All’esito della camera di consiglio, non essendo presenti le parti, il Giudice pronuncia la seguente
sentenza _N._404_2025_- N._R.G._00003958_2024 DEL_12_02_2025 PUBBLICATA_IL_12_02_2025
contestuale, ai sensi dell’art. 429 c.p.c., contenente il dispositivo e l’esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione.
REPUBBLICA ITALIANA
In Nome del Popolo Italiano Tribunale Ordinario di Torino Sezione Lavoro Nella causa R.G.L 3958/2024 instaurata tra le parti:
(CF: ) ass. Avv. ass. Avv.ti Avv. NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME (ricorrente) (CF: ass. Dott.ssa , Dott.ssa , Dott.ssa (convenuto) Oggetto: esonero contributivo ex art. 1 co 180 e 181 l. 213/2023
CONCLUSIONI
come da verbale
- Con ricorso depositato in data 8/5/2024, parte ricorrente ha allegato:
– di essere docente di scuola superiore di I grado;
– di avere lavorato, appunto quale docente, in forza di contratto a tempo determinato (contratto con termine al 31/8/2024), nell’anno scolastico 2023/2024;
C.F. – che la l. 213/2023, all’art. 1, commi 180 e 181, ha previsto, per le lavoratrici assunte a tempo indeterminato, madri di tre o più figli, o quantomeno di due figli (sino al compimento del decimo anno di età da parte del figlio più piccolo, in tale seconda ipotesi), l’esonero del 100% della quota di contributi previdenziali a loro carico, sino ad un massimo di euro 3.000,00 per anno, dal 2024 al 2026;
– che il non ha concesso tale beneficio all’esponente, essendo ella, appunto, assunta con contratto a tempo determinato.
Parte ricorrente ha sostenuto sussistere, nel caso di specie, di illegittima discriminazione tra personale docente assunto a tempo indeterminato e personale docente assunto invece con contratto a tempo determinato, con riferimento alla mancata erogazione del beneficio economico in discorso;
sarebbe stata posta in essere, in particolare, discriminazione nell’ambito delle condizioni di impiego, con violazione della clausola 4 dell’Accordo Quadro sul lavoro a tempo determinato, recepito dalla Direttiva 1999/70, nonché con violazione degli artt. 20 e 21 della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea.
Parte ricorrente ha quindi richiesto, in relazione all’anno scolastico sopra indicato, previa disapplicazione dell’art. 1 co 180 e 181 l. 213/2023, per contrasto con la normativa euro-unitaria sopra menzionata, l’accertamento del diritto a fruire dell’esonero contributivo sopra illustrato, nonché la condanna del al pagamento delle quote di contributi previdenziali illegittimamente trattenuti, sino ad un massimo di euro 3.000,00;
chiedendo anche, in via subordinata, di accertare la sussistenza del diritto, previa rimessione della questione pregiudiziale (violazione da parte della l. 213/2023, delle norme euro-unitarie sopra menzionate).
convenuto si è costituito in giudizio, eccependo:
– in via preliminare, la necessità di integrare il contraddittorio con la Presidenza del Consiglio ricorso, con il Ministero dell’Economia e delle Finanze, che ha provveduto a versare la contribuzione per conto della lavoratrice, mediante trattenute sulle paghe mensili, e con l’ che ha introitato la contribuzione;
– l’insussistenza di violazione del diritto euro-unitario, posto che il diritto reclamato in questa sede non può ritenersi “condizione di impiego”, nel senso delineato dall’Accordo Quadro sul lavoro a tempo determinato allegato alla Direttiva 1999/70 (laddove il contenuto della “condizione di impiego” è stato individuato, negli anni, nella natura economica/retributiva o, comunque, indennitaria della misura);
al contrario, all’introduzione dell’esonero oggetto di causa (cd. bonus mamme)
non corrisponde una nuova componente della retribuzione della lavoratrice ma ad un beneficio di natura contributiva che, in quanto tale, non integrerebbe un elemento strutturale del rapporto di lavoro;
per di più, il bonus non concerne i rapporti tra il datore di lavoro e la lavoratrice ma tra il datore di lavoro e l’Ente previdenziale;
– che, in ogni caso, sussiste una ragione oggettiva per la differenziazione di trattamento che la normativa oggetto di causa ha riservato alle lavoratrici a tempo determinato rispetto a quelle assunte a tempo indeterminato;
