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Costituzione del fondo patrimoniale, azione revocatoria

La costituzione del fondo patrimoniale può essere dichiarata inefficace nei confronti dei creditori a mezzo di azione revocatoria ex. 170 c. c. ), restando più incerta o difficile la soddisfazione del credito, conseguentemente riducendo la garanzia generale spettante ai creditori sul patrimonio dei costituenti in violazione dell’art.

Pubblicato il 22 February 2007 in Diritto Civile, Giurisprudenza Civile

La costituzione del fondo patrimoniale può essere dichiarata inefficace nei confronti dei creditori a mezzo di azione revocatoria ex. art. 2901 c.c., mezzo di tutela del creditore rispetto agli atti del debitore di disposizione del proprio patrimonio, senza alcun discrimine circa lo scopo ulteriore da quest’ultimo avuto di mira nel compimento dell’atto dispositivo (a tale stregua considerandosi soggetti all’azione revocatoria anche gli atti aventi un profondo valore etico e morale, come ad esempio il trasferimento della proprietà di un bene effettuato a seguito della separazione personale per adempiere al proprio obbligo di mantenimento nei confronti dei figli e del coniuge, in favore di quest’ultimo).

La costituzione del fondo patrimoniale prevista dall’art. 167 c.c., che va compresa tra le convenzioni matrimoniali, comporta invero, in presenza di figli minori, un limite di disponibilità di determinati beni, vincolati a soddisfare i bisogni della famiglia.

A tale stregua essa limita l’aggredibilità dei beni conferiti solamente alla ricorrenza di determinate condizioni (art. 170 c.c.), restando più incerta o difficile la soddisfazione del credito, conseguentemente riducendo la garanzia generale spettante ai creditori sul patrimonio dei costituenti in violazione dell’art. 2740 c.c., che impone al debitore di rispondere con tutti i suoi beni dell’adempimento delle obbligazioni, a prescindere dalla relativa fonte.

E quindi anche se le stesse derivino dalla legge (come ad esempio in tema di mantenimento del coniuge e dei figli minori).

Le condizioni per l’esercizio dell’azione revocatoria ordinaria consistono nell’esistenza di un valido rapporto di credito tra il creditore che agisce in revocatoria e il debitore disponente; nell’effettività del danno, inteso come lesione della garanzia patrimoniale a seguito del compimento da parte del debitore dell’atto traslativo; nella ricorrenza, in capo al debitore, ed eventualmente in capo al terzo, della consapevolezza che, che l’atto di disposizione, venga a diminuire la consistenza delle garanzie spettanti ai creditori.

L’actio pauliana ha la funzione non solo di ricostituire la garanzia generica assicurata al creditore dal patrimonio del suo debitore, al fine di permettergli il soddisfacimento coattivo del suo credito (sicché la relativa sentenza ha efficacia retroattiva, in quanto l’atto dispositivo è viziato sin dall’origine), ma anche di assicurare uno stato di maggiore fruttuosità e speditezza dell’azione esecutiva diretta a far valere la detta garanzia. In presenza di atto a titolo gratuito, qual è la costituzione di fondo patrimoniale, stante l’assenza di una corrispondente attribuzione in favore dei disponenti, anche quando è posta in essere dagli stessi coniugi, non potendo considerarsi essa integrare invero l’adempimento di un dovere giuridico atteso che non è obbligatoria per legge, ai fini dell’esperimento della revocatoria ordinaria sono necessarie e sufficienti le condizioni di cui al n. 1 dell’art. 2901 c.c. .

Nell’ambito della nozione lata di credito quivi accolta, non limitata in termini di certezza, liquidità ed esigibilità bensì estesa fino a comprendere le legittime ragioni o aspettative di credito coerentemente con la funzione propria dell’azione (la quale non persegue scopi specificamente restitutori, bensì mira a conservare la garanzia generica sul patrimonio del debitore in favore di tutti i creditori, inclusi quelli meramente eventuali, è certamente da considerarsi ricompresa la fideiussione).

