TRIBUNALE DI BARI
SEZIONE LAVORO
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale di Bari, in funzione di Giudice del Lavoro, nella persona del GOT Avv., ha pronunciato
– mediante lettura del dispositivo e delle concise ragioni di fatto e di diritto della decisione – la seguente
SENTENZA n. 2506/2021 pubblicata il 14/10/2021
Nella causa iscritta al n°3289 del Ruolo Generale dell’anno 2020, in materia di previdenza ed assistenza obbligatoria, vertente
tra
Avv. XXX (), in proprio ed elettivamente domiciliato presso lo stesso ricorrente
contro
ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE – I.N.P.S. – in persona del Presidente p.t., in proprio., rappresentato e difeso dall’avv. ; resistente
nonché contro
Società di Cartolarizzazione dei Crediti Inps, S.C.C.I. S.p.A. – rappresentata dall’Avv. resistente
Agenzia Entrate Riscossioni Bari
RAGIONI IN FATTO E DIRITTO
La presente sentenza viene redatta senza la concisa esposizione dello svolgimento del processo e con motivazione limitata alla succinta enunciazione dei fatti rilevanti della causa e delle ragioni giuridiche della decisione, anche con riferimenti conformi, così come previsto dagli artt.132 n°4) c.p.c. e 118 disp. att. c.p.c., nel testo introdotto rispettivamente dagli artt.45 e 52 della legge n° 69 del 18 giugno 2009, trattandosi di disposizioni applicabili ai procedimenti pendenti in primo grado alla data di entrata in vigore della legge (04.07.2009) ai sensi dell’art.58, 2°comma, della citata legge. Va inoltre ricordato che al processo del lavoro è applicabile la disposizione di cui all’art.281 sexies c.p.c., che prevede la pronuncia della sentenza al termine della discussione orale (con lettura del dispositivo e concisa esposizione delle ragioni di fato e di diritto della decisione), a condizione del suo adattamento al rito speciale nel quale, a differenza di quanto stabilito nel giudizio ordinario di cognizione innanzi la tribunale in composizione monocratica, non è prevista l’udienza di precisazione delle conclusioni.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con ricorso ritualmente depositato, l’Avv. XXX spiegava opposizione, con richiesta di sospensione, avverso l’avviso di addebito n. del 24.12.2019, notificato il 29.01.2020, con cui l’Inps richiedeva il pagamento di €. 1.826,38 a titolo di omessi contributi relativi alla Gestione separata di cui all’art. 2, comma 26, l. 8 agosto 1995, n. 335, per l’anno 2012, oltre accessori. L’Inps ha resistito in giudizio.
L’opponente, libero professionista esercente l’attività di avvocato nell’anno in contestazione (2012) ha contestato la pretesa dell’Istituto previdenziale nel merito, esponendo: – che all’epoca era tenuto al pagamento del contributo integrativo verso la Cassa forense, con conseguente esonero dalla contribuzione presso la gestione separata dell’Inps, costituita ai sensi della legge 8 agosto 1995, n. 335, art. 2, comma 26, come interpretato per effetto dell’art. 18, comma 12, d.l. 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni, in legge 15 luglio 2011, n. 111. Il motivo di doglianza è infondato. La questione principale, oggetto del giudizio, rientra nel più ampio contenzioso che concerne l’accertamento dell’obbligo di iscrizione alla gestione separata presso l’Inps di un libero professionista che eserciti attività per cui è necessaria l’iscrizione in apposito albo o elenco ed è costituita una cassa che gestisce l’assicurazione obbligatoria di categoria, alla quale egli, pur senza esservi iscritto, versi obbligatoriamente un mero contributo integrativo.
