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I buoni postali fruttiferi non hanno natura di titoli di credito

I buoni postali fruttiferi non hanno natura di titoli di credito ma vanno considerati titoli di legittimazione ai sensi dell’art. 2002 c.c.

Pubblicato il 20 October 2019 in Diritto Civile, Giurisprudenza Civile

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
TRIBUNALE ORDINARIO di COSENZA

Prima Sezione Civile

Il Tribunale di Cosenza, prima sezione civile, in composizione monocratica, nella persona della dott.ssa, ha pronunciato la seguente

SENTENZA n. 2058/2019 pubbl. il 18/10/2019

Nella causa civile in grado di appello iscritta al n. del Ruolo Generale Affari Contenziosi dell’anno 2017, pendente

TRA

XXX, in proprio e quale erede di ***, ***, ***, rappresentati e difesi dall’avv., per procura a margine dell’atto di citazione in appello; appellanti E

POSTE ITALIANE s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avv.ti, in virtù di procura generale alle liti per Notaio; appellata avente ad oggetto: appello a sentenza del Giudice di Pace di Cosenza n. 211/2017.

Conclusioni: come in atti.

RAGIONI IN FATTO E IN DIRITTO

Con atto di citazione ritualmente notificato XXX, in proprio e quale erede di ***, *** e *** proponevano appello avverso la sentenza del Giudice di Pace di Cosenza n. 211/2017 depositata il 28.2.2017 che aveva dichiarato inammissibile la domanda di restituzione della somma di € 2.582,28, pari al valore del Buono Postale Fruttifero emesso il 14.02.1991 ed appartenente alla serie “AD”, per difetto di legittimazione passiva di Poste italiane s.p.a. e, comunque, per intervenuta prescrizione del diritto al rimborso.

A sostegno del gravame gli appellanti deducevano l’erronea motivazione della sentenza che aveva dichiarato il difetto di legittimazione passiva di Poste Italiane s.p.a., atteso che, in ragione della natura privatistica del rapporto contrattuale sorto per effetto della sottoscrizione del buono postale, la legittimazione passiva rispetto alla domanda di rimborso del capitale era da riconoscersi nei confronti di Poste e non già del Ministero dell’Economia; quanto alla dichiarata prescrizione, deducevano che sul buono fruttifero de quo doveva essere prevista la possibilità che l’investitore avrebbe potuto perdere il capitale investito, se il rimborso non fosse stato reclamato nei termini previsti. Rilevavano, altresì, che il Giudice di Pace non si fosse pronunciato sulla eccezione di violazione delle norme costituzionali di cui agli artt. 42 e 47, quanto al mancato avviso dell’investitore in ordine alla possibilità della perdita del capitale investito.

Concludevano chiedendo che, in accoglimento dell’appello, venisse riformata la sentenza di primo grado, con condanna di Poste Italiane s.p.a. al pagamento della somma di € 2.582,28 oltre interessi e con vittoria delle spese di entrambi i gradi di giudizio.

Si costituiva in giudizio Poste Italiane s.p.a. che contestava la fondatezza dell’appello, rilevando che il buono oggetto di causa apparteneva alla serie speciale dei buoni postali fruttiferi a termine, contraddistinta con le lettere «AD», regolamentati dal D.M. Tesoro 23 luglio 1987; che lo stesso indicava, in modo chiaro e determinato, tutti gli elementi essenziali del titolo, quali la tipologia “a termine”, la data di emissione, il rendimento e la relativa decorrenza, nonché il termine di prescrizione dei diritti di credito spettanti; che la prescrizione, originariamente indicata in cinque anni, era stata estesa a dieci anni ex art. 8, D.M. 19.12.2000 “per tutte le serie di buoni già emesse alla data di entrata in vigore del decreto per le quali non si siano compiuti i termini di prescrizione previsti dalla normativa previgente”; che il buono in oggetto aveva cessato di produrre frutti civili alla scadenza dell’undicesimo anno a partire dall’emissione (1991), e che nel 2011 era maturata la prescrizione dei relativi diritti di credito, sicchè gli appellanti-originari attori avevano avanzato la richiesta di rimborso quando era decorso il termine di prescrizione per la riscossione del titolo.

