REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE D’APPELLO DI L’AQUILA
composta dai Signori magistrati:
riunita in Camera di Consiglio ha emesso la seguente
SENTENZA n. 1359/2019 pubblicata il 02/08/2019
nella causa civile in grado d’appello iscritta al n. /2014 R.G., posta in deliberazione all’udienza collegiale del 13.11.2018 e vertente
TRA
XXX
inabilitato, in persona del curatore YYY, rappresentato e difeso dagli Avv.ti ed elettivamente domiciliato presso lo studio del primo in in virtù di mandato a margine dell’atto di appello;
APPELLANTE
E
COMUNE DI ZZZ
in persona del Sindaco p.t., rappresentato e difeso dall’Avv., elettivamente domiciliato presso lo studio del medesimo in, giusta procura speciale rilasciata in calce alla comparsa di costituzione e risposta secondo la delibera della Giunta comunale n.;
APPELLATO
CONCLUSIONI DELLE PARTI
Come da verbale di udienza del 13.11.2018.
OGGETTO: Indebito. Appello proposto avverso la sentenza del Tribunale di Pescara n. /2014 del 06.06.2014, pubblicata in pari data.
RAGIONI IN FATTO E IN DIRITTO DELLA DECISIONE
La Corte di Cassazione, con sentenza depositata in data 06.08.2009, ha definito un giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo intercorso tra il Comune di ZZZ (opponente) e l’ing. KKK per il pagamento di competenze professionali, cassando senza rinvio la pronuncia di appello (confermativa di quella di primo grado) con cui era stata accolta l’opposizione del Comune ed era stata però contestualmente accolta la domanda riconvenzionale formulata dall’opposto per il pagamento di £ 213.914.841 (€ 110.447,80) a titolo di indebito arricchimento del Comune per le prestazioni eseguite dal KKK, e decidendo nel merito la controversia.
Con la citata decisione la Corte di Cassazione ha dichiarato l’inammissibilità della domanda di ingiustificato arricchimento accolta nei giudizi di merito, perché avanzata dall’opposto in via riconvenzionale.
Con ricorso ex art. 702 bis c.p.c. ritualmente notificato, unitamente ai decreti di designazione del Giudice e di fissazione di udienza, il Comune di ZZZ – all’esito del giudizio di Cassazione – ha convenuto in giudizio JJJ e XXX (moglie e figlio del defunto KKK) per ottenere dagli stessi la restituzione della predetta somma, corrisposta a suo tempo in favore del de cuius in esecuzione della sentenza di condanna di primo grado, confermata da quella di secondo grado, annullata però dalla Corte di Cassazione. XXX rimaneva contumace.
JJJ si costituiva eccependo il proprio difetto di legittimazione passiva per avere rinunciato all’eredità e chiedendo in via riconvenzionale la condanna del Comune, ex art. 2041 c.c., a corrisponderle, nei limiti della sua quota ereditaria, l’indennizzo spettante al marito per le prestazioni rese in favore del Comune. La preliminare eccezione veniva accolta e con sentenza del 31.01.2014 la medesima veniva estromessa dal giudizio.
Rimessa la causa in istruttoria veniva disposto l’interrogatorio formale del convenuto contumace, che però non si presentava, senza addurre alcuna giustificazione, all’udienza fissata per tale incombente.
Il Tribunale di Pescara con la sentenza n. /2014 condannava XXX al pagamento in favore del Comune di ZZZ della somma di € 106.662,59 oltre interessi al tasso legale dalla notifica della domanda giudiziale fino al saldo; con condanna altresì al pagamento delle spese di lite liquidate in complessivi € 8.732,32, oltre rimborso spese generali ed accessori di legge.
