REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
CORTE DI APPELLO DI ROMA SEZIONE PRIMA CIVILE Nel collegio composto da:
NOME
NOME COGNOME Presidente Dr.
NOME COGNOME Consigliere Dr.
NOME COGNOME Consigliere rel. riunito in camera di consiglio, ha emesso la seguente
SENTENZA N._616_2025_- N._R.G._00008300_2018 DEL_29_01_2025 PUBBLICATA_IL_30_01_2025
nella causa civile in grado di appello iscritta al Ruolo generale affari contenziosi al numero 8300/2018, cui è stata riunita la causa rubricata al n. 8518/2018, e pendente TRA in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avv. NOME COGNOME giusta delega in atti appell ante nel giudizio 8300/2018 (già ), in persona del Straordinario e legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avv. NOME COGNOME giusta delega in atti appellante nel giudizio 8518/2018 (C.F. in persona del Presidente pro tempore, rappresentata e difesa P.: Appello avverso l’ordinanza emessa dal Tribunale di Roma in data 7 novembre 2018.
CONCLUSIONI
nel giudizio 8300/2018 R.G. Per “Piaccia all’adita Corte di Appello Civile di Roma, ogni contraria istanza disattesa, eccezione e deduzione, in accoglimento del presente gravame, per i motivi esposti, annullare e/o riformare parzialmente l’ordinanza emessa nella causa n. R.G. 26429/2016, il 5 novembre 2018, pubblicata e comunicata in data 7 novembre 2018 dal Tribunale Civile di Roma, Sezione Seconda, Giudice Dott.ssa NOME COGNOME siccome erronea ed ingiusta per la parte impugnata e, per l’effetto:
1) in via principale, accertato e dichiarato il parziale adempimento dell’ relativamente alla remunerazione delle prestazioni erogate nel quadriennio 2010/2013, condannare l’ , in persona del legale rappresentante pro-tempore, al pagamento, in favore della della complessiva somma di 197.681,32 Euro, pari al valore monetario dell’illegittima decurtazione tariffaria imposta nel periodo in questione, oltre interessi al saggio di cui al D.Lgs. n. 231 del 2002, dal novantesimo giorno dalla ricezione di ogni singola fattura e sino all’effettivo soddisfo, o, comunque, dalla data di messa in mora; 2) in subordine, nella denegata e non creduta ipotesi di mancato accoglimento della domanda principale, per i motivi esposti, condannare la e/o l , in persona dei legali rappresentanti pro-tempore, in via solidale od alternativa tra loro, a risarcire il danno patrimoniale patito dalla a fronte ed a seguito dell’illegittima imposizione dell’ultrattività della decurtazione tariffaria prevista dall’art. 1, comma 796, lettera o), della Legge n. 296/2006, posta in essere dalle Amministrazioni appellate per il quadriennio 2010/2013; danno quantificato in 197.681,32 Euro, oltre interessi il cui saggio, dalla proposizione della domanda, è quello di cui al D.Lgs. n. 231 del 2002;
3) in via alternativa alle domande che precedono, sempre per i motivi esposti, condannare le Amministrazioni appellate, in via alternativa o solidale tra loro, ad indennizzare la ai sensi e per gli effetti dell’art. 2041 c.c., dell’ingiustificato depauperamento patito a fronte ed a seguito dell’illegittima ultrattività della decurtazione tariffaria sulla remunerazione delle prestazioni erogate nel quadriennio 2010/2013, indennizzo da quantificarsi nella predetta somma di 197.681,32 Euro, oltre interessi il cui saggio, dalla proposizione della domanda, è quello di cui al D.Lgs. n. 231 del 2002”; Per la “Piaccia all’Ecc.ma Corte di Appello di Roma adita, ogni contraria istanza, eccezione e deduzione disattesa, previa riunione del presente procedimento con il procedimento di cui al n. R.G. 8518/2018 pendente innanzi a Codesta RAGIONE_SOCIALE Corte di Appello, per i motivi tutti esposti nella narrativa del presente atto, accertare e dichiarare l’infondatezza dell’appello proposto dalla in persona del legale rappresentante pro tempore, e, per l’effetto, rigettare le domande tutte dalla medesima proposte.
Con ogni altra conseguenza di legge la Regione Lazio:
“Voglia l’Ecc.ma Corte adita, contrariis rejectis, provvedere come segue:
1. In via preliminare:
confermare il difetto di legittimazione passiva della così come riconosciuto dall’ordinanza di prime cure;
2. Nel merito ed in via principale:
accertare e dichiarare l’infondatezza della pretesa fatta valere dalla società riformando sul punto l’ordinanza di prime cure.
Con vittoria di spese, competenze ed onorari di lite“.
