifici capi della sentenza impugnata nonché ai passaggi argomentativi che la sorreggono e formulando, sotto il profilo qualitativo, le ragioni di dissenso rispetto al percorso adottato dal primo giudice, sì da esplicitare la idoneità di tali ragioni a determinare le modifiche della decisione censurata” (Cass. Sez. L, Sentenza n. 2143 del 05/02/2015; conformi Cass. Sez. 6 – 2, Ordinanza n. 21336 del 14/09/2017, Cass. Sez. 6 – L, Ordinanza n. 4136 del 12/02/2019). D’altro canto, le Sezioni Unite Civili hanno avuto modo di precisare che “gli artt. 342 e 434 c.p.c., nel testo formulato dal d.l. n. 83 del 2012, conv. con modif. dalla l. n. 134 del 2012, vanno interpretati nel senso che l’impugnazione deve contenere, a pena di inammissibilità, una chiara individuazione delle questioni e dei punti contestati della sentenza impugnata e, con essi, delle relative doglianze, affiancando alla parte volitiva una parte argomentativa che confuti e contrasti le ragioni addotte dal primo giudice, senza che occorra l’utilizzo di particolari forme sacramentali o la redazione di un progetto alternativo di decisione da contrapporre a quella di primo grado, tenuto conto della permanente natura di “revisio prioris instantiae” del giudizio di appello, il quale mantiene la sua diversità rispetto alle impugnazioni a critica vincolata” (Cass. Sez. U, Sentenza n. 27199 del 16/11/2017; conforme Cass. Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 13535 del 30/05/2018). La mera lettura del gravame, puntualmente articolato nelle plurime censure mosse, smentisce inequivocabilmente l’asserita genericità dello stesso, avendo parte appellante svolto una precisa e ben argomentata critica della decisione impugnata, formulando pertinenti ragioni di dissenso in relazione alla operata ricostruzione dei fatti ed alle questioni di diritto trattate (Cass. Sez. 3, Ordinanza n. 20836 del 21/08/2018).
Si osserva altresì che, ai sensi dell’art. 348 bis c.p.c., “l’impugnazione è dichiarata inammissibile dal giudice competente quando non ha una ragionevole probabilità di essere accolta”. Nel caso di specie, non ricorrono le condizioni per affermare la palese infondatezza dell’appello, avendo, da un lato, l’istituto appellante compiutamente indicato ed argomentato le ragioni del gravame e le parti della sentenza impugnata ritenute erronee. Né il gravame appare prima facie infondato nel merito, alla luce dell’oggetto della causa e delle argomentazioni in fatto ed in diritto devolute alla cognizione della Corte, meritevoli di verifica in questa sede.
L’appello è fondato e merita di essere accolto per quanto attiene ai contributi omessi mentre non può trovare accoglimento con riferimento alle sanzioni per le dette omissioni per le ragioni di seguito illustrate.
E’ fondato il motivo di impugnazione: il dies a quo di decorrenza della prescrizione coincide con il termine di scadenza del versamento del saldo dei contributi dell’anno in cui i redditi sono stati percepiti e non dalla data di presentazione della dichiarazione dei redditi ad opera del titolare della posizione assicurativa, in quanto la dichiarazione in questione, quale esternazione di scienza, non costituisce presupposto del credito contributivo. Si richiamano sul punto precedenti conformi di legittimità (Cass. Sez. L, Sentenza n. 27950 del 31/10/2018, Cass. Sez. 6 – L, Ordinanza n. 19403 del 18/07/2019, Cass. Sez. L, Sentenza n. 13463 del 29/05/2017, Cass. sez. lav. Sentenza n. 21472 del 06/10/2020) e di merito, anche della Corte di appello di Roma (sentenza n. 88/2021, sentenza n. 4466/2019, sentenza n. 4516/2019 ed altre). Come rilevato dalle richiamate pronunce, in tema di contributi cd. “a percentuale”, il fatto costitutivo dell’obbligazione contributiva è costituito dall’avvenuta produzione, da parte del lavoratore autonomo, di un determinato reddito ex art. 1, comma 4 della legge n. 233/1990, quand’anche l’efficacia del predetto fatto sia collegata ad un atto amministrativo di ricognizione del suo avveramento con la conseguenza che il momento di decorrenza della prescrizione dei contributi in questione, ai sensi dell’art. 3 della legge n. 335 del 1995, deve identificarsi con la scadenza del termine per il loro pagamento. In proposito vale la regola, fissata dall’art. 18, comma 4, d. lgs. 9 luglio 1997, n. 241, secondo cui “i versamenti a saldo e in acconto dei contributi dovuti agli enti previdenziali da titolari di posizione assicurativa in una delle gestioni amministrate da enti previdenziali sono effettuati entro gli stessi termini previsti per il versamento delle somme dovute in base alla dichiarazione dei redditi”.
