TRIBUNALE DI TERNI
Il giudice ha pronunciato la seguente
SENTENZA n. 707/2018
nel procedimento civile iscritto al n. R.G., trattenuto in decisione all’udienza del 28 marzo 2018, scaduti i termini concessi alle parti ai sensi dell’art. 190 cpc, promosso da:
“XXX”, in persona del suo procuratore generale, rappresentata e difesa dall’avv., come da mandato in atti;
ATTORE OPPONENTE contro
“YYY”, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avv., come da mandato in atti;
CONVENUTA OPPOSTA
MOTIVI IN FATTO E DIRITTO DELLA DECISIONE
Con atto di citazione ritualmente notificato la “XXX” proponeva opposizione avverso il decreto ingiuntivo n. 231/2013 del tribunale di Orvieto con il quale, su ricorso della “YYY”, le era stato ingiunto il pagamento della somma di € 26.899,20, in ragione delle prestazioni professionali da quest’ultimo effettuate e rappresentate nelle fatture n. 2 del 10/01/2013 e n. 23 del 9/05/2013; deduceva che, avendo già corrisposto al predetto studio il complessivo importo di € 34.820,8, lo stesso era stato adeguatamente ricompensato per le prestazioni effettuate; deduceva in particolare che: – la richiesta di pagamento era avvenuta in spregio delle intese raggiunte; era stato convenuto in particolare che lo studio, contattato dalla opponente per una consulenza in merito alla progettazione e realizzazione di due impianti a biomasse nei comuni di *** e ***, sarebbe stato retribuito secondo la formula “success fee”, cioè attraverso il procacciamento di incarichi professionali nella fase esecutiva dei lavori, quando le società “ZZZ” e “KKK” fossero divenute le effettive referenti dei due impianti, avendone acquistato la proprietà da “XXX”; – lo studio convenuto si era reso protagonista di una serie di inadempienze, tra cui: – non aveva svolto il ruolo di referente nei rapporti con le amministrazioni; – non aveva prestato la dovuta assistenza professionale nella fase delle trattative prodromiche alla vendita degli impianti; – in cambio della consegna dei files degli elaborati progettuali, in suo esclusivo possesso e indispensabili per il prosieguo delle trattative di vendita, aveva preteso la sottoscrizione dell’accordo economico del 3/11/2012. In subordine, eccepiva che gli importi oggetto dell’ingiunzione erano eccessivi e sproporzionati, avuto riguardo al fatto che lo studio si era limitato alla predisposizione dell’elaborato geologico per la sismica, da depositare presso il Genio Civile di Viterbo, in quanto alcuni degli elaborati di competenza della YYY si erano risolti in meri riadattamenti di materiali forniti dalla stessa “XXX”; concludeva pertanto chiedendo che, previo accertamento dell’inadempimento della opposta, il decreto ingiuntivo fosse revocato ovvero, in subordine, che l’importo ingiunto venisse ridotto.
Con comparsa depositata in data 21 febbraio 2014 “YYY” si costituiva in giudizio e, dopo avere descritto analiticamente l’attività svolta, contestava l’eccezione di inadempimento formulata dall’opponente; con riferimento poi, alle censure relative al quantum del compenso preteso, deduceva che lo stesso era stato oggetto di specifica pattuizione, cosicché non sussistevano i presupposti per la invocata liquidazione giudiziale, in ragione della previsione dell’art. 2233 c.c.. La domanda non merita accoglimento, per le ragioni di seguito esposte.
Il decreto ingiuntivo è stato emesso sulla base delle due fatture del convenuto studio associato, con le quali si pretende il pagamento di quanto pattuito tra le parti nell’accordo sottoscritto in data 3 novembre 2012; in particolare, con la fattura n. 2/2013 viene chiesto il pagamento del 20% dell’onorario pattuito in relazione alle prestazioni professionali riferite all’impianto di Canino (Vt); con la fattura n. 23/2013 viene chiesto il pagamento del (residuo del) corrispettivo pattuito in relazione alle attività professionali concernenti l’impianto di Narni.
