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Diritto di veduta e delle immissioni

L’ordinanza affronta il tema del diritto di veduta e delle immissioni, distinguendo tra azioni a tutela del possesso e azioni a tutela della proprietà. Viene ribadito che l’azione di manutenzione possessoria richiede la prova del possesso del diritto reale e non solo della situazione di fatto.

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Pubblicato il 27 dicembre 2024 in Diritto Civile, Giurisprudenza Civile

N. R.G. 390/2024

TRIBUNALE ORDINARIO DI ANCONA Prima Sezione Civile

Il Giudice NOME COGNOME nel procedimento civile promosso da nata ad Ancona l’11.9.1948, e nato a Senigallia (AN) il 20.10.1959, rappresentati e difesi dagli Avv.ti NOME COGNOME e NOME COGNOME

nei confronti di in persona del presidente pro-tempore, rappresentata e difesa dall’Avv. NOME COGNOME

, in persona del Sindaco pro tempore, rappresento e difeso dall’Avv. NOME COGNOME;

a scioglimento della riserva assunta all’udienza del 16.10.2024, ha pronunciato la seguente

ORDINANZA N._R.G._00000390_2024 DEL_02_11_2024 PUBBLICATA_IL_04_11_2024

1. Gli odierni ricorrenti, nella loro qualifica di proprietari di due appartamenti siti al piano terra dell’edificio condominiale di INDIRIZZO hanno esperito azione di manutenzione ex art. 1170 – 907 c.c. nei confronti dell’ del Nel ricorso si dà atto di un recente progetto di ristrutturazione e riqualificazione dell’area un tempo occupata dall’ex INDIRIZZO, prospicente l’edificio condominiale ove si trovano gli appartamenti dei ricorrenti, che ha determinato l’integrale demolizione della gradinata posta sul lato adiacente al e la realizzazione, tra le altre cose, di due campi da tennis in una posizione rialzata rispetto all’originario livello dello stadio. Tanto premesso, i ricorrenti hanno asserito che:

– il pallone pressostatico realizzato dall’associazione sportiva a totale copertura dei campi da tennis avrebbe violato la normativa sulle distanze legali

(art. 907 c.c.) e precluso ai ricorrenti di – i pali d’illuminazione realizzati dal al fine di consentire l’utilizzo dell’impianto sportivo anche in orario serale, avrebbero violato la normativa sulle distanze legali e, al contempo, generato intollerabili immissioni luminose all’interno dell’abitazione dei ricorrenti.

2.

L ha chiesto il rigetto della domanda, negando in radice l’esistenza del diritto di veduta.

In ogni caso, ha evidenziato il carattere temporaneo del pallone pressostatico, e la conseguente inoperatività della normativa sulle distanze legali, ed ha sottolineato, comunque, che la copertura pressostatica non si troverebbe mai a una distanza inferiore ai tre metri rispetto alle proprietà dei ricorrenti.

L’associazione sportiva ha inoltre contestato l’esistenza delle intollerabili immissioni rumorose e luminose e, per l’effetto, ha chiesto il rigetto della domanda.

3.

Anche il si è associato alle difese svolte dall’ sottolineando la conformità dei pali d’illuminazione alla normativa regionale sull’inquinamento luminoso.

L’amministrazione comunale ha escluso l’esistenza di qualsiasi forma di turbativa derivante dallo svolgimento della normale attività prevista nell’impianto sportivo, esistente ben prima della costruzione del fabbricato dei ricorrenti e certamente non più penalizzante rispetto a quanto avvenisse prima, con il funzionamento dello INDIRIZZO, che ospitava manifestazioni calcistiche da oltre 10.000 spettatori e un inquinamento sonoro nettamente superiore rispetto a quello prodotto dagli attuali campi da tennis. 4.

La domanda è infondata per le ragioni di seguito illustrate.

5.

Il diritto reale di veduta (o servitù di veduta), tutelato dall’art. 907 c.c., si sostanzia nell’inspectio, ossia nella possibilità di guardare non solo frontalmente, ma anche obliquamente e lateralmente il fondo servente, assoggettandolo così a una visuale estesa e globale, e nella prospectio, ossia nella possibilità di affacciarsi sul fondo alieno.

Tale diritto non si acquista automaticamente in ragione della proprietà di un bene immobile, ma deve necessariamente discendere da titoli specifici, negoziali o originari, come l’usucapione (Cfr., da ultimo, Cass. 21798/2024).