Tali termini risultano evidenziati dalle varie circolari I.N.P.S. e dai vari D.P.C.M. succedutisi nel tempo in materia e precisamente: a) 20 giugno 2006 per il saldo 2005 (circolare n. 75 del 23/05/2006; b) 9 luglio 2007 per il saldo 2006 (circolare n. 92 del 12/06/2007); c) 16 giugno 2008 per il saldo 2007 (circolare n. 64 del 05/06/2006); d) 6 luglio 2009 per il saldo 2008 (circolare n. 79 del 05/06/2009); e) 6 luglio 2010 per il saldo 2009 (circolare n. 73 del 14/06/2010 e D.P.C.M. 10/06/2010; f) 16 giugno 2011 slittato al 6 luglio 2011 per il saldo 2010, senza alcun pagamento aggiuntivo, ai sensi dell’art. 1 del D.P.C.M. del 12/05/2011 (circolare n. 84 del 13/06/2011); g) 18 giugno 2012 slittato al 9 luglio 2012 per il saldo 2011 senza alcun pagamento aggiuntivo ai sensi dell’art. 1 del D.P.C.M. del 6/06/2012 (circolare n. 90 del 27/06/2012).
A tali D.P.C.M., secondo l’orientamento consolidato, deve riconoscersi natura regolamentare e quindi di fonte normativa, quando hanno funzione attuativa o integrativa della legge (Cass. n. 73/2014, n. 16586/2010, n. 20898/2007), come nell’ipotesi in esame: il D.P.C.M. 16 giugno 2011 è stato infatti emanato in attuazione della delega di cui al D.Lgs. n. 241 del 1997 art. 12, comma 5.
Nel caso di specie, riguardando la contribuzione oggetto di causa l’anno 2010 e dovendo essere versata entro il 6 luglio 2011, si deve concludere che il termine quinquennale di prescrizione non risultava decorso perché validamente interrotto, dalla notifica da parte dell’I.N.P.S. dell’avviso bonario, primo atto interruttivo, avvenuta in data 04/07/2016 ( avviso del 22 giugno 2016, notificato 04/07/2016, depositato fascicolo primo grado parte resistente)
La gravata sentenza sul punto va quindi riformata, dovendosi di contro affermare la legittimità dell’avviso di addebito n. 357 2017 00031921 83 000, limitatamente agli importi richiesti a titolo di contributi omessi.
In merito alle sanzioni determinate per l’omissione come è noto è intervenuta la sentenza della Corte Costituzionale n. 104/2022, pubblicata il 22 aprile 2022 che, oltre a dichiarare non fondata la questione di legittimità costituzionale della L. 8 agosto 1995, n. 335, art. 2, comma 26, come interpretato dal D.L. n. 98 del 2011, art. 18, comma 12, conv. in L. n. 111 del 2011, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del D.L. 6 luglio 2011, n. 98, art. 18, comma 12, conv. in L. n. 111 del 2011, nella parte in cui non prevede che gli avvocati del libero foro non iscritti alla Cassa di previdenza forense per mancato raggiungimento delle soglie di reddito o di volume di affari di cui alla L. 20 settembre 1980, n. 576, art. 22, siano esonerati dal pagamento, in favore dell’ente previdenziale, delle sanzioni civili per l’omessa iscrizione con riguardo al periodo anteriore alla sua entrata in vigore: ” Nella fattispecie in esame l’affidamento dell’avvocato con reddito (o volume d’affari) “sottosoglia”, prima dell’entrata in vigore della disposizione di interpretazione autentica, avrebbe dovuto essere oggetto di specifica e generalizzata tutela ex lege per adeguare la disposizione interpretativa al canone di ragionevolezza, deducibile dal principio di eguaglianza (art. 3 Cost., comma 1).