Per paralizzare la pretesa, la opponente società deduce in sintesi: – di essersi accordata, con tutti i professionisti che avevano lavorato alla realizzazione dei due predetti impianti (compreso quindi lo studio associato “YYY”), nel senso che i compensi sarebbero stati corrisposti secondo la formula “success fee”, ovvero, che sarebbero stati retribuiti (anche per l’attività relativa alla fase di progettazione), con il conferimento di incarichi per la fase esecutiva, da parte dei soggetti che si sarebbero resi acquirenti degli impianti; – che il convenuto studio associato si era reso inadempiente rispetto agli obblighi assunti (in particolare: – non aveva svolto il ruolo di referente nei confronti delle amministrazioni pubbliche; – non era in possesso della firma digitale, per cui era stato necessario ricorrere ad altro soggetto per il deposito del progetto presso la provincia di Viterbo; – aveva preteso la sottoscrizione dell’accordo del 3 novembre 2012 alla vigilia della conclusione della trattativa per l’impianto di Narni, subordinando a ciò la consegna del files degli elaborati progettuali; – non aveva prestato la dovuta assistenza nella fase delle trattative per la vendita dei due impianti; – la sua attività si era limitata alla predisposizione dell’elaborato geologico per la sismica, mentre, parte degli elaborati predisposti da YYY non erano altro che adattamenti di materiale fornito direttamente dalla opponente.
In linea generale, in diritto, occorre ricordare che in tema di prova dell’inadempimento di una obbligazione, il creditore che agisca per la risoluzione contrattuale, per il risarcimento del danno, ovvero per l’adempimento deve soltanto provare la fonte (negoziale o legale) del suo diritto ed il relativo termine di scadenza, limitandosi alla mera allegazione della circostanza dell’inadempimento della controparte, mentre il debitore convenuto è gravato dell’onere della prova del fatto estintivo dell’altrui pretesa, costituito dall’avvenuto adempimento, ed eguale criterio di riparto dell’onere della prova deve ritenersi applicabile al caso in cui il debitore convenuto per l’adempimento, la risoluzione o il risarcimento del danno si avvalga dell’eccezione di inadempimento ai sensi dell’ art. 1460 cod. civ. (risultando, in tal caso, invertiti i ruoli delle parti in lite, poiché il debitore eccipiente si limiterà ad allegare l’altrui inadempimento, ed il creditore agente dovrà dimostrare il proprio adempimento, ovvero la non ancora intervenuta scadenza dell’obbligazione).
Facendo applicazione del predetto principio di diritto al caso di specie, il preteso creditore (ovvero l’opposto, parte convenuta in senso formale ma attore in senso sostanziale, vertendosi in tema di opposizione a decreto ingiuntivo) fonda la propria richiesta di pagamento sull’accordo sottoscritto in data 3 novembre del 2012; in tale accordo, le prestazioni convenute sono così descritte: “prestazioni relative alla acquisizione della Autorizzazione Unica per l’impianto di Canino”; “prestazioni relative alla acquisizione della *** di Narni”. A dimostrazione dell’adempimento di quanto pattuito, nei termini espressamente indicati nell’accordo scritto, la opposta ha prodotto cospicua documentazione giustificativa, relativa a tutte le attività compiute, prodromiche al rilascio delle suddette autorizzazioni (poi pacificamente conseguite, come documentato sub doc. 3.1 e 8.1 rispettivamente per Viterbo e Narni); si veda in particolare tutta la produzione documentale di cui al fascicolo 3 (per quanto riguarda l’impianto di Viterbo) e al fascicolo 8 (per l’impianto di Narni); pertanto, la dedotta circostanza secondo cui le richieste di autorizzazione agli enti competenti (provincia di Viterbo e comune di Narni) siano state presentate personalmente da parte della legale rappresentante, non pare affatto circostanza idonea a inficiare il compiuto adempimento delle prodromiche attività di progettazione, necessarie all’accoglimento della domanda; stesse conclusioni si impongono con riguardo alla lamentata mancanza di firma digitale o del rifiuto, opposto dalla convenuta, di stampare i progetti per dedotta indisponibilità di stampante; in altre parole, avuto riguardo alla economia complessiva del rapporto contrattuale, le predette lamentate mancanze non sono idonee a paralizzare la pretesa di pagamento, in quanto la stessa è fondata su uno specifico accordo negoziale e su documentazione idonea a dimostrare le attività compiute per il conseguimento delle autorizzazioni di impianto, oggetto di accordo (cfr. Cass., s. n. 22626/2016 secondo cui: “Il giudice ove venga proposta dalla parte l’eccezione “inadimplenti non est adimplendum” deve procedere ad una valutazione comparativa degli opposti inadempimenti avuto riguardo anche alla loro proporzionalità rispetto alla funzione economico-sociale del contratto e alla loro rispettiva incidenza sull’equilibrio