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Diritto alla carta docente e risarcimento danni

Il mancato rispetto della normativa che prevede l’indizione di concorsi con cadenza triennale per l’assunzione di docenti di religione comporta il diritto al risarcimento del danno per abuso di reiterazione dei contratti a termine. Analogamente, la disparità di trattamento tra docenti di ruolo e non di ruolo in merito alla carta docente è illegittima.

Pubblicato il 09 January 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

IL TRIBUNALE DI MILANO Sezione Lavoro

In composizione monocratica, in persona del giudice del lavoro, dott.ssa NOME COGNOME ha emesso la seguente

SENTENZA_TRIBUNALE_DI_MILANO N._5168_2024_- N._R.G._00010273_2024 DEL_02_01_2025 PUBBLICATA_IL_20_11_2024

nella controversia di primo grado iscritta al n. RG 10273/2024, pendente tra rappresentata e difesa dagli avv.ti NOME COGNOME ed elettivamente domiciliata presso il suo studio in Milano, INDIRIZZO come da delega allegata al ricorso introduttivo ricorrente , in persona del Ministro pro tempore, in persona del Direttore in carica, irigente in carica, rappresentati e difesi dall’avv. NOME COGNOME, domiciliati in Milano, INDIRIZZO convenuti Oggetto: carta docente / reiterazione contratti a termine Conclusioni: Per la parte ricorrente:

nel merito:

a) accertare e dichiarare il diritto del ricorrente a usufruire del beneficio economico di € 500,00 annui mediante la “Carta elettronica per l’aggiornamento e la formazione del docente” di cui all’art. 1 commi 121 e ss. della legge 13 luglio 2015 n. 107 per gli anni scolastici 2019/20, 2020/21 e 2022/23 e dunque per un totale di € 1.500,00, anche previa eventuale disapplicazione di tutta la normativa legislativa e/o regolamentare ratione temporis applicabile ai suddetti anni scolastici che venga a limitare l’emolumento in questione ai soli insegnanti di ruolo con contratto a tempo indeterminato; b) conseguentemente, condannare i resistenti, in solido tra loro o in subordine secondo quanto di competenza, a mettere a disposizione del ricorrente la “Carta elettronica per l’aggiornamento e la formazione del docente” di cui all’art. 1 commi stessa di un importo nominale spendibile nelle forme e con le finalità di cui alla suddetta normativa, pari a € 1.500,00, ovvero la diversa somma che risulterà in corso di causa o che verrà ritenuta di giustizia e/o di equità;

solo in subordine, nel caso in cui non fosse possibile l’attribuzione della carta del docente, si chiede che i resistenti, in solido tra loro o in subordine secondo quanto di competenza, vengano condannati a corrispondere al ricorrente la somma di € 1.500,00 a titolo di risarcimento del danno per equivalente, ovvero la diversa somma che risulterà in corso di causa o che verrà ritenuta di giustizia e/o di equità;

c) accertare e dichiarare che i ha posto in essere, nei confronti del ricorrente, una abusiva reiterazione dei contratti a tempo determinato oltre il termine di 36 mesi;

d) accertare e dichiarare il diritto del ricorrente al risarcimento del danno conseguente all’abusiva reiterazione dei contratti a tempo determinato, così come individuati in atti, stipulati dal ricorrente con l’Amministrazione resistente per un periodo superiore al limite dei 36 mesi;

e) condannare i al risarcimento del danno derivante dall’abuso reiterato dei contratti a tempo determinato, così come individuati in atti, determinato in conformità dei criteri stabiliti dalla legge pro tempore vigente (art. 32, L. n. 183/2010, ora l’art. 28, D. Lgs. 15 giugno 2015, n. 81), e pertanto condannarlo a corrispondere al ricorrente un’indennità onnicomprensiva nella misura compresa tra un minimo di 2,5 e un massimo di 12 mensilità dell’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto al tallone mensile di € 2.147,12 (ovvero la diversa somma che risulterà in corso di causa o che verrà ritenuta tizia e/o di equità); in subordine, condannare i al risarcimento del danno a favore del ricorrente norme e/o criteri che verranno ritenuti applicabili, o, in ulteriore subordine, da liquidarsi in via equitativa;

f) il tutto oltre la maggior somma tra rivalutazione monetaria e interessi dal deposito del ricorso al saldo;

Per la parte convenuta:

DICHIARARE la carenza di legittimazione passiva de del merito a favore del Consiglio dei Ministri.

DICHIARARE il ricorrente decaduto dal diritto di eccepire l’illegittimità della reiterazione dei contratti a termine.

DICHIARARE la carenza di interesse ad agire per intervenuta ammissione al percorso di formazione e prova finalizzato alla immissione in ruolo con differente profilo e mancata prova di interesse alla partecipazione a concorso straordinario per immissione in ruolo di docenti IRC.

RIGETTARE il ricorso in quanto infondato in fatto e in diritto per tutti i motivi addotti in narrativa.

In via subordinata, in caso di accoglimento del ricorso, tenuto conto di quanto esposto in narrativa relativamente alla assenza di danno subito, ridurre al minimo il risarcimento richiesto.

stabilità 2012) nella misura corrispondente alla tariffa vigente per gli avvocati detratto il 20% degli onorari di avvocato ivi previsti.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Il ricorrente, deducendo di aver prestato attività lavorativa in qualità di docente di religione cattolica presso istituti scolastici di Milano per un periodo superiore ai 36 mesi con contratti a tempo determinato, chiede il riconoscimento della carta docente limitatamente agli aa.ss.

2019/20, 2020/21 e 2022/23 e, previo accertamento dell’illegittimità della sequenza dei contratti a tempo determinato, di condannare l’amministrazione resistente al risarcimento del danno da liquidare sulla base di vari parametri normativi.

Resiste l’amministrazione convenuta, chiedendo il rigetto del ricorso.

Alla udienza del 20.11.2024 la causa è stata decisa come da dispositivo.

Motivi della decisione Il ricorso è fondato sotto entrambi i profili.

Sulla reiterazione dei contratti a termine.

1.

In merito alla questione della abusiva reiterazione dei contratti a termine degli insegnanti di religione, si è recentemente pronunciata la Corte di Cassazione con una pronuncia che esamina il quadro normativo di riferimento, richiamando il diritto comunitario e i recenti arresti della Corte Europea.

Con la sentenza n. 18698/22, cui si fa integrale riferimento in ossequio alla funzione nomofilattica della Corte, si osserva quanto segue:

“3.

La L. 824/1930, abrogata dal d.l. 112/2008, disciplinava l’insegnamento religioso negli istituti statali e prevedeva, all’art. 5, incarichi annuali da conferire, all’inizio dell’anno scolastico per non più di 18 ore settimanali a persone, con preferenza sacerdoti e religiosi, scelte dal capo dell’istituto, previa intesa con l’ordinario diocesano, con riconoscimento (art. 7) degli stessi diritti e doveri degli altri docenti, in quanto appartenenti al corpo insegnante.

3.1

Con la legge 25 marzo 1985 n. 121, di ratifica ed esecuzione dell’accordo del 18 febbraio 1984 di modifica del Concordato Lateranense dell’11 febbraio 1929, la Repubblica Italiana ha assunto l’obbligo di assicurare l’insegnamento della religione cattolica nelle scuole pubbliche non universitarie di ogni ordine e grado (art. 9, comma 2, dell’accordo con la Santa Sede) ed al punto 5 del protocollo addizionale si è impegnata ad affidare l’insegnamento a docenti riconosciuti idonei dall’autorità ecclesiastica, nominati d’intesa con quest’ultima, ed a determinare tutte le modalità di organizzazione dell’insegnamento, previa intesa con la Conferenza Episcopale Italiana. Gli obblighi assunti con il protocollo addizionale sono stati adempiuti con il d.p.r. 16.12.1985 n. 751, con il d.p.r. 23.6.1990 n. 202 ed infine con il d.p.r. 20.8.2012 n. 175, che hanno dato esecuzione rispettivamente alle intese raggiunte con la Conferenza Episcopale il 14 dicembre 1985, il 13 giugno 1990 ed il 28 giugno 2012.

Dette intese prevedono tutte in estrema sintesi che:

a) l’affidamento dell’incarico avviene da parte dell’autorità scolastica, su proposta (scuole superiori) dell’ordinario all’insegnamento della religione cattolica ha effetto permanente salvo revoca da parte dell’ordinario diocesano;

c) gli insegnanti incaricati dell’insegnamento della religione cattolica fanno parte della componente docente negli organi scolastici con gli stessi diritti e doveri degli altri insegnanti.

