TRIBUNALE DI COSENZA
Seconda Sezione Civile
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale di Cosenza, sezione seconda civile, in composizione monocratica, nella persona del giudice, dott.ssa, ha pronunciato la seguente
SENTENZA n. 1835/2021 pubblicata il 17/09/2021
nella causa civile iscritta al n. 981 del Ruolo Generale Affari Contenziosi dell’anno 2018 e vertente
TRA
XXX (c.f.), elettivamente
domiciliato in
– ATTORE –
E
AZIENDA SANITARIA PROVINCIALE DI *** (p.i.), in persona del legale rappresentante pro-tempore, elettivamente domiciliata in
– CONVENUTA –
OGGETTO: azione di risarcimento dei danni da responsabilità medica.
CONCLUSIONI
All’udienza del 24.5.2021, svoltasi con contraddittorio cartolare, le parti chiedevano che la causa fosse decisa sulle seguenti conclusioni:
Per parte attrice (conclusioni precisate nelle note di trattazione scritta depositate in vista dell’udienza di cui all’art. 189 cpc): “conclude per l’accoglimento delle domande così come proposte, riportandosi all’atto di citazione, alle memorie ex art.183 VI comma c.p.c., ai documenti depositati, alla CTP e alla resa CTU. In ordine ai postumi, alla ITT, alla ITP e al danno che incide sulla capacità lavorativa specifica e generica conseguiti all’odierno attore, si accetta la quantificazione così come determinata dai CC.TT.UU. nella definitiva relazione peritale depositata in atti e precisamente:
Danno biologico nella misura del 25% quale danno differenziale tra il postumo conseguito del 50% e il 25% dei postumi a responsabilità dei sanitari dell’azienda convenuta, oltre la ITT in giorni 30 e la ITP in giorni 30 al 75%, pari ad € 309.111,00 o in quella maggiore o minore somma che l’On.le Giudicante riterrà equa e giusta; il danno da incapacità lavorativa specifica nella misura del 25%, considerando quale parametro economico quello pari a 3 volte la pensione sociale applicando i coefficienti di capitalizzazione approvati con provvedimenti vigenti per la capitalizzazione di rendite assistenziali o previdenziali o i coefficienti elaborati in dottrina, tenuto conto che non possono più essere utilizzati i coefficienti di capitalizzazione approvati col R.D. 9 ottobre 1922 n. 1402, in quanto non sono più idonei a garantire un effettivo e corretto risarcimento del danno e quindi pari ad € 100,000,00 o in quella maggiore o minor somma che l’On.le Giudicante riterrà equa e giusta.
Si conclude altresì per la richiesta del danno da incapacità lavorativa generica nella misura della invalidità permanente accertata dagli ausiliari, la cui quantificazione viene rimessa all’equo apprezzamento dell’Ill.mo Giudicante, in base al disposto dall’art. 1226 c.c. Si chiede inoltre la liquidazione dell’elevato danno morale anche nella sua accezione esistenziale, così come richiesto in citazione, con condanna della convenuta azienda alle spese di lite con attribuzione al sottoscritto procuratore anticipatario. In linea del tutto gradata, nella denegata e non creduta ipotesi di non accoglimento della domanda principale, si chiede accogliersi la domanda subordinata di cui al citato atto introduttivo, con condanna dell’azienda convenuta alle spese di lite con attribuzione.”
Per la convenuta Azienda Sanitaria Provinciale di *** (conclusioni precisate nelle note di trattazione scritta depositate in vista dell’udienza ex art. 189 c.p.c.): “la scrivente, riportandosi a tutte le difese contenute nei propri scritti difensivi e verbali di causa, precisa le conclusioni come ivi formulate e ne chiede l’integrale accoglimento”
PREMESSO IN FATTO
La domanda introduttiva del presente giudizio è stata proposta da XXX al fine di ottenere il risarcimento dei danni sofferti per effetto dei ritenuti errori diagnostici e terapeutici commessi dai sanitari dell’Ospedale di *** che lo ebbero in cura nella giornata del 29.11.2010 e poi il giorno successivo fino al ricovero presso altra struttura.