Nella sentenza il Giudice – accertato l’avvenuto pagamento ad KKK, in data 22.12.1998, da parte del Comune di ZZZ, dell’importo sopra richiamato in esecuzione di una sentenza di condanna, confermata in grado di appello – rilevava che, poichè il titolo in forza del quale il de cuius aveva ricevuto le somme in questione era stato annullato dalla Corte di Cassazione, tale importo doveva essere restituito al Comune. Il Giudice riteneva comprovata la titolarità in capo a XXX della veste di esclusivo chiamato all’eredità (non avendo fornito alcuna allegazione, né tanto meno alcuna prova, della esistenza di altri chiamati all’eredità del padre); riteneva altresì comprovato il possesso dei beni (avendo continuato il XXX figlio ad abitare nella casa paterna dove aveva ricevuto le notifiche dell’atto di citazione e dell’ordinanza ammissiva dell’interrogatorio formale); né, d’altro canto, era stato dal medesimo provato (avendo scelto di non costituirsi in giudizio) di avere eventualmente redatto l’inventario dei beni ereditari. Se era vero che gli eredi – evidenziava il Giudice – rispondono dei debiti del de cuius in relazione al valore della quota nella quale sono chiamati a succedere (art. 754 c.c.), era altrettanto vero che il convenuto per il pagamento di un debito ereditario aveva l’onere di indicare al creditore la sua condizione di coobbligato passivo entro il limite della propria quota, e l’assenza di tale allegazione aveva consentito al creditore di chiedere legittimamente il pagamento per l’intero (Cass. sez. lav. N. 25764/2008). Dunque XXX era tenuto – secondo le conclusioni del Giudice del Tribunale di ZZZ – a restituire al Comune di ZZZ la somma di € 106.662, 59 a titolo di indebito oggettivo (oltre interessi).
Proponeva appello XXX, inabilitato, in persona del curatore YYY, eccependo innanzitutto la nullità della sentenza per mancata notifica dell’atto introduttivo a XXX in persona del curatore, essendo il XXX figlio inabilitato, per accertata invalidità per deficit mentale. Produceva in giudizio la documentazione attestante l’inabilitazione. Nella consapevolezza di non potere la Corte rinviare la causa al primo giudice, formulava la sua costituzione e produceva la documentazione attestante la prestazione professionale svolta dal padre in favore del Comune di ZZZ con riferimento alla quale chiedeva, come già fatto in primo grado dalla madre, JJJ, la condanna del Comune ex art. 2041 c.c. al pagamento dell’indennizzo pro quota derivante dall’arricchimento beneficiato dal Comune per l’attività svolta dal padre. Chiedeva quindi, in caso di conferma della statuizione relativa alla restituzione delle somme versate dal Comune in ottemperanza di una sentenza poi annullata, che fosse statuita la compensazione tra i rispettivi crediti delle parti.
Quanto al credito del Comune derivante dall’esito del giudizio di Cassazione, l’appellante eccepiva di avere accettato l’eredità con il beneficio d’inventario e dunque l’eventuale pronuncia di condanna nei suoi confronti doveva essere limitata intra vires hereditatis. Non solo. Doveva anche essere limitata pro quota tenendo conto della presenza, in qualità di eredi, di quattro fratelli di XXX (nello specifico, YYY, ***, *** e ***).
L’appellante negava che il padre avesse ricevuto dal Comune effettivamente la somma di cui alla sentenza poi riformata, e comunque chiedeva in via riconvenzionale al Comune di ZZZ, sempre entro il limite della quota ereditaria di spettanza e nei limiti dell’inventario, di indennizzarlo ex art. 2041 c.c. per l’arricchimento in danno del compianto padre per avere utilizzato il risultato della sua attività professionale.
L’indennizzo dovuto, precisava l’appellante, era pari ad 1/5 di € 125.334,94 (essendo tale importo corrispondente ad ¼ del compenso liquidato ai quattro professionisti che avevano prestato la loro opera in favore del Comune di ZZZ e del costo del parere dell’Ordine degli Ingegneri). Concludeva come in epigrafe.