Sono altresì indicati i titoli necessari per l’insegnamento, ma non le modalità del reclutamento che restano, quindi, disciplinate dalle disposizioni normative succedutesi nel tempo.

Degli obblighi assunti con le richiamate intese il legislatore ha tenuto conto in sede di redazione del testo unico delle disposizioni legislative vigenti in materia di istruzione, relative alle scuole di ogni ordine e grado, adottato con il d.lgs 16.4.1994 n. 297, che all’art. 309, applicabile a tutte le scuole pubbliche non universitarie, oltre a ribadire che l’insegnamento della religione cattolica resta disciplinato dalle intese previste dal protocollo addizionale, al comma 2 precisa che detto insegnamento è assicurato mediante conferimento di incarichi annuali, previa intesa con l’ordinario diocesano, ed al comma 3 ribadisce l’appartenenza degli insegnanti al corpo docente con parità di diritti e di doveri. Anche le parti collettive hanno considerato la specialità della disciplina dell’insegnamento della religione e, a partire dal CCNL per il quadriennio normativo 1994/1997, hanno previsto, all’art. 47, commi 6 e 7, che gli insegnanti di religione cattolica vengono assunti secondo la disciplina di cui all’art. 309 del d.lgs. n. 297 del 1994, mediante contratto di incarico annuale che si intende confermato qualora permangano le condizioni ed i requisiti prescritti dalle vigenti disposizioni di legge.

3.2

Tralasciando la disciplina più antica, in estrema sintesi, il sistema immediatamente successivo alla revisione del Concordato ed intese collegate prevedeva incarichi necessariamente annuali e non poneva limiti alla reiterazione, impedita solo nel caso di perdita dell’idoneità all’insegnamento religioso.

Peraltro, va rimarcato come la contrattazione collettiva già prevedesse all’epoca una regola di rinnovo automatico dell’incarico annuale (art. 47, co. 6 e 7 CCNL comparto scuola 1994-1997), nel senso che esso era da aversi per «confermato qualora permangano le condizioni ed i requisiti prescritti dalle vigenti disposizioni di legge», con previsione espressamente valorizzata da Corte Costituzionale 22 ottobre 1999, n. 390 per escludere qualsiasi profilo di illegittimità della normativa nel suo insieme, sul rilievo che in tal modo la precarietà del rapporto non sarebbe stata assoluta, come già rilevato anche da questa S.C. (Cass. 21 gennaio 2016, n. 1066). 4.

In questo contesto si è inserita la legge n. 186/2003 che ha introdotto, all’interno della categoria omogenea dei docenti di religione con incarico annuale, la distinzione fra docenti di ruolo, assunti con contratto di lavoro a tempo indeterminato e docenti non di ruolo assunti con contratto a tempo determinato (art. 1).

I ruoli sono regionali ma articolati per ambiti territoriali corrispondenti alle diocesi e l’art. 2 stabilisce che la consistenza degli stessi, che costituisce la dotazione organica, deve essere pari al 70% dei “posti funzionanti” per ciascuna diocesi.

partecipare i candidati in possesso dei titoli culturali e del riconoscimento di idoneità da parte delle autorità ecclesiastiche previsti dai protocolli di intesa.

Il comma 10 precisa che «per tutti i posti non coperti da insegnanti con contratto di lavoro a tempo indeterminato si provvede mediante contratti di lavoro a tempo determinato stipulati dei dirigenti scolastici su indicazione del dirigente regionale, d’intesa con l’ordinario diocesano competente per territorio» e tale personale integra il 30 % proprio degli addetti assunti a termine.

L’art. 1, comma 2, prevede che «agli insegnanti di religione cattolica inseriti nei ruoli di cui al comma 1 si applicano, salvo quanto stabilito dalla presente legge, le norme di stato giuridico ed il trattamento economico previsti dal testo unico delle disposizioni legislative vigenti in materia di istruzione, relative alle scuole di ogni ordine e grado, di cui al decreto legislativo 16 aprile 1994 n. 297 e successive modificazioni, di seguito denominato “testo unico” e dalla contrattazione collettiva».

Anche in tale novellato assetto la contrattazione collettiva (art. 40, c. 5, C.C.N.L. 2006/2009 di comparto) ha confermato il richiamo all’art. 309, co. 2 d. lgs. 297/1994 (norma in ordine alla durata annuale degli incarichi, in sé pienamente compatibile anche con il nuovo sistema, con riferimento ai rapporti a tempo determinato) e la regola di rinnovo automatico, salvo venire meno dei requisiti, anch’essa dunque tuttora vigente.

4.1

Il legislatore ha in sostanza inteso conferire al docente di religione uno stato giuridico pari a quello degli insegnanti delle materie curriculari, ribadendo il principio della parità di diritti e di doveri già fissato dalle intese e dall’art. 309 cit., ma ha mantenuto la specialità della categoria quanto ai titoli ed alle modalità per il reclutamento in ruolo o a termine.

5. Il tema che viene qui in evidenza è quello, all’interno del sistema quale sopra delineato, del regime dei contratti a tempo determinato, sotto il profilo della loro reiterazione e delle regole eurounitarie che vietano l’indefinito rinnovo di essi per sopperire ad esigenza datoriali durevoli.

6.

La questione è stata recentemente oggetto di pronuncia della Corte di Giustizia 13 gennaio 2022, YT e altri, da cui occorre prendere le mosse” 6.1.

La Corte di Giustizia ha intanto escluso che, rispetto al tema da affrontare, rivesta importanza la specialità del sistema derivante dal fatto che l’insegnamento della materia è condizionato dal permanere dell’idoneità riconosciuta dall’ordinario diocesano.

Tale peculiarità, riguardando indistintamente i docenti di ruolo e quelli assunti a tempo determinato, finisce per essere sostanzialmente neutra sotto il profilo del pari trattamento e comunque quell’idoneità, venendo rilasciata una sola volta fino a revoca, non può come tale costituire motivo obiettivo per giustificare il ricorso a reiterati rapporti a termine.

La Corte di Giustizia vuol dire che la previsione per qualsiasi docente del rilascio iniziale fino a revoca, non essendo soggetta a controllo con cadenza pari alla durata dei contratti a tempo determinato, che, come si è detto, è annuale, non ha alcun rilievo nella dinamica dei rinnovi ed opera estemporaneamente ed in modo uguale per i 6.2 Di conseguenza, la Corte di Giustizia ha precisato (non diversamente da quanto ritenuto in altra ipotesi da Cass. 10 gennaio 2018, n. 343) che il tema di rilievo attiene alla compatibilità della regolazione nazionale del diritto del lavoro scolastico, con riferimento ai docenti di religione cattolica, sotto il profilo dei sistemi di prevenzione e reazione ai possibili abusi nel ricorso alla contrattazione a tempo determinato. 6.3

In tale prospettiva dalla pronuncia si possono enucleare alcune conclusioni di fondo, da cui deve muovere il ragionamento e che sono le seguenti.

a) I fattori di oscillazione delle esigenze di docenti di religione cattolica «attestano, nel settore dell’insegnamento di cui trattasi nel procedimento principale, un’esigenza particolare di flessibilità che è idonea, in tale specifico settore, a giustificare oggettivamente, alla luce della clausola 5, punto 1, lettera a), dell’accordo quadro, il ricorso a una successione di contratti di lavoro a tempo determinato per rispondere in maniera adeguata alla domanda scolastica ed evitare di esporre lo Stato, quale datore di lavoro in tale settore, al rischio di dover immettere in ruolo un numero di docenti significativamente superiore a quello effettivamente necessario per adempiere i propri obblighi in materia» (punto 104): in breve, si ritiene in sé non illegittimo il sistema di reperimento del fabbisogno di docenti di religione, con l’articolazione tra il 70 % (ruolo) e il 30 % (contratti a termine);