Si esponeva, in particolare, nell’atto introduttivo:
– Che nella mattinata del 29.11.2010 il XXX, a seguito di malore, era condotto presso il Pronto Soccorso dell’Ospedale di ***, dove gli veniva diagnosticato un “episodio lipotimico in diabetico scompensato”, senza che fossero condotti accertamenti semeiologici e strumentali al fine di accertare le cause del malore medesimo;
– Che il paziente era, quindi, dimesso e tranquillizzato circa le sue condizioni di salute, ma poco dopo, presso il domicilio, era nuovamente colto da malore, a seguito del quale era allertato il 118;
– Che il medico a bordo dell’ambulanza immediatamente diagnosticava un ictus in corso, quale diagnosi confermata presso il Pronto Soccorso di ***, dove il paziente era nuovamente condotto;
– Che seguiva, quindi, ricovero presso il reparto di medicina generale dell’Ospedale di ***, dove il paziente era trattato con eparina a basso peso molecolare, fino alla decisione di chiedere le dimissioni in vista del ricovero in altra struttura sanitaria.
Su tali premesse, l’attore ipotizzava la responsabilità dei sanitari del Pronto Soccorso e dell’Ospedale di ***, sia per non aver rilevato tempestivamente l’ictus già in corso nella mattinata del 29.11.2010, sia per averlo sottoposto a trattamento farmacologico non corrispondente a quello indicato dalle linee guida durante la degenza; quali condotte omissive che, ove correttamente tenute, avrebbero invece consentito di limitare i danni organici e funzionali provocati dall’ictus.
Si costituiva in giudizio l’Azienda Sanitaria Provinciale di ***, eccependo il proprio difetto di legittimazione passiva, non risultando provato il nesso di causalità tra le prestazioni sanitarie erogate dal presidio ospedaliero di *** e i danni lamentati dall’attore, che già il giorno successivo a quello dei fatti oggetto di causa si trasferiva presso l’Azienda Ospedaliera ***, per poi essere ricoverato in altra struttura riabilitativa in ***.
La convenuta chiedeva, comunque, il rigetto della domanda perché infondata in fatto e in diritto e sprovvista di prova nell’an e nel quantum debeatur. In caso di accoglimento della domanda medesima, chiedeva accertarsi le concorrenti responsabilità delle altre strutture sanitarie che ebbero in cura l’attore, con riduzione proporzionale dei propri oneri risarcitori.
Nel corso del giudizio aveva luogo CTU medico-legale, affidata a collegio peritale composto da medico-legale e specialista in malattie dell’apparato cardiovascolare. In data 24.5.2021 la causa era trattenuta in decisione, previa concessione alle parti dei termini di cui all’art. 190 c.p.c. per il deposito di comparse conclusionali e repliche.
RILEVATO IN DIRITTO
1. Sulla qualificazione giuridica della domanda e sugli oneri probatori incombenti sulle parti.
Parte attrice ha ritenuto di far valere una responsabilità di natura contrattuale della struttura sanitaria che ha avuto in cura il paziente nella giornata del 29.11.2010, sul presupposto di una posizione dell’esistenza di un contratto atipico di spedalità tra le parti comunque dell’esistenza di una posizione di garanzia del medico nei confronti del paziente.
Trattasi di impostazione giuridicamente corretta.
