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Elemento distintivo del rapporto di lavoro subordinato

Elemento distintivo del rapporto di lavoro subordinato, assoggettamento al potere organizzativo direttivo e disciplinare del datore di lavoro.

Pubblicato il 22 October 2021 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO 
TRIBUNALE DI ROMA
IV SEZIONE LAVORO

SENTENZA n. 8321/2021 pubblicata il 14/10/2021

Il Giudice dott.ssa in funzione di giudice del lavoro all’udienza dell’14 ottobre 2021 ha pronunciato la seguente sentenza nella causa n. 2988 / 2019

TRA

XXX (con l’Avv.)

RICORRENTE

E

1.    YYY

2.    ZZZ

RESISTENTE- contumace

FATTO E MOTIVI DELLA DECISIONE

Con ricorso depositato e ritualmente notificato, la parte ricorrente deduceva di aver prestato attività lavorativa, consistente in assistenza alla Signora *** – persona non autosufficiente e attualmente deceduta – e di cura della sua abitazione sita.

Spiegava che il rapporto lavorativo si era svolto in un primo periodo – dal 1 aprile 2013 al 2 febbraio 2014 – senza alcuna regolarizzazione, con un compenso settimanale di 120 euro per 4 ore di lavoro al giorno, per cinque giorni a settimana, dal martedì al sabato, dalle 9 alle 13, per un totale di 20 ore alla settimana e, in un secondo periodo a decorrere dal 31 gennaio 2014, in forza di un contratto individuale di lavoro, sottoscritto dalla stessa ***, come “assistente per persone non autosufficienti” con inquadramento nella categoria C super. Evidenziava che il contratto prevedeva un’assunzione a tempo parziale in regime di non convivenza, per lo stesso numero di ore settimanali già svolte in precedenza, con ferie annuali di 26 giornate lavorative per ogni anno di lavoro prestato, con una retribuzione mensile lorda pari ad euro 562,47, in conformità al CCNL di settore.

Deduceva, quanto alla cessazione del rapporto di lavoro, di essere stata costretta a rassegnare le proprie dimissioni per giusta causa, sia perché non le veniva corrisposto regolarmente lo stipendio sia perché aveva accertato il mancato pagamento dei contributi previdenziali presso l’INPS, risultando versati solo quelli relativi al periodo 1 febbraio 2014 – 31 marzo 2014.

Faceva presente che, per l’intero periodo lavorativo, i datori di lavoro erano stati i figli della Sig.ra ***, YYY e ZZZ, che le avevano impartito istruzioni sulle mansioni da svolgere di volta in volta, che avevano controllato il suo operato e si erano occupati di corrisponderle la retribuzione.

Instaurato un primo giudizio finalizzato ad ottenere il soddisfacimento delle proprie pretese ma dichiarato estinto per la morte della Sig.ra *** e per un errore nelle generalità dei due figli convenuti, la ricorrente avviava il presente giudizio nei confronti dei signori YYY e ZZZ chiedendo al Giudice: 1. di accertare e dichiarare di aver svolto le mansioni di colf e badante alle dipendenze della Signora ***, dei Sig.ri YYY e ZZZ dal 1 aprile 2013 al 2 febbraio 2014 in assenza di contratto di lavoro e dal 3 febbraio 2014 al 16 maggio 2016 in forza di un contratto di lavoro sottoscritto dalla sola ***; 2. Per l’effetto di condannare i Signori YYY e ZZZ, in proprio e nella qualità di eredi della Sig.ra *** a corrispondere in suo favore la somma di euro 3.622,22 a titolo di differenze retributive e di euro 5.156,25 quale risarcimento del danno subito per non aver potuto beneficiare degli assegni familiari in conseguenza dell’omesso versamento dei contributi da parte dei datori di lavoro.

Nonostante la regolare notifica dell’atto introduttivo, la parte resistente non si costituiva in giudizio rimanendo contumace.

Sul contraddittorio così instauratosi ed escussi i testi, la causa è stata discussa e decisa mediante pubblica lettura del dispositivo.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Il ricorso è meritevole di accoglimento.

