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Codice Civile
Codice Penale

Dichiarazione dell’alienante estremi del titolo urbanistico

Atto negoziale, dichiarazione dell’alienante degli estremi del titolo urbanistico, reale e riferibile all’immobile, il contratto valido a prescindere dal profilo della conformità.

Pubblicato il 13 June 2021 in Diritto Immobiliare, Giurisprudenza Civile

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE DI APPELLO DI PALERMO
SECONDA SEZIONE CIVILE

composta dai sigg.ri Magistrati

riunita in camera di consiglio ha pronunciato la seguente

SENTENZA n. 937/2021 pubblcata il 10/06/2021

nella causa iscritta al n. dell’anno 2018 del Ruolo Generale degli Affari civili contenziosi vertente

TRA

XXX (C.F.),

YYY (C.F.),

parte appellante

CONTRO

ZZZ (C.F.)

Corte di Appello di Palermo

KKK (C.F.)

parte appellata

CONCLUSIONI DELLE PARTI

All’udienza del 11/12/2020 le parti concludevano ribadendo le conclusioni precisate nei rispettivi atti introduttivi.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza del 21.5.2018, il Tribunale di Termini Imerese, definitivamente pronunciando, dichiarava la nullità del contratto di compravendita stipulato tra ZZZ e KKK (acquirenti) e XXX e YYY (venditori) l’11.8.2010; condannava i predetti XXX e YYY al pagamento in favore dell’attrice della somma di € 125.000,00, oltre interessi legali dal pagamento al soddisfo, e dell’ulteriore somma di € 1.048,56, oltre interessi legali dalla sentenza al soddisfo; condannava parte convenuta al pagamento delle spese di lite e poneva definitivamente a suo carico quelle della c.t.u.

Avverso la sentenza proponevano appello XXX e YYY.

ZZZ e KKK resistevano al gravame.

Disposta la trattazione scritta, il giorno 11.12.2020 le parti depositavano note conclusive scritte e la causa veniva posta in decisione, con l’assegnazione dei termini ex art. 190 c.p.c.

MOTIVI DELLA DECISIONE

In primo grado, ZZZ e KKK convenivano in giudizio XXX e YYY esponendo di avere acquistato dai convenuti, con atto di compravendita dell’11.8.2010, un immobile che era risultato difforme dai provvedimenti autorizzativi.

Assumevano che i venditori, in seno all’atto pubblico, avevano attestato la conformità urbanistica dell’edificio e che, tuttavia, in occasione di successivi accertamenti, era stata riscontrata la difformità.

Domandavano, quindi, che fosse dichiarata la nullità del contratto e condannata la controparte alla restituzione del prezzo di acquisto e al risarcimento del danno.

I convenuti si costituivano, negando ogni addebito di responsabilità e deducendo che gli attori erano perfettamente consapevoli dello stato e della consistenza dell’immobile acquistato.

Il Tribunale, ritenuto che la circostanza dichiarata nell’atto notarile, relativa alla regolarità urbanistica dell’immobile oggetto di trasferimento, risultava smentita dai documenti prodotti e dall’istruttoria espletata, accoglieva la domanda.

In particolare, evidenziava che secondo il c.t.u., alla data del 6.12.2013, di deposito dell’atto di citazione, e come successivamente comprovato dall’ordinanza di demolizione n. del 25.6.14, nel bene comune non censibile, vano scala, in catasto al foglio, p.lla, sub 1, erano presenti talune difformità dalle CC.EE nn..

Con il primo motivo, gli appellanti deducono che l’appartamento venduto era perfettamente conforme alla planimetria allegata al rogito e costruito in conformità al progetto; cosicché la nullità dichiarata in realtà non sussisteva.

Le irregolarità relative alla chiusura del pozzo di luce del vano scala condominiale e della veranda prospiciente la via *** sarebbero, invero, insussistenti perché prive di incidenza sulla planimetria dell’appartamento. A nulla rileverebbero, poi, gli interventi sul corpo scala del palazzo, mentre la presunta alterazione della sagoma dell’intera costruzione non sarebbe sussistente. Infine, gli acquirenti sarebbero stati consapevoli degli interventi condominiali sul corpo scala, cosicché nessuna garanzia avrebbe potuto essere loro accordata ai sensi dell’art. 1489 c.c.

La censura è fondata.

