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Danno da vacanza rovinata, pregiudizio psico-fisico

Danno da vacanza rovinata, pregiudizio psico-fisico, non patrimoniale, sofferto dal turista per la mancata realizzazione della vacanza.

Pubblicato il 15 September 2022 in Diritto Civile, Giurisprudenza Civile

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
IL TRIBUNALE DI VIBO VALENTIA
– SEZIONE ORDINARIA CIVILE –

nella persona del GIUDICE MONOCRATICO d’APPELLO dott.ssa , ha emesso la seguente

SENTENZA n. 561/2022 pubblicata il 23/08/2022

nella controversia civile iscritta al numero 251/2016 del Ruolo Generale Affari Contenziosi (R. G. A. C.) dell’anno 2016 avente ad oggetto:

appello avverso la sentenza n. 544/2015 del Giudice di Pace di Vibo Valentia pubblicata in data 20 agosto 2015” e promossa

DA

XXX (C.F:), YYY (C.F.:), in proprio e quali esercenti la potestà sul figlio minore ZZZ (C.F.:), rappresentati e difesi dall’avv.;

-APPELLANTI-

CONTRO

KKK S.R.L. (P.IVA:), in persona del legale rappresentante p.t., domiciliata come in atti;

-APPELLATA CONTUMACE- CONCLUSIONI: all’udienza del 17.02.2022, svoltasi mediante trattazione scritta, il procuratore della parte costituita ha concluso come in atti.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con atto di citazione ritualmente notificato, XXX e YYY, in proprio e quali esercenti la potestà sul figlio minore ZZZ, convenivano in giudizio, innanzi al Giudice di Pace di Vibo Valentia, la KKK s.r.l., in persona del legale rappresentante p.t., chiedendo che fosse accertata e dichiarata la responsabilità della convenuta ex artt. 2051 e/o 2043 c.c. e la conseguente condanna della stessa al risarcimento dei danni per le lesioni personali riportate dal figlio minore durante il soggiorno trascorso nel luglio 2013 presso il Villaggio Turistico *** sito in (CZ), di proprietà della KKK s.r.l., a causa di un’insidia ivi presente, nonché il risarcimento dei danni da cd. “vacanza rovinata”.

Si costituiva nel giudizio di primo grado la convenuta KKK s.r.l., che rilevava l’infondatezza della domanda di parte attrice, chiedendone il rigetto.

La causa era istruita con prova documentale e con prova per testi delegata presso il Giudice di Pace di Latina. Il giudizio si concludeva con sentenza n. 544/2015 del Giudice di Pace di Vibo Valentia, emessa in data 14.08.2015 e pubblicata in data 20.08.2015, che, in parziale accoglimento della domanda proposta dagli attori, così disponeva: “1) Dichiara la convenuta amministrazione della KKK S.r.l. responsabile dell’evento dannoso verificatosi in data 21/07/2013 che ha coinvolto il minore ZZZ; 2) Condanna la KKK S.r.l. in persona del legale rappresentante p.t., al pagamento in favore degli attori della somma di € 770,00 oltre interessi a titolo di risarcimento delle lesioni subite dal minore ZZZ 3) Condanna la KKK S.r.l. in persona del legale rappresentante p.t., alla refusione delle spese del presente giudizio liquidate in € 600,00 oltre Iva ed accessori di legge con distrazione in favore del procuratore costituito”.

Con atto di citazione in appello, notificato in data 16/02/2016, XXX e YYY convenivano in giudizio, innanzi all’intestato Tribunale, l’appellata KKK S.r.l., al fine di ottenere, in via principale ed in riforma parziale della sentenza di primo grado, la condanna di parte convenuta a risarcire agli attori, in proprio, la somma di € 1.600,00 per il danno da vacanza rovinata e, in qualità di genitori esercenti la potestà sul figlio ZZZ, l’ulteriore somma di € 3.480,00 per il danno biologico, estetico e morale patito dal minore.