Concludeva chiedendo il rigetto dell’appello e la conferma della sentenza di primo grado, con vittoria delle spese di lite.

Espletati gli incombenti di rito, all’udienza del 24.6.2019, sulle conclusioni precisate dai procuratori delle parti, la causa veniva trattenuta in decisione, con concessione dei termini di cui all’art. 190 c.p.c. per il deposito delle comparse conclusionali e delle memorie di replica.

L’appello proposto da XXX, in proprio e quale erede di ***, *** e *** è infondato e deve essere, quindi, respinto, pur dovendosi integrare la motivazione della sentenza impugnata nei termini di seguito esposti.

Con il presente gravame, gli appellanti hanno reiterato le questioni relative al riconoscimento della legittimazione passiva di Poste Italiane s.p.a. ed alla sussistenza del diritto del risparmiatore al rimborso, quantomeno, del valore del buono postale sottoscritto in data 14.2.1991, non essendo stata espressamente prevista la possibilità di perdita capitale investito, se il rimborso non fosse stato reclamato nei termini.

Orbene, quanto alla questione relativa alla legittimazione, va osservato che il Giudice di Pace ha errato nel negare la titolarità, dal lato passivo, del rapporto in capo a Poste Italiane s.p.a., atteso che il buono postale fruttifero costituisce un tipico prodotto di risparmio, emesso proprio da Poste Italiane s.p.a., sia pure per effetto di rapporto retrostante con l’amministrazione centrale interessata (il Ministero dell’Economia e delle Finanze), sicchè l’accordo negoziale ed il vincolo contrattuale sottesi all’acquisto dei titoli si radicano tra il risparmiatore-acquirente e Poste Italiane s.p.a. e tutte le attività di acquisto, gestione e rimborso del titolo sono eseguite proprio da quest’ultima.

Consegue che Poste Italiane s.p.a. è legittimo contraddittore della domanda proposta dagli attori odierni appellanti ed avente ad oggetto la restituzione del capitale corrispondente al valore del buono sottoscritto.

Va, invece, disattesa l’eccezione di violazione delle norme costituzionali contenute agli artt. 42 e 47 Cost., atteso che gli appellanti non hanno indicato espressamente quali norme si porrebbero in contrasto con le disposizioni costituzionali invocate, sicchè la dedotta questione non appare superare il vaglio della “non manifesta infondatezza”, dovendosi, peraltro, precisare che la Corte Costituzionale ha più volte respinto questioni sollevate in riferimento alla normativa in materia di buoni postali fruttiferi (in particolare nelle pronunce nn. 47/2001, 333/2003, 49/2007 e 463/1997).

Passando all’esame del merito, appare condivisibile la decisione di primo grado che, in accoglimento dell’eccezione sollevata da Poste Italiane s.p.a., ha dichiarato prescritto il diritto al rimborso del buono postale sottoscritto in data 14.2.1991 alla data dell’1.1.2013, risultando, quindi, tardiva la richiesta inoltrata da XXX all’Ufficio postale in data 29.10.2013.

Secondo l’orientamento ribadito, anche di recente, in materia dalla Suprema Corte (cfr. Cass. Civ., Sez. I, n. 4761 del 28.2.2018) i buoni postali fruttiferi non hanno natura di titoli di credito ma vanno considerati titoli di legittimazione ai sensi dell’art. 2002 c.c. (Cass. 16 dicembre 2005, n. 27809; Cass., Sez. Un., 15 giugno 2007, n. 13979), dovendosi, peraltro, riconoscere che “il vincolo contrattuale tra emittente e sottoscrittore dei titoli” è “destinato a formarsi proprio sulla base dei dati risultanti dal testo dei buoni di volta in volta sottoscritti” (così testualmente Cass., Sez. Un., 15 giugno 2007, n. 13979, sia pure in riferimento ad una fattispecie diversa da quella in esame).