Premesso, infatti, che nel presente giudizio, in relazione alla data di verificarsi degli eventi, non trovano applicazione le norme di natura sostanziale contenute nella c.d. legge Balduzzi (l. 189/2012) e nella successiva legge c.d. Gelli/Bianco (l. 24/2017) – che pure, secondo la giurisprudenza dominante, non hanno apportato innovazioni in punto di inquadramento giuridico della responsabilità medica – deve considerarsi pacifica la natura contrattuale di tale responsabilità, sia nel rapporto con la struttura sanitaria (in forza della conclusione di un contratto di prestazione d’opera atipico di spedalità con il paziente), sia nel rapporto con i medici materiali esecutori dell’intervento, in forza del “contatto sociale” con il paziente (Cass., Sez. Un., 577/2008).
L’inquadramento della domanda in termini di responsabilità contrattuale ha degli importanti risvolti sugli oneri probatori gravanti sulle parti.
In applicazione, infatti, della normativa sui rapporti contrattuali e dei principi elaborati in tema di adempimento del credito, il paziente, quale creditore della prestazione sanitaria, è tenuto a dimostrare l’esistenza del rapporto contrattuale e può limitarsi a dedurre l’inadempimento del debitore (Cass., Sez. Un. 30 ottobre 2001, n. 13533); inadempimento che deve essere astrattamente efficiente alla produzione del danno (Cass., Sez. Un. 11 gennaio 2008, n. 577). Sarà, invece, il debitore della prestazione, nel caso di specie struttura sanitaria e medico, a dover provare, per andare esente da responsabilità che inadempimento non v’è stato o che è dipeso da fatto ad esso non imputabile (Cass. 14 luglio 2004, n. 13066) ovvero che, pur esistendo, non è stato causa del danno (Cass. sez. un. n. 577/08 cit.) Tali oneri probatori, (cfr. Cass. 24791/2008; 22222/2014), restano fermi anche ove l’intervento sia stato di speciale difficoltà, in quanto l’esonero di responsabilità di cui all’art. 2236 cod. civ. non incide sui criteri di riparto dell’onere della prova ma costituisce soltanto parametro della valutazione della diligenza tenuta dal medico o dalla struttura sanitaria nell’adempimento, in forza del combinato disposto con l’art. 1176, comma 2, c.c.. Costituisce, quindi, onere del medico, per evitare la condanna in sede risarcitoria, provare che l’insuccesso dell’intervento è dipeso da fattori indipendenti dalla propria volontà, avendo egli osservato, nell’esecuzione della prestazione sanitaria, la diligenza normalmente esigibile da un medico in possesso del medesimo grado di specializzazione. Inoltre, la limitazione della responsabilità del professionista ai soli casi di dolo o colpa grave, prevista dall’art. 2236 c.c. quando la prestazione comporti la risoluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà, non trova applicazione se la condotta del medico è stata negligente o imprudente (Cass. 1 marzo 2007, n. 4797; Cass. 19 aprile 2006, n. 9085). Va, infine, osservato che in punto di causalità, compete al paziente (Cass,. 20812/2018; Cass. 21008/2018; Cass. 26700/2018; Cass. 27606/2019) provare, anche attraverso presunzioni, il nesso eziologico tra condotta del medico in violazione delle regole di diligenza ed evento dannoso, consistente nella lesione della salute (ovvero nell’aggravamento della situazione patologica o nell’insorgenza di una nuova malattia). Il nesso di causalità va accertato attraverso un criterio necessariamente probabilistico – cd. regola della preponderanza dell’evidenza o “del più probabile che non”, cioè probabilità logica desumibile dagli elementi di conferma disponibili nel caso concreto e dalla contemporanea esclusione di possibili elementi alternativi (Cass. un. 11 gennaio 2008, n. 584 582, 581 e 576) – si ritenga che l’opera del professionista abbia causato o concorso a causare il danno verificatosi oppure, in caso di condotta omissiva, se quell’opera, ove correttamente e prontamente svolta, avrebbe avuto serie ed apprezzabili possibilità di evitare il danno verificatosi (Cass. 12906/2020; Cass. 21008/2018). Ove, pertanto, l’esistenza del nesso causale rimanga, all’esito del giudizio, assolutamente incerta, la domanda deve essere rigettata (Cass. 29315/2017).
