REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
CORTE D’APPELLO DI GENOVA SEZIONE LAVORO composta da:
NOME COGNOME PRESIDENTE NOME COGNOME CONSIGLIERE NOME COGNOME CONSIGLIERA REL.
all’esito di trattazione scritta in sostituzione dell’udienza del 14.11.2024 ha pronunciato la seguente
SENTENZA N._296_2024_- N._R.G._00000079_2023 DEL_21_11_2024 PUBBLICATA_IL_21_11_2024
nella causa di lavoro iscritta al n. R.G. 79 /2023 promossa da:
(C.F. ), assistito e difeso dall’AVVOCATURA DELLO STATO di GENOVA (NUMERO_DOCUMENTO) appellante (C.F. ), assistito e difeso dall’Avv.to NOME COGNOME appellato OGGETTO:
Altre controversie in materia di assistenza obbligatoria
CONCLUSIONI
per l’appellante:
come da nota per trattazione scritta.
per l’appellato:
come da nota per trattazione scritta.
RAGIONI DI FATTO
E DI DIRITTO DELLA DECISIONE
Con ricorso al Tribunale di Imperia depositato in data 08.03.2019 avendo prestato servizio in missione di pace internazionale in RAGIONE_SOCIALE.FRAGIONE_SOCIALEF. dal 17 agosto 2004 all’8 settembre 2005 quale maresciallo dei carabinieri, ha chiesto il riconoscimento dello status di soggetto equiparato a vittima del dovere con tutti i benefici connessi, riferendo di essere stato operato d’urgenza il 16.6.2011 per l’asportazione della tiroide per la presenza di carcinoma tiroideo, e di seguito di essere stato sottoposto a terapia radioiodio, e ciò a causa delle particolari condizioni ambientali ed operative altamente nocive in cui si era trovato ad operare. si è costituito in giudizio contestando il nesso eziologico fra patologia e servizio prestato ed ancor prima la sussistenza dei presupposti normativi per il riconoscimento dei benefici richiesti nonché comunque, in subordine, l’entità dell’invalidità indicata in ricorso ed a cui parametrare i benefici di legge.
Espletata CTU medica, con sentenza n. 157/2022 del 10/02/2023 il Tribunale di Imperia ha disapplicato accertato il diritto del ricorrente ad essere equiparato a vittima del dovere, con conseguente riconoscimento della speciale elargizione ex art. 5 comma 1
L 206/2004, parametrata al 36% di invalidità, oltre alla rivalutazione dal 26.8.2004;
dell’assegno vitalizio ex art 5, commi 3 e 4, Legge 206/2004 con decorrenza 16.6.2011;
dell’assegno vitalizio ex art. 2 Legge 407/1998, nell’importo elevato dall’art. 4 comma 238 Legge 350/2005, di euro 500,00 mensili oltre perequazione, con decorrenza 16.6.2011;
all’esenzione dal pagamento dei medicinali di fascia C di cui all’art. 1 L. 203/2000;
all’esenzione dal pagamento del ticket ed all’assistenza psicologica, ex art. 6 comma 2 Legge 206/2004.
Le spese di lite sono state poste a carico del ricorso depositato in data 13/03/2023 il propone appello lamentando che:
1. il Tribunale erroneamente ha ricondotto la fattispecie dedotta in causa al co. 564 dell’art 1 L.n.266/2005 e fondato il proprio convincimento su quanto statuito dalle Sezioni Unite con sentenza n. 23300/2016, nonostante i presupposti fattuali e normativi di tale pronuncia siano diversi dal caso di specie, e non sia possibile affermare l’esistenza di una presunzione assoluta del nesso causale tra il servizio reso e la patologia contratta dall’istante.
La CTU su cui si è basato il Tribunale per confermare la sussistenza del nesso causale appare lacunosa e sbrigativa, fondandosi su di un solo studio scientifico.
Neppure l’invocato richiamo di controparte dell’art 1 co.563 L. 2006/05 risulta pertinente, considerato che il Tribunale non ha qualificato il come “vittima del dovere” ma quale soggetto equiparato ex art 1 co. 564;
in ogni caso si deve escludere che la patologia patita dal sia riconducibili alla fattispecie di cui all’art. 1 co. 563 della l. 266/2005.
2.
Il Tribunale erroneamente ha riconosciuto il 36% di invalidità, essendo la CTU lacunosa, sommaria e contraddittoria, con la conseguenza che la motivazione della sentenza è solo apparente.
chiede quindi la riforma della sentenza previa rinnovazione della CTU.
resiste.
Disposto il rinnovo della CTU, la causa è stata discussa mediante trattazione scritta in sostituzione dell’udienza del 14.11.2024 e decisa alla camera di consiglio del 19.11.2024 sulla base dei seguenti motivi.
