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Codice Penale

Deprezzamento del bene in leasing traslativo

In caso di risoluzione anticipata per inadempimento di un contratto di leasing traslativo, la società concedente non ha diritto automaticamente all’intero importo pattuito. Se la somma dei canoni già versati e il valore del bene restituito superano l’importo finanziato, la clausola penale che prevede l’acquisizione di tutti i canoni è da ritenersi eccessiva e va ridotta dal giudice.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

————– CORTE DI APPELLO DI ANCONA I° SEZIONE PER LE CONTROVERSIE CIVILI Composta dai seguenti magistrati:
dr. NOME COGNOME Presidente dr.
NOME COGNOME Consigliere rel.
dr. NOME COGNOME ha pronunciato la seguente

SENTENZA N._891_2024_- N._R.G._00000228_2022 DEL_06_06_2024 PUBBLICATA_IL_07_06_2024

nella causa in grado di appello iscritta al n° 228/2022 del ruolo generale e promossa unipersonale, in persona del legale rappresentante pro tempore (c.f./p.i.) , a mezzo della mandataria in persona del legale rappresentante pro tempore (c.f./p.i.
), elettivamente domiciliata in San Ginesio, , presso lo studio dell’avv. NOME COGNOME che la rappresenta e difende come da mandato allegato all’atto di – appellante- CONTRO nato a (c.f.)
, in proprio ed in qualità di rappresentante legale della RAGIONE_SOCIALE)
, elettivamente domiciliato in Monsampolo del Tronto presso lo studio dell’avv. NOME COGNOME che lo rappresenta e difende, unitamente e disgiuntamente all’avv. NOME COGNOME come da mandato allegato alla comparsa di costituzione e risposta;
– appellato-

OGGETTO:Appello avverso la sentenza n. 999 del 28-29/7/2021 pronunciata dal Tribunale di Ancona

CONCLUSIONI

DELLE PARTI Per l’appellante:
Voglia la Corte di Appello adita, disattesa ogni contraria istanza, deduzione ed eccezione, previa valutazione positiva dell’ammissibilità del gravame:
1)- in via istruttoria, ammettere la CTU già richiesta in primo grado, se ritenuta necessaria da Codesta Ill.ma Corte ai fini dell’accoglimento della domanda, per le ragioni esplicate nella parte motiva del presente atto;
2)- nel merito, in via principale riformare integralmente la sentenza n. 999/2021 pronunciata dal Tribunale di Ancona, nella persona del G.I. Dott. COGNOME nel giudizio distinto a R.G. con il n. 8292/2016, e, per l’effetto, confermare il Decreto Ingiuntivo n. 823/2016 del Tribunale di Ancona;
3)- nel merito, in via subordinata, in riforma dell’impugnata sentenza, sostituire il predetto decreto con sentenza di condanna degli appellati alla somma che sarà ritenuta di giustizia;
– condannare, in ogni caso, la controparte alla rifusione delle spese di lite di ogni fase e grado del giudizio.

Per l’appellato:
Piaccia all’Ecc.ma Corte territoriale adita, contrariis reiectis, in via preliminare, ritenere inammissibile l’atto di citazione in appello notificato da come generalizzata e rappresentata in atti, al signor in proprio e nella spiegata qualità, alla il 1° marzo 2022 , nel domicilio eletto, presso il suo procuratore costituito, per difetto di legittimazione attiva conseguente alla mancata allegazione della prova della titolarità del credito oggetto del giudizio;
in via preliminare, incidentale, dichiarare la inammissibilità della impugnazione per inefficacia del decreto ingiuntivo opposto, numero 823/2016 del Tribunale di Ancona, conseguente alla illegittimità della notifica dello stesso, agli attuali appellati, fuori dal termine perentorio ex art 644 c.p.c.;Nel merito, respingere l’appello in atti con la conferma della sentenza n. 999/2021 del Tribunale di Ancona, nella persona del dott. NOME COGNOME pubblicata il 29/07/2021, R.G. n. 8292/2016, con vittoria di spese, competenze ed onorari di entrambi i gradi del giudizio.