b) Tuttavia «l’osservanza della clausola 5, punto 1, lettera a), dell’accordo quadro esige … che sia verificato concretamente che il rinnovo di contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato successivi miri a soddisfare esigenze provvisorie, e che una disposizione nazionale come quella di cui al procedimento principale non sia utilizzata, di fatto, per soddisfare esigenze permanenti e durevoli del datore di lavoro in materia di personale (sentenza del 24 giugno 2021 y Servicio C-550/19, EU:C:2021:514, punto 63 e giuri nza ivi cita che il giudice nazionale faccia «tutto quanto (gli) compete …. prendendo in considerazione il diritto interno nella sua interezza e applicando i metodi di interpretazione riconosciuti da quest’ultimo, al fine di garantire la piena efficacia della direttiva di cui trattasi e pervenire a una soluzione conforme allo scopo perseguito da quest’ultima (sentenza del 24 giugno 2021, Obras y Servicios)», procedendo ad «esaminare di volta in volta tutte le circostanze del caso, prendendo in considerazione, in particolare, il numero di detti contratti successivi stipulati con la stessa persona oppure per lo svolgimento di uno stesso lavoro»; c) Il giudice interno è chiamato a verificare se «non esistano “norme equivalenti per la prevenzione degli abusi”, ai sensi della clausola 5, punto 1, dell’accordo quadro» (punto 116);

d) Il giudice interno deve «interpretare e applicare le pertinenti disposizioni di diritto interno in modo da sanzionare debitamente tale abuso e da eliminare le conseguenze della violazione del diritto dell’Unione» (punto 118), curando peraltro («vegliando») di evitare che i lavoratori che hanno subito quell’abuso «non siano dissuasi, nella speranza di continuare a lavorare nel settore determinato», dal far valere anche in sede giurisdizionale le misure preventive finalizzate ad impedire l’abuso stesso (punto 117). 7. Il ragionamento di diritto interno impone di richiamare le caratteristiche del.1.

Come si è in precedenza sottolineato e come rilevato anche dalla Corte di Giustizia, in ragione del combinarsi dell’art. 309, co.

2, d. lgs. 297/1994 e della contrattazione collettiva di settore, i rapporti a termine sono di regola destinati a rinnovarsi di anno in anno, senza limiti di tempo, se non vengano meno le condizioni ed i requisiti prescritti dalle vigenti disposizioni di legge, il che denota una stabilità superiore a quella di ordinari contratti a termine ed un assetto sensibilmente diverso rispetto al sistema generale del reclutamento scolastico.

In quest’ultimo, il reclutamento dei precari avviene in ragione delle carenze di personale di ruolo rispetto alle dotazioni previsionali (supplenza su organico di diritto) o in ragione delle necessità che si manifestino (organico di fatto) successivamente alla fissazione di tali dotazioni previsionali.

Non è pertanto possibile un rinnovo automatico di diritto del tipo di quello sopra descritto.

Tale rinnovo è qui in realtà conseguenza logica della considerevole quota di fabbisogno (30 %) che è lasciata alle assunzioni non di ruolo, essendo evidente che dilatazioni e contrazioni annue ben difficilmente possono raggiungere quelle misure percentuali, sicché è normale che vi sia spazio per una regola di quel tipo ed anzi è presumibile che l’ipotesi di rapporti annuali rinnovati, anche per lunga durata, sia assolutamente ricorrente.

È pertanto fuori di luogo anche solo il paragone con la diversa articolazione del sistema generale scolastico, che non è utile per i fini ricostruttivi di questo più limitato e specialissimo settore.

7.2 Da ciò deriva una prima importante conclusione.

Infatti, ritenere ora che sia in sé abusivo il rinnovo automatico, in quanto chiaramente destinato a far protrarre ulteriormente i rapporti “annuali” comunque esistenti, sarebbe solo di danno ai lavoratori ed opererebbe in senso diametralmente contrario a quanto preteso dalla Corte di Giustizia, allorquando essa ha imposto al giudice interno di «vegliare» su un adattamento del diritto interno che non fosse ragione di regresso rispetto alle condizioni concrete in essere e quindi operasse in senso dissuasivo rispetto all’esercizio in sede giurisdizionale delle istanze di tutela. Tale salvaguardia delle utilità esistenti – nell’impossibilità di conversione, su cui si tornerà e nell’insussistenza di misure di stabilizzazione straordinarie – è impossibile, se non escludendo che la prosecuzione dei rapporti ed il loro rinnovo automatico, in qualunque forma essa avvenga, sia in sé ragione di illegittimità.

Il rilievo esclude altresì di poter ritenere illegittime, per contrasto con l’ordinamento eurounitario, le previsioni della contrattazione collettiva da cui discende tale possibilità di un rinnovo automatico costante e sine die, trattandosi peraltro, come già ebbe e rilevare Corte Costituzionale 390/1999 cit., di misure più di favore che penalizzanti.

Il rinnovo automatico, per gli anni a venire, dei rapporti “annuali” esistenti non può dunque essere impedito dalla rilettura del sistema conseguente alla pronuncia della Corte di Giustizia, finendosi altrimenti per assumere conclusioni contraddittorie rispetto a quanto preteso proprio da quest’ultima, oltre che palesemente dirompenti ed irrazionali.

escluda che tuttavia persistano connotati di precarietà.

Essi non emergono tanto per la possibilità, cui si è già accennato, che il rinnovo venga meno per perdita dell’idoneità a quell’insegnamento, perché anche i rapporti di ruolo di questa particolare docenza sono destinati in tali casi a cessare.

I tratti di precarietà risalgono invece al fatto che, a fronte dell’eccedenza dell’incarico rispetto al fabbisogno, solo ai docenti di ruolo sono attribuite le guarentigie della mobilità, quali richiamate anche dall’art. 4, co. 3 L. 186/2003.

Esse sono infatti certamente estranee al lavoro a termine e, assicurando una tutela ulteriore rispetto alla continuità ed al mantenimento del posto presso la Pubblica Amministrazione, assurgono a sicuro tratto differenziale.

Analogamente, la conservazione del posto di lavoro in caso di malattia gode di una tutela meno intensa (9 mesi in un triennio:

art. 19, co. 5, C.C.N.L. 29/11/2007, contro 18 mesi del personale di ruolo:

art. 17, co. 1 del medesimo C.C.N.L.).

Pur a fronte di regole di almeno tendenziale equiparazione tra i trattamenti del personale di ruolo e quelli del personale a tempo determinato con contratto a rinnovo automatico (v. ad es.

art. 40, co. 6, del C.C.N.L. 2007, sull’adeguamento degli orari) persistono elementi differenziali qualificanti, proprio sotto il profilo della stabilità, che mantengono sicuramente il personale non di ruolo nell’ambito del precariato.

8.1.

Vi è dunque intanto da verificare se ed a quali condizioni tali connotati di persistente precarietà possano sfociare, in caso di rapporti annuali continuativi o comunque susseguitisi senza soluzione di continuità, in un illegittimo abuso verso tali docenti L’ordinamento interno in effetti già prevede una misura idonea a sopperire alla predetta condizione di precarietà, che è data dall’obbligo di procedere con cadenza triennale allo svolgimento dei concorsi per l’assunzione in ruolo, di cui all’art. 3, co.2, L. 186/2003 i quali, pur non essendo riservati ai precari (se non, ora, per il 50%) sono comunque chiaramente funzionali anche all’evolversi di quelle docenze verso il ruolo. Né è pensabile – dati i numeri coinvolti – che allo scadere del triennio non ricorrano vacanze nella dotazione organica del 70%, in ipotesi anche solo nella direzione prospettica del triennio a venire, cui il concorso è fisiologicamente destinato ad estendersi.

Tale previsione riconosce quindi la possibilità agli interessati di colmare, almeno con una non irragionevole cadenza triennale, proprio quel deficit di stabilità che definisce il loro status di precari.

D’altra parte, essendo stato indetto, dopo la L. 186/2003, un solo concorso, nell’ormai lontano 2004, il , attraverso l’inosservanza di quell’obbligo, ha impedito il funzionamento sivo del sistema, radicalizzando quei particolari tratti di precarizzazione di esso che si sono sopra individuati.

In ciò sta l’abuso lesivo dell’Accordo Quadro, che si realizza, nei riguardi del singolo insegnante, allorquando egli sia mantenuto in servizio per più di un triennio, attraverso il rinnovo automatico di default o comunque senza soluzione di continuità, senza che siano indetti concorsi di accesso ai ruoli con la cadenza appunto triennale prevista dalla legge e senza che, per il radicarsi dell’illecito, vi sia.

Abuso che deve trovare un rimedio sanzionatorio nell’ordinamento interno e di ciò si dirà.

8.2.