Con l’atto di citazione in primo grado, gli attori hanno dedotto che in seno all’atto di compravendita i venditori avevano dichiarato che “il fabbricato di cui fa parte l’immobile venduto è stato costruito in conformità dei seguenti provvedimenti autorizzativi: concessione edilizia n. rilasciata il 13.12.1997, successiva concessione edilizia in variante n. 7 del 18.6.1999 e concessione edilizia n. 20 rilasciata il 30 agosto 2007, con cui erano state autorizzate la divisione della maggiore unità immobiliare e la chiusura delle verande con strutture precarie; che l’edificio era stato dichiarato abitabile con autorizzazione del 4.3.2010; che, però, il fabbricato non era conforme a detti provvedimenti atteso che la concessione edilizia era stata rilasciata a condizione che il pozzo luce rimanesse aperto e che si era appreso che nella veranda posta sul lato che dà sulla via doveva essere realizzato un muretto di 0,90 cm. di altezza, sporgente sulla torre del vano scala; che, invece, nell’immobile, il pozzo di luce risultava non a cielo aperto, ed erano state collocate delle finestre e un portone centrale, modificando così la sagoma dell’edificio; che nelle verande, poi, contrariamente al progetto, non erano stati realizzati i muretti secondo quanto indicato nella concessione, bensì un muro che le aveva del tutto isolate dall’esterno.

Secondo il più recente orientamento giurisprudenziale, la nullità comminata dall’’art. 46 del d.P.R. n. 380 del 2001 e dagli artt. 17 e 40 della l. n. 47 del 1985 va ricondotta nell’ambito del comma 3 dell’art. 1418 c.c., di cui costituisce una specifica declinazione, e deve qualificarsi come nullità “testuale”.

Con tale espressione deve intendersi, in stretta adesione al dato normativo, un’unica fattispecie di nullità che colpisce gli atti tra vivi a effetti reali elencati nelle norme che la prevedono, volta a sanzionare la mancata inclusione in detti atti degli estremi del titolo abilitativo dell’immobile, titolo che, tuttavia, deve esistere realmente e deve esser riferibile, proprio, a quell’immobile. Ne consegue che, in presenza nell’atto negoziale, della dichiarazione dell’alienante degli estremi del titolo urbanistico, reale e riferibile all’immobile, il contratto è valido a prescindere dal profilo della conformità o difformità della costruzione realizzata al titolo menzionato. (Cass. Sez. Unite, Sentenza n. 8230 del 22/03/2019).

La domanda di declaratoria di nullità proposta dagli attori in primo grado, pertanto, va rigettata.

Deve, poi, rilevarsi l’inammissibilità della domanda di restituzione del prezzo di acquisto dell’immobile “anche ai sensi dell’art. 1489 c.c.”, proposta dagli appellati in primo grado e riproposta in appello solo in sede di precisazione delle conclusioni, che quindi non può né deve essere esaminata.

Con la comparsa di costituzione in questo grado, infatti, i predetti appellati hanno concluso chiedendo il rigetto dell’appello e la conferma integrale della sentenza del Tribunale; cosicché ogni ulteriore domanda deve presumersi rinunciata.

Invero, costituisce orientamento pacifico che l’appellato che abbia ottenuto l’accoglimento della sua domanda principale nel giudizio di primo grado è tenuto, per non incorrere nella presunzione di rinuncia di cui all’art. 346 c.p.c., a riproporre espressamente, in qualsiasi forma indicativa della volontà di sottoporre la relativa questione al giudice d’appello, purché tempestivamente (Cass. 4834/2021, S.U. 7940/2019), la domanda subordinata non esaminata dal primo giudice, non potendo quest’ultima rivivere per il solo fatto che la domanda principale sia stata respinta dal giudice dell’impugnazione. (Cass. n. 13721 del 2020).

L’esito complessivo del giudizio comporta che ZZZ e KKK, in solido, devono rifondere agli appellanti le spese dei due gradi, liquidate come in motivazione.

P.Q.M.

La Corte, definitivamente pronunciando, in riforma della sentenza del Tribunale di Termini Imerese del 21.5.2018 appellata da XXX e YYY nei confronti di ZZZ e KKK, rigetta le domande proposte dai predetti Tamburo e Calà con atto di citazione notificato il 14.4.2014.

Condanna ZZZ e KKK, in solido, a rifondere agli appellanti le spese del primo grado del giudizio, che liquida in € 3.972,00, oltre spese generali, cpa e iva come per legge, e quelle di questo grado, che liquida in € 3.308,00, oltre spese generali, cpa e iva come per legge ed € 804,00 per spese vive, oltre alle spese della c.t.u., come separatamente liquidate.

Così deciso nella camera di consiglio della II sezione civile della Corte di Appello di Palermo il 9.4.2021

Il consigliere est. Il Presidente

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