CONCLUSIONI
nel giudizio 8518/2018 R.G. Per la “Piaccia all’Ecc.ma Corte di Appello di Roma adita, ogni contraria istanza, eccezione e deduzione disattesa, in annullamento e/o riforma dell’ordinanza resa inter partes, ai sensi dell’art. 702 ter cod. proc. Civ. (R.G. n. 26429/2016) dal Tribunale Ordinario di Roma, in persona del G.U. Dott.sa NOME COGNOME, pubblicata in data 7 novembre 2018 e comunicata in pari data, in accoglimento del presente appello ed in accoglimento delle domande proposte in primo grado che qui vengono reiterate, IN VIA PRELIMINARE accertare e dichiarare, per i motivi esposti in narrativa, il difetto di legittimazione passiva in capo all’ che viceversa spetta alla e, per l’effetto, rigettare le domande proposte dalla nei confronti dell’ , con ogni altra conseguenza di legge. NEL MERITO in via principale, accertare e dichiarare l’inammissibilità e/o l’infondatezza del ricorso introduttivo e delle domande ivi proposte in quanto infondate in fatto ed in diritto, per tutti i motivi sopra esposti e, per l’effetto, rigettare tutte le domande avversarie;
in via subordinata, nella denegata e non creduta ipotesi di mancato accoglimento delle domande sopra spiegate, accertata e dichiarata l’identità tra le tariffe “scontate” vigenti ai sensi della Legge Finanziaria 2007 e le nuove tariffe di cui al D-M- 8 ottobre 2012, rigettare la richiesta avente ad oggetto il pagamento delle asserite indebite decurtazioni tariffarie di cui all’anno 2013.
Con ogni altra conseguenza di legge e con vittoria di spese ed onorari di causa di entrambi i gradi di giudizio oltre al 15%, IVA e C.p.
A. come per legge”;
Per “Piaccia all’adita Corte di Appello Civile di Roma, ogni contraria istanza, eccezione, deduzione disattesa, per tutto quanto sopra esposto:
1) in via preliminare, disporre la riunione del presente gravame, proposto dall’ ed iscritto al n. R.G. 8518/2018, all’appello proposto dalla iscritto al n. R.G. 8300/2018, assegnato alla Prima Sezione civile di codesta Ecc.ma Corte di Appello di Roma, Consigliere Dott.ssa COGNOME con la prima udienza fissata per il giorno 13 dicembre 2019, affinché si dia luogo ad una trattazione congiunta, ex art. 335 c.p.c., essendo stati entrambi gli appelli presentati avverso la medesima ordinanza resa nella causa n. .G. 2629/2016 dal Tribunale Civile di Roma, Sezione Seconda, Giudice Dott.ssa toto l’appello avversario, in quanto assolutamente infondato sia in fatto che in diritto, e non provato.
Con vittoria di spese, competenze ed onorari di lite del presente grado di giudizio” Ragioni di fatto e di diritto della decisione §1. Lo svolgimento del giudizio di primo grado è in questi termini ricostruito nella impugnata pronuncia.
“Con ricorso ex art. 702 bis cpc la società – soggetto esercente attività sanitaria (ovvero prestazioni specialistiche di Laboratorio Analisi – Radioimmunologia) in regime di accreditamento istituzionale come previsto dal dlgs n. 502/1992 quindi per conto del Servizio Sanitario Nazionale – conveniva in giudizio dinanzi a questo Tribunale, la regione e l’ , esponendo:
– che le prestazioni rese erano remunerate sulla base del sistema tariffario normativamente determinato;
– che l’art. 1 della legge 27.12.2006, n. 296 (finanziaria per l’anno 2007) al comma 796 lett o), per garantire il rispetto degli obblighi comunitari e la realizzazione degli obiettivi di finanza pubblica per il triennio 2007-2009, aveva imposto alle strutture private accreditate, ai fini della remunerazione delle prestazioni rese per conto del Servizio Sanitario Nazionale, di praticare, per il triennio 2007- 2009, uno sconto pari al 20 per cento per le prestazioni di diagnostica di laboratorio e del 2 per cento per le altre prestazioni; – che la Corte Costituzionale, con sentenza n. 94 del 02.04.2009 aveva dichiarato l’infondatezza della questione di legittimità costituzionale della predetta disposizione, in considerazione del suo carattere transitorio;
– che nonostante la legge avesse circoscritto l’operatività della norma al triennio 2007-2009, il sistema aveva generato fatture mensili riportanti la voce “applicazione sconto Legge Finanziaria 2007 L. 27.12.2006 anche per gli anni 2010, 2011, 2012 e 2013;
– che pertanto la società attrice aveva subito una ingiustificata decurtazione della remunerazione per gli anni 2010-2013 pari a complessivi euro 197.681,32.
Chiedeva quindi, in via principale che il Tribunale, accertato e dichiarato il parziale adempimento dell’ relativamente alla remunerazione delle prestazioni erogate nel quadriennio 2010/2013, condannasse, in via solidale e/o alternativa, e/o la (quest’ultima quale Amministrazione che aveva imposto l’ultrattività dello sconto oltre il triennio consentito), al pagamento in favore della ricorrente della complessiva somma di 197.681,32 Euro, pari al valore monetario dell’illegittima decurtazione tariffaria imposta nel periodo in questione, oltre interessi al saggio di cui al D.Lgs. n. 231 del 2002, dal novantesimo giorno dalla ricezione di ogni singola fattura e sino all’effettivo soddisfo, o, comunque dalla data di deposito del presente ricorso ai sensi e per gli effetti dell’art. 1284 c.c.. In subordine chiedeva la condanna della e/o l’ , in via solidale od alternativa dalle amministrazioni resistenti per il quadriennio 2010/2013;
danno quantificato in 197.681,32 Euro, oltre interessi il cui saggio, dalla proposizione della domanda, era quello di cui al D.Lgs. n. 231 del 2002, giusta applicazione del novellato art. 1284 c.c..