Gli attori proponevano, dunque, appello parziale avverso la sentenza di primo grado, contestando unicamente il giudizio sul quantum debeatur e impugnando la citata pronuncia per: 1) mancata ed erronea valutazione del danno da vacanza rovinata e 2) errata valutazione del danno biologico, morale ed estetico subito da ZZZ.

La KKK s.r.l., ritualmente citata in giudizio di appello, non si costituiva e ne era pertanto dichiarata la contumacia.

Il procedimento, di natura documentale, era rinviato per la precisazione delle conclusioni. Dopo una serie di rinvii (per la acquisizione del fascicolo di primo grado, per impedimento del Giudice designato e per carico di ruolo), all’udienza del 17.02.2022, svoltasi mediante trattazione scritta, preso atto del rituale deposito delle note scritte da parte del procuratore costituito, precisate le conclusioni, la causa veniva assunta in decisione ex art. 190 c.p.c., con la concessione dei termini ordinari di giorni sessanta per il deposito delle comparse conclusionali e di giorni venti per il deposito di eventuali memorie replica.

Deve essere evidenziato in via preliminare come, in merito a tutto ciò che non ha formato oggetto di appello (principale o incidentale), né di riproposizione ai sensi dell’art. 346 cod. proc. civ., né, ancora, dipende dai capi della sentenza investiti da impugnazione (cfr., all’uopo, gli artt. 329 e 336 cod. proc. civ.), si sia senz’altro formato il giudicato interno, con conseguente esonero di questo Tribunale da qualsivoglia statuizione al riguardo.

Sempre in via preliminare, va ribadito che nel giudizio di appello (che non è un novum iudicium), la cognizione del giudice resta circoscritta alle questioni dedotte dall’appellante attraverso specifici motivi e tale specificità esige che alle argomentazioni svolte nella sentenza impugnata vengano contrapposte quelle dell’appellante, volte a incrinare il fondamento logico-giuridico delle prime, non essendo le statuizioni di una sentenza separabili dalle argomentazioni che le sorreggono.

Deriva da quanto precede, pertanto, che nell’atto di appello – ossia nell’atto che, fissando i limiti della controversia in sede di gravame consuma il diritto potestativo di impugnazione – alla parte volitiva deve sempre accompagnarsi, a pena d’inammissibilità del gravame, rilevabile d’ufficio e non sanabile per effetto dell’attività difensiva della controparte, una parte argomentativa che confuti e contrasti le ragioni addotte dal primo giudice, al qual fine non è sufficiente che l’atto di appello consenta d’individuare le statuizioni concretamente impugnate, ma è – altresì – necessario, pur quando la sentenza di primo grado sia censurata nella sua interezza, che le ragioni sulle quali si fonda il gravame siano esposte con sufficiente grado di specificità da correlare, peraltro, con la motivazione della sentenza impugnata (cfr. Cassazione civile, sez. III, 09/03/2017, n. 6043; Cassazione civile, sez. I, 18/09/2017, n. 21566 Cassazione civile, sez. II, 23/02/2017, n. 4695).

Orbene, nel caso in esame, l’atto di appello deve essere ritenuto ammissibile in quanto i motivi cardine posti alla base dello stesso, in relazione alla motivazione di primo grado, sono chiaramente identificabili, essendo elencati come di seguito: 1) errata valutazione del danno biologico, morale ed estetico subito dal minore – falsa applicazione degli artt. 1226 e 2056 c.c.; 2) mancata ed erronea valutazione del danno da vacanza rovinata – falsa applicazione degli artt. 1226 e 2056 c.c.

Tanto premesso, l’appello deve essere parzialmente accolto, con parziale riforma della sentenza impugnata, per le seguenti ragioni.

