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Equa riparazione per irragionevole durata del processo

La sentenza chiarisce che, in tema di equa riparazione per irragionevole durata del processo, la legge prevede valori minimi che fungono da parametri di riferimento, ma non sono vincolanti. Il giudice può scostarsi da tali valori, in aumento o in diminuzione, in base ad una valutazione equitativa del caso concreto.

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Pubblicato il 5 aprile 2025 in Diritto Civile, Giurisprudenza Civile

CORTE D’APPELLO DI FIRENZE SEZIONE TERZA

CIVILE riunita in camera di consiglio e composta da:

NOME COGNOME Presidente NOME COGNOME Consigliere NOME COGNOME Consigliere relatore nel procedimento iscritto a ruolo il 3.2.2025 al n. 56/2025

V.G. in esito a udienza a trattazione scritta ex art. 127 ter c.p.c. e susseguente camera di consiglio, ha pronunciato, mediante inserimento nel fascicolo telematico, il seguente

DECRETO R.G._00000056_2025 DEL_21_03_2025 PUBBLICATO_IL_25_03_2025

sull’opposizione ex art. 5 ter L. 24.3.2001 n. 89 proposta da (c.f. , in persona del legale rappresentante , rappresentata e difesa dall’Avv. NOME COGNOME

PARTE OPPONENTE contro (c.f. , in persona del p.t., rappresentato e difeso dall’Avvocatura Distrettuale dello Stato di Firenze;

PARTE OPPOSTA avverso il decreto di accoglimento ex art. 3 L. 24.3.2001 n. 89, n. cron. 4/2025, emesso dal Consigliere designato della Corte d’Appello di Firenze il 20.12.2024, pubblicato il 2.1.2025 e comunicato in pari data, nel procedimento n. 663/2024 V.G..

La Corte, Rilevato che: ha chiesto l’equa riparazione del danno a suo dire subito per l’irragionevole durata della procedura fallimentare della società RAGIONE_SOCIALE, aperta dal Tribunale di Grosseto con sentenza dichiarativa del fallimento del 5-6.11.2009, ancora nella quale la parte ricorrente è stata ammessa al passivo per la somma di € 1.461,00 in via chirografaria in data 24.5.2010;

– la Corte d’Appello di Firenze, in persona del Consigliere designato ex art. 3 co. 4^ L. 89/2001, ha accolto la domanda, liquidando un indennizzo di € 730,00 (“pari a circa il 50% del valore del credito originariamente ammesso al passivo”) oltre interessi legali dal deposito del ricorso al saldo effettivo e spese del procedimento, distratte in favore del difensore antistatario, considerata la durata complessiva della procedura di 14 anni, 5 mesi e 20 giorni alla data del ricorso, con violazione, dunque, del termine di ragionevole durata per 8 anni; – la ha proposto opposizione articolando censure così sintetizzabili:

a) l’equa riparazione era stata concessa in misura largamente inferiore alla misura minima prevista dalla legge, posto che al giudice designato non era consentito ridurre i parametri fissati dall’art. 2 bis, comma 1, L. 89/2001, se non per adeguare l’indennizzo al limite massimo di cui al successivo comma 3 (“la misura dell’indennizzo, anche in deroga al comma 1, non può in ogni caso essere superiore al valore della causa o, se inferiore, a quello del diritto accertato dal giudice”), essendo le ipotesi di diminuzione, così come quelle di aumento, tassativamente previste dalla legge, di modo che l’indennizzo avrebbe dovuto essere in concreto riconosciuto in misura pari al valore del credito ammesso al passivo; b) la consapevolezza in capo al creditore insinuato al passivo del fallimento circa l’esito infruttuoso della procedura concorsuale, contrariamente a quanto ritenuto nel provvedimento, non costituiva valida ragione di riduzione dell’equa riparazione;

– l’opponente ha quindi rassegnato le seguenti conclusioni:

“l’opponente, come rappresentata, chiede che la Corte d’Appello di Firenze, in parziale riforma del decreto oggi impugnato, ed in accoglimento del ricorso introduttivo voglia:

• Condannare il , in persona del pro tempore, a pagare la somma di € 1.461 a titolo di equa riparazione o quella diversa somma ritenuta di giustizia, oltre agli interessi legali dalla domanda sino al soddisfo;

• Con vittoria di spese e compensi per entrambe le fasi, con la maggiorazione del 30% per la predisposizione PCT dell’atto, oltre alle spese generali, IVA e CPA nella misura – fissata l’udienza (da tenersi ex art. 127 ter c.p.c.) e integrato il contraddittorio, si è costituito in giudizio il chiedendo il rigetto dell’opposizione;

– in vista della udienza del 19.3.2025, da svolgersi con trattazione scritta ex art. 127 ter c.p.c., l’opponente ha depositato note, insistendo per l’accoglimento delle conclusioni di cui all’atto di opposizione;

Osserva L’opposizione è infondata.