In via alternativa chiedeva infine la condanna delle resistenti ad indennizzarla ai sensi e per gli effetti dell’art. 2041 c.c., dell’ingiustificato depauperamento patito a fronte ed a seguito dell’illegittima ultrattività della decurtazione tariffaria sulla remunerazione delle prestazioni erogate nel quadriennio 2010/2013, indennizzo da quantificarsi nella predetta somma di 197.681,32 Euro, oltre interessi ex D.Lgs. 231 del 2002.
Si costituiva …la eccependo:
– in via pregiudiziale il difetto di giurisdizione, essendo devoluta la controversia alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo ex art. 133 comma 1 lett c) CPA;
– il proprio difetto di legittimazione passiva (essendo legittimati passivi o il Commissario ad Acta per il piano di rientro nominato dai competenti Ministeri) o l’azienda sanitaria pure evocata in giudizio;
– la prescrizione parziale del presunto credito, nel caso in cui fosse accolta la domanda risarcitoria avanzata in subordine;
– l’infondatezza nel merito della domanda, atteso che lo sconto previsto dalla normativa doveva trovare applicazione oltre il triennio consentito sino al momento dell’aggiornamento del tariffario da attuarsi a livello nazionale;
– il superamento del budget annuale di spesa.
Chiedeva quindi il rigetto di tutte le domande proposte da parte ricorrente.
si costituiva, eccependo il proprio difetto di legittimazione passiva e, nel merito l’infondatezza della domanda”.
§2. Il Tribunale di Roma, con l’ordinanza emessa in data 7 novembre 2018, dopo aver rigettato l’eccezione di difetto di giurisdizione formulata dalla , ha dichiarato il difetto di legittimazione passiva della con riguardo alle domande risarcitorie e indennitarie proposte nei suoi confronti da domande che ha dunque rigettato.
Il Giudice adito, di contro, ha accolto per quanto di ragione la domanda proposta in via principale nei confronti dell’ (di seguito, , che ha condannato al pagamento in favore della ricorrente della somma di euro 120.103,81, oltre interessi al saggio legale dal 26.01.2016 sino al soddisfo, regolando infine le spese in funzione del principio della soccombenza.
Il Tribunale, quanto al ritenuto difetto di legittimazione passiva della si è pronunciato nei seguenti termini:
“deve osservarsi che non rileva, a fronte della domanda come spiegata, la titolarità del potere di stabilire, in via generale, i budget per le strutture convenzionate (facente capo alla , ma ciò che rileva è Cont che, tenuto conto del tenore letterale degli accordi di pagamento in atti (cfr doc. 9 del fascicolo di parte ricorrente), non può che essere individuato che nell’ Nel merito della pretesa creditoria azionata, il primo Giudice ha rilevato:
-che era pacifica tra le parti l’effettiva esecuzione delle prestazioni specialistiche oggetto del giudizio e l’applicazione della decurtazione tariffaria del 20% nel periodo 2010-2013, essendo in discussione solo la legittimità di tale decurtazione;
– che doveva escludersi l’ultrattività, nel triennio successivo a quello 2007-2009, dello sconto tariffario previsto dall’art. 1, comma 796 lett. o) della legge 27.12.2006, n. 296 (finanziaria per l’anno 2007), disposizione con la quale, per garantire il rispetto degli obblighi comunitari e la realizzazione degli obiettivi di finanza pubblica per il triennio 2007-2009, era stato previsto che, fatto salvo quanto previsto in materia di aggiornamento dei tariffari delle prestazioni sanitarie dall’articolo 1, comma 170, quarto periodo, della legge 30 dicembre 2004, n. 311, come modificato dalla presente lettera, a partire dalla data di entrata in vigore della presente legge le strutture private accreditate, ai fini della remunerazione delle prestazioni rese per conto del Servizio sanitario nazionale, fossero tenute a praticare uno sconto pari al 2 per cento degli importi indicati per le prestazioni specialistiche dal decreto del Ministro della Sanita’ 22 luglio 1996, pubblicato nel supplemento ordinario n. 150 alla Gazzetta Ufficiale n. 216 del 14 settembre 1996, e pari al 20 per cento degli importi indicati per le prestazioni di diagnostica di laboratorio dal medesimo decreto. ” ;
– che la Corte Costituzionale, con la sentenza n. 94/2009, aveva dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale sollevata con riferimento a tale disposizione, concordando in sostanza sull’obiettivo del legislatore di ridurre la spesa sanitaria realizzabile attraverso la fissazione di tariffe massime e uno sconto, ritenuto legittimo proprio in considerazione degli obiettivi di finanza pubblica perseguita e soprattutto in considerazione della natura transitoria e temporanea della norma stessa. Tanto premesso quanto al quadro normativo, il Tribunale ha ritenuto che lo sconto previsto dalla richiamata normativa non potesse trovare applicazione a fronte di prestazioni rese in anni successivi al 2009, atteso il chiaro tenore della norma in oggetto e tenuto conto che l’aggiornamento del tariffario a livello nazionale era stato fatto salvo dalla legge citata nel senso che potevano trovare contemporanea applicazione entrambi i meccanismi di determinazione della spesa sanitaria pubblica (e non già nel senso, prospettato dalle parti resistenti, che l’applicazione dello sconto proposito ha evidenziato: “in nessuna parte della legge si prevede che l’applicazione dello sconto perduri fino all’emissione del nuovo tariffario, peraltro intervenuto solo con dm 18 settembre 2012, mentre non determinante appare l’argomento letterale tratto dal dm 18 settembre 2012 – il quale specifica che nell’aggiornamento tariffario delle prestazioni di specialistica a “la realizzazione degli obiettivi di finanza pubblica per il triennio 2007-09”, conseguendone che le misure disposte dal legislatore con la legge finanziaria per il 2007 non possono comunque trovare applicazione oltre il triennio 2007-09” (cfr Consiglio di Stato sez. III sent. n. 439/2017; Consiglio di Stato Sez. III, sent. 6090/2012).