RAGIONI IN FATTO E DIRITTO DELLA DECISIONE

Con la sentenza in epigrafe il Tribunale di Ancona in accoglimento dell’opposizione proposta da , in proprio quale fideiussore e nella qualità di legale rappresentante della Società ha revocato il DI n. 823/2016 emesso dei loro confronti ed in favore della (cui è succeduta in corso di causa quale società incorporante per fusione) per il pagamento della complessiva somma di € 10.335,92 a titolo di rate scadute al momento della risoluzione del contratto di leasing n. concluso tra le parti in data 24/3/2009, oltre interessi di mora, ed ha dichiarato cessata la materia del contendere in relazione alla domanda di restituzione del bene concesso in leasing. qualificato il contratto dedotto in giudizio come leasing traslativo immobiliare ed ha ritenuto non applicabile ratione temporis la legge n.124/2017, riconducendo pertanto la fattispecie nel novero della disciplina di cui all’art. 1526 c.c.;
ha ritenuto che la società concedente non aveva offerto alcuna prova del deprezzamento del bene concesso in leasing, rilevando che lo stesso era stato ritirato con un oltre un anno di ritardo rispetto a quando era stato messo a disposizione dall’utilizzatrice;
ha ritenuto di non utilizzabili le stime COGNOME per valutare il valore dell’immobile concesso in leasing e non provato il valore iniziale dello stesso, così come l’entità dei canoni effettivamente versati;

“nella totale incertezza” ha pertanto ritenuto di accogliere la domanda di riduzione della penale constatando che “quanto pagato corrisponde sicuramente al godimento avuto del bene restituito”.
unipersonale, quale cessionaria del credito azionato in giudizio, ha proposto appello, articolando i seguenti motivi:

1) erroneità del capo di sentenza che ha qualificato il contratto come leasing traslativo ed ha ritenuto non applicabile al caso di specie la legge n. 127/2017;

2) erroneità dell’intero iter argomentativo della decisione in quanto basato sull’errato presupposto che l’ingiunzione avrebbe avuto ad oggetto le rate a scadere successive all’avvenuta risoluzione del contratto;

3) erronea interpretazione ed applicazione dell’art. 1526 c.c. ed erronea applicazione dell’art. 2697 c.c. circa la sussistenza dei presupposti per la riduzione della penale.

Ha quindi concluso come in epigrafe.
, in proprio e nella qualità, ha resistito al gravame, eccependo in via preliminare il difetto di legittimazione ad agire di e proponendo in via incidentale reclamo in relazione all’omessa decisione da parte del Tribunale dell’eccezione di inefficacia del DI opposto.

Ha quindi concluso come in epigrafe.

In via preliminare deve essere rigettata l’eccezione di difetto di legittimazione ‘appellante società assume di essere succeduta a (a sua volta pacificamente succeduta a nella titolarità del rapporto di leasing azionato in via monitoria, sicché era suo onere fornire la prova di detta titolarità in quanto “elemento costitutivo della domanda” da essa fatta valere in questa sede (cfr. Cass. sent. SU n. 2951 del 16/02/2016; n. 4116 del 02/03/2016).

Anche di recente la Suprema Corte (cfr. ord. n. 24798 del 05/11/2020) ha infatti ribadito che “La parte che agisca affermandosi successore a titolo particolare del creditore originario, in virtù di un’operazione di cessione in blocco secondo la speciale disciplina di cui all’art. 58 del d.lgs. n. 385 del 1993, ha anche l’onere di dimostrare l’inclusione del credito medesimo in detta operazione, in tal modo fornendo la prova documentale della propria legittimazione sostanziale, salvo che il resistente non l’abbia esplicitamente o implicitamente riconosciuta”. Le conclusioni raggiunte appaiono confermate anche dalla ordinanza della Suprema Corte n.15884 del 13/06/2019, invocata dall’appellante, nella misura in cui statuisce che “in tema di cessione in blocco di crediti da parte di una banca, ai sensi del d.lgs. n. 385 del 1998, art. 58, è sufficiente a dimostrare la titolarità del credito in capo al cessionario la produzione dell’avviso di pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale recante l’indicazione per categorie dei rapporti ceduti in blocco, senza che occorra una specifica enumerazione di ciascuno di essi allorché gli elementi comuni presi in considerazione per la formazione delle singole categorie consentano di individuare senza incertezze i rapporti oggetto della cessione”. La Cassazione, infatti, ribadisce l’onere probatorio posto a carico della cessionaria del credito, affermando che lo stesso può ritenersi soddisfatto allorché l’avviso di pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale contenga elementi che consenta di individuare senza incertezze i rapporti oggetto di cessione.