Nell’esercizio della legittima funzione di interpretazione autentica, il legislatore era sì libero di scegliere, tra le plausibili varianti di senso della disposizione interpretata, anche quella disattesa dalla giurisprudenza di legittimità dell’epoca; ma avrebbe dovuto farsi carico, al contempo, di tutelare l’affidamento che ormai era maturato in costanza di tale giurisprudenza.
La reductio ad legitimitatem della norma censurata può, quindi, essere operata mediante l’esonero dalle sanzioni civili per la mancata iscrizione alla Gestione separata INPS relativamente al periodo precedente l’entrata in vigore della norma di interpretazione autentica. In tal modo è soddisfatta l’esigenza di tutela dell’affidamento scusabile, ossia con l’esclusione della possibilità per l’ente previdenziale di pretendere dai professionisti interessati, oltre all’adempimento dell’obbligo di iscriversi alla Gestione separata e di versare i relativi contributi, anche il pagamento delle sanzioni civili dovute per l’omessa iscrizione con riguardo al periodo intercorrente tra l’entrata in vigore della norma interpretata e quella della norma interpretativa”.
La Corte di Cassazione sez. Lavoro con la recente ordinanza in data 3 giugno 2022 n. 17970 ha affermato che “Posto che la sentenza della Corte Costituzionale n. 104 del 2022 è una sentenza di accoglimento, nei limiti sopra indicati, discende che, in base all’art. 136 Cost., in combinato con la L. 11 marzo 1953, n. 87, art. 30, il D.L. 6 luglio 2011, n. 98, art. 18, comma 12, cessa di avere efficacia dal giorno successivo alla pubblicazione della decisione, nella parte in cui non prevede che gli avvocati del libero foro non iscritti alla Cassa di previdenza forense per mancato raggiungimento delle soglie di reddito o di volume di affari di cui alla L. 20 settembre 1980, n. 576, art. 22, tenuti all’obbligo di iscrizione alla Gestione separata costituita presso l’INPS, siano esonerati dal pagamento, in favore dell’ente previdenziale, delle sanzioni civili per l’omessa iscrizione con riguardo al periodo anteriore al 6 luglio 2011.
40. La sentenza della Corte Costituzionale cancella la norma incostituzionale dall’ordinamento giuridico, con riferimento a tutti i rapporti non ancora esauriti, per cui nella presente fattispecie ciò determina che la questione prospettata in ordine all’entità delle sanzioni civili, in quanto riferite all’anno 2009 in cui la legge dichiarata incostituzionale non era ancora entrata in vigore, va decisa con la conseguente declaratoria, nel merito, non essendo necessari ulteriori accertamenti, che nulla è dovuto per sanzioni civili in conseguenza del confermato obbligo di iscrizione alla gestione separata da parte del ricorrente.
41. In definitiva, accogliendo, nei sensi di cui sopra, la seconda parte del secondo motivo di ricorso e rigettati gli altri motivi, la sentenza impugnata va cassata in parte qua e, decidendosi nel merito la questione relativa all’applicabilità delle sanzioni civili connesse all’obbligo contributivo accertato, va dichiarato che nulla è dovuto a titolo di sanzioni civili per l’anno 2009.”
Principio applicabile al caso in esame trattandosi di sanzioni civili per l’anno 2010.
In considerazione dell’esito complessivo del giudizio le spese del doppio grado, liquidate come in dispositivo, possono essere compensate per un mezzo e poste per l’altra metà a carico dell’INPS.
P.Q.M.
La Corte, in accoglimento dell’appello e in parziale riforma della gravata sentenza, ferma nel resto, dichiara l’illegittimità dell’avviso di addebito 35720170003192183000 limitatamente alle sanzioni civili. Condanna l’INPS al pagamento delle spese di lite che, compensate per ½, liquida per l’intero per il primo in € 2.200,00 ed in € 1.900,00 per il presente grado di giudizio, oltre, per entrambe, al rimborso delle spese forfettarie nella misura del 15%, Iva e Cpa come per legge.
Roma, 7 luglio 2022
Il Consigliere estensore
Il Presidente
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Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.
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