REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
CORTE D’APPELLO DI GENOVA SEZIONE LAVORO composta da:
NOME COGNOME PRESIDENTE NOME COGNOME CONSIGLIERA NOME COGNOME CONSIGLIERA REL.
all’udienza in data 14 novembre 2024 ha pronunciato la seguente
SENTENZA N._283_2024_- N._R.G._00000045_2024 DEL_16_11_2024 PUBBLICATA_IL_18_11_2024
nella causa di lavoro iscritta al n. R.G. 45 /2024 promossa da:
(C.F. ), assistita e difesa dagli Avv.ti NOME COGNOME ) e NOME COGNOME appellante (C.F. ), assistita e difesa dagli Avv.ti NOME COGNOME ) e NOME COGNOME appellato
OGGETTO:
Licenziamento individuale per giustificato motivo oggettivo
CONCLUSIONI
per l’appellante:
come da verbale di udienza di discussione.
per l’appellato:
come da verbale di udienza di discussione.
RAGIONI DI FATTO
E DI DIRITTO DELLA DECISIONE C.F. C.F. C.F. C.F. C.F. sentenza n. 704/2023 pubblicata in data 09/01/2024
il Tribunale di Genova ha accolto il ricorso depositato in data 11.4.2023 da , accertando l’illegittimità del licenziamento per giustificato motivo oggettivo irrogatole da con conseguente dichiarazione di estinzione del rapporto di lavoro intercorso tra la suddetta e alla data del licenziamento (19.1.2022) e condanna della datrice di lavoro al pagamento in favore della ricorrente di una indennità non assoggettata a contribuzione previdenziale determinata ex art. 3, 1 co. e 9 D.lgs. 23/2015 nell’importo pari a 6 mensilità dell’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del TFR, e quindi complessivamente di € 11.133,36, oltre interessi e rivalutazione dalla decisione al saldo effettivo. Il Tribunale ha altresì condannato l pagamento in favore della della somma complessiva di € 9.352,56 a titolo di risarcimento del danno, ritenendo illegittima la messa in CIG della sola senza alcuna rotazione con gli altri lavoratori, nonché a titolo di differenze retributive per il lavoro prestato e non retribuito dal 1.1.2022 al 19.1.2022, ossia dalla scadenza della CIG al licenziamento.
Le spese di lite sono state poste a carico di Con ricorso depositato in data 14/02/2024 propone appello lamentando che il Tribunale:
1) non ha accolto le istanze istruttorie formulate dalla datrice di lavoro, impedendo in particolare l’interrogatorio delle “dipendenti della , salvo poi ritenere non assolto l’onere probatorio sulla stessa gravante;
2) ha omesso di considerare la documentazione attestante la cessazione del rapporto di lavoro di altre dipendenti, comportate una consistente riduzione di organico periodo dal marzo 2021 al gennaio 2023;
3) in merito al quantum, non ha tenuto conto dell’espressa contestazione dei conteggi prodotti dalla controparte.
resiste.
All’odierna udienza, dato atto dell’indisponibilità dell’appellante a valutare proposte conciliative, la causa è stata discussa e decisa come da separato dispositivo.
L’appello è infondato.
I primi due motivi di appello vanno esaminati congiuntamente, attenendo alla prova delle ragioni giustificative del licenziamento, che l’appellante sostiene di aver documentalmente provato, lamentando in ogni caso la mancata ammissione della dedotta prova per testi.
La datrice di lavoro ha prodotto in giudizio i LUL relativi agli anni 2020/2021/2022 ed i bilanci relativi ai medesimi anni.
Ha chiesto di provare per testi il calo di lavoro nell’autunno del 2021 a causa delle limitazioni pandemiche, calo dedotto in termini generici (cfr. capitolo 16 della memoria di primo grado);
ha altresì allegato una serie di circostanze riguardanti il personale dipendente (assunzioni / dimissioni / orari di lavoro ecc.) che devono necessariamente emergere dal LUL.
Deve pertanto condividersi la decisione del Tribunale di non dare corso all’escussione dei testimoni indicati dalla datrice di lavoro;
testimoni che peraltro, in sede di appello, indica essere “dipendenti della , e dunque di società diversa, essendo evidentemente irrilevante la circostanza che sia socia ed amministratrice di entrambe le società.
’appellante ha motivato il licenziamento senza preavviso – comunicato alla lavoratrice in data 19.1.2022 – adducendo “una riorganizzazione aziendale dovuta ad un forte calo dell’attività lavorativa” che avrebbe costretto la datrice di lavoro “ad effettuare una riduzione del personale e ad interrompere il suo rapporto di lavoro”.
E’ pacifico in causa che, all’epoca della assunzione della ricorrente, lavoravano presso il centro estetico della società appellante e NOME COGNOME in qualità di segretarie, quale impiegata, in qualità di estetiste, nonché i soci , medico estetico, e chirurgo plastico.