la riserva dell’esonero contributivo oggetto del presente contenzioso alle sole lavoratrici assunte a tempo indeterminato è giustificata in virtù dell’orizzonte temporale tanto della loro prestazione lavorativa (stabile e continuativa presso il medesimo datore di lavoro) quanto della loro contribuzione al sistema previdenziale;
– la sussistenza di altro beneficio applicabile alla ricorrente, ovvero del c.d. taglio del cuneo fiscale (art. 1 co 15 l. 213/2023), che prevede un esonero, per le retribuzioni inferiori ad euro 2.692,00, di una percentuale compresa tra il 6 ed il 7% della contribuzione;
tale beneficio, per , è alternativo a quello reclamato dalla ricorrente, che invece prevede un esonero al 100%, e quindi non può essere cumulato al primo;
dalle somme da riconoscere eventualmente alla ricorrente dovrebbero quindi dedursi gli effetti positivi già conseguiti in virtù di tale altro – che comunque dalle eventuali somme da riconoscersi alla ricorrente dovranno essere decurtate le contribuzioni per le giornate di congedo maternità o parentale, atteso che il suddetto periodo di congedo di maternità o parentale è coperto da indennità o retribuzione ridotta, operando l’istituto dei contributi figurativi, ex artt. 25 e 35 del d.lgs. 151/2001, ovvero di contributi posti a carico della gestione pensionistica di appartenenza del lavoratore, ma senza effettivo esborso da parte del datore di lavoro (e quindi senza possibilità di restituzione al lavoratore). ha quindi richiesto, previa integrazione del contraddittorio con gli Enti indicati, il rigetto del ricorso, ed in subordine il riconoscimento del diritto nei limiti di quanto effettivamente rimborsabile alla ricorrente, in ragione delle eccezioni formulate.
All’odierna udienza parte ricorrente ha confermato l’immissione in ruolo a far data dall’1/9/2024.
***** 2. Il litisconsorzio non deve essere integrato con riferimento agli Enti indicati da parte convenuta, sulla base delle seguenti considerazioni:
– la Presidenza del Consiglio dei Ministri non è parte necessaria del presente procedimento, ma potrà esserla nel caso di rimessione della questione pregiudiziale alla CGEU, o di rimessione alla Consulta di questione di legittimità costituzionale;
nella presente sede può al limite darsi luogo a disapplicazione incidentale della norma di diritto interno (art. 1 commi 180 e 181 l. 213/2023, come si è detto) per contrasto con il diritto sovranazionale/euro-unitario, ma l’eventuale violazione del secondo non costituisce l’oggetto principale di questo giudizio;
– il Ministero dell’Economia e delle Finanze parimenti non è contraddittore rispetto alle domande della ricorrente, in quanto mero esecutore degli ordini di pagamento e trattenuta delle somme dovute a titolo di retribuzione, o di contribuzione, dal datore di lavoro pubblico;
in tale, non ha autonome posizioni di diritto o di interesse giuridicamente rilevante che possano essere coinvolte dalla decisione qui da emettersi;
– l’ è parte del tutto estranea al rapporto giuridico ed alla pretesa da esso scaturente che in questa sede fa valere la ricorrente;
infatti, “legittimato passivo nell’azione di adempimento proposta dal lavoratore al quale dette somme siano state indebitamente trattenute sulla retribuzione è solo il datore di lavoro, al quale il lavoratore può richiedere direttamente il pagamento della percentuale di retribuzione non corrisposta perché indebitamente trattenuta, in quanto il diritto alla integrità della retribuzione non è decurtabile se non nei rigorosi limiti della reale sussistenza della obbligazione contributiva adempiuta” (Cass. n. 13936/2002), dovendosi evidenziare che “in ipotesi di indebito contributivo, il datore di lavoro è l’unico legittimato all’azione di ripetizione nei confronti dell’ente anche con riguardo alle quota predetta, mentre il lavoratore che abbia subito l’indebita trattenuta può agire nei confronti del datore di lavoro che ha eseguito la trattenuta stessa. In merito a tale ultima eventualità, il credito azionato dal lavoratore ha natura retributiva sicché, da un lato, ad esso si applicano la prescrizione quinquennale ex art. 2948 n. 4 cod. civ. e l’art. 429 cod. proc. civ. in materia di interessi e rivalutazione e, dall’altro, esso può essere fatto valere indipendentemente dall’avvenuto rimborso in favore del datore di lavoro dei contributi indebitamente versati” (Cass. n. 8175/2001; conforme, Cass. n. 9470/2001);