Considerati i motivi di gravame sollevati dagli appellanti, ritiene il Tribunale di accogliere la censura mossa nei confronti della sentenza n. 544/2015 con riferimento alla liquidazione del danno biologico, morale ed estetico subito dal minore ZZZ, non condividendosi tutte le valutazioni effettuate dal giudice di prime cure in via equitativa e sotto il profilo della quantificazione del danno biologico.

Come espressamente motivato nella suddetta sentenza di primo grado, sul presupposto della fondatezza della pretesa risarcitoria, agli appellanti, in qualità di genitori esercenti la potestà sul figlio minore ZZZ, il giudice di pace ha liquidato un risarcimento del danno per un ammontare pari ad € 770,00, per danno biologico di lieve entità.

L’importo è stato liquidato dal Giudice di Pace sommando i seguenti valori: 1) € 280,00 (gg. 7 x € 40,00) a titolo di risarcimento del danno derivante dall’inabilità temporanea assoluta; 2) € 400,00 (gg. 20 x € 20,00) a titolo di risarcimento del danno derivante dall’inabilità temporanea parziale al 50%; 3) € 90,00 per rimborso spese mediche sostenute, risultanti dagli atti di causa. Il calcolo è stato effettuato applicando l’importo giornaliero di € 40,00 quale parametro economico per la quantificazione dell’inabilità temporanea assoluta (e, di conseguenza, l’importo di € 20,00 per la quantificazione di quella parziale).

Orbene, pur confermando la qualificazione del danno operata dal Giudice di primo grado, quale “danno biologico di lieve entità”, il Tribunale ritiene tuttavia di doversi discostare dalla liquidazione del danno operata nella sentenza di primo grado e ciò per le ragioni che si espongono.

Infatti, come correttamente rilevato dagli istanti, le tabelle legislative prevedono una indennità giornaliera per il calcolo del risarcimento del danno biologico di lieve entità pari a € 46,29 (importo superiore al parametro economico di € 40,00 applicato nella sentenza di primo grado).

Inoltre, riesaminate le risultanze istruttorie e, in particolare, rivalutata la documentazione medica versata in atti, si intende riconoscere un periodo maggiore di inabilità temporanea al 50%, per un totale di trenta giorni (e non di soli venti giorni, come invece riconosciuti dal primo giudice).

Alla luce delle puntualizzazioni operate, dunque, applicando il parametro economico previsto dalla legge a titolo di indennità giornaliera, pari a € 46,29 e riconoscendosi un periodo di inabilità temporanea così ampliato, agli istanti spettano per danno biologico di lieve entità: 1) a titolo di risarcimento del danno derivante dall’inabilità temporanea totale gg. 7 x € 46,20 = € 323,4; 2) a titolo di risarcimento del danno derivante dall’inabilità temporanea parziale gg. 30 x € 23,14 = € 694,2; 3) a titolo di rimborso per le spese mediche sostenute € 90,00.

Pertanto, agli appellanti, in qualità di esercenti la potestà sul minore ZZZ, per il danno biologico subito dal figlio in seguito al sinistro occorso, dovranno essere liquidati in totale € 1.107,06.

Con riferimento al danno estetico e morale allegato dagli appellanti, viceversa, dalla documentazione versata in atti, come correttamente osservato dal Giudice di Pace, non emergono elementi probatori sufficienti ai fini dell’accoglimento della domanda.

Deve essere poi rigettato in toto il motivo di gravame formulato dagli appellanti e volto a contestare la sentenza di primo grado per mancata ed erronea valutazione del danno da “vacanza rovinata”.

Giova brevemente ribadire che secondo consolidata giurisprudenza, il danno da “vacanza rovinata” consiste in quel pregiudizio psico-fisico, e dunque non patrimoniale, sofferto dal turista per la mancata realizzazione della vacanza programmata, a causa dell’inadempimento dell’organizzatore, la cui prova deve essere fornita dal viaggiatore.