Si è ormai consolidato nella giurisprudenza della Suprema Corte l’orientamento interpretativo, dal quale non v’è ragione di discostarsi, in forza del quale il lavoratore autonomo, che non abbia l’obbligo di iscrizione alla cassa professionale e versi a quest’ultima soltanto il contributo integrativo in quanto iscritto all’albo, è tenuto comunque ad iscriversi alla gestione separata presso l’Inps, in quanto la ratio universalistica delle tutele previdenziali cui è ispirato l’art. 2, comma 26, l. n. 335/1995 induce ad attribuire rilevanza, ai fini dell’esclusione dell’obbligo di iscrizione di cui alla norma d’interpretazione autentica contenuta nell’art. 18, comma 12, d.l. n. 98/2011 (conv. in l. n. 111/2011), al solo versamento di contributi suscettibili di costituire una correlata prestazione previdenziale, ciò che invece non può dirsi per il c.d. contributo integrativo, in quanto erogazione effettuata da tutti gli iscritti agli albi in funzione solidaristica (Cass. civ., Sez. L, 18 dicembre 2017, n. 30344, cui ha dato seguito Cass. 12 dicembre 2018, n. 32167, Cass. 14 dicembre 2018, n. 32508, e Cass. 18 luglio 2019, n. 19403).
Come ulteriore motivo di opposizione, la Sig.ra Avv. XXX ha dedotto la prescrizione del credito contributivo, sul presupposto secondo cui la decorrenza del termine quinquennale stabilito a norma dell’art. 3 della l. n. 335/1995 andrebbe fatta risalire al giorno 17 .06.2013 ovvero 8 luglio 2013 (data di scadenza del termine per il saldo dei contributi per l’anno precedente), mentre il primo atto interruttivo della prescrizione sarebbe stato tardivamente compiuto mediante la notifica dell’avviso di addebito. A tal proposito, l’Inps ha replicato di aver tempestivamente interrotto il termine di prescrizione mediante notifica di un avviso bonario di pagamento, eseguita a mezzo posta, per raccomandata con avviso di ricevimento, perfezionatasi in data 1° ottobre 2018 quando ancora non erano decorsi cinque anni dalla presentazione della dichiarazione fiscale per l’anno d’imposta 2012 da parte dell’opponente, risalente pacificamente al 26 settembre 2013, cui conseguiva la legittima richiesta del credito contributivo a far tempo, ai fini della decorrenza della prescrizione, dal momento in cui l’Istituto era stato messo in grado di accertare il reddito dei soggetti interessati, ai sensi dell’art. 83 comma 1 della legge n. 133/2008 .
Il motivo di opposizione è fondato e deve, pertanto, essere accolto, per quanto di ragione.
Il termine di prescrizione del credito vantato dall’ente previdenziale è stato stabilito in cinque anni per effetto dell’art. 3, comma 9, l. n. 335/1995. In applicazione del principio generale posto dall’art. 2935 c.c., la prescrizione comincia a decorrere dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere. Per quanto concerne, in particolare, l’obbligo contributivo nell’ambito della Gestione separata, l’ammontare del contributo annuo dovuto è determinato in base al “reddito delle attività determinato con gli stessi criteri stabiliti ai fini dell’imposta sul reddito delle persone fisiche, quale risulta dalla relativa dichiarazione annuale dei redditi e dagli accertamenti definitivi per l’anno al quale i contributi stessi si riferiscono” (art. 2, comma 29, l. n. 335/1995). I versamenti a saldo dei contributi devono essere effettuati entro gli stessi termini previsti per il pagamento delle imposte sui redditi (cfr. artt. 10 e 18 d.lgs. 9 luglio 1997, n. 241). Il dies a quo di decorrenza del termine di prescrizione quinquennale dei contributi previdenziali destinati alla gestione separata (nella specie, relativi all’anno 2012) va individuato nella scadenza prevista per il loro versamento, coincidente con il termine stabilito per il saldo delle imposte dovute per il medesimo anno.
Nella specie, il termine per il versamento risultava stabilito al 16 giugno 2013, secondo quanto disposto dall’art. 17, comma 1, del regolamento di cui al d.P.R. 7 dicembre 2001, n. 435, come modificato dall’art. 2 d.l. 15 aprile 2002, n. 63, convertito, con modificazioni, in l. 15 giugno 2002, n. 112, e dall’art. 37, comma 11, del d.l. 4 luglio 2006, n. 223, convertito, con modificazioni, in legge 4 agosto 2006, n. 248. Con il d.P.C.M. 13 giugno 2013 i termini di versamento delle imposte risultanti dalle dichiarazioni presentate nell’anno 2013 da parte dei soggetti esercenti attività economiche per le quali sono stati elaborati gli studi di settore erano stati differiti al giorno 8 luglio 2013.