Si costituiva il Comune di ZZZ stigmatizzando innanzitutto (soprattutto ai fini delle spese) il comportamento processuale dell’appellante che in primo grado aveva evidentemente e, volutamente, scelto di non costituirsi (i difensori della madre di XXX, JJJ, erano infatti gli stessi dell’attuale appellante e, non segnalando in primo grado l’inabilitazione di XXX, avevano di fatto impedito il rinnovo della notifica dell’atto introduttivo al curatore del XXX). Aderendo alla richiesta di trattazione della causa nel merito ex art. 354 c.p.c., il Comune appellato eccepiva:
a) il finanziamento concesso al Comune per la realizzazione di un Centro, di cui era stato affidato il progetto ad KKK insieme ad altri tre professionisti, era stato poi revocato trattandosi di un progetto ‘irrealizzabile’ (ed infatti l’opera non era stata mai neanche iniziata) posto che il terreno sul quale sarebbe dovuto sorgere il Centro era di proprietà demaniale;
b) la prestazione dei professionisti (con le qualità e competenze tali da potersi accorgere facilmente che il terreno in questione era demaniale e dunque che l’opera sarebbe stata irrealizzabile) era stata assolutamente inconsistente e priva della benchè minima utilità per il Comune di ZZZ;
c) l’azione promossa – di ingiustificato arricchimento – non si presentava sussidiaria ad altra (non individuata);
d) il ‘quantum’ della domanda non poteva, comunque, essere individuato nella parcella vistata dall’Ordine Professionale non trattandosi di corrispettivo per prestazioni professionali, bensì di una somma da liquidarsi in base alle risultanze processuali, se ed in quanto si fosse verificato un vantaggio patrimoniale a favore della P.A. con correlativa perdita patrimoniale della controparte.
Alla luce di ciò il Comune appellato chiedeva anche la restituzione di quanto corrisposto (ma non dovuto) a ***, altro componente dei gruppo dei professionisti, con rivalutazione ed interessi legali. Concludeva come in epigrafe.
Invero, nel caso di controversia promossa nei confronti di persona inabilitata, la mancata citazione anche del curatore comporta nullità del procedimento e della sentenza che lo conclude. Tale nullità, peraltro, ove investa il giudizio di primo grado, e sia fatta valere in sede di gravame ai sensi dell’art. 161 c.p.c., non esime il giudice d’appello dal dovere di pronunciare nel merito, in contraddittorio del curatore, non ricorrendo alcuna delle ipotesi di rimessione della causa al primo giudice (artt. 353 e 354 cod. proc. civ.). Si sono espresse in questi termini anche le Sezioni Unite della Cassazione cercando di uniformare i diversi orientamenti formatisi sulla questione. Nella Sentenza n. 9217/2010 la Suprema Corte a SS.UU. ha precisato che l’art. 164 c.p.c., comma 2, non pone limiti temporali o procedimentali alla possibilità di sanare la nullità della citazione. Sicché deve ritenersi che, in applicazione dell’art. 156 c.p.c., comma 3, e dell’art. 164 c.p.c., comma 3, la stessa interposizione dell’appello da parte del contumace comporti la sanatoria della nullità della citazione. Questa sanatoria tuttavia esclude che sia invalida, vale a dire inammissibile, la domanda, ma non esclude l’invalidità del giudizio svoltosi in violazione del contraddittorio. “Il giudice d’appello – si legge in sentenza – deve pertanto dichiarare la nullità della sentenza e del giudizio di primo grado. Nondimeno la dichiarazione di queste nullità non può comportare la rimessione della causa al giudice di primo grado: sia perché la nullità della citazione non è inclusa tra le tassative ipotesi di regressione del processo previste dagli artt. 353 e 354 c.p.c., non interpretabili analogicamente in quanto norme eccezionali; sia perché sul principio del doppio grado di giurisdizione, privo di garanzia costituzionale, prevale l’esigenza della ragionevole durata del processo. Sicché il giudice d’appello, dichiarata la nullità della sentenza e del giudizio di primo grado, è tenuto a trattare la causa nel merito, rinnovando a norma dell’art. 162 c.p.c. gli atti dichiarati nulli, quando sia possibile e necessario (Cass., sez. 2^, 13 dicembre 2005, n. 27411, m. 586913)”.