Il Giudice ha poi respinto la tesi, prospettata dalla , secondo la quale nei primi sette mesi dell’anno 2013 sarebbe stato applicabile il tariffario d.m. Sanità del 18.10.2012, che avrebbe assorbito lo sconto ex lege n. 296/2006, in attesa di quello regionale approvato con DCA U00313/2013 di recepimento delle tariffe nazionali.
A tale fine ha rilevato:
“risulta tuttavia dal decreto commissariale n. U00313 del 04.07.2013 – che ha a sua volta recepito il tariffario dm 18 ottobre 2012- in particolare dalle premesse e dal punto 6 che le predette tariffe come recepite “decorrono” dalla data di pubblicazione del decreto stesso ovvero dall’11.07.2013 (cfr doc. 2 allegato al fascicolo di parte resistente).
Del resto le fatture allegate da parte ricorrente per il 2013 (sino al settembre 2013) riportano l’applicazione dello sconto (cfr. doc.
1 allegato al fascicolo di parte ricorrente)”.
Il Tribunale ha affrontato le eccezioni formulate dalle parti resistenti relative all’asserito superamento del budget annuale assegnato alla struttura, osservando “che la fissazione dei tetti di spesa costituisce oggetto di un atto autoritativo di esclusiva competenza regionale e rappresenta un preciso e ineludibile obbligo dettato da insopprimibili esigenze di equilibrio finanziario e di razionalizzazione della spesa pubblica (Cons. Stato 31.1.2003 n. 499), che non lede alcun affidamento dei titolari delle strutture accreditate (Cons. Stato 26.11.2008 n. 5847), sicché le prestazioni erogate oltre il budget fissato non possono essere remunerate, né può essere riconosciuto alcun indennizzo a titolo di arricchimento senza causa, per mancanza del requisito del riconoscimento dell’utilitas da parte dell’amministrazione sanitaria”. Tale limite è stato ritenuto applicabile anche in caso di unilaterale riduzione delle tariffe dovute, “in quanto tutti gli accordi sottoscritti dalle parti prevedevano espressamente che il soggetto privato accreditato si impegnava ad assicurare le prestazioni fino a concorrenza del budget assegnato, che le prestazioni erogate oltre il tetto massimo non sarebbero state riconosciute e che, ai fini del rispetto dei tetti di spesa, trovava applicazione l’art. 8- quinquies, comma 2, lettera e-bis, del D.Lgs. n. 502/1992 e s.m.i. sulla rideterminazione delle prestazioni in caso proporzionata al tetto di spesa e alla tariffa unitaria ritenuta congrua, salvo chiedere l’esclusione da ciascuna fattura dello sconto”.
Ciò posto, premettendo che il superamento del budget doveva essere provato dalla parte che lo aveva eccepito, trattandosi di fatto impeditivo della pretesa azionata, il primo Giudice ha rilevato che, alla luce di quanto desumibile dalla documentazione prodotta dalla , i budget annuali assegnati con i decreti del Commissario ad acta e richiamati negli accordi inter partes fossero stati superati negli anni 2010/2011 e che per l’effetto, con riguardo a quelle annualità, gli importi derivanti dalla disapplicazione dello sconto dovevano ritenersi riconoscibili nei limiti dei relativi tetti di spesa. In ragione di tali considerazioni, il Tribunale ha condannato la al pagamento della somma di euro 120.103,81 in favore di maggiorata degli interessi nella misura legale e non al saggio di cui al d.lgs. n. 231/2002, avendo ritenuto che si trattasse di prestazioni rese in esecuzione di rapporti contrattuali sorti in data anteriore al 08.08.2002.
§3.
Avverso tale pronuncia ha proposto appello sulle base di quattro motivi.