la Suprema Corte ha ancora osservato che “nell’ambito del rapporto di lavoro subordinato il lavoratore è affatto estraneo al rapporto contributivo, che si costituisce esclusivamente tra il datore di lavoro e l’ente previdenziale:
lo si desume dall’art. 2115 c.c., comma 2, il quale (con precetto testualmente ribadito dalla L. n. 218 del 1952, art. 19, comma 1), stabilisce che “l’imprenditore è responsabile del versamento del contributo, anche per la parte a carico del prestatore di lavoro, salvo il diritto di rivalsa secondo le leggi speciali”, e ne è prova non solo il fatto che il lavoratore non ha alcuna azione versati dal datore di lavoro, legittimato attivo della quale è solo quest’ultimo, anche per la parte imputabile al lavoratore (così specialmente Cass. n. 12993 del 1993), ma altresì che la stessa rivalsa operata dal datore di lavoro nei suoi confronti non costituisce adempimento pro quota dell’obbligazione contributiva verso l’ente previdenziale, ma semplice potestà accordata dalla legge nell’ambito del rapporto di lavoro, che non priva le somme trattenute della loro natura strettamente retributiva (così Cass. nn. 12855 del 1995, 13936 del 2002)” (Cass. n. 8789/2022, in motivazione); in caso di indebito versamento di contributi previdenziali è “il datore di lavoro, ai sensi dell’art. 8 del d.P.R. n. 818 del 1957, l’unico legittimato a richiederne la restituzione all’ente previdenziale, e dovendosi escludere un pregiudizio a carico del lavoratore al quale permane la possibilità di chiedere direttamente al datore il rimborso dei contributi da quest’ultimo indebitamente trattenuti per effetto del mancato, negligente o negativo esercizio dell’azione di ripetizione nei confronti dell’ente previdenziale” (Cass. n. 8888/2010); si veda anche Cass. n 239/2006, secondo la quale “in ipotesi di indebito contributivo, il datore di lavoro è l’unico legittimato all’azione di ripetizione nei confronti dell’ente anche con riguardo alle quota predetta e pertanto, diversamente da quanto avviene nel rapporto tra datore sostituto d’imposta e lavoratore contribuente sostituito, egli ha l’obbligo, e non la facoltà, di richiedere all’ente previdenziale la restituzione della quota a carico del prestatore di lavoro e, comunque, deve effettuare il conguaglio tra i contributi versati per conto dei lavoratori medesimi e quelli effettivamente a carico di questi ultimi, mentre il lavoratore che abbia subito l’indebita trattenuta può agire soltanto nei confronti del datore di lavoro che ha eseguito la trattenuta stessa”); in buona sostanza, facendo valere in questa sede la lavoratrice il diritto al pagamento di quota di retribuzione non percepita, ma imputata a contribuzione a suo carico e quindi trattenuta (per la ricorrente in modo indebito), ed essendo i due rapporti (lavoratore – datore di lavoro e datore di lavoro – Ente di Previdenza) dalla decisione qui da emettersi, potendo poi il , eventualmente, esercitare azione di ripetizione nei confronti dello stesso , in caso di riconoscimento del diritto all’esonero contributivo. Ne consegue il rigetto dell’istanza preliminare formulata da parte convenuta.
3.1.
Ciò premesso, la pretesa della ricorrente è fondata e deve essere riconosciuta come sussistente.
Si premette che le norme qui denunciate sono i commi 180 e 181 dell’art. 1 l. 213/2023, come già detto, norme che così recitano:
“180.
Fermo restando quanto previsto al comma 15, per i periodi di paga dal 1° gennaio 2024 al 31 dicembre 2026 alle lavoratrici madri di tre o più figli con rapporto di lavoro dipendente a tempo indeterminato, ad esclusione dei rapporti di lavoro domestico, è riconosciuto un esonero del 100 per cento della quota dei contributi previdenziali per l’invalidità, la vecchiaia e i superstiti a carico del lavoratore fino al mese di compimento del diciottesimo anno di età del figlio più piccolo, nel limite massimo annuo di 3.000 euro riparametrato su base mensile. 181.
L’esonero di cui al comma 180 è riconosciuto, in via sperimentale, per i periodi di paga dal 1° gennaio 2024 al 31 dicembre 2024 anche alle lavoratrici madri di due figli con rapporto di lavoro dipendente a tempo indeterminato, ad esclusione dei rapporti di lavoro domestico, fino al mese del compimento del decimo anno di età del figlio più piccolo”.