Né ha rilievo la circostanza che, in ipotesi, il singolo docente avesse partecipato al concorso del 2004 e potesse sperare, di fatto, di transitare in ruolo per effetto di quell’originaria procedura ed in ragione dell’inerzia de rispetto alle successive indizioni.

Non è quello, infatti, il percorso normativo che la L. 186/2003, cui deve farsi riferimento, ha disegnato, tra l’altro coerentemente con l’esigenza di valutazione aggiornata sulla professionalità dei prescelti.

Pertanto, a fronte di una mera possibilità di fatto ed al di là dell’eccezionale evoluzione verso il ruolo recentemente prevista dal legislatore per effetto ancora di quell’unico concorso (v. l’art. 1-bis, co. 3, d.l. 126/2019, quale convertito in L. 159/2019, che ha consentito immissioni in base al concorso del 2004, nelle more della celebrazione del concorso a venire) restava e resta, fino a che l’assunzione in quel modo non risulti concretamente avverata, l’interesse alla regolare indizione dei concorsi, così come il riconnesso abuso conseguente all’inosservanza del sistema ordinario, su base triennale, di selezione ed assunzione. 9. Vi è tuttavia da considerare anche l’altra ipotesi che consegue al sistema esistente.

9.1

Al di là del caso dei contratti continuativamente rinnovati o senza soluzione di continuità, si può infatti determinare abuso anche a fronte di plurime assunzioni a termine che avvengano discontinuamente per effetto della dismissione del rapporto, in certi periodi, a causa dell’eccedenza rispetto ai fabbisogni.

In tali casi la precarietà si manifesta proprio attraverso un’utilizzazione dei docenti interessati che ha luogo con discontinuità e solo quando vi sia bisogno di essi.

Con tutta probabilità si tratta di ipotesi numericamente marginali, ma sicuramente destinate a ricorrere, data l’organizzazione del sistema, soggetto agli effetti delle dilatazioni e restrizioni annue del fabbisogno e che la stessa norma collettiva evidentemente contempla, quando prevede la conferma a condizione che «permangano le condizioni (v. disponibilità del posto, n.d.r.) ed i requisiti (v. idoneità all’insegnamento, n.d.r.) prescritti dalle vigenti disposizioni di legge».

L’abuso qui riveste particolare gravità perché si fa leva proprio sulla precarietà dell’interessato, che resta per una o più annualità senza lavoro, per assicurare la flessibilità del reclutamento annuale.

Anche per definire quando, in simili condizioni, esso si realizzi va fatto riferimento all’obbligo concorsuale triennale, perché comunque il triennio esprime il lasso di tempo che l’ordinamento individua come tollerabile rispetto al mantenimento della condizione di precarietà.

Pertanto, è quella stessa triennalità, da valutare qui attraverso la sommatoria dei periodi di effettiva utilizzazione del singolo docente non di ruolo e da tradurre in tre annualità di anno scolastico secondo il regime proprio del settore, tratta di ragionamento per certi versi analogo a quello che fu svolto da questa S.C. per l’utilizzazione reiterata di contratti a termine su posti vacanti nel sistema scolastico generale e già allora si rilevò la coerenza anche con il limite massimo di trentasei mesi fissato per la durata del rapporto di lavoro a termine in ambito privato per lo svolgimento di mansioni equivalenti alle dipendenze del medesimo datore di lavoro (art. 5, comma 4-bis, del d. lgs. 368/2001, introdotto dalla legge 247 del 2007 e da ultimo art. 19 comma 2 d.lgs. 81 del 2015), per affermare che «la complessiva durata massima di trentasei mesi costituisce un parametro tendenziale del sistema delle assunzioni a tempo determinato che porta ad allineare, ferma la specialità del d.lgs. n. 165/01, il settore privato e il settore pubblico, se pur esclusivamente in ordine al limite temporale oltre il quale è configurabile l’abuso» (così, ancora Cass. 22552/2016 cit.). 10. Restano al di fuori dei casi di abuso sopra delineati, i contratti a termine che siano stipulati, per una durata infrannuale, in concomitanza con effettive necessità temporanee.

La stessa Corte di Giustizia sottolinea come il ricorrere di «esigenze provvisorie» (punto 106) sia da ritenere in linea con il rispetto della clausola 5, punto 1 dell’Accordo Quadro;

per l’effetto, va da sé che quanto corrisponda ad esigenze di tal fatta non possa dirsi abusivo, proprio perché riguardante contratti ab origine instaurati nella consapevolezza di ambo le parti di una loro durata limitata nel tempo e della rispondenza ad esigenze transitorie.

È il caso dei contratti motivati dalla necessità sostitutiva di un docente di ruolo o comunque precedentemente incaricati, oppure dei contratti stipulati nello stretto tempo necessario all’immissione in ruolo o a concludere procedure concorsuali sempre per l’assunzione in ruolo.

In tali ipotesi, l’onere probatorio della effettività della ragione giustificativa è a carico del , come da principi consolidati in ambito di termine di durata di contratti determinato legittimati da specifiche “causali” e la stipula del contratto non è né in sé illegittima, né rileva al fine del computo delle tre annualità di cui si è detto, restando a tali fini del tutto neutra.

Conclusioni queste ultime che si pongono nel solco di quanto da questa S.C. già ritenuto allorquando si è statuito che, nel sistema proprio dei docenti di religione, vige un principio di necessaria annualità delle assunzioni a tempo determinato (Cass. 1066/2016, cit.), nel senso che gli incarichi a termine devono coprire l’intero anno scolastico fino al 31.8 (in quella sede fu infatti ritenuta l’illegittimità di contratti conclusi tout court da ottobre-novembre fino a giugno dell’anno successivo), ma si è altresì precisato che andava nel caso concreto esclusa la ricorrenza delle esigenza temporanee quali tipizzate dalla contrattazione collettiva ivi applicabile (comparto enti locali, in quanto la causa riguardava l’insegnamento religioso nelle scuole dell’infanzia comunali) secondo modalità non dissimili dalla casistica (sostituzioni; attesa esito concorso etc.), qui ritenuta pertinente.

11.

Venendo al piano dei rimedi, l’elaborazione giurisprudenziale e normativa conosce un ventaglio di possibili reazioni, che vanno dalla trasformazione ipso iure in rapporti a tempo indeterminato, alla stabilizzazione mediante procedure straordinarie destinate ai precari o infine al risarcimento del danno.

Corte di Giustizia ha fatto espresso riferimento alla conversione, ma tale misura, rispetto al pubblico impiego, incontra l’ostacolo della previa necessità di concorso, in sé non superabile, stante il tenore dell’art. 97 Cost., in assenza di espressa previsione in tal senso della legge la quale viceversa prevede che «la violazione di disposizioni imperative riguardanti l’assunzione o l’impiego di lavoratori, da parte delle pubbliche amministrazioni, non può comportare la costituzione di rapporti di lavoro a tempo indeterminato con le medesime pubbliche amministrazioni, ferma restando ogni responsabilità e sanzione» (art. 36, co., 5, d. lgs. 165/2001). D’altra parte la Corte di Giustizia ha già ritenuto che il divieto di conversione, nell’ambito dei rapporti di impiego pubblico, dei contratti a termine in contratti a tempo indeterminato non violi la disciplina europea in materia di contratto di lavoro a termine contenuta nell’ Accordo Qu direttiva 1999/70/CE (ex multis Corte di Giustizia 7 settembre 2006 ;

Corte di Giustizia 7 settembre 2006 ) e ciò anche con riferimento al settore scolastico (Corte di Giustizia 7 marzo 2018 Parimenti, la stabilizzazione mediante procedure concorsuali straordinarie rientra nella discrezionalità del legislatore, né è manifestamente permesso, data la diversità, specialità ed eccezionalità di tali forme di acquisizione ai ruoli, ragionare in termini di estensione di reclutamenti straordinari svoltisi per i docenti soggetti al regime generale scolastico (v. l’art. 1 co. 95 ss. L. 107/2015, che fa chiaramente riferimento ed al relativo regime in cui non sono ricompresi i docenti di religione) o attraverso un raffronto ex art. 3 Cost. rispetto a questi ultimi, al fine della proposizione di questione di legittimità costituzionale sul punto. 11.1 Resta il rimedio risarcitorio, che sicuramente l’ordinamento, per come consolidatosi nel diritto vivente, riconosce a favore di chi sia stato utilizzato con modalità abusive, secondo le regole proprie di ciascun sistema finalizzate ad evitare il mantenimento di una condizione di precarizzazione, nel caso di specie particolare ma sussistente, attraverso il rinnovo di rapporti a termine per esigenze durature.