Parte appellante lamenta la mancata considerazione da parte del Tribunale dell’impatto che la pandemia ha avuto sull’attività dei centri estetici ma è la stessa società a riferire che nel maggio 2021 “il flusso della clientela è buono attesa la richiesta di mercato per i trattamenti personali”;
emerge dagli atti, e non è contestato, che la ricorrente è stata assunta in pieno periodo pandemico, prima a tempo determinato (dal 2 al 30 settembre 2020) e dall’1.10.2020 a tempo indeterminato, aumentandole nel tempo l’orario di lavoro (il part time è passato da 24 a 36 ore settimanali nel marzo 2021).
Inoltre nel marzo 2021 è stata assunta quale ulteriore estetista il cui contratto a termine, scadente il 28.2.2022, è stato trasformato a tempo indeterminato dall’1.3.2022 (ossia dopo il licenziamento della Come detto, l’appellante sostiene che la situazione pandemica avrebbe determinato un calo di lavoro piuttosto nell’autunno 2021, ma dal LUL relativo al suddetto anno emerge che le colleghe di lavoro della nel 1.8.2021/31.12.2021 hanno lavorato senza soluzione di continuità.
in forza quale apprendista estetista, è inoltre stata qualificata e dunque mantenuta in servizio nel novembre 2021.
Premesso che il bilancio del 2022 è parziale e non ufficiale, dai bilanci del 2020/2021 emerge una situazione economica e patrimoniale in miglioramento (essendosi passati dalla perdita registrata nel 2020 ad un utile di esercizio nel 2021;
il fatturato è passato da € 346.631.00 del 2020 ad € 378.137,00 nel 2021.
è stata l’unica lavoratrice che, dopo essersi assentata dal lavoro per malattia dal 21.3.2021 all’1.8.2021, è stata stata messa in ferie dal 2 al 13 agosto, e di seguito collocata ininterrottamente in CIG, nonostante le fosse stata prospettata una rotazione con le colleghe (comportamento ritenuto illegittimo dal Tribunale, con decisione non impugnata e sulla quale si è determinato il giudicato implicito);
il che, secondo la sarebbe indizio della pretestuosità del licenziamento, che tuttavia viene impugnato solamente per la lamentata illegittimità.
A fronte di siffatto quadro istruttorio, non può considerarsi significativo il fatto che dal dicembre 2021 sarebbe stato eliminato il compenso dell’amministratrice e dal gennaio 2022 quello della di lei madre, (socia e dipendente di ma rispetto alla quale la allega l’esistenza di un contratto di lavoro simulato, al solo fine di creare una posizione contributiva).
Né può considerarsi d’ausilio per la datrice di lavoro il fatto che ad un anno di distanza dal licenziamento per cui è causa sia stata licenziata la dipendente NOME COGNOME o che si siano dimesse dal lavoro (in epoca non precisata, ma in costanza di divieto di licenziamento) e il 30 marzo 2021.
Per quanto sopra esposto la valutazione del giudice di prime cure in merito all’insussistenza del giustificato motivo oggettivo addotto a fondamento del licenziamento deve ritenersi corretta e condivisibile.
Del pari condivisibile è la valutazione di genericità della contestazione dei conteggi analitici prodotti dalla lavoratrice, che pertanto sono stati posti alla base della pronuncia di condanna.
Secondo costante e condivisibile giurisprudenza della Suprema Corte, nel processo del lavoro l’onere di contestare specificamente i conteggi, e quindi il quantum dell’avversa pretesa, sussiste anche quando il resistente contesti in radice la sussistenza del credito, in quanto la negazione della pretesa creditoria non implica necessariamente l’affermazione dell’erroneità della relativa quantificazione;
per contro, la contestazione dell’esattezza del calcolo ha una sua funzione autonoma, dovendosi escludere una generale incompatibilità tra la contestazione dell’an e del quantum debeatur;
pertanto la parte non è esonerata dalla puntuale contestazione dei conteggi, i quali, in assenza di tale censura, si consolidano nell’importo formulato (cfr. ex multis Cass. Civ. Sez. Lav. , n. 10116/2015);
L’appello viene pertanto respinto.
Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo.
Al rigetto dell’appello consegue, ex lege (art. 1, commi 17-18, L. 228/2012), la dichiarazione che sussistono le condizioni processuali per l’ulteriore pagamento, a carico dell’appellante, di un importo pari a quello del contributo unificato dovuto per l’impugnazione.
l’art. 437 c.p.c., respinge l’appello;
condanna l’appellante a rimborsare all’appellata le spese del presente grado, liquidate in euro 3.000,00 oltre rimborso forfettario, Iva e Cpa;
dichiara la sussistenza delle condizioni processuali per l’ulteriore pagamento, a carico dell’appellante, di un importo pari a quello del contributo unificato dovuto per l’impugnazione.
Così deciso all’udienza del 14/11/2024
La Consigliera est. Il Presidente NOME COGNOME NOME COGNOME
La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di
Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.
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