2. Sul merito della domanda introduttiva.
Tanto premesso, appare pacifico e incontestato – alla luce della documentazione in atti e delle risultanze della CTU svoltasi in corso di causa – che in data 29.11.2010, alle ore 11:52, XXX effettuava un accesso presso il Pronto Soccorso dell’Ospedale di ***. Al paziente erano presi i parametri vitali (PA 150/100 mmHg) e il medesimo era sottoposto a “visita, emocromo con formula leucocitaria, dosaggio dei biomarcatori di danno miocardico, ECG”. Il paziente veniva, quindi, dimesso alle 13:24 con diagnosi di “episodio lipotimico in diabetico scompensato” e prescrizione di visita diabetologica ai fini della verifica della terapia in corso. E’ altresì documentato che nella stessa data del 29.11.2010, veniva allertato il 118, che alle ore 14:40 faceva accesso presso il domicilio del XXX, dove il medesimo, frattanto, era rientrato. Il personale del 118 effettuava diagnosi di “ictus cerebrale in diabetico” e trasportava nuovamente il paziente presso il Pronto Soccorso dell’Ospedale di ***. Qui a seguito di vari accertamenti obiettivi e strumentali era confermata la diagnosi di “ictus cerebrale”, sicché il paziente era ricoverato presso il reparto di medicina generale del medesimo nosocomio, per comparsa di disartria e ipostenia dell’arto superiore sinistro. Presso il PO di *** il paziente restava ricoverato fino al 30.11.2010, quando firmava per le dimissioni, al fine di trasferirsi presso altra struttura sanitaria (la A.O. San Carlo di Potenza).
La CTU svoltasi in corso di causa ha confermato la fondatezza della domanda attorea in punto di responsabilità dei sanitari che ebbero in cura il XXX in occasione del primo accesso presso il PO di *** avvenuto nella data del 29.11.2010. A prescindere, infatti, dal corretto inquadramento del malore che colpì il XXX costringendolo all’accesso in pronto soccorso – episodio lipotimico come diagnosticato dai sanitari, ovvero sincope come ipotizzato dai CTU – non c’è dubbio il malore in soggetto a rischio (quale era il XXX, in quanto iperteso e affetto da diabete mellito in trattamento farmacologico) avrebbe imposto un approfondimento del quadro diagnostico con una visita specialistica neurologica o, quantomeno, con un più ampio periodo di osservazione. Evidente appare, altresì, l’incidenza di tali omissioni sull’excursus medico: il XXX era, infatti, dimesso dal Pronto Soccorso alle ore 13:24, ma dopo soltanto un’ora e quindici minuti avvertiva un nuovo malore, immediatamente catalogato come indice di ictus in corso da parte del personale del 118 tempestivamente allertato. Tale diagnosi che era confermata in occasione del nuovo accesso in pronto soccorso, avvenuto alle ore 15:28, a seguito dei dovuti accertamenti obiettivi e strumentali. Non può, pertanto, mettersi in dubbio la conclusione dei CTU secondo cui “qualora il soggetto fosse stato trattenuto in Ospedale o si fosse proceduto a visita neurologica ed eventualmente TC cranio, il soggetto avrebbe ricevuto una diagnosi e un trattamento più tempestivi” che si sarebbero verosimilmente tradotti “in una minore gravità dell’ipossia cerebrale e in una migliore risposta terapeutica”. Le linee guida italiane di prevenzione e trattamento dell’ictus ischemico ratione temporis vigenti (nella stesura del 7 gennaio 2010) prescrivono, infatti, trattamenti di trombolisi (con r-tPA) da praticarsi entro tre ore dall’esordio dell’ictus ischemico al fine di ottenere risultati significativi, mentre nel caso di specie la diagnosi era praticata fuori dalla “finestra terapeutica” suddetta, in occasione soltanto del secondo accesso in pronto soccorso. Peraltro, i CTU hanno mosso dei rilievi anche sui trattamenti messi in atto dai sanitari a seguito della corretta diagnosi e del ricovero presso l’UO di Medicina Generale presso il PO di ***. Al paziente, infatti, in occasione del ricovero, era somministrata Clivarina, ovvero eparina a basso peso molecolare, non indicata dalle linee guida come terapia specifica dell’ictus ischemico, mentre non era somministrato aceto acetilsalicilico, normalmente, invece, prescritto nella fase acuta della patologia ischemica. Il trattamento precoce e corretto dell’ictus ischemico avrebbe, di contro, con alta probabilità, consentito una ripresa funzionale migliore e il verificarsi di menomazioni più lievi.