Con il primo motivo ha lamentato la contraddittorietà della pronuncia, con la quale, pur essendo stata riconosciuta l’inapplicabilità dello sconto nel triennio successivo a quello 2007-2009, la condanna era stata poi limitata entro i tetti di spesa stabiliti per ciascuna annualità.
A tal fine ha addotto come la , cui avrebbe fatto carico l’onere di dimostrare il superamento dei limiti di budget, non lo avesse assolto, non apparendo allo scopo idonei i documenti prodotti ed utilizzati dal Giudice, posto che gli stessi non erano idonei a provare l’entità dei pagamenti in concreto effettuati, come richiesto dalla consolidata giurisprudenza sull’argomento.
Il Tribunale, per l’effetto, avrebbe dovuto riconoscere l’intera somma richiesta, pari all’importo non contestato delle somme trattenute a titolo di sconto, che emergevano dalle fatture prodotte.
Con il secondo motivo di gravame l’appellante ha addotto l’erroneità della pronuncia di primo grado, nella parte in cui aveva disatteso la domanda proposta ai sensi dell’art. 2041
c.c., dovendo ritenersi pacifica l’utilitas in capo all’amministrazione e, per questa via, la debenza della differenza tra la totale remunerazione prevista per le prestazioni oggetto di causa e la minor percentuale di tale importo versata in favore dell’appellante.
Con il terzo motivo ha lamentato l’erroneità della pronuncia di primo grado nella parte in all’agosto 2002, dovendo a tal fine farsi riferimento agli “accordi contrattuali” di cui al d. lgs. 502 del 1992, attuativi del provvedimento concessorio a monte, quale fonte del rapporto tra la struttura accreditata ed il Servizio Sanitario Nazionale.
Per l’effetto ha richiesto l’applicazione dei suddetti interessi moratori, a far data dal novantesimo giorno dalla data di inoltro delle singole fatture.
Con il quarto motivo di gravame l’appellante ha infine lamentato l’omessa pronuncia sulla domanda di accertamento della responsabilità extracontrattuale della convenuta, proposta in via subordinata nei confronti della , domanda per cui accoglimento ha insistito nella presente sede.
e la si sono costituite nel primo giudizio resistendo all’avverso gravame, di cui hanno chiesto il rigetto.
§4. Nelle more, con separato atto d’appello, la ha impugnato la suddetta ordinanza del Tribunale di Roma.
ha in primo luogo lamentato l’erroneità del riconoscimento della propria legittimazione passiva rispetto all’avversa pretesa creditoria, della quale era tenuta a rispondere la , come eccepito all’atto della costituzione nel giudizio di primo grado.
A tal fine ha ribadito come, ferma la competenza della nella stipulazione degli accordi contrattuali con le strutture sanitarie accreditate, l’ente incaricato del pagamento delle relative spettanze fosse di contro da individuare nella , da intendere come ente finanziatore delle , per effetto del processo di razionalizzazione e accentramento dei centri di imputazione e controllo della spesa sanitaria.
ha in ogni caso censurato nel merito la pronuncia di primo grado, adducendo;
– l’erroneità dell’impugnata ordinanza nell’interpretazione dalla stessa fornita all’art. 1, comma 796, lettera o), della legge n. 296/2006;
– l’erroneità della pronuncia con riferimento all’interpretazione della sentenza della Corte Costituzionale n. 94/2009;
– l’erroneità dell’ordinanza nella parte in cui il Giudice aveva ritenuto l’irrilevanza delle premesse di cui al D.M. 18 ottobre 2012;
– l’erroneità dell’ordinanza nella parte in cui il Tribunale aveva rigettato l’eccezione della spiegata con riferimento alla tariffa applicabile per l’anno 2013.
RAGIONE_SOCIALE si è costituita nel secondo giudizio d’appello instando per il rigetto del gravame.
si è costituita anche in tale secondo giudizio, resistendo all’avverso appello.
I due giudizi sono stati riuniti con provvedimento emesso da questa Corte in data 18 dicembre 2019.
A seguito di alcuni rinvii disposti per esigenze dell’ufficio e previa nomina di un nuovo relatore, la causa è stata infine trattenuta in decisione, con assegnazione alle parti dei termini di cui all’art. 190 c.p.c. §5. Il primo motivo dell’appello proposto dall’ la cui disamina è logicamente prioritaria ad ogni altra valutazione, è fondato.
In adesione ai principi da ultimo esposti dalla Suprema Corte in una vicenda assimilabile a quella in oggetto, la domanda azionata da nei confronti della deve essere rigettata, difettando la prova della sua legittimazione passiva.
La S.C., con la pronuncia n. 21851 resa in data 21.7.2023, si è in questi termini espressa:
“L’art. 1, comma 10, del D.L. n. 324/1993 (convertito in L. n. 423/1993) dispone che “… nei rapporti con le strutture private convenzionate, in caso di mancato pagamento delle relative spettanze, si deve considerare debitore inadempiente e soggetto passivo di azione di pignoramento per le obbligazioni sorte successivamente alla data in entrata in vigore della legge di conversione del predetto decreto, l’ente incaricato del pagamento del corrispettivo, anziché l’unita sanitaria locale territorialmente competente”. Secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte (tra le tante Cass. 17587/2018) condivisa dal Collegio e non posta in discussione dalle parti nel presente giudizio, la suddetta disciplina si applica anche dopo la riforma del sistema sanitario di cui al d.lgs. n. 502 del 1992, e successive modificazioni ed integrazioni, con riferimento alle prestazioni sanitarie autorizzate dalle unità sanitarie locali che si sono costituite in aziende sanitarie locali.