Si tratta dei noti principi di cui a Cass, S.U., 15 marzo 2016, n. 5072, secondo cui «in materia di pubblico impiego privatizzato, nell’ipotesi di abusiva reiterazione di contratti a termine, la misura risarcitoria prevista dall’art. 36, comma 5, del d.lgs. n. 165 del 2001, va interpretata in conformità al canone di effettività della tutela affermato dalla Corte di Giustizia UE (ordinanza 12 dicembre 2013, in C- 50/13), sicché ….

può farsi riferimento alla fattispecie omogenea di cui all’art. 32, comma 5, della l. n. 183 del 2010, quale danno presunto, con valenza sanzionatoria e qualificabile come “danno comunitario”, determinato tra un minimo ed un massimo, salva la prova del maggior pregiudizio sofferto» in concreto in quest’ultimo caso da ricondurre alla «prestazione in violazione di disposizioni imperative riguardanti l’assunzione o l’impiego di lavoratori da parte della P.A., ed è configurabile come perdita di “chance” di un’occupazione alternativa migliore, con onere della prova a carico del lavoratore, ai sensi dell’art. 1223 c.c.». Analogo rimedio è già stato riconosciuto in sé idoneo rispetto all’abusiva one nell’ambito generale del lavoro pubblico (Corte di Giustizia 7 marzo 2018, ) e lo è dunque certamente anche rispetto ai docenti di religione, chiudendo a termine ed alle illegittimità che possono evidenziarsi, nell’uno o nell’altro regime.

12.

In definitiva, chi abbia lavorato per oltre un triennio in forza di rapporti annuali a rinnovo automatico o comunque senza soluzione di continuità matura, dopo la terza annualità non accompagnata da indizione di concorso, il diritto al risarcimento del danno c.d. eurounitario.

L’inadempimento datoriale è interrotto dalla successiva indizione del concorso, ma solo per il futuro e per le tre annualità successive.

Chi abbia lavorato con incarichi annuali di docenza a termine discontinui a causa di un’eccedenza rispetto al fabbisogno che non abbia consentito il rinnovo automatico previsto dalla contrattazione collettiva matura parimenti il diritto al risarcimento del danno c.d. eurounitario, se in concreto abbia lavorato per un periodo superiore a tre annualità, sulla base di incarichi non infrannuali.

12.1 Tali diritti risarcitori, stante l’unitarietà del danno, non si duplicano, ma l’eventuale contestuale ricorrere dei presupposti di più d’uno di essi può essere valutata sotto il profilo della gravità.

Così come le disomogenee conseguenze pregiudizievoli che possono ricorrere nei diversi casi di abuso sopra delineati possono trovare riscontro, nella liquidazione del danno presunto ai sensi dell’art. 32, co. 5, cit.

(ora art. 28, co. 2, d. lgs. 81/2015), attraverso l’opportuno dosaggio tra i minimi ed i massimi previsti dalla norma, afferendo essi comunque al «comportamento delle parti e alle condizioni delle parti» di cui all’art. 8 ivi richiamato e fermo il ristoro del maggiore danno, se provato.

I predetti diritti restano altresì indifferenti all’eventuale successiva immissione nel ruolo dei docenti a tempo indeterminato mediante concorso e non a seguito di procedure connotate da automaticità (Cass. 22 maggio 2021, n. 14815).

12.2 Per altro verso, si precisa che i criteri liquidatori, di cui alle norme citate, sono da intendere quali parametri risarcitori tratti da sistema analogo e fissati demandando al giudice di stabilire «un’indennità onnicomprensiva nella misura compresa tra un minimo di 2,5 ed un massimo di 12 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, avuto riguardo ai criteri indicati nell’articolo 8 della legge 15 luglio 1966, n. 604», sicché la misura “edittale” è solo quella di cui ai predetti artt. 32 co. 5 L. 183/2010, e 28, co. 2, d. lgs. 81/2015, mentre il rinvio all’art. 8 si riferisce, come è reso evidente dalla concatenazione logica delle parole, soltanto ai criteri cui il giudice deve avere riguardo (numero dei dipendenti occupati, anzianità di servizio comportamento e condizioni delle parti) e non certo al raddoppio di cui alla seconda parte dello stesso art. 8, riguardante l’indennità di cui a quella norma e non l’indennità, non a caso definita espressamente come «onnicomprensiva», prevista dalle diverse disposizioni qui da applicare come parametri risarcitori. 13.

In chiusura, si osserva che il sistema nel suo complesso, quale sopra delineato, non appare tale da suscitare dubbi sotto il profilo della compatibilità costituzionale anche ai sensi dell’art. 117, co.1, Cost. Il possibile reiterarsi dei rapporti a termine si riconnette infatti, per i docenti di religione, ad una regola di rinnovo automatico, su un’ampia dotazione (30 %) dei “posti nel sistema generale della scuola pubblica.

Certamente, la regola sulla concorsualità triennale, tra l’altro ulteriormente declinata, con le modifiche apportate dall’art. 1-bis, co. 2, L. 159/2019, nel senso della possibile riserva della metà dei posti al personale munito già di una certa anzianità di servizio, costituisce cerniera ineludibile di ragionevolezza, in quanto è attraverso essa che si garantisce il necessario strumento di sviluppo dalla precarietà al ruolo;

tale concorsualità triennale, con la regola risarcitoria che ne consegue, può inoltre essere tale da assicurare un effetto dissuasivo da ulteriori inadempienze agli obblighi di reclutamento a tempo indeterminato.

Quella regola, come si è detto non osservata, è tuttora vigente e l’art. 5, co.

3, L. 228/2021 ha soltanto previsto una dilazione a tutto il 2022 per lo svolgimento del concorso a venire.

Altrettanto certamente, ci si dovrebbe diversamente interrogare se un diverso assetto facesse venire meno la previsione sulla regolare cadenza concorsuale o dilazionasse oltre modo lo svolgimento dei concorsi, ma non è questa la realtà normativa attuale.

Il riconoscimento di diritti risarcitori nei termini del c.d. danno eurounitario completa poi la capacità dissuasiva del sistema rispetto ai casi in cui il superamento del triennio avvenga rispetto a rapporti discontinui e per effetto del determinarsi, in taluni periodi, di eccedenza del posto già attribuito al docente non di ruolo.

14.

Tutto ciò consente, dunque, di definire i seguenti principi:

«Stante l’impossibilità di conversione a tempo indeterminato dei contratti annuali dei docenti non di ruolo di religione cattolica in corso, per i quali la contrattazione collettiva stabilisce la conferma al permanere delle condizioni e dei requisiti prescritti dalle vigenti disposizioni di legge, i medesimi rapporti proseguono, nonostante il reiterarsi di essi nel tempo e ciò in ragione dell’indirizzo della pronuncia della Corte di Giustizia in materia, secondo cui l’interpretazione del diritto interno in coerenza con i principi eurounitari non può tradursi in ragione di pregiudizio per i lavoratori, salvo il diritto al risarcimento del danno per la mancata indizione dei concorsi triennali quali previsti dalla legge per l’accesso ai ruoli» «Nel regime speciale di assunzione a tempo determinato dei docenti di religione cattolica nella scuola pubblica, di cui alla L. 186/2003, costituisce abuso nell’utilizzazione della contrattazione a termine sia il protrarsi di rapporti annuali a rinnovo automatico o comunque senza soluzione di continuità per un periodo superiore a tre annualità scolastiche, in mancanza di indizione del concorso triennale, sia l’utilizzazione discontinua del docente, in talune annualità, per ragioni di eccedenza rispetto al fabbisogno, a condizione, in quest’ultimo caso, che si determini una durata complessiva di rapporti a termine superiore alle tre annualità. In tutte le menzionate ipotesi di abuso sorge il diritto dei docenti al risarcimento del danno c.d. eurounitario, con applicazione, anche in ragione della gravità del pregiudizio, dei parametri di cui all’art. 32, co. 5, L. 183/2010 (poi, art. 28, co. 2, d. lgs. 81/2015) oltre al ristoro, se provato, del maggior danno sofferto, non essendo invece riconoscibile la trasformazione di diritto in rapporti a tempo indeterminato».

