REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE DI APPELLO DI ROMA SEZ. VIII° CIVILE – II
° Collegio Così composta:
dott.ssa NOME COGNOME Presidente dott. NOME COGNOME Consigliere rel.
dott.ssa NOME COGNOME ha pronunziato e pubblicato la seguente
SENTENZA N._5505_2024_- N._R.G._00003762_2019 DEL_02_09_2024 PUBBLICATA_IL_03_09_2024
nella causa civile di II ° grado iscritta al n. 3762 del ruolo generale per gli affari contenziosi dell’anno 2019, trattenuta in decisione all’udienza del 7/03/2024, vertente tra con sede in LatinaINDIRIZZO INDIRIZZO in persona dell’Amministratore Unico e legale rappresentante p.t. con sede in Latina, INDIRIZZORAGIONE_SOCIALE.
, in persona dell’Amministratore Unico e legale rappresentante , entrambe elettivamente domiciliate in Roma, INDIRIZZO presso lo studio dell’Avv. NOME COGNOME che le rappresenta e difende in virtù di procura in atti;
RAGIONE_SOCIALE sede in Sonnino (LT), INDIRIZZO in persona del legale rappresentante p.t.
con sede in Roma, INDIRIZZO in persona del legale rappresentante p.t.
entrambe elettivamente domiciliate in Latina, INDIRIZZO presso lo studio dell’Avv. che le rappresenta e difende in virtù di procura in atti;
Appellate Oggetto: occupazione senza titolo.
Conclusioni:
come da scritti difensivi.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto di citazione ritualmente notificato, l’ e la convenivano in giudizio dinnanzi al Tribunale di Latina la società e la assumendo di essere proprietarie di alcuni terreni (la dell’area sita in località “Monte INDIRIZZO Capocroce”, della superficie di ha 4,00 circa, iscritta nel NCT al Foglio 48, particelle 122, 123, 139, 177, NUMERO_CARTA, 10, 136, 138 e 104;
la RAGIONE_SOCIALE a r.l. dell’area sita in località INDIRIZZOCOGNOME” della superficie di ha 9,00 circa, distinta nel NCT al Foglio 48, particelle 5, 82, 83, NUMERO_CARTA, NUMERO_CARTA, 243, 245, 257, 244, 103, 11, 6, 85, 109, 213 e ½ della particella 3) che, con due distinti contratti del 6/2/1998, avevano affittato, per lo sfruttamento a cava, alla RAGIONE_SOCIALE, la quale poi li aveva subaffittati alla inoltre le attrici riferivano che la durata dei contratti, al relativo art. 3, era stata pattuita in nove anni, decorrenti dal “completamento dell’iter burocratico di rilascio delle autorizzazione di legge presso gli enti competenti”, con i relativi adempimenti a esclusivo carico della società affittuaria, facendo altresì presente che, essendo il contratto oramai prossimo alla scadenza, e non avendo provveduto le affittuarie a chiederne il rinnovo nei dodici mesi anteriori (come previsto dal relativo art. 2), con nota dell’Avv. NOME COGNOME del 15.04.2008 avevano comunicato la loro ed avvertendole che, in mancanza, avrebbero richiesto il rilascio delle aree e il conseguente ripristino dello stato dei luoghi, a decorrere dal 20.05.2008. Ciò premesso, le società convenute, con nota del 23.04.2008, avevano fornito riscontro a tale comunicazione, asserendo che, a loro dire, l’efficacia dei contratti decorreva dal 3.10.2002, data in cui le parti avevano risolto un contenzioso relativo ad alcune servitù insistenti sui terreni affittati, che in precedenza avevano impedito lo svolgimento dell’attività estrattiva;
quindi, con successiva nota del 23.05.2008, le convenute sostenevano che l’inizio dell’efficacia dei contratti doveva essere individuata alla data del 30.07.2003, allorché la Provincia di Latina aveva rilasciato l’autorizzazione alla continuazione delle emissioni derivanti dall’attività di frantumazione delle pietre.