La questione di diritto controversa in causa è, invece, il raccordo tra detta norma nazionale e la legislazione, primaria e secondaria, regionale, dato che si tratta di materia in cui sussiste la potestà legislativa concorrente ex art. 117 Cost. Infatti, secondo il più recente orientamento di questa Corte al quale il Collegio intende dare continuità (cfr. in particolare Cass. 17587/2018 citata), nella materia in esame, sussistendo, per l’appunto, la potestà legislativa concorrente delle Regioni (art. 117 Cost.), il sistema sanitario nazionale istituito con la L. 833/1978 è stato attuato attraverso il D.lgs. 502/1992, che ha “regionalizzato” la sanità. Pertanto, le diversità strutturali ed il minore o maggiore accentramento delle competenze devono essere ricercati all’interno delle differenti legislazioni regionali Cont quanto ora di interesse, la L.R. Lazio n. 18 del 1994 istituì con pari soggettività giuridica e pari autonomia finanziaria (discendente dalle erogazioni della Regione) sia le che le Aziende Ospedaliere con compiti sostanzialmente sovrapponibili (v. artt. 5 e 6 L. 18/94).
L’art. 2 lett. c della medesima legge rappresenta l’anello di chiusura del sistema, in quanto demanda alla Giunta Regionale “la determinazione dei criteri di finanziamento delle aziende unità sanitarie locali e delle aziende ospedaliere, erogando alle stesse le risorse finanziarie”.
E’ stato, altresì, chiarito da questa Corte che le pronunce indicate nel controricorso e richiamate nella memoria illustrativa della controricorrente (Cass. 23067/2016, Cass. 11922/2017 e Cass. 11925/2017), sono tutte riferite alla legislazione della Regione Calabria con le quali è stata affermata la legittimazione passiva delle , ma perché detta (con la L.R.24/2008), per le prestazioni sanitarie, ha ridefinito la disciplina dell’accreditamento confermando il conferimento alle della legittimazione a stipulare gli accordi con le strutture pubbliche, demandando alle aziende sanitarie locali ogni potere di intervento diretto in materia di assistenza ed escludendo, con ciò, che potessero sorgere obbligazioni a carico della Invece, come si è visto, la con la l. r. n.18/1994 ha demandato alla Giunta Regionale l’individuazione del soggetto incaricato del pagamento delle prestazioni per cui è causa. Deve pertanto darsi continuità ai precedenti arresti (Cass. 13333/2015; Cass. 24639/2016; Cass. 26959/2016) specificamente riferiti alla legittimazione passiva della per fattispecie sovrapponibili a quella in esame (più di recente Cass. 28005/2021 in motivazione; Cass. 24758/2021; Cass. 3676/2020 in tema di sconti tariffari; anche Cass. 32505/2019, richiamata nella memoria illustrativa della controricorrente, ha escluso la legittimazione passiva dell’ In altre parole, la questione della individuazione del soggetto legittimato passivo per le obbligazioni di pagamento di prestazioni rese da soggetti convenzionati con il e autorizzate dall va risolta, per la alla luce del combinato disposto del D.L. 27 agosto 1993, n. 324, art. 1, comma 10, conv., con mod., in L. 27 ottobre 1993, n. 423, D.Lgs. n. 502 del 1992, art. 2 e L.R. n. 18 del 1994, art. 2, comma 2, lett. c), là dove la designazione operata dalla Giunta regionale con relativa delibera si sostanzia nella determinazione, da parte dell’Organo competente, di una modalità di finanziamento dell mediante l’incarico al pagamento (così Cass. 24758/2021)”. Con la suddetta pronuncia della Suprema Corte (e le altre conformi in quella sede richiamate) si è dunque ritenuto che nella Regione , per effetto delle previsioni di cui alla L.R. 18/1994, la individuazione del soggetto tenuto al pagamento del corrispettivo per le prestazioni rese da un RAGIONE_SOCIALE Cont individuato l’ente incaricato del pagamento (in questo senso, proprio con riguardo alla domanda proposta da un laboratorio di analisi accreditato con il , che agiva per ottenere il pagamento della differenza dovuta sulla base degli accordi intercorsi con la previa disapplicazione dello sconto tariffario illegittimamente applicato nel triennio 2010/2013, Cass., 13.2.2020, n. 3676; in argomento, cfr. anche Cass., 13.2.2020, n. 24758).
Contrariamente a quanto addotto da dunque, il fatto che gli accordi negoziali siano intercorsi con la che ha appunto autorizzato le prestazioni facente capo all’ente accreditato, non costituisce elemento dirimente ai fini dell’individuazione del legittimato passivo, dovendo a tal fine aversi riguardo alla designazione del soggetto pagatore contenuta nella pertinente delibera di giunta, alla luce di quanto previsto dalla richiamata legge della Regione Lazio.