«I contratti di assunzione dei docenti di religione non di ruolo nella scuola pubblica hanno durata annuale e sono soggetti a conferma automatica, secondo le durata infrannuale, sulla base di contratti motivati dalla necessità sostitutiva di docenti precedentemente incaricati, oppure nello stretto tempo necessario all’attuazione delle immissioni in ruolo in esito a procedure concorsuali già per concludere procedure concorsuali in essere, spettando in tali casi al , qualora sorga contestazione a fini risarcitori per abuso nella reiterazione del ricorso a contratti a termine, l’onere della prova della legittimità della causale, la quale, se accertata, esclude tali contratti dal computo per l’integrazione della fattispecie del predetto abuso». 15.

Venendo al caso concreto, la Corte territoriale ha fondato l’accoglimento della domanda sulla reiterazione continua dei contratti, rimarcando in particolare come fossero mancati altri concorsi dopo il triennio di validità del primo (2004/2007), sicché si è certamente realizzato l’abuso riconnesso al mantenimento della precarietà, nei termini di cui si è detto, perché il ricorrente, dopo avere già lavorato per tre annualità, successivamente, dal 2007/2008, pur proseguendo ininterrottamente nell’insegnamento della religione cattolica, non ha potuto fruire dell’indizione dei concorsi previsti dalla legge. Inv di tutto quanto utile a comprovare profili di esenzione da responsabilità del emerge dalla sentenza impugnata, né dal ricorso per cassazione, fondato anzi sull’assunto delle legittimità in sé dei contratti, seppure mantenuti nell’inosservanza del sistema nella sua interezza e senza la dovuta celebrazione dei concorsi” 2.

Dalla pronuncia di cui sopra, emerge come due siano le ipotesi di abuso che la Corte di Cassazione ha ritenuto meritevoli di sanzione:

a) “il protrarsi di rapporti annuali a rinnovo automatico o comunque senza soluzione di continuità per un periodo superiore a tre annualità scolastiche, in mancanza di indizione del concorso triennale;

b) “l’utilizzazione discontinua del docente, in talune annualità, per ragioni di eccedenza rispetto al fabbisogno, a condizione, in quest’ultimo caso, che si determini una durata complessiva di rapporti a termine superiore alle tre annualità” Il rapporto di lavoro del ricorrente va ricondotto alla prima ipotesi esaminata dalla Cassazione.

È pacifico che l’ultimo concorso indetto per l’assunzione degli insegnanti di religione cattolica risalga al lontano 2004, come rilevato anche dalla Suprema Corte nella pronuncia citata.

Nel ricorso è dedotto che dopo il primo contratto a tempo determinato per l’anno scolastico 2005/2006, ne sono stati stipulati altri sedici, tutti con decorrenza dal 1° settembre e scadenza al 31 agosto, senza soluzione di continuità sino ad oggi.

Quanto dedotto è provato dal certificato di servizio prodotto in allegato al ricorso e dalle copie dei contratti stessi (docc. 3 e 4, fascicolo parte ricorrente).

3. Le amministrazioni convenute hanno contestato le pretese del ricorrente sotto diversi profili.

Quanto alla eccezione di carenza di legittimazione passiva del convenuto, deve osservarsi che l’illecito risarcibile consiste, nel caso di specie, nel protrarsi di rapporti annuali a rinnovo automatico o comunque senza soluzione di poi precisato che il riferimento al concorso bandito con DD 1328 del 29.5.2024 è inconferente, in quanto, come precisato dalla Corte di Cassazione nel precedente sopra richiamato, il risarcimento del danno è correlato all’inadempimento datoriale, che può sì essere interrotto con l’indizione del nuovo concorso, “ma solo per il futuro e per le tre annualità successive”. Per le medesime ragioni a nulla rileva il fatto che il ricorrente abbia eventualmente scelto di non partecipare a detto concorso ed abbia intrapreso un diverso percorso professionale all’interno del mondo scolastico, giacché tale scelta non comporta né una rinuncia ai diritti acquisiti a seguito dell’inadempimento datoriale, né tantomeno il venir meno dell’interesse ad agire, tenuto conto del fatto che la domanda riguarda il pregresso.

Parimenti infondata è l’eccezione di decadenza ex art. 28 d.lgs. 81/2015.

Con il presente ricorso non è stata formulata alcuna impugnativa dei contratti a tempo determinato stipulati con l’amministrazione, non essendo stato eccepito alcunché in ordine alla natura ai contratti stessi ovvero alla imputazione del rapporto.

Parte ricorrente ha, invece, formulato una domanda risarcitoria connessa alla reiterazione di detti contratti, fatto storico che non richiede alcuna impugnativa e che deve unicamente essere fatto valere entro i termini prescrizionali applicabili.

Quanto al merito, si richiama la giurisprudenza riportata al paragrafo 1. 4. Venendo all’esame del caso di specie, risulta dai contratti a tempo determinato e dal certificato di servizio prodotti dal ricorrente (docc. 3 e 4, fascicolo ricorrente), nonché dallo stato matricolare prodotto dall’amministrazione resistente (doc. 1, fascicolo resistente), che il ricorrente ha avuto incarichi annuali con decorrenza dal 1° settembre e scadenza al 31 agosto, quale docente di religione, a decorrere dall’a.s. 2005-2006 e fino all’a.s. 2022-2023, senza soluzione di continuità.

In particolare, il ricorrente ha dimostrato di aver prestato servizio quale docente per l’insegnamento della religione cattolica con i seguenti contratti:

– a.s. 2005/06:

con decorrenza dal 13/09/2005 e cessazione al 31/08/2006, orario n. 15 ore settimanali di lezione, presso l’Istituto di Istruzione Superiore INDIRIZZO di Milano;

– a.s. 2006/07:

con decorrenza dal 01/09/2006 e cessazione al 31/08/2007, orario pieno n. 18 ore settimanali di lezione, presso l’Istituto di Istruzione Superiore INDIRIZZO di Milano;

– a.s. 2007/08:

con decorrenza dal 01/09/2007 e cessazione al 31/08/2008, orario pieno n. 18 ore settimanali di lezione, presso l’Istituto di Istruzione Superiore INDIRIZZO di Milano;

– a.s. 2008/09:

con decorrenza dal 01/09/2008 e cessazione al 31/08/2009, orario pieno n. 18 ore settimanali di lezione, presso l’Istituto di Istruzione Superiore INDIRIZZO di Milano;

– a.s. 2009/10:

con decorrenza dal 01/09/2009 e cessazione al 31/08/2010, orario pieno n. 18 ore settimanali di lezione, presso l’Istituto di Istruzione Superiore RAGIONE_SOCIALE – a.s.

2010/11:

con decorrenza dal 01/09/2010 e cessazione al 31/08/2011, orario pieno n. 18 ore settimanali di lezione, presso l’Istituto di Istruzione Superiore INDIRIZZO di Milano;

– a.s. 2011/12:

con decorrenza dal 01/09/2011 e cessazione al 31/08/2012, orario pieno n. 18 ore settimanali di lezione, presso l’Istituto di Istruzione Superiore INDIRIZZO di Milano;

– a.s. 2012/13:

con decorrenza dal 01/09/2012 e cessazione al 31/08/2013, orario pieno n. 18 ore settimanali di lezione, presso l’Istituto di Istruzione Superiore INDIRIZZO di Milano;

– a.s. 2013/14:

con decorrenza dal 01/09/2013 e cessazione al 31/08/2014, orario pieno n. 18 ore settimanali di lezione, presso l’Istituto di Istruzione Superiore INDIRIZZO di Milano;

– a.s. 2014/15:

con decorrenza dal 01/09/2014 e cessazione al 31/08/2015, orario pieno n. 18 ore settimanali di lezione, presso l’Istituto di Istruzione Superiore INDIRIZZO di Milano;

– a.s. 2015/16:

con decorrenza dal 01/09/2015 e cessazione al 31/08/2016, orario pieno n. 18 ore settimanali di lezione, presso l’Istituto di Istruzione Superiore INDIRIZZO di Milano;

– a.s. 2016/17:

con decorrenza dal 01/09/2016 e cessazione al 31/08/2017, orario pieno n. 18 ore settimanali di lezione, presso l’Istituto di Istruzione Superiore INDIRIZZO di Milano;

– a.s. 2017/18:

con decorrenza dal 01/09/2017 e cessazione al 31/08/2018, orario pieno n. 18 ore settimanali di lezione, presso l’Istituto di Istruzione Superiore RAGIONE_SOCIALE di Milano;

– a.s. 2018/19:

con decorrenza dal 01/09/2018 e cessazione al 31/08/2019, orario pieno n. 18 ore settimanali di lezione, presso l’Istituto di Istruzione Superiore RAGIONE_SOCIALE di Milano;

– a.s. 2019/20:

con decorrenza dal 01/09/2019 e cessazione al 31/08/2020, orario pieno n. 18 ore settimanali di lezione, presso l’Istituto di Istruzione Superiore RAGIONE_SOCIALE di Milano;

-a.s. 2020/21:

con decorrenza dal 01/09/2020 e cessazione al 31/08/2021, orario pieno n. 18 ore settimanali di lezione, presso l’Istituto di Istruzione Superiore RAGIONE_SOCIALE di Milano;

– a.s. 2022/23:

con decorrenza dal 01/09/2022 e cessazione al 31/08/2023, orario pieno n. 18 ore settimanali di lezione, presso l’Istituto di Istruzione Superiore INDIRIZZO di Milano.