Avendo l’azione revocatoria ordinaria la funzione di ricostituzione della garanzia generica assicurata al creditore dal patrimonio del suo debitore, e non anche della garanzia specifica, ne consegue che deve ritenersi sussistente l’interesse del creditore, da valutarsi ex ante, e non con riguardo al momento dell’effettiva realizzazione, a far dichiarare inefficace un atto che rende maggiormente difficile e incerta l’esazione del suo credito, sicché per l’integrazione del profilo oggettivo dell’eventus damni non è necessario che l’atto di disposizione del debitore abbia reso impossibile la soddisfazione del credito, determinando la perdita della garanzia patrimoniale del creditore, ma è sufficiente che abbia determinato o aggravato il pericolo dell’incapienza dei beni del debitore, e cioè il pericolo dell’insufficienza del patrimonio a garantire il credito del revocante ovvero la maggiore difficoltà od incertezza nell’esazione coattiva del credito medesimo.

Ad integrare il pregiudizio alle ragioni del creditore (eventus damni) è a tale stregua sufficiente una variazione sia quantitativa che meramente qualitativa del patrimonio del debitore, e pertanto pure la mera trasformazione di un bene in un altro meno agevolmente aggredibile in sede esecutiva, com’è tipico del danaro, in tal caso determinandosi il pericolo di danno costituito dalla eventuale infruttuosità di una futura azione esecutiva.

Il riconoscimento dell’esistenza dell’eventus damni non presuppone peraltro una valutazione sul pregiudizio arrecato alle ragioni del creditore istante, ma richiede soltanto la dimostrazione da parte di quest’ultimo della pericolosità dell’atto impugnato, in termini di una possibile, quanto eventuale, infruttuosità della futura esecuzione sui beni del debitore.

Non essendo richiesta, a fondamento dell’azione di azione revocatoria ordinaria, la totale compromissione della consistenza patrimoniale del debitore, ma soltanto il compimento di un atto che renda più incerta o difficile la soddisfazione del credito, l’onere di provare l’insussistenza di tale rischio, in ragione di ampie residualità patrimoniali, incombe allora, secondo i principi generali, al convenuto nell’azione di revocazione che eccepisca l’insussistenza, sotto tale profilo, dell’eventus damni.

Quanto al requisito soggettivo, quando l’atto di disposizione è successivo al sorgere del credito è necessaria e sufficiente la consapevolezza di arrecare pregiudizio agli interessi del creditore (scientia damni), e cioè la semplice conoscenza, cui va equiparata la agevole conoscibilità, da parte del debitore (e, in ipotesi di atto a titolo oneroso, anche del terzo) di tale pregiudizio, a prescindere invero dalla specifica conoscenza del credito per la cui tutela viene esperita l’azione, e senza che assumano rilevanza l’intenzione del debitore di ledere la garanzia patrimoniale generica del creditore (consilium fraudis) né la partecipazione o la conoscenza da parte del terzo in ordine alla intenzione fraudolenta del debitore.

La prova della conoscenza del pregiudizio da parte del debitore ben può essere fornita, trattandosi di un atteggiamento soggettivo, anche tramite presunzioni, il cui apprezzamento è devoluto al giudice di merito, ed è incensurabile in sede di legittimità se adeguatamente motivato ed immune da vizi logici e giuridici.

Per l’esperibilità della revocatoria ordinaria di un atto di disposizione a titolo gratuito compiuto successivamente alla prestazione delle fideiussioni è irrilevante la consapevolezza da parte del terzo del pregiudizio (eventus damni) che il medesimo arreca o è idoneo ad arrecare alle ragioni del creditore, e cioè la consapevolezza di ledere la garanzia patrimoniale allo stesso accordata dall’art. 2740 c.c., trattandosi di presupposto richiesto solo per la diversa ipotesi degli atti dispositivi a titolo oneroso, mentre quelli a titolo gratuito sono revocabili a prescindere dallo stato di buona o mala fede del terzo.

Cassazione Civile, Sezione Terza, Sentenza n. 966 del 17 gennaio 2007

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