La questione impone, quindi, di verificare se l’avviso di cessione depositato agli atti dall’appellante contenga elementi sufficienti per ricomprendere nell’oggetto della cessione i rapporti giuridici dedotti in giudizio.

copia della GU n. 52 del 4/5/2017, parte seconda (sub doc.1 nel fascicolo dell’appellante) risulta la pubblicazione dell’avviso di cessione di crediti, pro soluto e in blocco, ai sensi del combinato disposto dell’articolo 4 della Legge 30 aprile 1999, n. 130, come successivamente modificata ed integrata (la “Legge sulla Cartolarizzazione“) e dell’articolo 58 del D.Lgs. n. 385 del 1° settembre 1993, come successivamente modificato e integrato (il “Testo Unico Bancario”) ed informativa ai debitori ceduti sul trattamento dei dati personali, ai sensi dell’articolo 13 del D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196, come successivamente modificato e integrato (la “Legge sulla Privacy“) con il quale (la “Società”) comunicava che, con contratto di cessione concluso in data 29 aprile 2017 ai sensi degli articoli 1 e 4 della Legge sulla Cartolarizzazione (il “Contratto di Cessione”), ha acquistato pro soluto e in blocco da… “tutti i crediti per capitale, interessi (anche di mora), spese ed altri accessori derivanti da contratti di leasing risolti ovvero sciolti ex articolo 72-quater del Regio decreto 16 marzo 1942, n. 267, alla data del 31 marzo 2017 (i “Contratti Originari RAGIONE_SOCIALE“) …”. Detto avviso contiene anche l’indicazione dei crediti esclusi dalla cessione in blocco mediante richiamo a specifici criteri, la cui esistenza doveva essere necessariamente cumulativa, non ricorrenti nel caso di specie (tale ultima circostanza non è stata contestata dall’appellato).

La società appellante ha altresì prodotto copia dell’atto notarile del 27/4/2017, contenente in calce l’elenco analitico di tutti i contratti oggetto di cessione, tra i quali al n. 7 della seconda pagina compare quello oggetto del presente giudizio.

L’eccezione, pertanto, si appalesa come infondata.

Sempre in via preliminare deve essere rigettato, per carenza di interesse, l’appello incidentale proposto da parte appellata teso ad accertare l’inefficacia del DI opposto.

A riguardo questa Corte si limita infatti a sottolineare che costituisce principio di diritto assolutamente giudice dal decidere non solo sulla proposta eccezione, ma anche sulla fondatezza della pretesa creditoria già azionata in via monitoria” (cfr. Cass. n. 3908 del 29/02/2016).

Nella specie avendo il Tribunale revocato il DI opposto e implicitamente rigettato a domanda azionata, l’omessa pronuncia in punto di inefficacia del DI opposto per la violazione dell’art. 644 c.p.c. è rimasta assorbita dal rigetto nel merito della domanda monitoria.

Nel merito i motivi di appello, da esaminare congiuntamente, stante la loro intima connessione, non appaiono meritevoli di accoglimento.

Innanzitutto, questa Corte ritiene di dover confermare la qualificazione del contratto dedotto in giudizio operata dal primo giudice come leasing immobiliare traslativo.

E’ noto che prima dell’introduzione della legge n. 124/2017 il contratto di leasing, pur essendo un contratto c.d. socialmente tipico, trovava la sua disciplina attingendo a diverse norme che il codice civile prevedeva con riferimento a diversi contratti tipici, che la giurisprudenza ha indirizzato in un quadro normativo il più possibile coerente, chiaro e certo.

Detto esercizio interpretativo volto a regolare il contratto di leasing ha evidenziato la necessità di distinguere la figura del leasing finanziario da quello traslativo:

nel primo la causa del contratto e la sua disciplina si fondano sul godimento del bene (mobile o immobile) e sul corrispettivo pagamento del diritto concesso;

nel secondo invece l’accento è posto sulla remunerazione del capitale investito in vista dell’acquisto della proprietà.