Le conclusioni a cui sono pervenuti i CTU, frutto di metodo di indagine serio e razionale e di un attento esame degli atti e delle risultanze processuali, possono certamente recepirsi nella presente sentenza e non sono scalfite dalle deduzioni, giuridiche e tecniche, di parte convenuta.
Quanto, infatti, al collegamento tra la lipotimia constata dai sanitari del PS di *** in occasione del primo accesso del XXX e l’ictus verosimilmente già in atto in quel momento, i CTU hanno ben evidenziato come, al di là di ogni considerazione di tipo statistico, con un procedimento di tipo logico/diagnostico era possibile escludere causalità alternative e sospettare un accidente cerebro-vascolare quale causa del malore del paziente. Peraltro, essendo il paziente, per anamnesi, soggetto diabetico e iperteso (come tale a rischio cardio-cerebro-vascolare elevato) e non presentando, agli accertamenti basilari compiuti, ipotensione o ipoglicemia, anemie o segni di ischemia miocardica e aritmie o di disidratazione, per esclusione il malore poteva essere ricondotto all’accidente cerebro-vascolare e, comunque, le circostanze del caso concreto certamente imponevano ai sanitari un approfondimento diagnostico o una maggiore cautela osservativa. Quanto alla conformità alle linee guida del comportamento dei sanitari del PO di ***, gli stralci riportati dai CT di parte convenuta attengono a diversa fattispecie, vale a dire quella del paziente colpito da TIA (attacco ischemico transitorio) e non da ictus cerebrale vero e proprio. Quanto alla mancanza di una cartella clinica di pronto soccorso, trattasi di circostanza che da un lato non impedisce la ricostruzione dei trattamenti praticati (essendovi specifico verbale di pronto soccorso), dall’altro non può valere ad invertire gli oneri probatori gravanti sulle parti, posto che la struttura sanitaria, anche per un principio di vicinanza della prova, avrebbe dovuto dimostrare il corretto adempimento, eventualmente anche offrendo risultanze documentali non prodotte dall’attore e reperibili ai propri atti. Quanto all’omissione dei trattamenti trombolitici le considerazioni del CT di parte sono frutto di valutazioni che non trovano corrispondenza nella realtà degli eventi, in quanto si ipotizza una tempistica per l’esecuzione degli esami strumentali e di somministrazione della terapia trombolitica ritenuta dai CTU non corrispondente a quella effettivamente occorrente. Quanto, ancora, alla mancata somministrazione di acido acetilsalicilico, il consulente di parte ritiene di trovare una giustificazione nel fatto che il paziente meno di 24 ore dopo il ricovero chiedeva le dimissioni per ricoverarsi presso altra struttura sanitaria; trattasi, tuttavia, di considerazione non in grado di superare quanto osservato dai CTU, secondo cui la tempestiva – e, quindi, immediata rispetto al comparire della sintomatologia – somministrazione del farmaco avrebbe aiutato a prevenire l’estensione dell’ischemia e il presentarsi di ulteriori eventi cerebrovascolari. Anche in relazione alla somministrazione di eparina a basso peso molecolare, il CTP ne individua la giustificazione non nella problematica ischemica in corso, bensì nella necessità di prevenire il tromboembolismo in soggetto obeso che per diverso tempo doveva rimanere allettato: trattasi di giustificazione che, se da un lato, può permettere