5.1

Secondo quanto sostenuto dalla difesa dell’ i ricorrenti non avrebbero fornito la prova dell’esistenza di tale diritto di veduta e, per l’effetto, non avrebbero dimostrato la sussistenza dei requisiti necessari per l’accoglimento della domanda.

5.2

Va tuttavia rammentato che il giudizio possessorio, a differenza di quello petitorio (volto alla tutela della proprietà o di altro diritto reale), tende a tutelare una situazione di fatto, indipendentemente dall’esistenza o meno del diritto al quale il possesso corrisponde, tant’è che la , proprio la precisata diversità (Cfr. Cass. Civ. n. 27513/2020, n. 13450/2016 e n. 2300/2016, per citarne alcune).

Per l’effetto, esula dall’oggetto del presente contenzioso ogni questione inerente all’effettiva sussistenza del diritto di veduta di cui i ricorrenti lamentano la lesione.

5.3

Nondimeno, se è vero che, ai fini dell’accoglimento della domanda di manutenzione, i ricorrenti sono esonerati dalla prova dell’esistenza di un diritto reale, gli stessi sono comunque tenuti a fornire la prova del possesso, in relazione al corrispondente diritto reale, ossia, nel caso di specie, il diritto di servitù di veduta.

5.4

Il possesso è il potere sulla cosa che si manifesta in un’attività corrispondente all’esercizio della proprietà o di altro diritto reale sul medesimo bene, ed è giuridicamente tutelato dall’ordinamento tramite le c.d. azioni possessorie, ovverosia l’azione di reintegrazione e l’azione di manutenzione.

L’azione di manutenzione, in particolare, è diretta a tutelare il possessore da eventuali molestie nel possesso, ossia da interferenze altrui che gli impediscano di godere del bene in modo pieno e pacifico.

Tale azione è esperibile se il possesso dura da almeno un anno, in maniera continua e non interrotta, così come espressamente richiesto dal secondo comma dell’art. 1170 c.c.

5.5 La giurisprudenza di legittimità ha riconosciuto la possibilità di ricorrere all’azione di manutenzione anche al fine di tutelare il possessore dalla violazione delle c.d. distanze legali, affermando che “le violazioni delle distanze legali tra costruzioni – al pari di qualsiasi atto del vicino idoneo a determinare situazioni di fatto corrispondenti all’esercizio di una servitù – sono denunciabili ex art.1170 cod. civ. con l’azione di manutenzione nel possesso, costituendo attentati alla libertà del fondo di fatto gravato, e, pertanto, turbative nell’esercizio del relativo possesso” (Cfr. Cass. n. 22414/2004).

5.6

Se, come sopra indicato, l’azione di manutenzione mira a tutelare il potere di fatto esercitato su una cosa (e non la titolarità del corrispondente diritto reale, che invece rileva nel giudizio petitorio), ne consegue necessariamente che, qualora il possessore lamenti l’inosservanza da parte del vicino delle distanze legali, la sussistenza della dedotta molestia deve essere valutata in rapporto alla situazione possessoria preesistente, di cui il ricorrente è tenuto a fornire la prova.

5.7 Nel caso di specie, tuttavia, la prova dell’effettivo esercizio di un diritto di veduta appare carente sotto diversi profili.

Dalla documentazione fotografica e dalle relazioni tecniche in atti, emerge chiaramente che, sino al muretto di confine con i giardini dei ricorrenti e si trovava a una quota sopraelevata rispetto ai loro terreni.

A differenza di quanto sostenuto dai ricorrenti nelle note conclusive autorizzate, è pacifico che la sommità della gradinata fosse sopraelevata rispetto al giardino di proprietà dei ricorrenti.

Come si legge a pagina 4 della consulenza tecnica d’ufficio, “la gradinata laterale del vecchio Stadio che, stante alle carte tecniche depositate dal raggiungeva la quota in altezza di mt.6.50 in corrispondenza della proprietà e la quota di mt. 6,20 in corrispondenza della proprietà.

L sin dall’inizio ha affermato che “il piano di campagna dei ricorrenti si trovava ad un quota inferiore – 1,60 m rispetto al corsello superiore della gradinata, oggi sostituito da un cordolo di cemento sormontato da una rete che termina con del filo spinato”.

La circostanza, oltre a non essere stata specificamente contestata dai ricorrenti, è dimostrata dalla documentazione allegata alla comparsa di costituzione dell’associazione sportiva (cfr. all. 2 Perizia tecnica ing. e allegato 2 alla perizia tecnica).