In particolare, essendo la ricorrente madre di tre figli minori di anni 10, e pacificamente assunta a tempo determinato nel corso dell’anno 2024 (quantomeno sino a tutto il mese di agosto), quella che rileva è la norma contenuta nel comma 180.
Come si è detto, la ricorrente denuncia la contrarietà di tale norma al disposto dell’art. 4 co 1 dell’Accordo quadro sul lavoro a tempo determinato, allegato alla Direttiva 1999/70.
questione qui in esame è intervenuta di recente la sentenza del Tribunale di Lodi del 7/11/2024, di cui si citano i passaggi di maggior rilievo, anche ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 118 disp. att. c.p.c.:
“ è opportuno rammentare che:
a) l’accordo quadro ha una applicazione estensiva nei confronti di tutti i lavoratori che forniscono prestazioni retribuite nell’ambito di un rapporto di lavoro determinato che li vincola al loro datore di lavoro (v., in tal senso, sentenza del 30 giugno 2022, Comunidad de Castilla y León, C-192/21, EU: C:2022:513, punto 26 e giurisprudenza ivi citata);
b) il divieto di un trattamento meno favorevole dei lavoratori a tempo determinato rispetto a quello riservato ai lavoratori a tempo indeterminato, di cui alla clausola 4 dell’accordo quadro, riguarda le “condizioni di impiego” dei lavoratori;
c) secondo la giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, il criterio decisivo per stabilire se una misura introdotta da una normativa nazionale rientri nella nozione di “condizioni di impiego” ai sensi della clausola 4 dell’accordo quadro è proprio quello dell’impiego, vale a dire il rapporto di lavoro sussistente tra un lavoratore e il suo datore di lavoro (ordinanza del 18 maggio 2022, Ministero dell’Istruzione (Carta elettronica), C-450/21, EU: C:2022:411, punto 33 e giurisprudenza ivi citata);
d) ai sensi della clausola 1, lettera a), dell’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato, uno degli obiettivi di quest’ultimo è di migliorare la qualità del lavoro a tempo determinato garantendo il rispetto del principio di non discriminazione.
Del pari, al suo terzo comma, il preambolo dell’accordo quadro precisa che esso “indica la volontà delle parti sociali di stabilire un quadro generale che garantisca la parità di trattamento ai lavoratori a tempo determinato, proteggendoli dalle discriminazioni”.
Il considerando 14 della direttiva 1999/70 precisa, a tal fine, che l’obiettivo dell’accordo quadro consiste, in particolare, nel migliorare l’applicazione del principio di non discriminazione (sentenza del 17 marzo 2021, RAGIONE_SOCIALE, C-652/19, EU: C:2021:208, punto 48 e giurisprudenza ivi citata);
e) detta clausola dev’essere intesa nel senso che esprime un principio di diritto sociale dell’Unione che non può essere interpretato in modo restrittivo (v., in tal senso, sentenza del 19 ottobre 2023, , C-660/20, EU: C:2023:789, punto 38 e giurisprudenza ivi citata).
f) detta clausola, che ha effetto diretto, enuncia, al punto 1, un divieto di trattare, per quanto riguarda le “condizioni di impiego”, i lavoratori a tempo determinato in un modo meno favorevole dei lavoratori a tempo indeterminato comparabili per l’unico motivo che lavorano a tempo determinato, a meno che un trattamento diverso non sia giustificato da “ragioni oggettive” (v., in tal senso, sentenze dell’8 settembre 2011, , C-177/10, EU: C:2011:557 punti 56 e 64, nonché del 5 giugno 2018, C-677/16, EU: C:2018:393, punto 42);
g) è compito dello Stato membro e del giudice nazionale, in ossequio al principio di leale cooperazione (art. 4.3 del Trattato sull’Unione Europea), garantire un obbligo di interpretazione conforme al significato ed alla portata di una direttiva avente effetti diretti nell’ordinamento interno (quale la clausola 4.1 dell’accordo quadro sopra citata) della normativa interna nazionale.
Il canone ermeneutico dell’obbligo di interpretazione conforme, come è noto, si estende a tutti i giudici nazionali, grava su tutte le norme interne, si impone rispetto al diritto comunitario nel suo complesso.