Mutuando le parole della Cassazione (cfr. Cass. sent. n. 13965 23/05/2019) si ha “la figura del leasing di godimento se l’insieme dei canoni è significativamente inferiore alla remunerazione del capitale investito nell’operazione di acquisto e concessione in locazione del bene e lascia non coperta una parte rilevante di questo capitale, mentre il prezzo pattuito per l’opzione è di corrispondente livello;
ricorre, invece, la figura del leasing traslativo se l’insieme dei canoni remunera interamente il capitale impiegato e il prevedibile valore del bene alla scadenza del contratto sopravanza in modo non indifferente il prezzo di opzione Nel caso di specie dall’esame del contratto di compravendita dei beni concessi in leasing concluso dalla e un terzo in data 24/3/2009 (cfr. doc. 33 nel fascicolo dell’appellante) emerge che il valore dei beni immobili era pari ad € 145.000,00 oltre iva (art. 4), importo confermato nel verbale di presa in consegna sottoscritto dall’appellata società (cfr. doc. 34 nel quale viene indicato il valore di € 147.900,00 di cui € 2.900,00 per imposta di registro) e nello stesso contratto di leasing (cfr. doc. 32 dove viene riportato il valore complessivo di € 147.900,00).
Dalla lettura del contratto di leasing emerge poi che l’operazione finanziaria dedotta in giudizio aveva il valore complessivo di € 189.011,95 + iva, pari al corrispettivo che la società utilizzatrice si è impegnata a versare, mentre il prezzo pattuito per l’esercizio dell’opzione di acquisto è pari ad € 14.790,00.

E’, inoltre, la stessa appellante ad affermare che i beni concessi in leasing hanno il valore residuo di € 90.000,00.

Orbene, dal mero confronto dei valori sopra indicati emerge con certezza la sussistenza dei presupposti fattuali per ricondurre il contratto dedotto in giudizio nel novero dei contratti di leasing traslativo immobiliare.

Ciò posto, occorre ribadire le conclusioni rese dal Tribunale in termini di non applicabilità al caso di specie della legge 127/2017.

Le Sezioni Unite della Cassazione con sentenza n. 2061 del 28/1/2021, nell’assenza di una regolazione legislativa, hanno infatti statuito che la disciplina di cui all’art. 1, commi 136-140, della legge n. 124 del 2017 non ha effetti retroattivi, sicché il comma 138 si applica alla risoluzione i cui presupposti si siano verificati dopo l’entrata in vigore della legge stessa, mentre per i contratti risolti in data anteriore “resta valida la distinzione tra leasing di godimento e leasing traslativo, con conseguente applicazione analogica, a quest’ultima figura, della disciplina dell’art. 1526 c.c.” (cfr. da ultimo Cass. ord. n. 15000 del 29/5/2024). caso di specie è pacifico in quanto dedotto dalla stessa appellante che il contratto di leasing si è risolto nel luglio del 2015 (cfr. pag. 2 dell’atto di appello), e quindi in data di molto antecedente all’entrata in vigore della L. 127/2017, con conseguente applicabilità al caso di specie del disposto di cui all’art. 1526 c.c.

La citata disposizione prevede che in caso di risoluzione per inadempimento del compratore il venditore è tenuto a restituire le rate riscosse, salvo il diritto ad un equo compenso e all’eventuale risarcimento del danno.

Nel caso in esame la prima questione da affrontare è quella relativa all’accertamento dei canoni effettivamente versati, che il primo giudice ha ritenuto di non poter effettuare.

A riguardo occorre rilevare che lo ha provato documentalmente in modo puntuale di avere versato in esecuzione del contratto di cui si discute la complessiva somma di €77.618,35 producendo in giudizio gli estratti conto relativi al periodo gennaio 2009 – dicembre 2014 nei quali risultano individuabili gli addebiti a titolo di canoni stante il riferimento alla società beneficiaria Il pagamento dell’importo predetto non solo non è stato contestato in primo grado, ma risulta espressamente riconosciuto dalla odierna appellante a pag. 9 dell’atto di impugnazione. Deve in secondo luogo precisarsi che la domanda azionata in via monitoria dalla società concedente, pur non avendo ad oggetto i canoni a scadere (bensì le sole rate scadute maggiorate di interessi), imponeva comunque il potere/dovere del giudice di verificare i presupposti per l’applicazione del disposto di cui al secondo comma dell’art. 1526 c.c.

al fine di riequilibrare le prestazioni ed evitare un indebito arricchimento della concedente, avendo gli odierni appellati contestato in sede di opposizione l’eccessività della penale pattuita anche in considerazione degli importi già versati a titolo di canone.