Il thema decidendum posto investe la nota questione degli elementi caratterizzanti un rapporto di lavoro subordinato, è opportuno richiamare alcuni ormai consolidati orientamenti giurisprudenziali rilevanti ai fini della soluzione della controversia sottoposta all’attenzione del giudicante. Secondo l’art. 2094 c.c. “è prestatore di lavoro subordinato chi si obbliga mediante retribuzione a collaborare nell’impresa, prestando il proprio lavoro intellettuale o manuale alle dipendenze e sotto la direzione dell’imprenditore”.

La lettera della legge esige la verticalità di un rapporto nel quale il lavoro è reso “alle dipendenze e sotto la direzione dell’imprenditore”. Le regole successivamente imposte dagli artt. 2099 e ss, 2104, 2106 c.c. riempiono di contenuti detta verticalità per la quale il subordinato, nell’ambito di una diligenza qualificata, deve osservare le disposizioni per l’esecuzione e la disciplina del lavoro impartite dal datore di lavoro e dai collaboratori di questo dai quali gerarchicamente dipende; tale dipendenza è resa più intensa da un obbligo di fedeltà e da una soggezione al potere disciplinare del datore di lavoro.

Sulla base delle disposizioni normative citate, ricorrenti massime della Suprema Corte ribadiscono che elemento distintivo del rapporto di lavoro subordinato da quello di lavoro autonomo è rappresentato dall’assoggettamento del lavoratore al potere organizzativo direttivo e disciplinare del datore di lavoro; subordinazione da intendersi come vincolo di natura personale che assoggetta il prestatore ad un potere datoriale che si manifesta in direttive inerenti, di volta in volta, alle modalità di svolgimento delle mansioni e che si traduce in una limitazione della libertà del lavoratore (cfr. Cass.849/2004; 9652/2003; 4682/2002; 3745/95; 7374/94).

Pochi dubbi allorquando la relazione di supremazia che produce l’assoggettamento si concreta nell’emanazione di ordini specifici, nell’esercizio di un’assidua e costante attività di vigilanza e controllo nell’esecuzione delle prestazioni, nello stabile e continuativo inserimento nell’organizzazione produttiva dell’Impresa. Acclarato, però, che qualsiasi attività umana economicamente rilevante può essere oggetto sia di rapporto di lavoro subordinato che autonomo, quando risulti difficile l’accertamento diretto dell’elemento essenziale della subordinazione come sopra delineato, può farsi ricorso ad elementi da carattere sussidiario e di natura indiziaria (Cass. Lav. 296/00; 11711/98) che, lungi dal prescindere dall’essenzialità della subordinazione, ne accettano in via indiretta l’esistenza quali evidenze sintomatiche di un vincolo non rintracciabile aliunde.

È però chiaro che la mera applicazione dei meri indici rivelatori rimane muta addirittura fuorviante se non si accompagna ad una visione globale di insieme che attribuisca maggiore o minore valore ad alcuni di essi a seconda delle peculiarità della prestazione di cui si discute; vale, cioè, il paradigma logico secondo cui gli indizi, proprio perché tali, vanno letti congiuntamente affinché il processo di accertamento conduca a risultati univoci. Giova pertanto rammentare che tali indici presuntivi – l’eterodirezione delle modalità, anche di tempo e di luogo, della prestazione; l’inserimento stabile del lavoratore, nell’organizzazione produttiva dell’impresa; l’utilizzo di locali, mezzi e strutture fornite dal datore di lavoro; l’assenza di rischio imprenditoriale; l’obbligo di osservanza di un orario di lavoro e di frequenza giornaliera con annessi obblighi di giustificazione dei ritardi e delle assenze; la continuità della collaborazione, quale obbligo ideale tendenzialmente stabile di messa a disposizione da parte del dipendente delle energie lavorative; la retribuzione predeterminata a cadenza fissa  – non surrogano la subordinazione né hanno un valore decisivo della qualificazione del rapporto.

Dal quadro probatorio delineatosi nel corso del giudizio sono emersi indici rivelatori che consentono, effettivamente, di individuare come parte datrice di lavoro i Sig.ri XXX e YYY, di cui si è accertata, grazie alla documentazione allegata, la convivenza con la madre, Sig.ra ***.