Inoltre le società attrici sostenevano che, nonostante la sopravvenuta inefficacia dei contratti di affitto per decorso dei relativi termini, le convenute avevano posto in essere anche una serie di condotte illecite.
Pertanto, poiché le società convenute, benché fossero decorsi i termini di efficacia dei contratti, avevano continuato ad occupare i terreni senza alcun titolo, precludendone l’utilizzazione alle attrici, queste ultime si erano viste costrette ad adire l’Autorità giudiziaria affinché venisse accertata l’inefficacia dei contratti di affitto dei terreni stipulati in data 6.02.1998 per decorrenza dei relativi termini di durata sin dal 20.05.2008 e, per l’effetto, perché venisse fatto ordine ad entrambe le convenute di rilasciare immediatamente i terreni, con la loro condanna al risarcimento dei danni ed alla rifusione delle spese processuali. Costituitesi in giudizio, la e la in via preliminare, eccepivano il difetto di legittimazione passiva della l’inammissibilità delle domande proposte nei loro confronti;
inoltre, nel merito, contestavano quanto dedotto dalle attrici e, in via riconvenzionale, chiedevano che fosse accertato che i contratti avevano avuto efficacia soltanto a decorrere dal 30.07.2003 -data in cui la Provincia di Latina aveva autorizzato la continuare le emissioni derivanti dall’attività di frantumazione e macinatura di pietre- o, in subordine, dal 3.10.2002 -data dell’avvenuta transazione con cui era stato disposto lo spostamento delle servitù sui terreni- o, comunque, da altra data indicata dal giudice, con la conseguenza che i contratti avrebbero avuto efficacia sino al 29.07.2012 o, in subordine, sino al 2.10.2011, ovvero sino ad altra data individuata in tal senso da parte dell’affittuaria; il tutto con vittoria di spese processuali.
All’esito dell’istruttoria, meramente documentale, il Tribunale, con sentenza n. 872/2019, accoglieva la domanda dell’ e della , dichiarando cessati alla data del 10.05.2008 entrambi i contratti da loro stipulati con la e condannando le convenute, in solido tra loro, al rilascio dei fondi e alla rifusione delle spese processuali.
Sostanzialmente il giudice di prime cure riteneva che dalla documentazione prodotta e, segnatamente, dalle disposizioni contrattuali, era possibile evincere che già alla data del 20.05.1999 le società convenute avevano ottenuto le autorizzazioni necessarie allo sfruttamento a cava dei terreni e, in particolare, l’autorizzazione rilasciata il 2.03.1999 dalla Regione Lazio relativamente al vincolo idrogeologico;
inoltre il Tribunale sosteneva che, avendo dette autorizzazioni durata triennale, le successive autorizzazioni del Comune e della Provincia di Latina, dalla cui data di rilascio le convenute pretendevano di far decorrere il termine di efficacia del contratto di affitto, altro non erano che dei rinnovi delle precedenti autorizzazioni “medio tempore” scadute.
Con atto di citazione ritualmente notificato, la e la proponevano appello avverso tale decisione, chiedendone l’annullamento e/o l’integrale riforma sulla scorta di tre distinti motivi di appello.
Con il primo motivo, le appellanti si dolevano dell’erronea interpretazione ed applicazione dell’art. 3 del contratto di affitto del 6.02.1998 in riferimento alla decorrenza di efficacia del rapporto contrattuale.
In particolare le appellanti ribadivano che, a differenza di quanto ritenuto dal giudicante di prime cure, l’autorizzazione comunale non era di per sé idonea a determinare la conclusione dell’iter burocratico cui l’efficacia del contratto era condizionata, in quanto la procedura amministrativa, benché l’atto fosse datato 20.05.1999, in realtà era giunta a compimento solo il 12.12.2001:
infatti, secondo le appellanti, fino al mese di maggio 2001 il completamento dell’iter necessario per il concreto sfruttamento della cava era impedito non solo dall’avvenuta richiesta degli atti autorizzativi di competenza della Provincia e della Regione, ma anche dall’acclarata presenza di alcune servitù di passaggio su alcune strade poste che erano state spostate dalle società appellanti solo dopo aver conseguito in data 14.06.2001 il parere favorevole del Comune ;
inoltre “medio tempore” non era stato neanche possibile procedere alle misurazioni iniziali per calcolare i quantitativi di escavo, tanto da rendersi necessaria l’instaurazione di un contenzioso con le concedenti, poi definito dalle parti con una transazione del 3/10/2002.