Tanto premesso, non si può che prendere atto del fatto che nella fattispecie sia rimasto ignoto il soggetto in concreto individuato come ente pagatore, posto che l’attrice, cui avrebbe fatto carico il relativo onere probatorio, nulla ha anche solo allegato sul punto;
né è presente in atti alcuna delibera in tal senso della Giunta regionale.
Manca dunque la prova della designazione da parte della del soggetto incaricato del pagamento (o della stessa emissione di un provvedimento di designazione del soggetto pagatore), prova che come detto, a fronte della formulazione da parte della dell’eccezione di difetto di legittimazione passiva, avrebbe fatto carico all’attrice.
Ne consegue l’impossibilità di accoglimento della domanda proposta nei confronti dell locale.
In contrario non soccorrono le considerazioni da ultimo svolte da nell’ambito della memoria di replica depositata nel presente giudizio d’appello.
Ribadita l’irrilevanza, agli odierni effetti, del fatto che gli accordi siano intercorsi con la e che le fatture siano state emesse da nei suoi confronti, il riferimento, contenuto negli accordi contrattuali, al fatto che le prestazioni fossero “liquidabili da parte dell ”, non è idoneo a consentire di ritenere che la stessa fosse tenuta al pagamento delle somme “liquidate”, ovvero accertate come dovute, previa verifica dell’effettiva esecuzione delle relative prestazioni.
Con riguardo poi al contratto per l’anno 2013, il cui art. 3 recherebbe l’espresso impegno della a remunerare la struttura convenzionata, e dunque la sua espressa indicazione, quantomeno per tale RAGIONE_SOCIALE ContNon si può che prendere atto del fatto che sia nel fascicolo di primo grado dell’attrice prodotto in originale nel giudizio d’appello previamente incardinato, che in quello riprodotto in copia fotostatica nel giudizio riunito, l’accordo stipulato per l’anno 2013 sia stato prodotto solo per stralcio, essendo presenti solo alcune pagine del contratto (indicate come pp. “15/45, 16/45, 21/45, 22/45 e 29/45 e 30/45”)
nelle quali, come direttamente verificato da questa Corte, non è compresa la clausola di cui all’art. 3, per effetto della quale l’ sarebbe stata individuata come ente pagatore (si rimanda al doc. 9 del fascicolo di primo grado La Corte è pertanto nell’impossibilità di verificare la circostanza che, come si è detto, è stata per la prima volta allegata da in sede di memoria di replica in grado d’appello, ciò che impedisce di ritenere il fatto pacifico, e come tale non necessitante di prova, considerata appunto la sede in cui è stato allegato. Alla luce delle considerazioni che precedono, in accoglimento del primo motivo di gravame deve essere revocata la pronuncia di condanna della al pagamento delle somme pretese da A fronte dell’accoglimento del suddetto motivo dell’appello proposto dalla restano assorbiti gli ulteriori motivi di gravame formulati dall nonché il primo ed il terzo motivo dell’appello proposto da con i quali era stato richiesto, nei confronti della il riconoscimento dell’intera somma originariamente azionata (anche oltre i limiti di spesa) nonché l’applicazione degli interessi di mora di cui al d. lgs. 231/2002. Tanto premesso, residua all’esame di questa Corte la disamina del secondo e del quarto motivo dell’appello proposto da con i quali sono state come detto ribadite le domande con le quali era stata richiesta, rispettivamente, la condanna della al risarcimento dei danni per illecito extracontrattuale o il riconoscimento del dovuto indennizzo per ingiustificato arricchimento.
Tali motivi devono essere disattesi.
Iniziando dalla domanda proposta di sensi dell’art. 2041 c.c., non si ritiene sussistano ragioni per discostarsi dal costante orientamento della giurisprudenza di legittimità, secondo il quale “in tema di prestazioni erogate nell’ambito del Servizio sanitario nazionale, ove l’azienda sanitaria comunichi alla struttura accreditata il limite di spesa stabilito per la loro erogazione, manifestando implicitamente la sua contrarietà ad una Cont Cont Cont “imposto” che preclude l’esperibilità nei suoi confronti dell’azione di ingiustificato arricchimento ex art. 2041 c.c.” (in questo senso, da ultimo, Cass., ord., 24.9.2024, n. 25514).
Nel deliberare il tetto di spesa la pubblica amministrazione adempie infatti “ai suoi obblighi di legge di sana gestione delle finanze pubbliche” (giacché… “anche il sistema sanitario non può prescindere dall’esigenza di perseguire obiettivi di razionalizzazione finalizzati al raggiungimento di una situazione di equilibrio finanziario attraverso la programmazione e pianificazione autoritativa e vincolante dei limiti di spesa dei vari soggetti operanti nel sistema”…), sicché l’ , “comunicando alla struttura accreditata il limite di spesa determinato” per l’erogazione delle prestazioni sanitarie, le viene, “implicitamente ma inequivocabilmente”, a manifestare “il suo diniego di una spesa superiore, ovvero la sua volontà contraria a prestazioni ulteriori rispetto a quelle il cui corrispettivo sarebbe rientrato nel limite di spesa”; ciò che conferisce all’arricchimento – che pure, obiettivamente, l’Amministrazione consegue dalla loro esecuzione – quel carattere “imposto”, ancora rilevante (secondo l’insegnamento di Cass. Sez. Un. sent. 26 maggio 2015, n. 10798, Rv. 635369-01) ai fini dell’impossibilità di esperire l’azione ex art. 2041 cod. civ. nei confronti della PA.