A ciò si aggiunge che, proprio a ridosso del muro di confine, erano presenti alcuni alberi secolari che impedivano ai proprietari dei fondi confinanti la visuale estesa e globale di cui all’art. 907 c.c. Circostanza, anch’essa, non specificatamente contestata e dimostrata dalla documentazione fotografica in atti.

In altri termini, i ricorrenti non hanno dimostrato di aver esercitato, in maniera continuativa e per oltre un anno (cfr. art. 1170, comma 2 c.c.), un potere di fatto sulla cosa corrispondente all’esercizio del diritto di veduta, da intendersi nei termini ricordati in premessa.

Non hanno infatti fornito la prova della veduta goduta prima della demolizione delle gradinate dello Stadio Dorico, né di aver goduto della vista documentata con le fotografie allegate al ricorso (e successiva alla demolizione delle gradinate) per un periodo superiore ad un anno.

Sotto tale profilo, alcun rilievo può essere riconosciuto all’affermazione contenuta a pagina 5 del ricorso, peraltro relativa solo alla sig.ra secondo cui “quanto al diritto di veduta, esso è stato esercitato dalla Sig.ra nella modalità antecedente alla illecita installazione del pallone pressostatico, sin dalla propria nascita”, atteso che, come si è detto, sino al momento di riqualificazione dell’area, la proprietà dei ricorrenti confinava con la gradinate.

Non solo i ricorrenti non hanno fornito una prova in termini positivi, ma l’elemento della preesistente gradinata, costruita negli anni Trenta e demolita recentemente, induce a ritenere (in assenza di documentazione a confutazione) che la visuale potesse essere esercitata solo in modo di una indubbia profondità, a prescindere dalla precisa altezza rispetto al piano di campagna dell’abitazione dei ricorrenti, impediva sicuramente la veduta (che, per essere tale, deve essere comodamente esercitabile) in appiombo sul fondo limitrofo. Né, ai fini dell’accoglimento della domanda, può ritenersi sufficiente la prova del possesso degli immobili, trattandosi, come si è detto, di un diritto reale che non discende direttamente dal diritto di proprietà degli immobili (né, di conseguenza, dal loro possesso).

L’assenza di elementi che provino il possesso del diritto di veduta rende superfluo qualsiasi ulteriore approfondimento in merito alla natura temporanea del pallone pressostatico ovvero alle misurazioni effettuate dal consulente tecnico d’ufficio, e contestate dai ricorrenti.

Invero, la mancata prova del possesso del diritto di veduta, presupposto imprescindibile per l’accoglimento dell’azione di manutenzione, rende del tutto inutile stabilire se l’azione altrui possa essere qualificata come “molestia”.

6. Discorso diverso deve essere svolto con riferimento alle immissioni luminose e rumorose.

In tal caso, infatti, non si discute di un diritto reale distinto rispetto alla proprietà dell’immobile, come è nel caso del diritto di veduta, bensì di facoltà connesse alla medesima proprietà.

Sotto tale profilo, non può essere messo in discussione che i ricorrenti abbiano fornito la prova di aver posseduto gli immobili di cui è causa per almeno un anno in maniera continuativa.

Circostanza, peraltro, mai contestata dai resistenti.

6.1

Secondo quanto asserito dai ricorrenti, la molestia si sarebbe concretizzata:

– nel rumore provocato dai motori che servono a generare l’aria per il mantenimento in esercizio del pallone pressostatico, nonché da quello originato dagli utenti del campo da tennis e dallo stesso gioco;

– nella luce che promana dai fari di illuminazione, posti pressoché alla medesima altezza delle finestre dei due appartamenti, costringendo gli occupanti a dover restare in casa con le tapparelle abbassate per evitare il fastidioso fascio di luce.

6.2

Nel corso del giudizio è stata svolta apposita consulenza tecnica d’ufficio.

6.3

Quanto alla prima asserita molestia, al consulente è stato richiesto di valutare se nell’abitazione dei ricorrenti “vi siano immissioni di rumore conseguenti alle vicende di cui all’atto introduttivo e se tali immissioni superino i limiti della normale tollerabilità, valutata anche tenendo in considerazione i valori limite della normativa sull’inquinamento acustico, le caratteristiche della zona e la rumorosità di fondo”.

16 Misurazioni Fonometriche sono minori rispetto al Limite Massimo Assoluto di Zona, fissato dal D.P.C.M. del 14.11.1997 nel valore di 60 dBA per il giorno e 50 dBA per la notte.

Pertanto i Rumori sono accettabili”.