Valga precisare che non può essere accolta la diversa tesi, pur sostenuta nella giurisprudenza di merito e di legittimità (Cass. civ., Sez L, 20 aprile 2016, n. 783), secondo cui, nel caso di mancata iscrizione del contribuente alla gestione separata, la prescrizione decorrerebbe dalla data di presentazione della dichiarazione fiscale, ai sensi dell’art. 2935 c.c. Infatti, l’obbligo del versamento contributivo non discende dalla presentazione della dichiarazione fiscale ma dalla produzione di redditi conseguenti all’esercizio dell’attività considerata, mentre la sua esigibilità è legata al successivo termine di versamento delle imposte. Secondo i più recenti pronunciamenti della Suprema Corte (Cass. civ., Sez. L, 31 ottobre 2018, n. 27950), si è chiarito che dalla mancata iscrizione del professionista alla gestione separata non può derivare alcun impedimento giuridico all’esercizio del diritto dell’ente previdenziale. Alla dichiarazione dei redditi, quale atto giuridico successivo alla esigibilità del credito, può riconoscersi, piuttosto, effetto interruttivo della prescrizione ma soltanto se ed in quanto dalla stessa risulti il riconoscimento del debito contributivo, con la compilazione dell’apposito quadro (circostanza che non risulta essersi verificata nel caso di specie). Nella diversa ipotesi di omessa esposizione all’interno della dichiarazione dei redditi degli obblighi contributivi relativi alla gestione separata dell’Inps e connessi al lavoro autonomo (cd. quadro RR del modello di dichiarazione dei redditi) la incompletezza della dichiarazione può rilevare invece (non sotto il profilo della interruzione della prescrizione ma) come ipotesi di sospensione della prescrizione per occultamento doloso del debito, secondo una valutazione riservata al giudice di merito, anche in assenza di allegazione da parte dell’ente previdenziale, in quanto l’eccezione di sospensione della prescrizione costituisce eccezione in senso lato rilevabile d’ufficio (in termini: Cass. civ., Sez. L, 7 marzo 2019, n. 6677, e le già citate sentenze della Suprema Corte n. 27950/2018 e n. 19403/2019). Deve peraltro osservarsi che il mero comportamento omissivo del contribuente non può costituire doloso occultamento del debito, idoneo a sospendere la prescrizione, ai sensi dell’art. 2941, n. 8, c.c..
A tal proposito la Suprema Corte ha sì precisato che “… costituisce doloso occultamento del debito contributivo verso l’ente previdenziale, ai fini dell’applicabilità dell’art. 2941, n. 8 c.c., la condotta del professionista che ometta di compilare la dichiarazione dei redditi nella parte relativa ai proventi della propria attività, utile al calcolo dei contributi per la gestione separata (quadro RR del modello)” (Cass. civ., Sez. L, 7 marzo 2019, n. 6677, cit.) ma, di fatto, nella sentenza in parola la Suprema Corte si limita a dare atto del percorso argomentativo seguito dal giudice di merito nella pronuncia gravata e delle valutazioni ivi espresse circa la “condotta dolosa della professionista, di occultamento del credito per non avere compilato, dichiarando i relativi proventi, il quadro adibito alla determinazione dei contributi da parte del Fisco (ex art.1, d.lgs. n.462 del 1997 e art.10, d.lgs. n.241 del 1997)”, avendo cura di precisare espressamente che si tratta di un “giudizio di fatto che si sottrae ad ogni sindacato in sede di legittimità”.