Del resto, diversamente opinando, e dunque consentendo la remunerazione di una prestazione “non voluta”, si perverrebbe al risultato di ritenere che – nella materia della “tutela della salute”, nella quale la giurisprudenza costituzionale ha elevato il “contenimento della spesa pubblica sanitaria”, in quanto “espressione di un correlato principio di coordinamento della finanza pubblica”, al rango di “principio fondamentale”, rilevante ai fini e agli effetti di cui all’art. 117, comma 3, Cost. (cfr. Corte cost., sent. 23 aprile 2010, n. 141).
– “l’entità delle spese pubbliche” sia “rimessa alle scelte di strutture private, anche se accreditate:
il che è chiaramente insostenibile” (in questi termini, Cass., 6.7.2020, n. 13884; Cass., ord. 24 aprile 2019, n. 11209, Cass., n. 27608 del 2019, in motivazione).
Per tali ragioni, in conformità a quanto ritenuto dal primo Giudice, la domanda proposta ai sensi dell’art. 2041 c.c. deve essere rigettata.
Con riguardo poi alla prospettata riferibilità dell’azione proposta ai sensi dell’art. 2041 c.c. all’indebita applicazione dello sconto tariffario del 20% anche nel triennio 2010/2013, la domanda non è proponibile per difetto di sussidiarietà, stante il rigetto della domanda contrattuale proposta in via principale, in astratto esperibile dall’odierna appellante per ottenere il ristoro del pregiudizio subito e che è stata peraltro rigettata in ragione del difetto di prova del suo legittimato passivo.
Analogamente è a dirsi quanto al quarto motivo d’appello, con il quale prospetta una ’applicazione del tetto di spesa annualmente stabilito, infatti, non può certo ritenersi illecita, in quanto derivante da superiori ragioni di interesse pubblico e peraltro recepita negli accordi contrattuali intercorsi tra le parti, cui la struttura accreditata ha liberamente assentito.
Come già desumibile in ragione delle considerazioni sopra svolte con riguardo all’ineludibilità del tetto di spesa, “è infondata la domanda di pagamento delle prestazioni sanitarie eccedenti il limite di spesa formulata – a titolo di inadempimento contrattuale o di illecito extracontrattuale – dalla società accreditata nei confronti dell’ e della atteso che la mancata previsione dei criteri di remunerazione delle prestazioni c.d. “extra budget” è giustificata dalla necessità di dover comunque rispettare i tetti di spesa ed il vincolo delle risorse pubbliche disponibili e che la struttura privata accreditata non ha l’obbligo di rendere prestazioni eccedenti quelle concordate” (in questi termini, Cass., 29.10.2019, n. 27608). In relazione alla questione dello sconto tariffario, la responsabilità aquiliana per violazione di legge cui si riferisce l’odierna appellante non è ad avviso di questa Corte prospettabile per difetto di prova dell’elemento soggettivo della colpa, elemento che anzi appare da escludere a fronte dell’incertezza del quadro giurisprudenziale esistente all’epoca della stipulazione degli accordi in oggetto, avuto riguardo alle pronunce emesse in sede amministrativa ancora nel 2013 (v. ad es. la pronuncia del Tar del Lazio n. 10976/2013) e negli anni successivi, con le quali, ferma la previsione dello sconto solo per il triennio 2007-2009, si prospettava ancora la sua possibile vigenza fino all’adozione del nuovo tariffario, soluzione che pure era recepita da parte della giurisprudenza civile di merito sino a che la questione è stata definita in sede di legittimità (con la pronuncia n. 10582/2018 e le successive conformi).
Alla luce delle considerazioni che precedono, previa revoca della pronuncia di primo grado, in accoglimento dell’appello proposto da le domande proposte da devono essere integralmente rigettate.
A fronte dell’assoluta incertezza della questione relativa all’individuazione del legittimato passivo in relazione alle pretese avanzate da che come appena evidenziato era oggetto di ampio dibattito in sede giurisprudenziale, le spese di entrambi i gradi di giudizio debbono essere integralmente compensate tra tutte le parti.
La Corte d’appello di Roma, definitivamente pronunciando negli appelli riuniti di cui ai nn. Cont. accoglie l’appello proposto da e, per l’effetto, revoca la pronuncia di primo grado;
2. rigetta l’appello proposto da 3. compensa integralmente tra le parti le spese del doppio grado di giudizio.
4. accerta la debenza, da parte di di un importo pari a quello del contributo unificato dovuto per l’impugnazione.
Roma, 13.12.2024.
Il cons. est. Presidente NOME COGNOME Die go NOME COGNOME
La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di
Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.
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