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Codice Penale

Corte d’Appello conferma: niente doppio TFR

La sentenza chiarisce che l’imputazione del pagamento da parte del datore di lavoro, effettuata tramite busta paga, è vincolante e non può essere modificata successivamente. Pertanto, il lavoratore non può richiedere al Fondo di Garanzia il pagamento di somme già corrisposte dal datore a titolo di TFR, anche se a titolo diverso.

Pubblicato il 24 November 2024 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE D’APPELLO DI GENOVA SEZIONE LAVORO Composta da:

NOME COGNOME PRESIDENTE Rel.

NOME COGNOME CONSIGLIERA NOME COGNOME CONSIGLIERE ha pronunciato la seguente

S E N T E N Z A N._264_2024_- N._R.G._00000028_2024 DEL_02_11_2024 PUBBLICATA_IL_04_11_2024

nella causa iscritta al n. 28/2024 R.G.L. promossa da:

c.f. rappresentato e difeso dall’avv. NOME COGNOME per procura allegata al ricorso in appello APPELLANTE CONTRO c.f. persona del Presidente pro tempore, rappresentato e difeso dagli avv.ti NOME COGNOME, NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME per procura generale alle liti del 22.3.2024, a rogito notaio di Fiumicino APPELLATO Oggetto: Altre controversie in materia di assistenza C.F.

CONCLUSIONI

Per l’appellante:

come da note depositate il 9.10.2024 Per l’appellato:

come da note depositate il 10.10.2024

FATTI DI CAUSA

ha chiamato in giudizio l’ davanti al Tribunale di Genova esponendo, per quanto ancora qui interessa, che con sentenza n. 369/2020 lo stesso Tribunale aveva condannato la suo ex-datore di lavoro, al pagamento in suo favore di euro 5.696,75 a titolo di TFR e di euro 518,61 per differenze sul TFR;

che la era stata dichiarata fallita dal Tribunale di Genova con sentenza n. 21/2022, ed egli era stato ammesso al passivo fallimentare per euro 6.215,36 a titolo di TFR;

che aveva chiesto l’intervento del Fondo di Garanzia e che l’Istituto gli aveva liquidato solo euro 549,85;

ha chiesto, pertanto, la condanna dell’ pagamento di euro 6.215,36 a titolo di TFR.

Costituendosi in giudizio, l ha contestato il fondamento della domanda, chiedendone il rigetto.

Con sentenza n. 1027/2023, pubblicata il 18.12.2023, il Tribunale ha respinto la domanda.

Propone appello il sig. resiste l’ La causa è stata discussa mediante deposito di note di trattazione scritta ai sensi dell’art. 127 ter c.p.c. e decisa nella camera di consiglio del 15.10.2024.

RAGIONI DELLA DECISIONE Tribunale ha respinto la domanda sulla base delle seguenti considerazioni:

– “la definitività dello stato passivo, che consacra il credito del lavoratore, impedisce all’ di opporre eccezioni derivanti da ragioni interne al rapporto di lavoro che mirino a contestare esistenza ed entità dei crediti in ragione del concreto atteggiarsi delle situazioni giuridiche soggettive del lavoratore e del datore di lavoro” (Cass. 19277/2018), ma non preclude all’ di contestare i presupposti d’intervento del Fondo e gli elementi costitutivi della propria obbligazione previdenziale, autonoma rispetto a quella del datore di lavoro; – il datore di lavoro non può essere ritenuto insolvente per l’intero importo preteso dal ricorrente a titolo di TFR, avendo lo stesso già versato, nel corso del giudizio definito con la sentenza n. 369/2020, complessivi euro 5.696,75 a tale titolo (si legge nella sentenza che “sin dalla prima udienza il legale rappresentante ha dichiarato la propria intenzione di pagare al ricorrente le somme dovute a titolo di TFR.

Nelle more del giudizio è circostanza pacifica che abbia corrisposto al le somme indicate nella busta paga emessa in data 8.3.2019 e relativa alle competenze di fine rapporto;

– in base all’art. 1193 c.c., quindi, il debitore ha dichiarato, al momento del pagamento, quale debito intendeva soddisfare;

il ricorrente fa leva sul fatto che, nonostante dichiarazione, in quel giudizio egli aveva dichiarato di accettare le somme e di imputarle “secondo i criteri civilistici”, ossia ai debiti scaduti in data anteriore alla fine del rapporto di lavoro;

– nel rapporto di lavoro, l’imputazione del pagamento da parte del datore costituisce non una facoltà bensì l’adempimento di un preciso obbligo di legge, essendo questi tenuto alla consegna delle buste paga previste dalla L. 4/1953, che hanno la funzione di consentire al lavoratore di controllare la corrispondenza fra quanto a vario titolo dovutogli quanto effettivamente corrispostogli (Cass. 11632/2018);

– pertanto, l’ non è tenuto al versamento di quanto preteso dal ricorrente a titolo di TFR.

