Affitto di azienda, il nomen iuris dato dalle parti al loro accordo non è affatto vincolante nella qualificazione dell’atto.
Le parti ben possono avere interesse a qualificare un contratto come affitto di azienda per sfuggire alla disciplina meno favorevole della locazione.
E’ di tutta evidenza che, di per sé, se le parti qualificano un contratto come cessione di azienda (ed ovviamente ciò vale per ogni altro tipo) questa loro dichiarazione non costituisce confessione circa l’effettiva natura dell’atto (nel caso esaminato di affitto di azienda anziché di locazione), al punto che il giudice debba ritenersi vincolato a prenderne atto o comunque a trarne prova circa il tipo contrattuale di riferimento.
Ciò premesso, la questione presuppone l’indicazione dei criteri che consentono di distinguere tra affitto di azienda e locazione di un immobile.
Un contratto che conceda il godimento dell’azienda a terzi ha ad oggetto una azienda che preesiste, ossia ha ad oggetto un complesso di beni organizzati dal cedente e, come tali (organizzazione compresa dunque), concessi in godimento al cessionario.
Non sembra compatibile con l’affitto di azienda la concessione in godimento di beni che sarà poi l’avente causa ad organizzare in vista dell’esercizio dell’impresa.
Se oggetto della cessione è, si, un complesso di beni, ma niente affatto organizzati ai fini dell’impresa, non potrà dirsi che si sta cedendo un’azienda, che invece presuppone quell’elemento.
Certo è che l’affittuario può riorganizzare i beni secondo un proprio programma d’impresa, e può anche adibirli ad un’impresa diversa, e questo mutamento di certo non impedisce di considerare come azienda il complesso dei beni che egli ha ricevuto.
Tuttavia, ciò che conta è che nel complesso dei beni ceduti permanga un residuo di organizzazione che ne dimostri l’attitudine (e dunque anche potenziale, questo si) all’esercizio dell’impresa, sia pure con la successiva integrazione da parte dell’affittuario (Cass., n. 10154/ 2016).
Il che si può dire più semplicemente osservando che l’affitto di un’azienda presuppone che azienda vi sia al momento del contratto, essendo escluso che possa invece ravvisarsi un affitto se l’atto ha ad oggetto singoli beni non organizzati per l’esercizio dell’impresa, e che sarà poi eventualmente l’avente causa a rendere tali.
Aspetto determinante è dunque l’esistenza della organizzazione.
E’ possibile dunque trarre una prima conclusione nel senso che un elemento discretivo decisivo è la preesistenza dell’impresa, o se si vuole, la preesistenza dell’elemento organizzativo sui beni oggetto del contratto, nel senso che qualora invece l’impresa sia iniziata dall’avente causa, o sia costui a dare per la prima volta una organizzazione ai beni cedutigli in godimento, non potrà ovviamente parlarsi di affitto di azienda, vicenda che presuppone la preesistenza di quest’ultima al contratto.
Il che ovviamente impone di comprendere quando preesiste una organizzazione tale da unificare i beni in un’azienda e quando invece tale organizzazione difetti.
In particolare, al fine di stabilire se oggetto del contratto è un complesso di beni già organizzati dal dante causa, oppure no, giocano alcune considerazioni.
Anche qui non ha rilevanza aderire ad una o all’altra tesi quanto alla estensione dell’azienda, ossia a quali ne siano gli elementi costitutivi: se soltanto i beni oggetto di diritti reali, ossia i beni organizzati per mezzo di tali diritti (c.d. azienda in senso stretto), oppure, secondo una visione piu’ allargata, che prescinde dal tipo di rapporto giuridico che ha ad oggetto l’elemento considerato, siano da ricomprendere tra gli elementi dell’azienda anche beni o servizi non organizzabili con gli strumenti della proprietà o di altro diritto reale.
Ciò detto, quale che sia l’estensione dell’azienda, avuto riguardo ai suoi elementi costitutivi, è certo che debba preesistere al contratto un elemento di organizzazione di tali beni imputabile al dante causa, e che se invece costui cede il godimento di singoli beni, che pure potenzialmente si prestano a costituire un’azienda, ma solo dopo che sia stata loro impressa un’organizzazione da parte dell’avente causa, non potrà parlarsi di affitto di azienda o di un suo ramo, bensì di locazione.