Stabilisce infatti la Corte di Cassazione che “La prova del danno non patrimoniale da “vacanza rovinata”, inteso come disagio psico-fisico conseguente alla mancata realizzazione, in tutto o in parte, della vacanza programmata, è validamente fornita dal viaggiatore mediante dimostrazione dell’inadempimento del contratto di pacchetto turistico, non potendo formare oggetto di prova diretta gli stati psichici dell’attore, desumibili, peraltro, dalla mancata realizzazione della “finalità turistica” e dalla concreta realizzazione della “finalità turistica” e dalla concreta regolamentazione contrattuale delle attività e dei servizi prestati, essenziali alla realizzazione dello scopo vacanziero” (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 7256 del 11/05/2012).

Alla luce di tale orientamento, occorre verificare se nel caso di specie sia stato dimostrato dalla parte appellante “l’inadempimento” della struttura turistica ricettiva. L’onere della prova non può ritenersi soddisfatto e ciò per le ragioni che si espongono e con maggior sforzo esplicativo rispetto alla sentenza gravata.

Gli appellanti si limitano ad allegare l’assenza “di qualunque tipologia di struttura di pronto intervento sanitaria all’interno del villaggio turistico, il quale non era dotato neanche di una casetta di pronto soccorso, né tanto meno di un presidio infermieristico, tenuto conto che ospita più di 500 clienti”, deducendo inoltre che “il Pronto Soccorso Ospedaliero più vicino al villaggio turistico in questione distava

circa 1 ora e 30 minuti di auto, come confermato dall’unico teste ascoltato”.

A tal proposito occorre, anzitutto, osservare che il Pronto Soccorso Ospedaliero più vicino al Villaggio Turistico ***, sito in (CZ), non si trova alla distanza di 1 ora e 30 minuti di auto, potendosi facilmente riscontrare che il Pronto Soccorso di Soverato (CZ), al quale, peraltro, secondo la documentazione in atti, si sono recati gli istanti, risulta raggiungibile in molto meno tempo da (CZ).

In secondo luogo si evidenzia che, l’unica teste escussa, mediante prova per testi delegata presso il g.d.p. di Latina, riferiva che era presente nel giorno dell’incidente, essendo amica della signora Ponticelli, la quale, a seguito della caduta del bambino, “prima ha chiesto una cassetta del pronto soccorso, poi, considerato che le medicazioni risultavano scadute, ha provveduto lei stessa con il suo personale accessorio da viaggi e visto che il bambino continuava a perdere troppo sangue, ha chiamato il maitre ed hanno provveduto, sia i genitori che il maitre del villaggio, ad accompagnare il bambino al P.S. di Vibo Valentia…Credo che il villaggio *** sia a circa un’ora di macchina da Vibo Valentia, comunque non nelle immediate vicinanze”.

Rispetto a tale testimonianza si rileva che, sebbene sia sufficientemente dimostrato, dalla documentazione versata in atti, che il minore ZZZ, a causa di un’insidia presente nella struttura turistica, subiva una ferita alla gamba, suturata con n. 5 punti al Pronto Soccorso di Soverato (CZ), tuttavia le dichiarazioni della testimone in alcuni punti risultano incongruenti, oltre che in contraddizione con la produzione documentale di parte attrice medesima.