Come è stato ripetutamente affermato dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea, altresì di recente nella pronuncia resa nel procedimento C-582/21, “occorre ricordare che il principio di interpretazione conforme del diritto nazionale è inerente al sistema dei Trattati, in quanto consente ai giudici nazionali di assicurare, nell’ambito delle loro competenze, la piena 21 gennaio 2021, RAGIONE_SOCIALE, C-308/19, EU: C:2021:47, punto 61 e giurisprudenza ivi citata).
In forza di tale principio, spetta ai giudici nazionali, tenendo conto di tutte le norme del diritto nazionale e applicando i metodi di interpretazione riconosciuti da quest’ultimo, decidere se e in quale misura una disposizione di diritto nazionale possa essere interpretata conformemente alle disposizioni pertinenti del diritto dell’Unione (sentenza del 17 aprile 2018, COGNOME, C-414/16, EU: C:2018:257, punto 71 e giurisprudenza ivi citata)” (cfr. sentenza della Corte (Grande Sezione) del 9 aprile 2024, capitoli 61-62)(cfr.
capitolo 30 della pronuncia resa dalla Corte (Seconda Sezione) nel procedimento C-308/19, sentenza del 21 gennaio 2021, in cui il dovere di interpretazione conforme del diritto nazionale viene esteso pure ad atti comunitari non aventi efficacia vincolante, come le decisioni quadro;
in senso conforme, si veda quanto a suo tempo esposto dalla Corte di Giustizia nella causa C-106/89 con sentenza del 13 novembre 1990, “l’obbligo degli Stati membri, derivante da una direttiva, di conseguire il risultato da questa contemplato, come pure l’obbligo loro imposto dall’art. 5 del Trattato, di adottare tutti i provvedimenti generali o particolari atti a garantire l’adempimento di tale obbligo, valgono per tutti gli organi degli Stati membri, ivi compresi, nell’ambito di loro competenza, quelli giurisdizionali. Ne consegue che nell’applicare il diritto nazionale, a prescindere dal fatto che si tratti di norme precedenti o successive alla direttiva, il giudice nazionale deve interpretare il proprio diritto nazionale alla luce della lettera e dello scopo della direttiva onde conseguire il risultato perseguito da quest’ultima e conformarsi pertanto all’art. 189, terzo comma, del Trattato”).
4.Consimili e granitiche coordinate ermeneutiche comunitarie non lasciano dubbi interpretativi atti a far ritenere necessario un rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea;
sicché una interpretazione conforme alla clausola della direttiva auto- esecutiva non può che far propendere per l’accoglimento della pretesa – la possibilità di chiedere l’esonero contributivo totale della quota a carico del lavoratore fino alla concorrenza della soglia massima introdotta dalla legge è un diritto che la legge riconosce alle lavoratrici madri assunte a tempo indeterminato;
– l’esonero non può che rappresentare una “condizione di impiego”, dacché riguarda direttamente un elemento del rapporto di impiego della lavoratrice alle dipendenze del datore pubblico (MIM) incentrato sulla retribuzione (si veda il cedolino paga e le colonne delle ritenute e delle competenze), consistente nell’esonero dalla trattenuta in busta paga dei contributi previdenziali;
si tratta pertanto di una previsione che deve essere attratta nella portata – come ripetute volte affermato dalla giurisprudenza, non restrittiva ma espansiva- della clausola self executing n. 4 comma 1 dell’accordo quadro allegato alla Direttiva CE del 1999 in materia di principio di non discriminazione, che vieta che i lavoratori a termine possano essere trattati in modo meno favorevole dei lavoratori a tempo indeterminato comparabili;
– la “condizione di impiego” consiste, per la precisione, nell’incremento retributivo dello stipendio di cui godrebbe la lavoratrice, perseguendo la normativa una finalità latamente assistenziale del nucleo familiare della lavoratrice madre;
– proprio la nozione di “condizione di impiego” di cui alla clausola 4 dell’accordo quadro menzionato, invocata dalla ricorrente, deve essere interpretata nel senso da servire come base per una pretesa quale quella avanzata con il presente ricorso (si veda pur sempre, la Sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, del 15 aprile 2008, resa nella causa C-268/06, il cui principio è il seguente:
“la clausola 4 dell’accordo quadro deve essere interpretata nel senso che le condizioni di impiego ai sensi di quest’ultima inglobano le condizioni relative alle retribuzioni nonché alle pensioni dipendenti dal rapporto di lavoro, ad esclusione delle condizioni relative alle pensioni derivanti da un regime legale di previdenza sociale”;
si veda sentenza resa il 13.09.2007, capitoli da 37 a 42 compresi:
“ne consegue che l’accordo quadro mira a dare applicazione al divieto di discriminazione nei confronti dei lavoratori a tempo determinato, al fine di impedire che un rapporto di impiego di tale natura venga utilizzato da un datore di lavoro per privare questi lavoratori di diritti riconosciuti ai lavoratori a tempo indeterminato.