Ciò detto, esaminando la costituzione in giudizio di XXX in persona del curatore YYY (costituzione regolare anche con riferimento alla procedura di nomina del curatore), la Corte rileva che:
a) l’indagine deve muovere necessariamente dalla pronuncia della Suprema Corte che ha dichiarato inammissibile la domanda di risarcimento per ingiustificato arricchimento ex art.2041 c.c. formulata dall’opposto, già accolta in primo grado, e poi confermata (seppure per un importo minore rispetto a quello invocato), poiché avanzata dall’opposto in riconvenzionale e come tale, per l’appunto, da ritenersi inammissibile: con tale pronuncia la Suprema Corte ha annullato la sentenza della Corte d’Appello senza rinvio;
b) per tale motivo il Comune di ZZZ ha diritto a vedersi restituire – come correttamente rilevato dal Primo Giudice – le somme versate ad KKK in esecuzione della sentenza di I grado, confermata dalla sentenza di II grado, poi annullata (per la precisione € 106.602,59, oltre interessi al tasso legale ex art. 2033 c.c. dalla domanda al saldo);
c) risulta infatti provato che il de cuius in data 22.12.98 ha ricevuto – indebitamente, all’esito del giudizio di Cassazione – dal Comune di ZZZ, tramite bonifico bancario, il pagamento sul proprio conto corrente bancario della somma di £ 206.527.592 (si veda sul punto la Deliberazione della Giunta Comunale in cui viene richiamato l’atto di liquidazione di spesa n. del 10.11.1998 avente ad oggetto “Liquidazione sorte, capitale, interessi, rivalutazione e competenze legali Ingg.ri ***, KKK, *** e ***. Giusta sentenza Tribunale di ZZZ n.351/98”, e si veda, soprattutto, il mandato di pagamento emesso dal Comune di ZZZ n./98, con sopra il timbro della Banca delegata e con la sottoscrizione, in calce, del tesoriere del Comune);
d) l’esame della produzione documentale di XXX, inabilitato, ha evidenziato che oltre a questi, unico erede accertato, vi sono altri figli di KKK, deceduto in data 18.09.2008, nello specifico, YYY, ***, *** e ***, meri chiamati all’eredità (si veda dichiarazione di successione e dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà, entrambi nel fascicolo di XXX);
e) l’appellante XXX – per quanto interessa in questa sede – in assenza di prova che i fratelli del medesimo, meri chiamati all’eredità, siano da ritenersi ‘eredi’, dovrà necessariamente versare al Comune di ZZZ la somma ricevuta da KKK, per intero, e non pro quota. Nessuna integrazione del contraddittorio può essere disposta dalla Corte stante lo status di chiamati all’eredità di YYY, ***, *** e *** ed in assenza di prova dello status di erede dei medesimi;
f) l’appellante non eccepisce soltanto l’esistenza di altri coeredi; egli sostiene in realtà di avere diritto ad una sorta di compensazione debito-credito, per la sussistenza dei presupposti per l’accoglimento della domanda risarcitoria per ingiustificato arricchimento ex art. 2041, proposta in via riconvenzionale nel giudizio de qua, per avere il Comune utilizzato il risultato dell’attività professionale del padre di XXX, Ing. KKK;
g) sulla questione è necessario premettere che trattandosi di azione di arricchimento avanzata da XXX nei confronti della Pubblica Amministrazione, considerata la natura particolare dei soggetti interessati, tale azione presenta dei caratteri di specialità rispetto alla previsione di carattere generale del codice civile. Come precisato dalla Corte di legittimità in più pronunce, l’azione di indebito arricchimento nei confronti della pubblica amministrazione presuppone, non solo il fatto materiale di un’opera o di una prestazione vantaggiosa per l’amministrazione, ma anche il riconoscimento da parte di quest’ultima, dell’”utilità” dell’opera o della prestazione. Tale riconoscimento può avvenire in modo esplicito, attraverso un atto formale, ma anche in modo implicito attraverso un atto o un comportamento da cui si possa desumere in maniera inequivocabile l’effettuato giudizio positivo, da parte di organi rappresentativi della p.a., circa l’utilità o il vantaggio della prestazione (mentre non può essere desunta dalla mera acquisizione e successiva utilizzazione della prestazione stessa (in questi termini Cass. sentenza n.25156/2008).