Ω Ω E’ pacifico e documentale che l’appellato ha prestato servizio in qualità di Maresciallo dei Carabinieri nel contesto di una missione internazionale di pace in Kosovo dal 17 agosto 2004 all’8 marzo 2005 e che nel 2011 è risultato affetto da“carcinoma papillare del lobo destro della tiroide con presenza di metastasi nei linfonodi” (cfr. verbale CMO La Spezia 27.3.2013 e 27.5.2014, docc. 3 e 5 fascicolo di primo grado di parte ricorrente).
Come evidenziato dal Tribunale, dalla documentazione in atti emerge che l’appellato nel suddetto periodo (17.8.2004/8.3.2005) ha lavorato presso la base di Prizren – a sud del Kosovo ed al confine con l’Albania, notoriamente zona di conflitto e teatro di operazioni militari durante la guerra del Kosovo – con “incarichi prettamente operativi” (doc. 9 fascicolo di primo grado di parte ricorrente), effettuando “perlustrazioni e ricognizioni, attività di ordine pubblico e scorte”, con “orari d’impiego superiori a quelli che normalmente vengono effettuati in Patria”: il rapporto informativo dell’Unità Specializzata Internazionale in cui il ha lavorato attesta che non è possibile “escludere che durante l’espletamento dei servizi sia stato contagiato”, avendo operato in “zone probabilmente colpite da materiale esplodente contenente uranio impoverito e/o nano particelle i materiali pesanti” (cfr. Rapporto informativo RAGIONE_SOCIALE doc. 11 fascicolo di primo grado di parte ricorrente).
La missione si è protratta per quasi sette mesi e tra le sue finalità vi era la ricerca di armi ed esplosivi in zone oggetto di bombardamento nonché di fornire supporto umanitario alle popolazioni di villaggi colpiti da bombardamenti (cfr. dichiarazioni di personale militare e civile che ha alla missione, doc. n. 12 fascicolo di primo grado di parte ricorrente).
Correttamente il Tribunale ascrive al notorio l’impiego di munizioni ad uranio impoverito durante la guerra del Kosovo, con conseguenti contaminazioni ambientali, essendo ciò acclarato anche da apposita Commissione Parlamentare d’inchiesta – con relazione approvata l’1.3.2006 – nonché da studi dell’Istituto Superiore della Sanità, a fronte dei numerosi casi di patologie tumorali riportate dai militari impiegati in missioni di pace nelle aree interessate dai bombardamenti.
A norma dell’art. 1 comma 564 della legge 23 dicembre 2005, n. 266 “sono equiparati ai soggetti di cui al comma 563 coloro che abbiano contratto infermità permanentemente invalidanti o alle quali consegue il decesso in occasione o a seguito di missioni di qualunque natura, effettuate dentro e fuori dai confini nazionali e che siano riconosciute dipendenti da causa di servizio per le particolari condizioni ambientali od operative”.
Per giurisprudenza costante e condivisibile, l’aver operato in situazioni e luoghi che evidenzino una continuità fenomenica e cronologica con l’impiego di uranio impoverito integra “le particolari condizioni ambientali ed operative” di cui alla suddetta disposizione (cfr. ex multis, da ultimo, Cass n. 9641/2024).
In merito al nesso causale, quanto succintamente affermato dal Tribunale non equivale al riconoscimento di una presunzione assoluta del nesso eziologico tra “l’attività svolta e lo stato di salute del ma va interpretato tenuto conto di quanto emergente dalla documentazione in atti e dall’assenza di prova di estraneità della patologia rispetto alla contaminazione.
Corte ha già avuto modo di evidenziare che una particolare normativa dedicata ai militari ha introdotto nell’ordinamento una “presunzione relativa”, con l’evidente scopo di garantire una speciale tutela per i militari che siano stati chiamati dallo Stato Italiano ad operare in “teatri operativi esteri”, contaminati dall’uso di armi che hanno costretto gli stessi militari ad esporsi a sostanze assai pericolose, quali l’uranio impoverito, e che sono stati successivamente colpiti da gravi forme di patologia tumorale” (cfr. ex multis, Corte Appello Genova sent. n. 43/2023).
