Assenza del lavoratore per motivi di salute di durata superiore ai sessanta giorni continuativi, visita medica al fine di verificare la idoneità alla mansione. Il Decreto Legislativo 9 aprile 2008, n. 81, articolo 41 (“Testo unico in materia di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro”) prevede, tra gli strumenti della “sorveglianza sanitaria” (comma 2) anche l’effettuazione di una “visita medica precedente alla ripresa del lavoro, a seguito di assenza per motivi di salute di durata superiore ai sessanta giorni continuativi, al fine di verificare la idoneità alla mansione” (lettera e-ter).
Assenza del lavoratore per motivi di salute di durata superiore ai sessanta giorni continuativi, visita medica al fine di verificare la idoneità alla mansione.
Il Decreto Legislativo 9 aprile 2008, n. 81, articolo 41 (“Testo unico in materia di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro”) prevede, tra gli strumenti della “sorveglianza sanitaria” (comma 2) anche l’effettuazione di una “visita medica precedente alla ripresa del lavoro, a seguito di assenza per motivi di salute di durata superiore ai sessanta giorni continuativi, al fine di verificare la idoneità alla mansione” (lettera e-ter).
La norma va letta – secondo un’interpretazione conforme tanto alla sua formulazione letterale come alle sue finalità – nel senso che la “ripresa del lavoro”, rispetto alla quale la visita medica deve essere “precedente”, è costituita dalla concreta assegnazione del lavoratore, quando egli faccia ritorno in azienda dopo un’assenza per motivi di salute prolungatasi per oltre sessanta giorni, alle medesime mansioni già svolte in precedenza, essendo queste soltanto le mansioni, per le quali sia necessario compiere una verifica di “idoneità” e cioè accertare se il lavoratore possa sostenerle senza pregiudizio o rischio per la sua integrità psico-fisica.
Ne deriva che, ove nuovamente destinato alle stesse mansioni assegnategli prima dell’inizio del periodo di assenza, egli può astenersi ex articolo 1460 c.c. dall’eseguire la prestazione dovuta, posto che l’effettuazione della visita medica prevista dalla norma si colloca all’interno del fondamentale obbligo imprenditoriale di predisporre e attuare le misure necessarie a tutelare l’incolumità e la salute del prestatore di lavoro, secondo le previsioni della normativa specifica di prevenzione e dell’articolo 2087 c.c.; sicché la sua omissione, integrando un inadempimento della parte datoriale di rilevante gravità, risulta tale da determinare una rottura dell’equilibrio sinallagmatico e da conferire, pertanto, al prestatore di lavoro una legittima facoltà di reazione.
Non è invece consentito al prestatore di astenersi anche dalla presentazione sul posto di lavoro, una volta venuto meno il titolo giustificativo della sua assenza: presentazione che è momento distinto dall’assegnazione alle mansioni, in quanto diretto a ridare concreta operatività al rapporto e ben potendo comunque il datore di lavoro, nell’esercizio dei suoi poteri, disporre, quanto meno in via provvisoria e in attesa dell’espletamento della visita medica e della connessa verifica di idoneità, una diversa collocazione del proprio dipendente all’interno della organizzazione di impresa.
D’altra parte, secondo il consolidato principio (Cass. n. 5521/2003; conforme, fra altre, n. 21385/2004), il lavoratore assente per malattia non ha incondizionata facoltà di sostituire alla malattia la fruizione delle ferie, maturate e non godute, quale titolo della sua assenza, allo scopo di interrompere il decorso del periodo di comporto, ma il datore di lavoro, di fronte ad una richiesta del lavoratore di conversione dell’assenza per malattie in ferie, e nell’esercitare il potere, conferitogli dalla legge (articolo 2109 c.c., comma 2), di stabilire la collocazione temporale delle ferie nell’ambito annuale armonizzando le esigenze dell’impresa con gli interessi del lavoratore, è tenuto ad una considerazione e ad una valutazione adeguate alla posizione del lavoratore in quanto esposto, appunto, alla perdita del posto di lavoro con la scadenza del comporto; tuttavia, un tale obbligo del datore di lavoro non è ragionevolmente configurabile allorquando il lavoratore abbia la possibilità di fruire e beneficiare di regolamentazioni legali o contrattuali che gli consentano di evitare la risoluzione del rapporto per superamento del periodo di comporto ed in particolare quando le parti sociali abbiano convenuto e previsto, a tal fine, il collocamento in aspettativa, pur non retribuita.
Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, Sentenza n. 7566 del 27 marzo 2020
La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di
Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.
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