Ne conseguiva che l’atto di assenso comunale del 20/5/1999 doveva essere ritenuto il primo atto dell’”iter” burocratico, sicché il termine di decorrenza del rapporto contrattuale doveva essere individuato nel rilascio dell’ultima autorizzazione provinciale per il concreto esercizio dell’attività estrattiva, intervenuto solo il 30/7/2003, sicché il successivo termine di scadenza contrattuale doveva collocarsi al 29/7/2012 e, in ragione dell’avvenuto esercizio del diritto alla proroga da parte delle affittuarie, al 29/7/2021. Con il secondo motivo di appello, poi, le società appellanti lamentavano l’erronea e/o falsa interpretazione dell’atto di transazione intercorso tra le parti, in quanto, a loro dire, il giudice aveva malamente reputato che nel relativo testo fosse assente una pattuizione sulla proroga dei termini di durata del contratto.
In merito, le appellanti sostenevano che la transazione conteneva una pattuizione per la proroga del termine di versamento del deposito cauzionale, unitamente a quella relativa allo spostamento delle strade a spese della concedente, circostanze che, a loro dire, avrebbero confermato che alla data della transazione (3.10.2002) l’”iter” burocratico non era ancora terminato, con conseguente impossibilità di esercitare lo sfruttamento della cava, per cui solo da tale momento, per comune volontà delle parti, poteva ritenersi iniziata la decorrenza del termine iniziale del contratto di affitto. Infine, con un terzo motivo di gravame, le parti si dolevano dell’errata e/o falsa applicazione dell’art. 1408 c.c., eccependo nuovamente il difetto di legittimazione passiva della in quanto, a loro dire, l’intervenuta subconcessione in affitto alla del complesso dei terreni oggetto del contratto principale equivaleva ad una vera e propria cessione del contratto, con conseguente integrale subentro del subcessionario nella posizione contrattuale del cedente;
pertanto, secondo le appellanti, ai sensi dell’art.1408 c.c., il contraente ceduto avrebbe potuto agire verso il cedente per l’inadempimento del cessionario solo ove avesse precedentemente dichiarato di non liberarlo.
conseguenza le appellanti concludevano chiedendo la riforma dell’impugnata sentenza e, per l’effetto, che fosse dichiarato il difetto di legittimazione della comunque, l’inammissibilità delle domande proposte nei suoi confronti;
inoltre, nel merito, le appellanti chiedevano il rigetto delle domande originariamente proposte dalle società appellate e l’accoglimento delle domande formulate in via riconvenzionale, con vittoria delle spese di lite.
In via istruttoria, insistevano nell’ammissione dei mezzi istruttori richiesti nelle memorie ex art. 183, comma 5 c.p.c. Costituitesi in giudizio, la e la “in primis”, eccepivano l’inammissibilità dell’appello per l’asserita violazione del disposto di cui all’art. 342 c.p.c., nuova formulazione, nonché l’inammissibilità del documento datato 19/9/2008, prodotto solo in occasione della comparsa conclusionale di primo grado, con il quale le appellanti avevano dichiarato la volontà di esercitare il diritto di proroga; inoltre, nel merito, si limitavano a resistere, chiedendo il rigetto dello spiegato gravame, con la condanna delle appellanti alla rifusione delle spese del grado.
All’udienza del 7.03.2024, dopo la precisazione delle conclusioni, la causa è stata trattenuta in decisione, con assegnazione alle parti dei termini di cui all’art. 190 per il deposito delle memorie conclusionali e di replica.