Ad ogni modo, ad avviso della scrivente, non può ravvisarsi nel caso in esame la sussistenza di un danno da “vacanza rovinata”, non essendo sufficientemente provato “l’inadempimento” della struttura turistica. Inoltre, riesaminate le risultanze istruttorie, valutata la gravità della lesione e la serietà del pregiudizio patito dall’istante, si ritiene che il disagio arrecato al turista non abbia superato quella “soglia minima di tolleranza” che viene individuata dalla giurisprudenza quale discrimen da valutare caso per caso, al fine di qualificare il pregiudizio non patrimoniale come “risarcibile”. La Corte di Cassazione precisa, infatti, che “Il danno non patrimoniale da vacanza rovinata, secondo quanto espressamente previsto in attuazione della Direttiva n. 90/314/CEE, costituisce uno dei “casi previsti dalla legge” nei quali, ai sensi dell’art. 2059 cod. civ., il pregiudizio non patrimoniale è risarcibile. Tuttavia, non ogni disagio patito dal turista legittima la domanda di risarcimento di tale pregiudizio non patrimoniale, ma solo quelli che – alla stregua dei generali precetti di correttezza e buona fede – superino una soglia minima di tolleranza, da valutarsi caso per caso, con apprezzamento di fatto del giudice di merito” (Cass. sez. 3, Sentenza n. 7256 del 11/05/2012). Spetta al giudice di merito, mediante prudente apprezzamento, effettuare un’operazione di bilanciamento, al fine di accertare la compatibilità del pregiudizio patito dall’istante con il principio di tolleranza delle lesioni minime (cfr. Cass. sez. 3, Sentenza n. 14662 del 14/07/2015).

In applicazione di tali principi giurisprudenziali, si rigetta la richiesta di risarcimento del danno da “vacanza rovinata”, proposta dagli appellanti in proprio, non sussistendo i presupposti per la sua configurabilità.

Per tutte le ragioni sopra esposte, la sentenza n. 544/2015 emessa dal Giudice di Pace di Vibo Valentia in data 14.08.2015 deve essere, pertanto, solo parzialmente riformata nella parte relativa al quantum risarcitorio come innanzi specificato.

Con riferimento alla regolamentazione delle spese del doppio grado di giudizio va rimarcato che “In materia di liquidazione delle spese giudiziali, il giudice d’appello, mentre nel caso di rigetto del gravame non può, in mancanza di uno specifico motivo di impugnazione, modificare la statuizione sulle spese processuali di primo grado, allorché riformi in tutto o in parte la sentenza impugnata, è tenuto a provvedere, anche d’ufficio, ad un nuovo regolamento di dette spese alla stregua dell’esito complessivo della lite, atteso che, in base al principio di cui all’art. 336 c.p.c., la riforma della sentenza del primo giudice determina la caducazione del capo della pronuncia che ha statuito sulle spese” (Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 1775 del 24/01/2017, Rv. 642738 – 01; Sez. L, Sentenza n. 26985 del 22/12/2009, Rv. 611189 – 01).

Atteso il tenore della presente pronuncia, considerato il parziale accoglimento dell’appello proposto, vista la contumacia dell’appellata, le spese di lite relative al doppio grado di giudizio devono essere compensate.

P.Q.M

IL TRIBUNALE DI VIBO VALENTIA, in composizione monocratica ed in funzione di giudice d’appello, definitivamente pronunziando sull’appello proposto, disattesa ogni altra istanza ed eccezione, in parziale riforma della sentenza appellata così provvede:

– in accoglimento dell’appello proposto, RIFORMA PARZIALMENTE la sentenza appellata, n. 544/2015 del Giudice di Pace di Vibo Valentia, emessa in data 14.08.2015 e pubblicata in data 20.08.2015, e, per l’effetto, CONDANNA la parte appellata a corrispondere agli appellanti, nella qualità indicata in epigrafe, la somma di € 1.107,06, oltre interessi, a titolo di risarcimento del danno subito dal minore ZZZ;

– COMPENSA le spese del doppio grado di giudizio.

Così deciso in Vibo Valentia, 23.8.2022

IL GIUDICE MONOCRATICO

dott.ssa

L’originale della presente sentenza costituisce un documento informatico sottoscritto mediante cd. “firma digitale” [artt. 1, lettera s), 21 e 24 del Decreto Legislativo 7 marzo 2005, n. 82] e depositato telematicamente nel fascicolo informatico ai sensi dell’art. 35, comma 1, D. M. 21 febbraio 2011, n. 44, come modificato dal D. M. 15 ottobre 2012, n. 209

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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