In tema di sospensione della prescrizione di un diritto, l’occultamento doloso è requisito diverso e più grave della mera omissione di un’informazione, la quale ha rilievo, ai fini della detta sospensione, soltanto se sussista un obbligo di informare (cfr. tra le altre Cass. civ., Sez. III, n. 2030 del 29 gennaio 2010), ma anche in tal caso l’omissione deve essere sempre caratterizzata dall’intenzione di impedire l’accertamento del debito, tanto da rendere la condotta “ingannatrice e fraudolenta” (così si esprime Cass. civ., Sez. L, 5 dicembre 2005, n. 26355, e ancora prima con sentenze n. 1222 del 23 gennaio 2004 e n. 10592 del 24 ottobre 1998), situazione nella specie non ricavabile dalla documentazione prodotta. Inoltre, l’operatività della causa di sospensione della prescrizione di cui all’art. 2941 n. 8 c.c. ricorre quando sia posta in essere dal debitore una condotta tale da comportare per il creditore una vera e propria impossibilità di agire e non una mera difficoltà di accertamento del credito, con la precisazione che tale criterio non impone di far riferimento ad un’impossibilità assoluta di superare l’ostacolo prodotto dal comportamento del debitore, ma richiede di considerare l’effetto dell’occultamento in termini di impedimento non sormontabile con normali controlli (Cass. civ., Sez. L, 17 aprile 2007, n. 9113). Controlli che l’Istituto resistente era in grado di effettuare tant’è che è proprio per effetto di questi controlli che ha accertato, in via amministrativa, i presupposti di fatto generatori dell’obbligazione contributiva di cui si discute. In considerazione di ciò, il credito contributivo di cui trattasi si è estinto per prescrizione, come eccepito dalla ricorrente, non avendo l’Inps dimostrato l’esistenza di atti idonei ad interrompere il decorso della prescrizione, nel quinquennio immediatamente successivo alla data dell’8 luglio 2013.
Tutte le altre questioni assorbite.
In ragione dell’esistenza di contrastanti orientamenti in tema di individuazione del dies a quo per il calcolo del termine di prescrizione nella materia di cui si discute, le spese di lite devono essere integralmente compensate tra le parti, ai sensi dell’art. 92 c.p.c.
P.Q.M.
Il Tribunale di Bari in composizione monocratica ed in funzione di Giudice del Lavoro, definitivamente pronunciando sul ricorso presentato dal Sig. Avv. XXX (),nei confronti dell’Istituto Nazionale
Previdenza Sociale, I.N.P.S., in persona del legale rappresentante pro tempore, anche quale mandatario della Società di Cartolarizzazione dei Crediti Inps, S.C.C.I. S.p.A., (contumace), ogni contraria domanda, eccezione produzione e difesa respinte, così provvede:
• accoglie integralmente il ricorso e, per l’effetto, annulla l’avviso di addebito n. del 24.12.2019, notificato il 29.01.2020, con cui l’Inps richiedeva il pagamento di €. 1.826,38 a titolo di omessi contributi per l’anno 2012, sanzioni, interessi e spese di notifica;
• dichiara l’illegittimità della pretesa creditoria dell’I.N.P.S. contenuta nella nota n. del 12.09.2018 (notificata in data 01.10.2018) per intervenuta prescrizione e, per l’effetto, dichiara non dovute le somme richieste dall’Istituto a titolo contributivo, con contestuale ordine di cancellazione della iscrizione d’ufficio alla gestione separata dell’Inps
• dichiara interamente compensate tra le parti le spese di giudizio
Fissa il termine di 30 giorni peri deposito della motivazione.
Così deciso in Bari il 23 settembre 2021
Il GOT
La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di
Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.
Desideri approfondire l'argomento ed avere una consulenza legale?
Prenota un appuntamento.
La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza / conference call e si svolge in tre fasi.
Prima dell'appuntamento: analisi del caso prospettato. Si tratta della fase più delicata, perché dalla esatta comprensione del caso sottoposto dipendono il corretto inquadramento giuridico dello stesso, la ricerca del materiale e la soluzione finale.
Durante l’appuntamento: disponibilità all’ascolto e capacità a tenere distinti i dati essenziali del caso dalle componenti psicologiche ed emozionali.
Al termine dell’appuntamento: ti verranno forniti gli elementi di valutazione necessari e i suggerimenti opportuni al fine di porre in essere azioni consapevoli a seguito di un apprezzamento riflessivo di rischi e vantaggi. Il contenuto della prestazione di consulenza stragiudiziale comprende, difatti, il preciso dovere di informare compiutamente il cliente di ogni rischio di causa. A detto obbligo di informazione, si accompagnano specifici doveri di dissuasione e di sollecitazione.