Si assume anzitutto con il ricorso che, nella fattispecie, vi sarebbe stata disapplicazione della L. 89/2001 non consentendo quest’ultima di scendere al di sotto dei valori di “quantificazione cogente” (pag. 3) indicati all’art. 2 bis, comma 1, salvo il rispetto del tetto risarcitorio fissato dal comma 3. Epperò la stessa norma richiamata – come appunto sottolineato nel decreto opposto, con specifica notazione con la quale l’opponente non si confronta – dispone che il giudice liquida “di regola”, a titolo di equa riparazione, una somma di denaro non inferiore a euro 400 e non superiore a euro 800 per ciascun anno, o frazione di anno superiore a sei mesi, che eccede il termine ragionevole di durata del processo. L’uso della locuzione “di regola” fa ben comprendere come non si tratti di valori monetari cogenti in assoluto, quanto piuttosto di parametri che vanno normalmente applicati nell’esercizio del potere officioso di liquidazione del danno ma che possono in particolari casi essere superati (in aumento o in diminuzione), essendo pur sempre demandato giudice apprezzamento equitativo del pregiudizio collegato all’irragionevole durata del processo (cfr. il rinvio all’art. 2056 c.c., e quindi anche all’art. 1226 c.c., contenuto al comma 2 dell’art. 2-bis) che come tale non può prescindere dalle peculiarità del caso concreto le quali possono anche portare a ritenere sproporzionata la misura dell’indennizzo altrimenti liquidabile. In tal senso depongono del resto i richiami giurisprudenziali contenuti nel provvedimento impugnato ed in particolare la citata Cass. 974/2020 (che, in motivazione, espressamente afferma:

“la soglia minima ex art. 2-bis, legge n. 89/2001 è tendenziale, vale cioè “di regola”, essendo consentito al giudice di merito – nella valutazione equitativa del pregiudizio concreto subito dal cittadino a causa del ritardo del servizio giustizia – scendere al di sotto di quel livello là dove, in considerazione del carattere bagatellare o irrisorio della pretesa patrimoniale azionata nel processo presupposto, parametrata particolari ragioni, di uno scostamento dai minimi annui (già) indicati dalla CEDU e dalla giurisprudenza interna (Cass. 28268/2018, 2995/2017, 12937/2012, 9411/2006). Contrariamente a quanto assunto dall’opponente, dunque, la giurisprudenza della Corte di Cassazione non è affatto espressiva di un principio di “vincolatività” di determinati importi risarcitori annui, come dimostrano (se correttamente intese) le stesse pronunce riportate nel ricorso in opposizione.

Né è stato mai affermato un principio di tassatività delle ipotesi di riduzione;

piuttosto, accanto ad ipotesi espressamente individuate dalla legge, con predeterminazione di presupposti e misure percentuali (si tratta dei casi di cui all’art. 2 bis, commi 1 bis e 1 ter L. 89/2001), resta aperta, come visto, la possibilità per il giudice di ridurre l’indennizzo rispetto all’importo minimo fissato in via generale (“di regola”) dal comma 1, nell’esercizio del suo potere equitativo, dandone (si intende) compiuta motivazione.

La previsione di cui all’art. 2 bis, comma 3, L. 69/2001, relativa al “tetto” massimo del valore della causa o del diritto accertato, non è poi dettata con specifico riferimento ai casi di modestia del valore del processo presupposto (come asserito in ricorso al fine di sostenere che solo detta norma potrebbe in questi casi venire in rilievo), avendo portata generale.

Nemmeno è condivisibile l’affermazione contenuta in ricorso per cui lo scostamento in peius rispetto alla soglia indicata dal legislatore interno potrebbe avvenire “unicamente quando “la pretesa patrimoniale azionata nel processo presupposto”, sia “bagatellare” o “irrisoria”, dal momento che già in passato la giurisprudenza di legittimità ha mostrato di valorizzare anche altri elementi (cfr. ad esempio Cass. 2995/2017 in tema di irragionevole durata del processo amministrativo, secondo cui “è legittima la liquidazione di un indennizzo inferiore alla soglia minima (pari ad € 500,00 per anno) ove tale riduzione sia motivata dalla specifica natura e rilevanza dell’oggetto del giudizio (ed, in particolare, dall’aleatorietà della domanda, dalla natura collettiva della controversia e dall’entità della posta in gioco), nonché dal comportamento processuale delle parti (stante la presentazione dell’istanza di prelievo a distanza di molti anni dal deposito del ricorso)”. Da questo punto di vista – e venendo così al secondo motivo di ricorso – va osservato, innanzitutto, che il provvedimento impugnato si fonda su insieme di elementi (“da un lato gli anni di superamento del termine ragionevole (otto) e, dall’altro, il valore ampiamente prevedibile in relazione all’attivo disponibile)”) tra cui anche un valore del credito che può senz’altro presumersi particolarmente esiguo in rapporto alla qualità del soggetto (una società per azioni), affermando, in questo contesto, che “la quantificazione di tale indennizzo in misura pari al valore del credito ammesso in relazione ad una procedura concorsuale nella quale sin dall’inizio o comunque entro il termine di sei anni, non era ragionevole attendersi una soddisfazione in misura neppure apprezzabile (considerato l’attivo ricavabile, l’importo complessivo dei crediti ammessi in via privilegiata), sarebbe del tutto sproporzionato rispetto alla reale entità del pregiudizio sofferto”, apparendo perciò piuttosto “equo e congruo” quantificare l’indennizzo in misura pari a circa il 50% del valore del credito ammesso al passivo, ovvero € 730,00, “importo comunque superiore a quello che era prevedibile ottenere anche in caso di procedura conclusa entro il termine ragionevole di sei anni”. Siffatta valutazione non appare censurabile, in quanto è perfettamente logico sostenere che vi sia una (assai) minore penosità dell’attesa per la definizione del processo laddove sia chiaro fin da principio che, per circostanze oggettive (quali l’incapienza di un fallimento), vi siano scarsissime chance di realizzazione della pretesa all’interno di quello stesso procedimento (e che tale fosse la situazione nella fattispecie non è minimamente messo in dubbio dall’opponente).