Risulta, altresì, provato (doc. 1, fascicolo resistente), che il ricorrente ha prestato servizio quale supplente per sostegno psicofisico dal 16/11/2023 al 17/11/2023 presso Primaria INDIRIZZO COGNOME e INDIRIZZO – Milano (CODICE_FISCALE) e che attualmente svolge supplenza in qualità di docente per sostegno psicofisico presso RAGIONE_SOCIALE

– V. COGNOME – Milano (MIRC300004) in forza di contratto a tempo determinato dal 01/09/2024 al Sulla scorta delle risultanze documentali citate, il numero di contratti a termine è tale da evidenziare la sussistenza di un’indebita reiterazione dei contratti a termine per il periodo ulteriore al primo triennio – nel quale, invece, il ricorso a tale strumento deve ritenersi legittimo – e, dunque, a decorrere dall’a.s. 2008-2009 fino all’a.s.

2022-2023. Spetta, dunque, al ricorrente il diritto al risarcimento del c.d. danno eurounitario, da riconoscersi entro i limiti minimi e massimi di cui all’art. 32, comma 5, l. 183/2010 (ora art. 28, comma 2, d.lgs. 81/2015), avuto riguardo ai criteri indicati nell’art. 8 l. 604/1966.

Il risarcimento può essere quantificato nella misura di 11 mensilità, tenuto conto di quanto liquidato in situazioni analoghe, anche sotto il profilo della durata della reiterazione dei contratti a termine (doc. 15, fascicolo di parte ricorrente).

Sulla Carta docente.

5.

L’art. 1, comma 121, L. n. 107 del 13/7/2015 dispone che:

“Al fine di sostenere la formazione continua dei docenti e di valorizzarne le competenze professionali, è istituita, nel rispetto del limite di spesa di cui al comma 123, la Carta elettronica per l’aggiornamento e la formazione del docente di ruolo delle istituzioni scolastiche di ogni ordine e grado.

La Carta, dell’importo nominale di euro 500 annui per ciascun anno scolastico, può essere utilizzata per l’acquisto di libri e di testi, anche in formato digitale, di pubblicazioni e di riviste comunque utili all’aggiornamento professionale, per l’acquisto di hardware e software, per l’iscrizione a corsi per attività di aggiornamento e di qualificazione delle competenze professionali, svolti da enti accreditati presso i , a corsi di laurea, di laurea ma ofessionale, ovvero a corsi post lauream o a master universitari inerenti al profilo professionale, per rappresentazioni teatrali e cinematografiche, per l’ingresso a musei, mostre ed eventi culturali e spettacoli dal vivo, nonché per iniziative coerenti con le attività individuate nell’ambito del piano triennale dell’offerta formativa delle scuole e del Piano nazionale di formazione di cui al comma 124. La somma di cui alla Carta non costituisce retribuzione accessoria né reddito imponibile.

” In attuazione di tale legge, il DPCM n. 32313 del 23/9/2015 e il successivo DPCM del 28/11/2016 hanno ribadito che i soli destinatari della disciplina della Carta del docente sono i docenti di ruolo a tempo indeterminato.

6. Sulla questione oggetto di causa si è pronunciata la Corte di Giustizia Europea che, con ordinanza della VI Sezione del 18 maggio 2022 resa nella causa c 450/2, ha statuito che il comma 121 della legge 107 del 2015, nella parte in cui non attribuisce il bonus di € 500,00 al personale a termine, contrasti con la clausola 4 dell’accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato (recepito con Direttiva 1999/70/CE) nei seguenti termini:

«La clausola 4, punto 1, dell’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato, concluso il 18 marzo 1999, che figura nell’allegato della direttiva 1999/70/CE del Consiglio, del 28 giugno 1999, relativa all’accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato, deve essere interpretata nel senso che essa osta a una normativa nazionale che riserva al solo personale docente a tempo indeterminato del , e non al personale docente a tempo determinato di tal i un vantaggio finanziario dell’importo di utilizzata per l’acquisto di libri e di testi, anche in formato digitale, di pubblicazioni e di riviste comunque utili all’aggiornamento professionale, per l’acquisto di hardware e software, per l’iscrizione a corsi per attività di aggiornamento e di qualificazione delle competenze professionali, a corsi di laurea, di laurea magistrale, specialistica o a ciclo unico, inerenti al profilo professionale, ovvero a corsi post lauream o a master universitari inerenti al profilo professionale, per rappresentazioni teatrali e cinematografiche, per l’ingresso a musei, mostre ed eventi culturali e spettacoli dal vivo, ad altre attività di formazione e per l’acquisto di servizi di connettività al fine di assolvere l’obbligo di effettuare attività professionali a distanza». In particolare, la CGUE ha valorizzato il fatto che dalle norme interne (l’art. 282 D.lgs n. 297/1994, le previsioni della contrattazione collettiva del comparto scuola, l’art. 63 e l’art. 1 L. n. 107/2015) emerge il principio secondo cui la formazione dei docenti è obbligatoria, permanente e strutturale.

Considerato che i docenti a tempo determinato sono comparabili a quelli a tempo indeterminato dal punto di vista della natura del lavoro e delle competenze professionali richieste, non essendovi inoltre ragioni oggettive che giustifichino la differenza di trattamento rispetto al riconoscimento della carta docente (identiche essendo mansioni e funzioni), se ne deve concludere che la mera valorizzazione della natura temporanea del rapporto di lavoro (al fine di escludere i docenti precari dall’accesso al beneficio) comporti per l’effetto una violazione della clausola 4 dell’accordo quadro. Anche io di Stato, con la sentenza n. 1842 del 16/3/2022, ha giudicato la scelta del convenuto di escludere dal beneficio i docenti a termine irragionevole e contraria ai principi di non discriminazione e buon andamento della P.A. (ex artt. 3, 35 e 97 della Costituzione).

Il giudice amministrativo ha rilevato che “è evidente la non conformità ai canoni di buona amministrazione di un sistema che, ponendo un obbligo di formazione a carico di una sola parte del personale docente (e dandogli gli strumenti per ottemperarvi), continua nondimeno a servirsi, per la fornitura del servizio scolastico, anche un’altra aliquota personale docente, quale tuttavia programmaticamente esclusa dalla formazione e dagli strumenti di ausilio per conseguirla:

non può dubitarsi, infatti, che, nella misura in cui la P.A. si serve di personale docente non di ruolo per l’erogazione del servizio scolastico, deve curare la formazione anche di tale personale, al fine di garantire la qualità dell’insegnamento fornito agli studenti;

da ciò deriva che il diritto – dovere di formazione professionale e aggiornamento grava su tutto il personale docente e non solo su un’aliquota di esso.

” Per l’effetto ha annullato il d.P.C.M. n. 32313 del 25 settembre 2015, e la nota applicativa del.

15219 del 15 ottobre 2015, nonché il d.P.C.M. del 28 novembre 2016, nella pa non contemplano i docenti non di ruolo tra i destinatari della Carta del docente.

7. I principi appena richiamati debbono trovare applicazione anche nel caso di specie, posto che non si ravvisa nessuna ragione obiettiva atta a giustificare un differente trattamento dell’odierna parte ricorrente rispetto ai docenti di ruolo.