Come chiarito anche dalla Corte Suprema di Cassazione “la domanda volta all’accertamento dello “status” di soggetto equiparato alle vittime del dovere, ai sensi dell’art. 1, comma 564, della l. n. 266 del 2005, è ancorata a presupposti costitutivi diversi rispetto a quelli richiesti per l’accertamento della causa di servizio (che richiede l’accertamento del nesso di causalità tra esposizione ambientale e malattia), che sono, invece, rappresentati dall’aver contratto l’infermità in particolari condizioni ambientali od operative, a seguito dell’esposizione ad un rischio eccedente quello che caratterizza le ordinarie modalità di svolgimento dei compiti di istituto: vi è, conseguenzialmente, nella specie, una presunzione della sussistenza del nesso eziologico, quando viene accertata l’esposizione all’uranio impoverito (Cass. n. 28696/20, cfr. Cass. n. 32464/21, in motivazione, v. anche Cass. n. 7409/23, secondo cui, l’esposizione a fattori di rischio, in particolari condizioni ambientali e operative, fa presumere il nesso di causalità ed incombe sull’Amministrazione di provare l’estraneità alla contaminazione, cioè, il percorso eziologico alternativo della patologia denunciata).
Secondo la Suprema Corte la prova del nesso causale non sarebbe quindi necessaria “in ragione della norma speciale dell’art. 603 del d.lgs. n. 66/10 e norme collegate (che disciplinano la corresponsione degli indennizzi al personale militare che abbia contratto patologie tumorali per le particolari te esistente e tale presunzione era necessaria e sufficiente a fronte condizioni ambientali od operative e al personale impiegato nei poligoni di tiro e nei siti dove vengono stoccati munizionamenti, nonché al personale civile italiano nei teatri operativi all’estero e nelle zone adiacenti alle basi militari sul territorio nazionale, che abbia contratto le stesse infermità o patologie tumorali connesse alle medesime condizioni ambientali) – stante la autonoma rilevanza per l’ottenimento dello status e relativi benefici della partecipazione del militare, poi ammalatosi, a missioni in teatri operativi esteri, senza che l’Amministrazione avesse dedotto e provato nulla in contrario” (cfr. da ultimo Cass. e 9641/2024).
In ogni caso, nella fattispecie il nesso causale tra l’attività svolta dal e la patologia tumorale dallo stesso contratta risulta riconosciuto da entrambe le CTU svolte, rispettivamente, dal Tribunale e nel presente giudizio di gravame, sia pure su base probabilistica (cfr. relazione del CTU dott. , che cita a supporto delle sue conclusioni la pubblicazione “Incidenza di tumori maligni (1996-2012) in giovani militari italiani inviati in missione all’estero.
Analisi preliminare dei dati della Commissione Parlamentare di inchiesta su uranio impoverito e vaccini” in relazione alla specifica incidenza del cancro alla tiroide;
cfr. relazione della CTU dott.ssa che cita esiti della Commissione Parlamentare d’Inchiesta – NOME COGNOME,2008, relazione Costa, 2013, relazione , 2016, 2017, 2018 ecc..).
primo motivo di appello è pertanto infondato.
Con il secondo motivo di appello il contesta la quantificazione dell’IC al 36% operata dal Tribunale in adesione alle conclusioni cui è pervenuto il CTU, non essendo stato motivato l’iter logico seguito per pervenire a siffatta valutazione, ritenuta eccessiva a fronte di patologia in “remissione clinica”.
Il motivo è fondato e merita accoglimento per quanto di ragione.
Il CTU nominato in sede di gravame, tenuto conto di quanto previsto dall’art. 4 co. 1 lettera D del D.P.R. 181/2009, ha offerto le seguenti conclusioni:
“Per quanto concerne la valutazione dell’invalidità permanente, premesso che l’intervento di tiroidectomia subito dal P. risale al 2011, 13 anni fa, in armonia con quanto indicato dal DPR sopra ricordato, le tabelle più favorevoli sono quelle allegate al DM 05/02/1992 e la voce di riferimento è la 9322 “Neoplasie a prognosi favorevole con modesta compromissione funzionale”, 11%;
In merito alla quantificazione del danno biologico il codice di riferimento ai sensi del DL n. 38, dall’ 4 comma 1 lettera D del D.P.R. 181/2009 2000 è il 119:
“Esiti di tiroidectomia, parziale o totale a seconda dell’efficacia del trattamento sostitutivo farmacologico con manifestazioni cliniche conseguenti a disturbi funzionali marcati” fino al 22%;
nel caso in esame, tenuto conto che ad oggi non vi sono segni di ripresa di malattia, che il trattamento sostitutivo è dal P. ben tollerato ed è efficace, la valutazione tabellare deve essere rimodulata, e percentualmente ridotta, trattandosi di patologia in remissione clinica, quantificabile nella misura dell’12%.
In merito al danno morale patito dal Sig. e cioè:
“…il pregiudizio non patrimoniale costituito dalla sofferenza soggettiva dal fatto lesivo in sé considerato”, è innegabile che la gravità della patologia riscontrata il successivo intervento di tiroidectomia, la terapia sostitutiva e i controlli annuali, abbiano causato una “sofferenza” quantificabile nella misura del 6%.