di superare una censura mossa dai CTU (a fronte di altre rimaste insuperabili), dall’altro non incide sulla conclusione circa la necessità di somministrazione di acido acetilsalicilico, non esclusa, appunto, dal diverso fine perseguito dall’eparina. Dal punto di vista giuridico, superabile appare anche la deduzione circa la necessità di individuare colpe di altre strutture sanitarie in ordine al verificarsi delle conseguenze pregiudiziali lamentate dall’attore: a prescindere, infatti, dalla circostanza che simili colpe non paiono neppure ipotizzabili alla luce delle risultanze della CTU, deve osservarsi che quando un medesimo danno è provocato da più soggetti, per inadempimenti di contratti diversi, intercorsi rispettivamente tra ciascuno di essi e il danneggiato, tali soggetti debbono essere considerati corresponsabili in solido, non tanto sulla base dell’estensione alla responsabilità contrattuale della norma dell’art. 2055 cod. civ., dettata per la responsabilità extracontrattuale, quanto perché, sia in tema di responsabilità contrattuale che di responsabilità extracontrattuale, se un unico evento dannoso è imputabile a più persone, al fine di ritenere la responsabilità di tutte nell’obbligo risarcitorio, è sufficiente, in base ai principi che regolano il nesso di causalità ed il concorso di più cause efficienti nella produzione dell’evento (dei quali, del resto, l’art. 2055 costituisce un’esplicitazione), che le azioni od omissioni di ciascuno abbiano concorso in modo efficiente a produrlo (Cass. 7618/2010; Cass. 24405/2021). A fronte, pertanto, di una richiesta di risarcimento avanzata per l’intero dall’attore all’ASP di ***, avrebbe dovuto essere quest’ultima a chiedere la chiamata in causa degli altri soggetti ritenuti responsabili a fini di regresso. In mancanza di evocazione di tali soggetti, nei cui confronti soltanto poteva rivolgersi la domanda di regresso, superfluo appare ogni esame di eventuali colpe concorrenti.
3. Sul quantum debeatur.
Tanto premesso in punto di an debeatur, l’attore ha chiesto il risarcimento del danno biologico, del danno morale, del danno esistenziale, del danno da perdita di capacità di lavoro generica e specifica conseguenti all’inadempimento dei sanitari che lo ebbero in cura nella data del 29.11.2010.
Quanto al danno biologico, l’esistenza di postumi permanenti è stata accertata dai CTU nominati in corso di causa, i quali hanno quantificato il danno permanente all’integrità psicofisica attualmente esistente (emiparesi sinistra più accentuata all’arto superiore, lieve disartria e sindrome depressiva post-ictale) nella misura del 50%. Nella stessa misura è stato quantificato il danno da perdita di capacità di lavoro specifica. In tali postumi, tuttavia, sono incluse anche menomazioni non legate all’ictus del novembre 2010 e riconducibili, piuttosto, ad altro intervento chirurgico subito dall’attore nel giugno 2019. Il danno differenziale causalmente riconducibile all’evento del novembre 2010 è stato, pertanto, prudenzialmente stimato nella misura del 25%, pari alla metà del danno permanente attualmente constatato, secondo i baremes normalmente in uso in materia di responsabilità civile.
I CTU hanno, inoltre, stimato un periodo di inabilità temporanea assoluta pari a giorni trenta e un periodo di inabilità temporanea parziale al 75% di ulteriori giorni trenta.