Motivi della decisione Preliminarmente va respinta l’eccezione con cui le società appellate hanno sostenuto l’inammissibilità dell’atto di gravame per pretesa violazione del disposto di cui all’art. 342 c.p.c., nuova formulazione, in quanto, a loro dire, non sarebbero state indicate le parti della sentenza di primo grado oggetto di impugnazione.
Al riguardo è sufficiente osservare che nell’atto introduttivo del giudizio di appello risultano indicate le parti della sentenza oggetto di impugnazione, che sono state anche virgolettate e riportate in corsivo.
Al contrario va accolta l’eccezione di inammissibilità delle società appellate avente ad oggetto il documento datato 19 settembre 2008 (concernente l’avvenuto esercizio del del deposito della comparsa conclusionale di primo grado, trattandosi di documento formatosi prima dell’introduzione del giudizio e rispetto al quale le appellanti non hanno mai neanche allegato l’esistenza di un’impossibilità a produrlo nei termini.
Inoltre va rilevato che le odierne appellate non hanno inteso proporre appello incidentale avverso la statuizione con cui il Tribunale ha rigettato -per difetto di prova- la loro richiesta di risarcimento del danno, con la conseguenza che, in relazione a detto profilo, oramai deve ritenersi intervenuto il giudicato.
Nel merito, per ragioni di ordine logico e giuridico, va preliminarmente esaminato il terzo motivo di appello, con il quale le appellanti, lamentando l’erronea applicazione del disposto di cui all’art. 1408 c.c., hanno sostanzialmente ribadito l’eccezione di difetto di legittimazione passiva della già formulata in primo grado.
Sul punto questa Corte ritiene di condividere la valutazione operata dal giudicante di prime cure, secondo cui nel contratto intercorso tra l’ e la era stata prevista soltanto una facoltà per quest’ultima per subaffittare il terreno ad un altro soggetto che avesse garantito il “raggiungimento dello scopo di attività di cava”, senza che fosse mai stata stabilita in alcuna parte del contratto (e non solo nell’art. 7) la liberazione dell’affittuario dalle obbligazioni assunte nei confronti dell’ , con conseguente permanenza di una responsabilità, in capo alla , in solido con la subaffittuaria per l’eventuale loro inadempimento, ivi compresa quella avente ad oggetto la restituzione del terreno; il corollario giuridico di tale affermazione è che trattandosi di semplice subaffitto -e non di cessione del contratto- va escluso che la possa essere subentrata nella posizione contrattuale della sicché la censura non può che essere disattesa.
Per quanto concerne invece il primo e il secondo motivo di impugnazione, stante la loro stretta connessione possono essere esaminati congiuntamente.
Riguardo all’individuazione del termine di decorrenza di efficacia del contratto, genericamente individuata al relativo art. 3 nel “completamento dell’iter burocratico di rilascio delle autorizzazione di legge presso gli enti competenti”, concordemente rimesso dai contraenti alla “competenza e cura esclusiva della società affittuaria”, si osserva che effettivamente in data 20 maggio 1999 il Comune di aveva già concesso la propria “autorizzazione alla prosecuzione di attività estrattive”;
inoltre va altresì evidenziato che tale autorizzazione conteneva un espresso riferimento sia Part Part Part Part al c.d. “vincolo idrogeologico”, sia ad una precedente convenzione stipulata in data 6 maggio 1999 tra il Comune e la ai sensi dell’art. 16 legge regionale n. 27/1993, concernente la vigilanza della Regione sull’applicazione delle norme di polizia sulle cave e le torbiere e su quelle concernenti l’igiene e la sicurezza del lavoro, la cui efficacia non è stata revocata in dubbio.
Pertanto va condivisa la valutazione del Tribunale, secondo cui le successive autorizzazioni rilasciate dalla Provincia di Latina costituirono dei semplici rinnovi delle precedenti autorizzazioni, giustificati dalla scadenza di quelle precedenti.