Con il primo motivo di appello il sig. lamenta che il primo Giudice non abbia tenuto conto dell’insegnamento della S.C. che afferma che nel caso in cui vi è imputazione del pagamento da parte del debitore ma il creditore la contesta, esistendo crediti di altra natura, “è onere del creditore, che pretende di imputare il pagamento ad estinzione di altro credito, dimostrare sia l’esistenza di più debiti del convenuto scaduti, sia la sussistenza dei presupposti per l’applicazione di uno dei criteri sussidiari di imputazione stabiliti dall’art. 1193 c.c.” (Cass. 450/2020); esistendo diversi crediti del lavoratore maturati durante il rapporto di lavoro (permessi non goduti e differenze retributive) e, quindi, più antichi rispetto al TFR, che matura con la cessazione del rapporto, e trattandosi di poste meno garantite rispetto al TFR che gode della tutela assicurata dal Fondo di Garanzia , il pagamento effettuato dal debitore doveva essere imputato secondo i criteri sussidiari di cui all’art. 1193 c.c., a tutela del creditore, con conseguente riconoscimento a favore dell’appellante della somma di euro 5.696,75 ancora dovuta a titolo di TFR. Il motivo è infondato.

L’appellante non si confronta con la ratio decidendi della sentenza impugnata, che si incentra sulla specialità del rapporto di lavoro subordinato rispetto a tutti gli altri rapporti contrattuali civilistici e sull’esistenza di una normativa speciale, la L. 4/1953, che obbliga il datore di lavoro ad imputare dettagliatamente ogni pagamento che esegue, mediante l’emissione e la consegna al lavoratore della busta paga.

Come puntualmente ricordato dal Tribunale, infatti, “l’imputazione di pagamento che, secondo la norma generale dell’art. 1193 c.c. comma 1, costituisce una facoltà del debitore, al mancato esercizio della quale sopperiscono i criteri legali dettati dal comma 2 dello stesso articolo, si pone nel rapporto di lavoro subordinato come un obbligo del datore di lavoro, essendo questi tenuto alla consegna delle buste-paga previste dalla L. n. 4 del 1953.

La previsione dell’imputazione predetta, che ha la funzione di consentire al lavoratore di controllare la corrispondenza fra quanto a vario titolo dovutogli e quanto effettivamente corrispostogli, non vale, tuttavia, a snaturare ’imputazione stessa, quanto quest’ultima, fatta facoltativamente o in esecuzione di un obbligo, presuppone pur sempre l’esistenza del debito e non può sostituirsi ad un valido titolo costitutivo del medesimo” (Cass. 11632/2018; in senso conforme Cass. 22872/2010 e altre più risalenti).

Nella fattispecie, è pacifico che la somma pagata dalla pari ad euro 5.696,75, è stata specificatamente indicata dal datore come saldo del TFR e corrisponde a quella portata nella busta paga relativa alle competenze di fine rapporto:

nella sentenza n. 369/2020 (doc. 2 appellante) il Giudice dà atto che tale busta paga era stata emessa in data 8.3.2019, ossia in epoca anteriore alla radicazione di quel giudizio, introdotto nel luglio 2019, e depositata in atti all’udienza dell’8.11.2019, essendo peraltro irrilevanti – ai fini dell’imputazione del pagamento – sia la data di emissione sia la data di consegna della busta paga.

Tale imputazione è incontestabile:

il lavoratore ha già percepito il TFR dal datore di lavoro e non può chiedere un secondo pagamento dello stesso credito al Fondo di Garanzia Con il secondo motivo l’appellante lamenta che il primo Giudice lo abbia condannato integralmente alle spese di lite, in quanto soccombente, senza tenere conto della tipologia di causa, della novità della stessa, e della controversa giurisprudenza sul punto;

denuncia, inoltre, che l’importo liquidato (1.800,00 euro) sarebbe superiore ai limiti minimi, in quanto il valore tabellare minimo per lo scaglione fino a 26.000 euro è 1.865,00 euro ma va ridotto del 50% vertendosi in materia previdenziale.

motivo è infondato.

La questione oggetto della controversia non è affatto nuova e la giurisprudenza della Sezione Lavoro della S.C. è costante sul punto (l’appellante ha fatto riferimento alla giurisprudenza sull’imputazione di pagamento nei rapporti contrattuali civilistici, non pertinente data la specialità di disciplina del rapporto di lavoro subordinato);

il primo Giudice ha liquidato le spese in un importo (1.800,00 euro) inferiore al minimo tabellare (1.865,00 euro) previsto per le controversie previdenziali di primo grado di valore fino a 26.000,00 euro, e nessuna norma ne prevede la riduzione del 50%.

L’appello deve pertanto essere respinto;

le spese del presente grado seguono la soccombenza, liquidate come in dispositivo.

Al rigetto dell’appello consegue, ex lege (art. 1, commi 17-18, L. 228/2012), la dichiarazione che sussistono le condizioni processuali per l’ulteriore pagamento, a carico dell’appellante, di un importo pari a quello del contributo unificato dovuto per l’impugnazione.

Visti gli artt. 127 ter e 437 c.p.c., respinge l’appello;

condanna l’appellante a rimborsare all’appellato le spese del presente grado, liquidate in euro 1.984,00 oltre rimborso forfettario, Iva e Cpa;

dichiara la sussistenza delle condizioni processuali per l’ulteriore pagamento, a carico dell’appellante, di un importo pari a quello del contributo unificato dovuto per l’impugnazione

Così deciso nella camera di consiglio del 15.10.2024

IL PRESIDENTE est.

NOME COGNOME

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