Correttamente, pertanto, il primo giudice ha ritenuto di esaminare l’art. 21 del contratto di leasing, il pagata dal cliente per canoni periodici e qualsiasi altro titolo resterà acquisita alla concedente e la concedente ha diritto di ottenere dal cliente il pagamento in unica soluzione di tutte le somme che risultino maturate a carico dello stesso per canoni periodici spese anche legali interessi di mora premi assicurativi eccetera”.

Le Sezioni Unite con la già citata sentenza n. 2061/2021 hanno infatti precisato, ai fini di una corretta lettura del secondo comma dell’art. 1526 c.c., che “Il risarcimento del danno del concedente può, infatti, come nell’ipotesi qui in scrutinio, essere oggetto di determinazione anticipata attraverso una clausola penale ai sensi dell’art. 1382, cod. civ., e in questo senso si è dispiegata l’autonomia privata nella costruzione, in base a modelli standardizzati, del social-tipo “contratto di leasing”, come risulta dalla stessa casistica oggetto di cognizione giudiziale, anche da parte di questa Corte di legittimità.

In tale contesto, quindi, si è fatta applicazione del secondo comma dell’art. 1526, cod. civ., e del principio, già contemplato dall’art. 1384 cod. civ. (di cui la prima disposizione è un portato specifico), della riduzione equitativa, ad opera del giudice, della penale che, sebbene comunque lecita, si palesi manifestamente eccessiva, così da ricondurre l’autonomia contrattuale nei limiti in cui essa appare meritevole di tutela e riequilibrando, quindi, la posizione delle parti, avendo pur sempre riguardo all’interesse che il creditore aveva all’adempimento integrale (Cass., S.U., 13 settembre 2005, n. 18128). … Ed è attraverso lo spettro filtrante di detta disposizione che la giurisprudenza di questa Corte ha potuto selezionare quale delle clausole standardizzate dall’autonomia privata fosse o meno meritevole di tutela alla luce della “ratio” di evitare indebite locupletazioni in capo al concedente e rispondente, quindi, ad un equilibrato assetto delle posizioni delle parti contrattuali.

Pertanto, si è ritenuto manifestamente eccessiva la penale che, mantenendo in capo al concedente la proprietà del bene, gli consente di acquisire i canoni maturati fino al momento della risoluzione, ciò comportando un indebito vantaggio derivante dal cumulo della somma dei canoni e del residuo valore del bene (tra le molte, Cass., 27 settembre 2011, n. 19732, Hanno altresì ritenuto manifestamente eccessiva la clausola penale che prevede l’acquisizione dei canoni riscossi e il mantenimento della proprietà del bene (c.d. clausola di confisca) che deve essere ridotta anche d’ufficio dal giudice “nell’esercizio del potere correttivo della volontà delle parti contrattuali affidatogli dalla legge, al fine di ristabilire in via equitativa un congruo contemperamento degli interessi contrapposti (Cass., S.U., n. 18128 del 2005, citata) e, quindi, nella specie dovendo operare una valutazione comparativa tra il vantaggio che la penale inserita nel contratto di leasing traslativo assicura al contraente adempiente e il margine di guadagno che il medesimo si riprometteva legittimamente di trarre dalla regolare esecuzione del contratto (tra le altre, Cass. n. 4969 del 2007 … e Cass., 21 agosto 2018, n. 20840)”. Tali considerazioni devono essere vieppiù ribadite nel caso di specie dove la penale prevede il pagamento dell’intero importo pattuito a titolo di canoni periodici e degli interessi di mora a fronte del mantenimento della proprietà del bene, senza operare alcuna decurtazione.

Come sopra già evidenziato l’appellata società in esecuzione del contratto di leasing ha versato la complessiva somma di € 77.618,00 ed ha potuto procedere alla restituzione del bene solo in data 9/3/2017 (cfr. doc. 13 nel suo fascicolo), avendo la società concedente ritardato di oltre un anno la presa in consegna rispetto a quando le era stata messa a disposizione (circostanza questa accertata dal Tribunale e non oggetto di impugnazione neppure generica in questa sede da parte dell’appellante).