Ciò detto, per capire cosa si debba intendere per riconoscimento dell’”utilità” – se cioè si debba fare riferimento, nel caso di specie, all’”utilità” del progetto eseguito dal professionista al fine di ottenere un finanziamento, o se viceversa si debba fare riferimento all’”utilità” del progetto al fine di realizzare poi un’opera (che nel caso di specie non si è realizzata perché il terreno su cui doveva sorgere è stato accertato come ‘demaniale’) – soccorre una pronuncia della Suprema Corte (Cass. Civ. sentenza n. 22313/2011) secondo la quale “In tema d’ indebito arricchimento della P.A., il professionista che abbia eseguito un progetto per un’opera pubblica condizionata alla concessione di un finanziamento da parte di un ente terzo, con accettazione della condizione della rinuncia al compenso in caso di mancato conferimento del finanziamento, in ipotesi di nullità del contratto, non ha diritto all’indennità, ai sensi dell’art. 2041 cod. civ., solo perchè il suo progetto sia stato allegato alla richiesta di finanziamento, in quanto, nel vigore della più rigorosa disciplina normativa introdotta dalla legge n. 64 del 1986 – che ha previsto uno specifico procedimento che l’Amministrazione richiedente deve seguire per ottenere l’approvazione dei progetti delle opere che intende realizzare e per conseguire i necessari finanziamenti – il mero invio del progetto, cui la P.A. non può sottrarsi senza violare l’art. 1357 cod. civ., non costituisce riconoscimento implicito dell’utilità della prestazione professionale eseguita”.
Dunque, secondo la giurisprudenza di legittimità, con riferimento ad un progetto per la realizzazione di un’opera pubblica affidato ad un professionista privato (per cui quest’ultimo abbia rinunciato al compenso in caso di mancata erogazione del finanziamento), non può farsi derivare quel riconoscimento di ‘utilità’ o vantaggio da parte della p.a. (che giustifica l’azione del professionista per indebito arricchimento) dalla mera trasmissione del progetto (con compenso condizionato) all’ente erogatore del finanziamento.
Nel caso di specie si sono verificate le seguenti condizioni:
a) nella deliberazione della Giunta Municipale del 28.04.1987 avente ad oggetto “Conferimento di incarichi a nove gruppi di professionisti per la redazione di altrettante opere pubbliche da inserire nel piano triennale di investimento di cui alla legge 01.03.1986, n.64” (deliberazione nella quale è stato nominato l’Ing. KKK, insieme ad altri tre professionisti, per l’acquisizione e costruzione silos nella proprietà) viene espressamente indicato che “l’affidamento dell’incarico di ogni singola opera verrà effettuata con specifica convenzione professionale che la Giunta è chiamata oggi ad approvare, nella quale si prevede, tra l’altro: – qualora le opere non venissero finanziate, i professionisti incaricati rinunciano sin da ora ad ogni compenso, eccezion fatta per le spese documentate che comunque non potranno forfettariamente superare il 10% dell’intera parcella spettante per la progettazione”. La previsione della rinuncia al compenso in caso di mancata erogazione del finanziamento sminuisce già da sola l’utilità della prestazione professionale commissionata, comunque condizionata alla approvazione e/o comunque alla utilizzazione effettiva della stessa (per la quale è previsto già in anticipo un possibile mancato utilizzo);
b) nel caso di specie vi è stato il mero invio del progetto (più di uno, nello specifico) ma non ha fatto seguito a ciò il finanziamento (o meglio, pur essendo stato questo inizialmente e parzialmente erogato, è stato poi revocato (con recupero di quanto versato) per impossibilità di realizzare l’opera sull’area trattandosi di terreno demaniale (circostanza oggettiva, non rilevata né, nella relazione monografica con relativa planimetria presentata dai professionisti (si veda delibera 13.05.1987), né preliminarmente accertata dagli uffici tecnici del Comune prima del conferimento dell’incarico).