Ciò posto, nel caso di specie, il buono postale serie “AD” n. 000.171 sottoscritto da XXX in data 14.2.1991, per l’importo di £ 5.000.000, reca l’indicazione, con clausola apposta a tergo, del seguente tenore: “il presente buono potrà essere riscosso a vista presso l’Ufficio di emissione e, con preavviso di sei giorni, in altri Uffici. Il buono non riscosso al compimento dell’ultimo periodo sotto indicato, cessa di essere fruttifero e l’avente diritto può ottenerne il rimborso entro il termine di prescrizione di cinque anni, a decorrere dal 1° gennaio successivo all’anno in cui cessa la fruttuosità”. Il capitale raddoppia dopo 7 anni e triplica dopo 11 anni. Se riscosso prima di tali termini il saggio d’interesse è 7,50% lordo per i primi 5 anni, 8,50% lordo dal sesto anno. Se riscosso prima della scadenza dei termini si applicano i tassi vigenti per i p.f. ordinari diminuiti dello 0,50%; entro il primo anno sarà rimborsato il solo capitale”.

Inoltre, l’originaria prescrizione quinquennale del diritto al rimborso è stata estesa a dieci anni in forza dell’art. 8 D.M. 19.12.2000 “per tutte le serie di buoni già emesse alla data di entrata in vigore del decreto per le quali non si siano compiuti i termini di prescrizione previsti dalla normativa previgente”.

Consegue che, alla stregua delle specifiche condizioni stabilite sul testo del buono postale, il diritto del sottoscrittore al rimborso del capitale e degli interessi maturati si è prescritto alla data dell’1.1.2013 (ossia all’1 gennaio del decimo anno successivo all’anno in cui è cessata la fruttuosità), sicchè la richiesta di rimborso avanzata con lettera del 29.10.2013 da XXX è successiva allo spirare del suddetto termine prescrizionale.

Alla stregua delle argomentazioni esposte, l’appello proposto da XXX, in proprio e quale erede di ***, *** e *** deve essere rigettato, con conseguente conferma della sentenza impugnata.

Le spese di lite, nella misura liquidata in dispositivo in applicazione dei parametri minimi di cui al D.M. n. 55/2014 (scaglione di valore tra € 1.100,01 ed € 5.200,00) e con esclusione della fase istruttoria, attesa la natura del giudizio ed il tenore delle difese delle parti, sono poste a carico dell’appellante soccombente.

Va infine data attuazione, sussistendone i presupposti oggettivi e temporali, all’art. 13 c. I quater, D.P.R. n. 115/2002 (T.U. spese di giustizia), così come introdotto dall’art 1 c. XVII, legge 228/2012 del 2012, secondo cui “quando l’impugnazione, anche incidentale, è respinta integralmente o è dichiarata inammissibile o improcedibile, la parte che l’ha proposta è tenuta a versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione, principale o incidentale, a norma del comma 1-bis. Il giudice dà atto nel provvedimento della sussistenza dei presupposti di cui al periodo precedente e l’obbligo di pagamento sorge al momento del deposito dello stesso”.

Tale norma, a mente dell’art. 1 c. XVIII, legge n. 228/2012, si applica ai procedimenti, come quello odierno, iniziati dal trentesimo giorno successivo alla data di entrata in vigore della predetta legge (1° gennaio 2013).

P.Q.M.

1) Rigetta l’appello proposto da XXX, in proprio e quale erede di ***, *** e *** e, per l’effetto, conferma la sentenza del Giudice di Pace di Cosenza n. 211/2017 depositata il 28.2.2017;

2) Condanna la parte appellante alla rifusione, in favore dell’appellata Poste Italiane s.p.a., delle spese e competenze del presente giudizio, che liquida in complessivi € 810,00 per compensi professionali, oltre rimborso forfettario spese generali in misura del 15%,, i.v.a. e c.p.a. come per legge;

3) dà atto che sussistono i presupposti previsti dall’art. art. 13, c. I quater, D.P.R. n. 115/2002 (T.U. spese giustizia), modificato dalla legge 24 dicembre 2012, n. 228, per il pagamento da parte dell’appellante soccombente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.

Cosenza, 17.10.2019

Il Giudice

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