Per la quantificazione del danno, deve premettersi che ai sensi dell’art. 7, comma 4, l. 24/2017 (c.d. Gelli/Bianco), che conferma quanto già previsto dall’articolo 3 comma 3 del dl. n. 158/2012, cd. legge Balduzzi e che, in deroga alla generale irretroattiva della legge, costituisce disposizione applicabile anche ai processi per fatti antecedenti alla sua entrata in vigore, “il danno conseguente all’attività della struttura sanitaria o sociosanitaria, pubblica o privata, e dell’esercente la professione sanitaria è risarcito sulla base delle tabelle di cui agli articoli 138 e 139 del codice delle assicurazioni private, di cui al decreto legislativo 7 settembre 2005, n. 209, integrate, ove necessario, con la procedura di cui al comma 1 del predetto articolo 138 e sulla base dei criteri di cui ai citati articoli, per tener conto delle fattispecie da esse non previste, afferenti alle attività di cui al presente articolo”. Trattasi, tuttavia, di norma applicabile alle c.d. lesioni micropermanenti, per come evincibile dal richiamo agli artt. 138 e 139 c.d.a., ad essa non può farsi riferimento nel caso di specie, avendo i CCTTUU quantificato un danno biologico pari al 25%. Ritiene, quindi, questo giudice, di dover fare applicazione, per la quantificazione del danno, alle tabelle in uso presso il Tribunale di Milano, che come riconosciuto anche dalla Suprema Corte (Cass. 8532/2020; Cass. 17018/2018) sono munite di efficacia para-normativa in quanto concretizzano il criterio della liquidazione equitativa di cui all’art. 1226 c.c.
Quanto al danno morale, deve riconoscersi, coerentemente ai più recenti arresti della giurisprudenza di legittimità, che esso, inteso come sofferenza interiore, “sub specie” di dolore dell’animo, vergogna, disistima di sé, paura, disperazione, costituisce voce autonoma di pregiudizio non patrimoniale e non può, quindi, considerarsi incluso nel danno biologico né può essere matematicamente determinato in frazione del danno biologico, dovendo formare oggetto di allegazione e prova da parte del danneggiato (Cass. 4878/2019; Cass. 23469/2018). Da un lato, quindi, la liquidazione deve essere omnicomprensiva e includere tutte le variazioni “in peius” discendenti dall’evento-danno, ma con il concorrente limite di evitare duplicazioni attribuendo nomi diversi a pregiudizi identici. Nel caso di specie, l’attore nell’atto introduttivo qualifica come danno morale la grave depressione che lo colpiva successivamente all’ictus, ma tale voce di danno è stata già computata quale componente del danno biologico e non può, pertanto, trovare ulteriore remunerazione. Di contro, nulla è stato allegato e provato in punto di sofferenza morale in senso stretto.
Analogamente, quanto al danno esistenziale, trattasi di pregiudizio che deve essere provato secondo la regola generale dell’art. 2697 c.c., dovendo consistere nel radicale cambiamento di vita, nell’alterazione della personalità e nello sconvolgimento dell’esistenza del soggetto. Ne consegue che la relativa allegazione deve essere circostanziata e riferirsi a fatti specifici e precisi, non potendo risolversi in mere enunciazioni di carattere generico, astratto, eventuale ed ipotetico, come invece avvenuto nel caso di specie (Cass. 28742/2018).
Quanto, infine, al danno da perdita di capacità di lavoro, generica e specifica, deve osservarsi che mentre il danno da riduzione della capacità lavorativa generica si sostanzia – in quanto lesione di un’attitudine o di un modo d’essere del soggetto – in una menomazione dell’integrità psico-fisica risarcibile quale danno biologico (Cass. 17931/19 tra le tante), il danno da riduzione della capacità di lavoro specifica, attenendo alla produzione del reddito, è danno di natura patrimoniale, sicché è onere del danneggiato dimostrare la contrazione dei suoi redditi dopo il sinistro, non potendo il giudice, in mancanza, esercitare il potere di cui all’art. 1226 c.c., perché esso riguarda solo la liquidazione del danno che non possa essere provato nel suo preciso ammontare, situazione che, di norma, non ricorre quando la vittima continui a lavorare e produrre reddito e, dunque, può dimostrare di quanto quest’ultimo sia diminuito (Cass. 15737/2018). Se, quindi, del danno alla capacità generica hanno tenuto conto i CTU nella quantificazione del danno biologico e nessuna liquidazione autonoma ulteriore può essere fatta in questa sede, va rigettata la domanda di risarcimento del danno da limitazione della capacità di lavoro specifica, non avendo il danneggiato offerto prova del suo ammontare e non potendo soccorrere, come detto, una valutazione di tipo equitativo.