Con riferimento alle misurazioni effettuate “a finestre chiuse”, invece, il consulente ha provveduto ad applicare il c.d. criterio differenziale e ha stabilito che:

– il rumore immesso nelle unità residenziali deve considerarsi ambientalmente accettabile nei periodi in cui l’impianto sportivo risulta coperto dal pallone pressostatico;

– diversamente, nei mesi in cui l’impianto resta scoperto, le misurazioni hanno determinato valori superiori a 5dBA.

Tuttavia, come già ricordato, il quesito rivolto al consulente tecnico era circoscritto alle “immissioni di rumore conseguenti alle vicende di cui all’atto introduttivo”.

Nell’atto introduttivo i ricorrenti si lamentavano dell’installazione del pallone pressostatico, facendo esplicito riferimento allo “stato dei luoghi antecedente alla data del 23.10.2023” (cfr. pag. 3).

Per l’effetto, concludevano chiedendo al Tribunale solo di ordinare all’ “la rimozione del pallone pressostatico indicato in premessa, ivi incluso ogni accessorio necessario e strumentale al funzionamento del predetto pallone, compresi i motori utili al mantenimento in esercizio del pallone stesso”.

Ne consegue che ciò che rileva è unicamente la misurazione eseguita con l’impianto sportivo coperto.

In ogni caso, anche a voler considerare le immissioni rumorose a impianto sportivo scoperto, non si condividono le considerazioni del C.T.U. rispetto ai rilievi mossi dai C.T.P. dei resistenti e attinenti all’impossibilità di applicare, nel caso di specie, il c.d. criterio differenziale.

Il criterio differenziale si sostanzia nella differenza tra il rumore di fondo (che rappresenta il rumore che persiste in assenza della sorgente disturbante ed è indicato con la sigla L95) e il rumore ambientale (ossia il rumore totale con la sorgente disturbante attiva ed espresso in LAeq).

Secondo quanto stabilito dal D.P.C.M. 14 novembre 1997, il valore calcolato con il criterio differenziale, ai fini del rispetto dei criteri stabiliti dalla legge quadro sull’inquinamento acustico (legge n. 447/1995), deve essere inferiore ai 5dBA di giorno e ai 3dBA di notte.

Nel caso in esame, come correttamente affermato dal consulente tecnico, “essendo l’attività sportiva svolta solo nel periodo diurno, il confronto dei valori delle misure rilevate va fatto con il Limite Massimo Assoluto Diurno”.

Tuttavia, non può non considerarsi che l’art. 4 del D.P.C.M. è stato modificato dalla legge n. prodotta dai luoghi “in cui si svolgono attività sportive di discipline olimpiche in forma stabile”.

Posto che il gioco del tennis rappresenta una disciplina olimpica espressamente riconosciuta dal si deve necessariamente concludere, come osservato dai C.T.P. delle parti resistenti, per l’impossibilità di applicare il criterio differenziale nel caso di specie.

6.4

Con riferimento alla questione relativa all’immissioni luminose, il C.T.U. ha escluso espressamente l’asserito inquinamento luminoso, evidenziando che i due fari sono dotati di plafoniere e montati con la faccia rivolta verso in campi in basso e non verso i fabbricati.

7. Va infine sottolineato che l’intervento di riqualificazione in esame non ha comportato alcuna innovazione o modifica della destinazione d’uso dello Stadio.

È altresì rilevante osservare che i ricorrenti hanno acquistato gli appartamenti adiacenti allo INDIRIZZO, già esistente prima della costruzione dell’edificio in cui si trovano le loro abitazioni e da tempo destinato ad attività sportive che comportavano la presenza di migliaia di spettatori a ridosso delle abitazioni, nonché la presenza di torri di illuminazione per riprese televisive, sovrastanti il giardino dei ricorrenti.

Né i ricorrenti possono avvalersi, ai fini dell’accoglimento dell’azione di manutenzione, dello scarso utilizzo dello Stadio avvenuto prima dell’attuale riqualificazione.

Per tutti i motivi sopra esposti, la domanda deve essere rigettata.

8. Le spese di lite seguono il criterio della soccombenza e vengono liquidate come da dispositivo, in corrispondenza ai valori medi di cui al D.M. n. 147 del 13.08.2022.

rigetta il ricorso;

condanna i ricorrenti al pagamento delle spese di C.T.U., così come liquidate con separato decreto;

condanna i ricorrenti a rifondere a ciascuna delle parti resistenti le spese di lite, quantificate in € 5.213,00, oltre accessori come per legge.

Ancona, 02 novembre 2024

Il Giudice NOME COGNOME

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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