Ora, seppure non vi sia prova della stipula di un contratto tra il Comune di ZZZ ed il gruppo di professionisti di cui faceva parte KKK (contratto da stipularsi sulla base dello schema di convenzione allegato alla deliberazione di cui sopra) è pacifico:
che vi sia stato il conferimento dell’incarico, tra gli altri, ad KKK, secondo il citato schema di convenzione (mai nessuna contestazione in merito alle previsioni di cui allo schema di convenzione nei vari atti e corrispondenze che si sono succeduti nel tempo); che il progetto sia stato realizzato; che esso sia stato presentato per ottenere un finanziamento dal Ministero per gli interventi straordinari nel Mezzogiorno; che tale finanziamento sia stato parzialmente erogato; che, accertata la natura demaniale dell’area su cui dovevano essere realizzate le opere, il finanziamento è stato revocato; che le opere non sono state più realizzate.
Alla luce di quanto rilevato, pur ritenendo ammissibile la attuale domanda di risarcimento per ingiustificato arricchimento (per avere la Suprema Corte deciso nel merito solo la questione della mancata accettazione, da parte del Comune, del contraddittorio sulla domanda avanzata dall’opposto in via riconvenzionale, e per essere ancora percorribile la via risarcitoria in via sussidiaria rispetto alla domanda di pagamento del corrispettivo), la Corte ritiene che non vi siano però i margini per l’accoglimento della domanda riconvenzionale di XXX, né che possa essere accolta la domanda di compensazione dei crediti da questi asseritamente vantati a titolo di indennizzo.
Nulla per le istanze istruttorie formulate dall’appellante, ritenute non rilevanti e comunque non ritualmente proposte in assenza della capitolazione circostanziata delle stesse.
La Corte dunque, preliminarmente dichiarando la nullità della sentenza n. /2014 emessa dal Tribunale di ZZZ e del procedimento di primo grado, ritiene di dover condannare XXX, in persona del Curatore YYY, a restituire al Comune di ZZZ € 106.602,59, oltre interessi al tasso legale ex art. 2033 c.c. dalla domanda (12.07.2012) fino al saldo. Accertato il credito del Comune di ZZZ e l’obbligo di XXX a rispondere in qualità di erede del debito del de cuius per intero, la circostanza della asserita accettazione dell’eredità con beneficio di inventario non può che essere rimessa alla fase esecutiva.
Quanto alle spese di lite relative al secondo grado di giudizio, la Corte ritiene, in virtù del principio della soccombenza sostanziale, che vede XXX tenuto a restituire, in qualità di erede, quanto il de cuius aveva ricevuto dal Comune di ZZZ in virtù di una pronuncia annullata dalla Cassazione, che esse debbano essere poste a carico dell’appellante.
Nulla per le spese relative al primo grado di giudizio essendo stata dichiarata la nullità della sentenza di primo grado ed il relativo procedimento.
P.Q.M.
la Corte, definitivamente decidendo la causa in epigrafe descritta:
1) dichiara nulla la sentenza n. /2014 emessa dal Tribunale di ZZZ ed il relativo procedimento di primo grado;
2) in accoglimento della domanda del Comune di ZZZ, condanna XXX, in persona del curatore YYY, a restituire al Comune di ZZZ € 106.602,59, oltre interessi al tasso legale ex art. 2033 c.c. dalla domanda (12.07.2012) fino al saldo;
3) rigetta la domanda riconvenzionale di XXX;
4) condanna XXX al pagamento in favore del Comune di ZZZ delle spese di lite relative al secondo grado di giudizio che liquida in € 13.635,00, oltre rimborso spese generali, IVA e CPA.
Cosi deciso in L’Aquila il 09 luglio 2019
Il Cons. Est.
Il Presidente
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