Venendo, quindi, alla quantificazione del danno non patrimoniale sofferto dall’attore, tenendosi conto dell’età del danneggiato al momento dell’evento (43 anni) e applicandosi la versione più aggiornata delle Tabelle di Milano (agg. 2021), che non congloba danno biologico e danno morale in conformità agli arresti più recenti della giurisprudenza di legittimità, il danno può essere così quantificato all’attualità:
– euro 74.918,00 per danno biologico da inabilità permanente (considerandosi un punto base di € 3.793,33);
– euro 2.970,00 per invalidità temporanea totale (considerandosi euro 99,00 per ogni giorno di ITA);
– euro 2.227,50 per invalidità temporanea parziale al 75%:
La somma così ottenuta (euro 80.115,50) può essere personalizzata, in relazione al caso concreto, fino ad un massimo di euro 105.587,50. Nel caso di specie, non sono stati, tuttavia, offerti, in via istruttoria, ulteriori elementi di personalizzazione del danno, diversi da quelli già valutati con il sistema tabellare.
Tale somma viene liquidata all’attualità e su essa, trattandosi di debito di valore, dovranno essere calcolati gli interessi sulla somma devalutata alla data del fatto (novembre 2010) e annualmente rivalutata fino alla data di pubblicazione della presente sentenza (cfr. Cass. 24.10.2008, n. 25734; Cass. S.U. 17.02.1995, n. 1712).
Successivamente alla pubblicazione e fino all’effettivo soddisfo, decorreranno invece gli interessi al tasso legale.
4. Sulle spese e competenze di lite.
Le spese di lite seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo, sulla base del decisum (inferiore al disputatum) e con distrazione in favore del difensore di parte attrice dichiaratosi antistatario. Le spese di CTU, come liquidate in corso di causa, vengono poste definitivamente a carico della parte soccombente.
P.Q.M.
Il Tribunale di Cosenza, sezione seconda civile, in composizione monocratica, nella persona del giudice dott.ssa, definitivamente pronunciando sulla domanda proposta da XXX nei confronti dell’Azienda Sanitaria Provinciale di ***, ogni contraria istanza, eccezione e deduzione disattese, così provvede:
1. Dichiara la responsabilità dell’Azienda Sanitaria Provinciale di *** in ordine ai fatti oggetto dell’atto introduttivo;
2. Per l’effetto, condanna l’ente convenuto, in persona del legale rappresentante pro-tempore, in favore di XXX, a titolo di risarcimento del danno non patrimoniale sofferto, della somma di 80.115,50, oltre interessi da computarsi come indicato in parte motiva, rigettando ogni altra istanza;
3. Pone definitivamente a carico della le spese di CTU, come liquidate in corso di giudizio, con obbligo di rifusione a parte attrice ove la stessa le abbia anticipate in forza del decreto dell’8 gennaio 2021;
4. Condanna la convenuta alla rifusione in favore dell’attore delle spese e competenze del presente giudizio, che si liquidano in complessivi euro 8.313,11 (di cui euro 518,00 per anticipazioni non imponibili, euro 7.795,00 per onorari), oltre rimborso forf. spese generali, IVA e CPA come per legge sulle voci imponibili, da distrarsi in favore del difensore costituito dichiaratosi antistatario;
5. Manda alla cancelleria per quanto di competenza.
Cosenza, 17/09/2021
Il giudice dott.ssa
La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di
Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.
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