Quanto al valore dell’immobile al momento della restituzione, questa Corte non ritiene necessario disporre una CTU estimativa, attesa l’avvenuta produzione in giudizio da parte dell’appellante di copia delle Quotazioni Immobiliari dell’Osservatorio del Mercato Immobiliare relative agli immobili civili e commerciali/industriali per l’anno 2016 (cfr.
doc. nota all. 1 e 2), di cui ha invocato la stima.

Questa Corte è ben consapevole che le quotazioni OMI “non costituiscono fonte tipica di prova”, ma “nozioni di fatto che rientrano nella comune esperienza, utilizzabili dal giudice ai sensi dell’art. 115, gli appellati ragionevolmente (per le circostanze che si andranno ad esporre) contestato in rialzo le stime ivi contenute, le stesse possono essere poste a base della decisione.

Dall’esame del richiamato documento all.1 emerge un valore compreso tra 660 e 900 €/mq per gli immobili destinati a laboratori.

L’appellante assume che il valore di tutti gli immobili concessi in locazione debba essere determinato facendo riferimento allo scaglione minimo e tenendo conto di una superficie di 120 mq, con conseguente fissazione di detto valore in € 90.000,00 perché la costruzione dell’immobile risalirebbe al 1996.

Questa Corte ritiene di non condividere dette conclusioni in quanto gli immobili sono stati acquistati nel 2009 (e cioè solo otto anni prima della restituzione) al prezzo di € 145.000,00 e restituiti in buono stato di manutenzione (vedi relativo verbale) dieci anni prima della fisiologica scadenza del contratto;

la superficie da considerare non è solo quella di 120 mq relativa al locale laboratorio, ma anche quella dei due annessi garages (lettere a-, c- dell’art. 1 del contratto di compravendita) per ulteriori 28 mq (il cui valore riportato nella quotazione OMI depositata dall’appellante sub nota all. 2 è compreso tra e 530 €/mq);
gli immobili de quibus hanno una favorevole collocazione nel centro del comune (circostanza questa specificamente allegata dagli odierni appellati e non contestata).

In forza degli elementi esposti questa Corte ritiene di determinare il valore dei beni restituiti facendo riferimento ad un prezzo al metro quadro superiore al valore medio tra le misure minime e massime riportate nelle richiamate quotazioni Omi e cioè 900 euro per il laboratorio e 500 euro per i garages, per un totale di € 108.000,00 per il laboratorio e di € 14.000,00 per i garages, e così per complessivi € 122.000,00.

Sommando a tale importo quello di € 77.618,35 versato dall’appellata società si perviene alla cifra di € 199.618,35, somma questa superiore a quella pattuita quale corrispettivo del contratto di leasing.
In conformità a quanto statuito dal Tribunale deve pertanto ritenersi che le somme già versate dalla ***L’appello deve pertanto essere rigettato.

Le spese del presente grado di giudizio (non essendo stato proposto dagli appellati appello incidentale avvero il capo di sentenza che ha compensato integralmente le spese di lite) seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo in base ai valori medi indicati nelle tabelle allegate al d.m. n. 55 del 2014 per le cause del relativo scaglione di valore.

Stante la soccombenza integrale dell’appellante ricorrono i presupposti per l’applicazione dell’art. 1, comma 17 L. 228/2012.

La Corte d’Appello di Ancona, definitivamente pronunciando sull’appello proposto avverso la sentenza n. 999 del 28-29/7/2021 pronunciata dal Tribunale di Ancona, così decide nel contraddittorio delle parti:
rigetta l’appello e conferma integralmente la sentenza impugnata;
condanna l’appellante al rimborso in favore degli appellati delle spese di lite, liquidate nella misura di € 4.000,00, oltre spese forfettarie nella misura del 15%, IVA e CPA;
dichiara parte appellante tenuta pagamento di una somma pari a quella già versata a titolo di contributo unificato ex art. 1, comma 17, L. 228/2012.
Così deciso nella camera di consiglio in data 30/5/2024 Il Presidente dr.
NOME COGNOME Il Consigliere Est.
NOME
NOME COGNOME

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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