La ricorrente risulta inserita in modo stabile nel contesto familiare della Sig.ra *** prestando la sua attività lavorativa, di assistenza personale della stessa e della cura dell’abitazione in cui vive insieme ai suoi figli. Non solo. I suoi figli risultano coloro che esercitano i poteri propri del datore di lavoro dal momento che la loro madre risulta persona non autosufficiente.

Il teste sentito, ***, della cui attendibilità non vi è motivo di dubitare stante la sua estraneità alle parti in causa e veridicità del suo racconto, conferma il convincimento raggiunto. Il teste dichiara e dimostra di essere a conoscenza dei fatti e dei luoghi di causa per essere un fornitore abituale di frutta dalla Sig.ra ***. Per lo svolgimento del suo lavoro, detiene un furgone posizionato, dal 1978, a Via di fronte al civico interessato. Grazie alla posizione privilegiata è in grado di fornire informazioni significative sulla ricorrente, sulla data di inizio della sua prestazione, sull’orario osservato sulla parte datrice di lavoro. Si legge, infatti, nella sua dichiarazione “Quindi vedevo la ricorrente tutti i giorni andare a lavorare e veniva anche a fare la spesa per la Signora ***. A volte ero io a portare la spesa su a casa. Ricordo che la Sig.ra XXX ha iniziato a lavorare nel 2013 e ha finito dopo tre anni circa. Conoscevo la Signora ***. L’ho visto allettata ma non so dire se fosse pienamente capace di intendere e di volere. Ho\ visto qualche volta il figlio YYY dare indicazioni a XXX sul lavoro da espletare. La vedevo entrare alle 8.30 ma non la vedevo sempre a andare via. Io finivo di lavorare alle 13.30. Io ho visto XXX solo occuparsi della spesa per la casa della Sig.ra Giuseppa” .

La parte resistente restando contumace e non presentandosi neppure a rendere l’interrogatorio formale deferito, non solo non ha opposto specifiche argomentazioni in contrario ma ha tenuto un comportamento valutabile a suo pregiudizio, finanche come sostanziale ammissione delle circostanze di fatto sottoposte con l’interpello.

Preme pero’ rammentare che l’articolo 232 c.p.c. recita testualmente “se la parte non si presenta …..(il Giudice) valutato ogni altro elemento di prova può ritenere come ammessi i fatti dedotti nell’interrogatorio”. Tale disposizione è stata interpretata dalla giurisprudenza nel senso che la mancata risposta non equivale ad una confessione ma può assurgere a prova dei fatti dedotti secondo il prudente apprezzamento del Giudice (articolo 116 c.p.c.) il quale può trarre elementi di convincimento in tale senso non solo dalla concomitante presenza di elementi di prova indiziaria dei fatti medesimi ma anche dalla mancata proposizione di prova in contrario (cfr. tra le tante Cass. 1812/96 e Cass. 28293/2009).          Il comportamento processuale della parte completa il  quadro probatorio documentale, chiaro e lineare, che sorregge le motivazioni finora illustrate per l’accoglimento del ricorso.

Ne consegue che la pretesa fatta valere dalla  ricorrente debba ritenersi fondata sia nell’an – differenze retributive e risarcimento del danno per il mancato percepimento degli assegni familiari ex art. 2116 c.c. – che nel quantum .

Le spese seguono il principio della soccombenza.

P.Q.M.

Accerta e dichiara che la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato fra le parti dal 1 aprile 2013 al 16 maggio 2016 e, per l’effetto, condanna i Sig.ri YYY e ZZZ in proprio, al pagamento della somma di euro 3.622,22, a titolo di differenze retributive oltre accessori di legge ed euro 5.156,25 quale risarcimento del danno subito per non aver potuto beneficiare degli assegni familiari in conseguenza dell’omesso versamento dei contributi previdenziali;

Condanna i resistenti al pagamento delle spese di lite che liquida in euro 3.200, oltre IVA e CPA, da distrarsi..

Roma, 14 ottobre 2021

 Il Giudice

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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