Pertanto, in base alla formula indicata all’art, 4 comma d del DPR 181/2009:
IC= DB+DM+ (IPDB) avremo IC = 12 + 6 + (12-11) = 19%.
” Tenuto conto dei rilievi critici svolti dai consulenti di parte, ed in specie dal CTP dell’appellato, le conclusioni del CTU risultano solo parzialmente condivisibili.
In relazione alla stima dell’invalidità permanente, l’individuazione della voce di riferimento è calzante, considerata la puntuale descrizione dei postumi, e quindi necessariamente più favorevole, apparendo incongrue le alternative prospettate dal CTP dell’appellato.
Condivisibili appaiono pertanto le repliche del CTU per giustificare la scelta delle tabelle:
«La legge indica di utilizzare le tabelle più favorevoli al P. che però in qualche modo riconducano, anche solo per analogia, alla patologia in esame;
nel caso specifico abbiamo l’asportazione totale della tiroide per patologia neoplastica avvenuta circa 13 anni fa, senza ad oggi ripresa di malattia, quindi non una lesione buccale ma soprattutto una patologia che, neppure nelle fasi iniziali, ha prodotto disturbi “della masticazione, della deglutizione o della parola” quindi direi che anche nella migliore predisposizione nei confronti del P. tale voce, neppure per analogia, possa essere utilizzata, neanche in previsione di un ipotetico infausto futuro, ragionevolmente non ipotizzabile, poiché il tempo trascorso dall’intervento porta a presupporre che si tratti ormai di patologia “cronica” o comunque ben controllata dalle strategie terapeutiche messe in atto». Deve ritenersi ugualmente condivisibile la stima del danno morale, che tiene adeguato conto delle sofferenze connesse all’intervento di tiroidectomia ed alla terapia sostitutiva subiti dall’appellato, nonché dei controlli annuali cui si deve sottoporre.
A diversa conclusione deve pervenirsi in merito alla valutazione del danno biologico, che nell’ambito di un range “sino al 22%”, il CTU stima al 12% unicamente per il fatto che la patologia è in “remissione clinica”.
Deve tuttavia osservarsi che il con il primo verbale e la sua integrazione del maggio 2014, si è pronunciato ai sensi dell’art. 5 del D.P.R. nr., 243/06, indicando il danno biologico nel 19%, offrendo una descrizione del quadro clinico sostanzialmente sovrapponibile a quella evidenziata dalla CTU.
Assegnando quale danno biologico lo stesso punteggio riconosciuto dall’Amministrazione resistente si perviene ad un IC del 25%, secondo la formula IC = DB 19% + DM 6% + (IP 11% – DB 19%) = 25%.
L’appello va pertanto parzialmente accolto come da dispositivo.
In merito alle spese di lite, in caso di riforma – anche parziale – della sentenza di primo grado da parte del giudice di appello, anche la statuizione relativa alle spese contenuta nella prima decisione viene ad essere travolta dalla sentenza di secondo grado ed il giudice di appello ha il potere-dovere di rinnovare totalmente la regolamentazione di tali spese, provvedendo con un apprezzamento unitario in base all’esito finale della lite.
senza che rilevi che in qualche grado o fase del giudizio la parte poi definitivamente soccombente abbia conseguito un esito ad essa favorevole (cfr. ex multis Cass. 13 marzo 2013, n. 6369; id, 29 settembre 2011, n. 19880; 23 luglio 2010, n. 17351; 9 marzo 2004, n. 4778).
Nel caso di specie va dichiarata la prevalente soccombenza dell’appellante, con la conseguenza che le spese di lite vanno poste a carico del Le spese di entrambe le consulenze tecniche d’ufficio, liquidate con separati decreti, vanno poste in via definitiva a carico di parte appellante.
Visto l’art. 127 ter c.p.c. in parziale accoglimento dell’appello ridetermina la percentuale di invalidità complessiva nella misura del 25% con conseguente rideterminazione della speciale elargizione.
Condanna parte appellante al pagamento in favore della parte appellata delle spese di lite del doppio grado, che liquida in € 6.900,00, oltre 15 % per spese generali, i.v.a. qualora dovuta e c.p.a. come per legge per il primo grado ed in € 6.900,00 oltre 15 % per spese generali, i.v.a. qualora dovuta e c.p.a. per il presente grado del giudizio, e distrae in favore del procuratore antistatario.
Pone le spese di CTU di entrambi i gradi di giudizio a carico di parte appellante.
Così deciso nella camera di consiglio del 19.11.2024.
La Consigliera est. La Presidente NOME COGNOME NOME COGNOME
La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di
Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.
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