Inoltre, all’esito della lettura dell’intero testo contrattuale e di una interpretazione complessiva delle relative clausole, va altresì sottolineato le parti avevano espressamente convenuto che gli effetti del contratto sarebbero decorsi dal completamento dell’“iter burocratico”, e non dal momento in cui fosse stata effettivamente iniziata l’attività estrattiva da parte della , la quale, invece, per espressa previsione contrattuale, sarebbe potuta cominciare solo allorché fossero stati effettuati, nel contraddittorio delle parti, “gli opportuni rilievi e profili verticali e sezioni, al fine di determinare lo stato attuale di consegna della zona medesima”. In relazione a quest’ultimo profilo, si rileva che l’iniziale disaccordo verificatosi tra la e l , in occasione del quale venne anche accertata l’esistenza di alcune servitù di passaggio in favore di privati sui terreni oggetto di affitto e che determinò anche l’instaurazione di altra controversia dinanzi al Tribunale di Latina, venne espressamente composto con apposito atto di transazione del 3 ottobre 2002, con il quale le parti, facendo salvo quanto già pattuito in precedenza (“fermo restando le condizioni contrattuali”), convennero non solo “lo spostamento delle servitù” a servizio di uliveti limitrofi alla cava (servitù che, peraltro, non risulta impedissero in via assoluta l’esecuzione del contratto, tanto che , nell’informare con nota del 13/2/2001 la Regione Lazio della necessità di spostarne il tracciato, dichiarò espressamente che ciò era solo “al fine di effettuare una razionale coltivazione” delle aree oggetto di cava), ma anche una presumibile quantificazione del materiale annualmente scavato in metri cubi 120.000 e, al contempo, il versamento da parte dell’ della aggiunta a quanto già previsto in contratto- di una somma da conguagliarsi con gli importi del secondo e del terzo canone di affitto. Ne consegue che, come già rilevato dal giudicante di prime cure, detta transazione, confronti dell’ in vista di un eventuale risarcimento dei danni asseritamente sofferti per il ritardato inizio dello sfruttamento della cava, non stabilì mai una modifica del termine di efficacia dell’originario contratto di affitto, modifica che, peraltro, a differenza di quanto sostenuto dalle odierne appellanti, non può essere neanche indirettamente desunta dal semplice accordo intervenuto sulla dilazione del versamento del deposito cauzionale, sempre liberamente negoziabile dalle parti; in ogni caso, poi, tale dilazione non risulta neanche in contrasto con le ulteriori pattuizioni del contratto di affitto, che non solo non avevano attribuito alle società locatrici la possibilità di esercitare la disdetta ma, al contempo, avevano espressamente stabilito che il rapporto avrebbe dovuto ritenersi automaticamente rinnovato ove le affittuarie avessero tempestivamente esercitato il diritto di proroga espressamente convenuto in loro favore.
Ne consegue che anche il primo ed il secondo motivo di censura debbono essere disattesi sicché l’appello, totalmente infondato, non può che essere rigettato.
Le spese del grado di appello seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.
Trattandosi di causa iscritta a ruolo successivamente al 31-1-2013, occorre dare atto che sussistono i presupposti di cui all’art. 13, comma 1 quater del d.P.R. n. 115/2002, come introdotto dall’art. 1, comma 17, L. n. 228/2012, per il versamento, da parte delle appellanti, in solido tra loro, dell’ulteriore importo indicato nella citata disposizione a titolo di contributo unificato.
La Corte rigetta l’appello proposto dalla e dalla RAGIONE_SOCIALE
nei confronti della e della avverso la sentenza del Tribunale di Latina n. 872/2019, che conferma; condanna la e la RAGIONE_SOCIALE in solido tra loro, a rifondere le spese del grado di appello in favore della e della in solido tra loro, che vengono liquidate in Euro 9.991,00 per compensi professionali e in Euro 150,00 per esborsi, oltre accessori come per legge;
dà atto della sussistenza dei presupposti di cui all’art. 13, comma 1 quater del d.P.R. parte delle appellanti, in solido tra loro, dell’ulteriore importo indicato nella citata disposizione a titolo di contributo unificato.
Così deciso in Roma, lì 24-7-2024.
Il Consigliere est. Dott. NOME COGNOME Il Presidente Dott.ssa NOME COGNOME
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