Lo stress o patema d’animo derivante dall’irragionevole durata del processo non può che essere legato, in tale particolare contesto, oltre che all’entità della c.d. posta in gioco (qui un credito di s.p.a. inferiore a 1.500 euro), anche alle concrete aspettative di soddisfacimento del diritto.

Non pertinente appare il richiamo in ricorso all’ordinanza n. 2615 del 2021 della Corte di Cassazione che – in base a quanto si evince dalla sua lettura – ha stigmatizzato, piuttosto, il rigetto della domanda di equa riparazione disposto, in un caso di fallimento con scarse prospettive di realizzo, sulla base dell’erroneo presupposto che la condizione dell’istante fosse di consapevolezza dell’infondatezza della propria domanda (laddove questi invece aveva ottenuto l’ammissione al passivo del proprio credito) e che dunque ricorresse il motivo ostativo al riconoscimento del diritto all’equa riparazione di cui all’art. 2, comma 2 quinquies L. n. 89/2001. Ciò è del tutto condivisibile.

In questo caso, tuttavia, la domanda di equa riparazione è stata accolta e giammai si valorizzato, solo sotto il profilo del quantum, l’aspetto dell’insussistenza di realistiche aspettative di soddisfazione del credito in ambito fallimentare.

Anche le ulteriori pronunce menzionate in ricorso (Cass. 16753/2022 e 12363/2023) affermano il diverso principio sopra enunciato, che nulla ha a che vedere con la possibilità per giudice di modulare l’entità dell’indennizzo tenendo conto anche del profilo in argomento (“In tema di equa riparazione, l’ammissione del creditore al passivo fallimentare consente al giudice, una volta accertata l’irragionevole durata del processo e la sua entità secondo le norme della l. n. 89 del 2001, di ritenere sussistente il danno non patrimoniale ogniqualvolta non ricorrano, nel caso concreto, circostanze particolari che facciano positivamente escludere che esso sia stato subito dal ricorrente, stante la valutazione positiva della fondatezza delle ragioni di credito insita nel provvedimento emesso dagli organi della procedura fallimentare, senza che rilevi, in senso contrario, l’art. 2, comma 2-quinquies, lett. a), della l. n. 89 del 2001, introdotto dalla l. n. 208 del 2015, secondo cui non è riconosciuto alcun indennizzo alla parte consapevole della infondatezza originaria o sopravvenuta delle proprie domande o difese, atteso che la posizione del creditore, insinuato al passivo e rimasto insoddisfatto per l’incapienza dell’attivo, non è assimilabile a quella della parte avente pretese, “ab origine” o per fatti sopravvenuti, infondate”). Per tutte le suesposte ragioni, in definitiva, l’opposizione deve essere respinta.

Resta la regolamentazione delle spese processuali che, secondo soccombenza, sono a carico di La liquidazione, in difetto di nota, si opera in base al D.M. 55/2014 (come modificato dal D.M. 37/2018 e dal D.M. 147/2022), § 12 (su questo, cfr. Cass. 23187/2016), esclusa la fase 3, valore di causa pari alla somma richiesta (€ 1.461,00), con riduzione dei parametri ai valori minimi considerato che il valore della causa è prossimo al limite minimo dello scaglione di riferimento e tenuto conto del carattere contenuto delle difese del Pertanto: € 268,00 fase 1, € 268,00 fase 2 ed € 426,00 fase 4, in tutto € 962,00, oltre accessori di legge.

La Corte d’Appello di Firenze, sezione terza civile, visto l’art. 5 ter L. 24.3.2001 n. 89, Firenze il 20.12.2024, pubblicato il 2.1.2025, nel procedimento n. 663/2024 V.G., che conferma;

– condanna a rimborsare al le spese processuali, che liquida in complessivi € 962,00 per compensi professionali di avvocato, oltre al 15% per rimborso forfettario di spese generali, nonché oltre c.a.p.

e i.v.a. secondo legge.

Firenze, camera di consiglio del 20 marzo 2025

IL PRESIDENTE NOME COGNOME Nota La divulgazione del presente provvedimento, al di fuori dell’ambito strettamente processuale, è condizionata all’eliminazione di tutti i dati sensibili in esso contenuti ai sensi della normativa sulla privacy ex D. Lgs 30 giugno 2003 n. 196 e successive modificazioni e integrazioni.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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