A tal fine non può sottovalutarsi la circostanza che il legislatore nel prevedere l’affitto di azienda (articolo 2562 c.c.) ha richiamato le norme dettate in materia di usufrutto di azienda (articolo 2561 c.c.), cosi che emerge chiaramente l’intento di consentire, si, all’affittuario di trarre gli utili consentiti dallo stato in cui si trova il complesso aziendale (e dunque dalla organizzazione impressa dal dante causa), ma altresì di consentire al dante causa la retrocessione di un complesso integro nella sua funzionalità e nella sua organizzazione.
Il che impone quindi di considerare, ai fini della distinzione tra affitto e locazione, anche l’elemento dell’avviamento, quale indice della preesistenza di un’impresa, e dunque della organizzazione dei beni oggetto di contratto.
Ma soprattutto occorrerà considerare il rilievo e l’importanza oggettivamente rivestiti dall’immobile rispetto agli altri beni o servizi oggetto del contratto.
Va ricordato infatti che “la locazione di immobile con pertinenze si differenzia dall’affitto di azienda perché la relativa convenzione negoziale ha per oggetto un bene – l’immobile concesso in godimento – che assume una posizione di assoluta ed autonoma centralità nell’economia contrattuale, secondo la sua consistenza effettiva e con funzione prevalente ed assorbente rispetto agli altri elementi che, legati materialmente o meno ad esso, assumono, comunque, carattere di accessorietà, rimanendo ad esso collegati sul piano funzionale in una posizione di coordinazione- subordinazione, mentre, nell’affitto di azienda, lo stesso immobile è considerato non nella sua individualità giuridica, ma come uno degli elementi costitutivi del complesso dei beni (mobili ed immobili) legati tra loro da un vincolo di interdipendenza e complementarietà per il conseguimento di un determinato fine produttivo, così che oggetto del contratto risulta proprio il complesso produttivo unitariamente considerato, secondo la definizione normativa di cui all’articolo 2555 c.c.” (Cass. 20815/ 2006; Cass. 24376/2017).
E’ dunque perfettamente compatibile con la locazione la circostanza che oltre al godimento dell’immobile il contratto abbia ad oggetto prestazioni che sono accessorie a tale godimento ed a cui si obbliga il locatore (consentire l’uso dell’area comune del centro commerciale, consentire di usufruire delle utenze, dare in godimento le attrezzature).
Alla luce di quanto si è detto, non costituisce circostanza significativa il fatto che il bene oggetto di contratto (il locale destinato a commercio) sia situato all’interno di un centro commerciale.
E’ evidente infatti che la mera collocazione del locale nel centro commerciale nulla dice quanto al tipo di contratto che lo riguarda, così come non è presuntiva di avviamento aziendale, ossia di avviamento che non sia riferibile al conduttore, alla sua iniziativa commerciale, ma piuttosto alla collocazione nel centro commerciale, e all’avviamento che deriva dalla contiguità con gli altri locali.
Si è già osservato che l’inserimento di un locale nel centro commerciale non significa che l’avviamento sia frutto della mera collocazione del negozio, che trae profitto solo dalla vicinanza con altri esercizi, giacché ciò che rileva è la capacità del singolo commerciante di attrarre la clientela, cosi che “l’indennità per la perdita dell’avviamento commerciale deve essere riconosciuta, laddove ricorrano le condizioni di cui alla L. n. 392 del 1978, articolo 34 anche in relazione alla locazione di immobili interni o complementari a centri commerciali, non essendo applicabile in via analogica l’articolo 35 Legge citata, ma dovendo piuttosto verificarsi la idoneità degli stessi a produrre un avviamento “proprio”, tenendo altresì conto che la funzione attrattiva della clientela esercitata dai centri commerciali non rende possibile distinguere, in genere, tra avviamento “proprio” del centro e quello di ciascuna attività in esso svolta, in ragione della reciproca sinergia esercitata dalle singole attività”. (Cass. 18748/ 2016).
Nella fattispecie, la differenza essenziale tra locazione e affitto di azienda (o di ramo di essa) è in primo luogo nella preesistenza di una organizzazione in forma di azienda dei beni oggetto di contratto, mancando la quale non si può dire che sia stato ceduto il godimento di un’azienda o di un suo ramo; in secondo luogo ove si accerti che i beni erano al momento del contratto organizzati per l’esercizio dell’impresa già dal dante causa, occorre verificare se le parti abbiano inteso trasferire o concedere il godimento del complesso organizzato, oppure semplicemente di un bene immobile, rispetto al quale gli altri beni e servizi risultano strumentali al godimento del bene, restando poi libero l’avente causa di organizzare ex novo un’azienda propria.
Corte di Cassazione, Sezione 3, Sentenza n. 3888 del 17 febbraio 2020
La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di
Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.
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