sinallagmatico, sulle posizioni delle parti e sugli interessi delle stesse, per cui, qualora rilevi che l’inadempimento della parte nei cui confronti è opposta l’eccezione non è grave ovvero ha scarsa importanza, in relazione all’interesse dell’altra parte a norma dell’art. 1455 c.c., deve ritenersi che il rifiuto di quest’ultima di adempiere la propria obbligazione non sia di buona fede e quindi non sia giustificato ai sensi dell’art. 1460, comma 2, c.c.”). A fronte di tutta la documentazione progettuale, a firma dello studio convenuto, prodotta in atti a giustificazione della attività realizzata (propedeutica al conseguimento delle autorizzazioni per l’esercizio dei due impianti) l’opponente deduce che in realtà si tratterebbe di riadattamenti di documentazione da essa stessa fornita; l’assunto, oltre che generico, non è provato, non essendo a tal fine sufficienti le comunicazioni per messaggi di posta elettronica prodotte in atti (doc. 8 dell’atto di citazione), con le quali la società fornisce allo studio materiale di non agevole identificazione (infatti, dal testo della stampa delle e-mail si evince la denominazione del documenti allegato ma non viene prodotto il documento in questione). Né hanno pregio le doglianze concernenti: il mancato supporto in sede di trattative con gli acquirenti degli impianti; il mancato svolgimento del compito di referenti con le amministrazioni pubbliche; con riferimento a entrambe le doglianze, deve rilevarsi la mancata dimostrazione della specifica assunzione di un obbligo nel predetto senso, da parte della convenuta, con conseguente soccombenza della opponente sul punto, in quanto onerata della relativa prova.
Non è infine fondato l’assunto di parte opponente, nella parte in cui la stessa sostiene di avere raggiunto, all’inizio della collaborazione con YYY (come con tuti gli altri professionisti coinvolti nel progetto), una specifica intesa in relazione alle modalità e ai tempi di pagamento, secondo la formula “success fee” (nei termini sopra riportati).
L’assunto non è accoglibile sia in quanto smentito dall’accordo del 3 novembre 2012 (non disconosciuto, nemmeno nelle sottoscrizioni, da parte della opponente, quindi legittimamente opponibile) sia in quanto indimostrato e indimostrabile per testimoni, come chiaramente disposto dall’art. 2722 c.c. (secondo cui: “la prova per testimoni non è ammessa se ha per oggetto patti aggiunti o contrari al contenuto di un documento, per i quali si alleghi che la stipulazione è stata anteriore o contemporanea”).
Generiche sono poi le censure che apparirebbero volte a configurare come “anomala” la sottoscrizione dell’accordo del 3 novembre 2012, in quanto non idonee a inficiare la pattuizione, ad esempio sotto il profilo del vizio della volontà, in astratto idoneo a ottenere una pronuncia di annullamento dell’accordo, invero neppure richiesto.
Infine, non può essere accolta la domanda di riduzione del compenso pattuito, in quanto ritenuto eccessivo o comunque non proporzionato rispetto al lavoro svolto; infatti, in presenza di una specifica pattuizione, sul punto, non vi è spazio per il ricorso a differenti criteri di determinazione del compenso, secondo il preciso ordine dei criteri applicabili, individuato dall’art. 2233 c.c. (cfr Cass., s. n. 14293/2018, secondo cui: “Il compenso per prestazioni professionali va determinato in base alla tariffa ed adeguato all’importanza dell’opera, solo nel caso in cui esso non sia stato liberamente pattuito, in quanto l’art. 2233 c.c. pone una garanzia di carattere preferenziale tra i vari criteri di determinazione del compenso, attribuendo rilevanza in primo luogo alla convenzione che sia intervenuta fra le parti e poi, solo in mancanza di quest’ultima, e in ordine successivo, alle tariffe e agli usi e, infine, alla determinazione del giudice”). Ne consegue il rigetto della domanda.
Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate ai sensi del D.M. n. 55/2014, con esclusione della fase “istruttoria/trattazione” non essendosi svolta attività di assunzione di prove costituende e con applicazione dei valori minimi previsti per lo scaglione da € 26.001 a € 52.000, in ragione del livello di difficoltà medio basso della controversia.
P.Q.M
Il tribunale di Terni, in composizione monocratica, definitivamente pronunciando sulla domanda promossa da “XXX” nei confronti di “YYY”, così provvede:
– Rigetta la domanda e, per l’effetto, conferma il decreto ingiuntivo n. 231/2013 del tribunale di Orvieto e lo dichiara esecutivo;
– condanna parte opponente a rifondere, in favore di parte opposta, le spese di lite, che liquida nel complessivo importo di € 2768,00 oltre spese generali, IVA e CPA come per legge.
Terni, 6 agosto 2018
Il giudice
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Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.
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