In maniera conforme si è ripetutamente espresso questo Tribunale con numerose ;

sentenza 2290/22, dott.ssa sentenza 2376/22, dott.ssa COGNOME;

sentenza 2835/22, dott.ssa ; sentenza 2843/22, dott.ssa Con la sentenza n. 29961/23 emessa nel noto giudizio di rinvio ex art. 363-bis c.p.c. la Suprema Corte ha, infine, chiarito che:

“1) la Carta Docente di cui all’art. 1, comma 121, L. 107/2015 spetta ai docenti non di ruolo che ricevano incarichi annuali fino al 31.8, ai sensi dell’art. 4, comma 1, L. n. 124 del 1999 o incarichi per docenza fino al termine delle attività di didattiche, ovverosia fino al 30.6, ai sensi dell’art. 4, comma secondo, della L. n. 124 del 1999, senza che rilevi l’omessa presentazione, a suo tempo, di una domanda in tal senso diretta a e che:

“2) Ai docenti di cui al punto 1, ai quali il beneficio di cui all’art. 1, comma 121, L. n. 107/2015 non sia stato tempestivamente riconosciuto e che, al momento della pronuncia giudiziale sul loro diritto, siano interni al sistema delle docenze scolastiche, perché iscritti nelle graduatorie per le supplenze, incaricati di una supplenza o transitati in ruolo, spetta l’adempimento in forma specifica, per l’attribuzione della Carta Docente, secondo il sistema proprio di essa e per un valore corrispondente a quello perduto, oltre interessi o rivalutazione, ai sensi dell’art. 22, comma 36, della L. n. 724 del 1994, dalla data del diritto all’accredito alla concreta attribuzione”. La ricorrente ha dimostrato di avere prestato servizio quale docente per effetto dei seguenti contratti a tempo determinato di cui chiede il riconoscimento della carta docenti (doc. 3 e 4, fascicolo ricorrente):

RAGIONE_SOCIALE

2019/20: contratto di lavoro a tempo determinato in qualità di docente incaricato annuale per l’insegnamento della religione cattolica nella scuola secondaria di II° grado, con decorrenza dal 01/09/2019 e cessazione al 31/08/2020, orario pieno n. 18 ore settimanali di lezione, presso l’Istituto di Istruzione Superiore RAGIONE_SOCIALE-Sraffa di Milano;

-a.s. 2020/21: contratto di lavoro a tempo determinato in qualità di docente incaricato annuale per l’insegnamento della religione cattolica nella scuola secondaria di II° grado, con decorrenza dal 01/09/2020 e cessazione al 31/08/2021, orario pieno n. 18 ore settimanali di lezione, presso l’Istituto di Istruzione Superiore RAGIONE_SOCIALE-Sraffa di Milano;

– a.s. 2022/23: contratto di lavoro a tempo determinato in qualità di docente incaricato annuale per l’insegnamento della religione cattolica nella scuola secondaria di II° grado, con decorrenza dal 01/09/2022 e cessazione al 31/08/2023, orario pieno n. 18 ore settimanali di lezione, presso l’Istituto di Istruzione Superiore Torricelli di Milano.

Il ricorrente ha, quindi, prestato attività di docenza con contratti annuali e dal 01/09/2024 al 31/08/2025 risulta essere stato assegnato in supplenza annuale con formazione e prova d.l. 73/2021 – personale non di ruolo Ist prof per i servizi commerciali e turistici presso RAGIONE_SOCIALE

INDIRIZZO COGNOME – Milano (MIRC300004) (documento depositato in data 18 novembre 2024).

L’Amministrazione convenuta deve, quindi, essere condannata a mettere a , dunque, essere accertato il diritto del ricorrente di ottenere la carta docente per gli anni scolastici indicati in ricorso per l’importo di € 500,00 per ciascun anno.

In proposito, nel solco della giurisprudenza citata ed in accordo con tale orientamento, si osserva che non può darsi luogo a una condanna di mero pagamento dell’importo corrispondente poiché, in questo modo, la parte fruirebbe delle relative somme senza il vincolo funzionale di destinazione imposto dal Legislatore proprio all’art. 1, co. 121, Legge 107/2015.

8. Deve darsi conto, infine, del fatto che la parte resistente ha eccepito la decadenza del ricorrente dal diritto di chiedere la carta docente per le annualità pregresse, per non aver provveduto, ai sensi dell’art. 5 del DPCM 28.11.2016, alla registrazione sull’applicazione web dedicata ai beneficiari della carta nel termine del 30 ottobre di ciascun anno.

L’amministrazione resistente osserva poi che l’art. 6 del medesimo DPCM prevede che:

“Le somme non spese entro la conclusione dell’anno scolastico di riferimento sono rese disponibili nella Carta dell’anno scolastico successivo, in aggiunta alle risorse ordinariamente erogate”, con la conseguenza che non sarebbe nemmeno possibile procedere al cumulo tra le annualità richieste.

Sottolinea, in ogni caso, che la parte ricorrente avrebbe avanzato richiesta di fruire di un beneficio non più esistente al momento della domanda, tenuto anche conto della ratio del beneficio strettamente connesso alla periodicità delle esigenze di aggiornamento.

L’eccezione deve essere rigettata.

Va innanzitutto osservato che il riconoscimento a posteriori del diritto ad ottenere la Carta Docente va configurato come misura necessaria e idonea a rimuovere gli effetti della discriminazione a suo tempo posta in essere.

È poi evidente che la parte ricorrente non avrebbe potuto formulare alcuna richiesta, non essendo stata inclusa per legge tra i beneficiari della Carta Docente.

E’ altrettanto evidente che non può configurarsi alcuna estinzione del diritto in forza del decorso di un determinato periodo di tempo, se tale diritto era insussistente ab origine per mancato riconoscimento legislativo.

Parimenti non può trovare applicazione la disposizione di cui all’art. 6, la cui operatività è chiaramente connessa alla regolare fruizione del beneficio da parte di chi ne abbia – a monte – diritto.

Va, infine, osservato che la Suprema Corte, con la sentenza n. 29961/2023, sopra citata, ha precisato sul punto quanto segue:

“…è da escludere che il diritto degli assunti a tempo determinato possa essere paralizzato dal rilievo dell’omessa presentazione, a suo tempo, di una domanda al datore di lavoro.

È vero che il sistema prevede una registrazione sulla piattaforma web (art. 3, co. 2 del DPCM), sulla base di un’autenticazione attraverso il Sistema pubblico per la gestione dell’identità digitale di cittadini e imprese, denominato «SPID» (art. 5, co. 1, e 3, co. 2, del DPCM).

Si tratta però solo di modalità che condizionano in concreto l’esercizio del diritto, ma non di regole che onerino di una qualche formale istanza.

ottenuto dal sistema una valida autenticazione, visto che i nega l’esistenza di un loro diritto in proposito.

17.2

Quanto alla decadenza per mancata utilizzazione nei fondi nel biennio, su cui parimenti si interroga il giudice del rinvio, è evidente che essa non può operare per fatto del creditore.

Dunque, essa non impedisce in alcun modo il riconoscimento in sede giudiziale della Carta docente per il solo fatto del trascorrere del biennio dal momento in cui il diritto era sorto e viene poi accertato dal giudice.

” 9. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo in considerazione della complessità della causa e dell’attività svolta.

Il Tribunale di Milano, in persona del giudice dott.ssa NOME COGNOME definitivamente pronunciando, ogni altra domanda ed istanza disattesa, così provvede:

accerta e dichiara il diritto del ricorrente di ottenere la carta docente per gli anni scolastici 2019/2020, 2021/2022 e 2022/2023 per l’importo di € 500,00 per ciascun anno e per l’effetto:

condanna la parte convenuta a mettere a disposizione della parte ricorrente detta carta docente, o altro equipollente, così che ne possa fruire nel rispetto dei vincoli di legge; accerta e dichiara che il ha posto in essere, nei confronti del ricorrente, un tempo determinato oltre il termine di 36 mesi;

condanna il al risarcimento del danno derivante dall’abus minato, corrispondendo alla ricorrente un’indennità onnicomprensiva pari ad 11 mensilità dell’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto al tallone mensile di € 2.147,12, oltre interessi e rivalutazione monetaria dal dovuto al saldo;

condanna la parte resistente al pagamento in favore della ricorrente delle spese di lite che si liquidano nella somma di € 4.000,00 per compensi, oltre rimborso forfettario ed accessori come per legge, da distrarsi in favore del difensore dichiaratosi antistatario.

Così deciso in Milano, il 20.11.2024 Il Giudice del Lavoro dott.ssa NOME COGNOME

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