38 Orbene, tale principio di diritto sociale comunitario non può essere interpretato in modo restrittivo.
39 In secondo luogo, poiché l’art. 137, n. 5, CE introduce una deroga alle norme di cui ai nn. 1-4 dello stesso articolo, le materie per le quali il detto numero introduce una riserva devono formare oggetto di interpretazione restrittiva, in modo da non incidere indebitamente sulla portata dei suddetti nn.1-4, né rimettere in causa gli obiettivi perseguiti dall’art. 136 CE.
40 Per quanto riguarda in particolare l’eccezione relativa alle «retribuzioni», di cui all’art. 137, n. 5, CE, essa trova la sua ragion d’essere nel fatto che la determinazione del livello degli stipendi rientra nell’autonomia contrattuale delle parti sociali su scala nazionale, nonché nella competenza degli Stati membri in materia.
Ciò posto, è stato giudicato appropriato, allo stato attuale del diritto comunitario, escludere la determinazione del livello delle retribuzioni da un’armonizzazione in base agli artt. 136 CE e seguenti.
41 Tuttavia, la detta eccezione non può essere estesa a ogni questione avente un nesso qualsiasi con la retribuzione, pena svuotare taluni settori contemplati dall’art. 137, n. 1, CE, di gran parte dei loro contenuti.
42 Ne consegue che la riserva di cui all’art. 137, n. 5, CE, non può impedire ad un lavoratore a tempo determinato di richiedere, in base al divieto di discriminazione, il beneficio di una condizione di impiego riservata ai soli lavoratori a tempo indeterminato, allorché proprio l’applicazione di tale principio comporta il pagamento di una differenza di retribuzione”);
il predetto beneficio dell’esonero contributivo introdotto dalla norma interna, infatti, riguardando la quota a carico del lavoratore, permette in sostanza un “supplemento retributivo” a cui la ricorrente non può accedere a causa della tipologia di contratto a termine stipulato con il MIM;
– la legge assegna lo sgravio mensile (non oggetto di trattenuta) alla lavoratrice madre con figli, tracciando una distinzione normativa con riferimento alla tipologia del rapporto di lavoro – se a termine o se a tempo indeterminato-; – il MIM, non contestando i fatti costitutivi della pretesa della ricorrente ex art. 115 comma 1 c.p.c., non eccepisce, peraltro, alcuna evidente ragione oggettiva atta a giustificare tale differenziazione di trattamento, alla luce della normativa interna e comunitaria;
– una differente interpretazione che promuova la non disapplicazione della normativa interna sarebbe foriera di un risultato concreto (ovvero: esclusione, priva di ragione, del lavoratore dal beneficio a causa dell’assunzione a termine) che la direttiva mira espressamente ad escludere”.
Le considerazioni della sentenza appena citata vengono condivise dallo scrivente;
conseguenza ne è che le norme contenute nei già citati commi 180 e 181 della l. 213/2023 risultano in contrasto con l’art. 4 co 1 dell’Accordo quadro prima citato, in quanto operano una ingiustificata discriminazione tra personale assunto a tempo indeterminato e personale assunto a tempo determinato (come nel caso della ricorrente), e, soprattutto, la operano con riferimento a quella che deve ritenersi a tutti gli effetti una “condizione d’impiego”, in quanto la quota di contribuzione a carico della lavoratrice, già trattenuta alla fonte, costituisce a tutti gli effetti una porzione della retribuzione lorda, la quale, in caso di applicazione dell’esonero oggetto di contenzioso, rientrerebbe nella sfera patrimoniale della lavoratrice. Ne consegue la disapplicazione delle due norme di diritto interno, nella parte in cui limitano il beneficio alle sole “lavoratrici madri di due figli con rapporto di lavoro dipendente a tempo indeterminato”.
Affermata in linea generale la spettanza del diritto, in forza della disapplicazione di cui sopra, occorre rilevare, nel merito ed in concreto, che:
– la ricorrente è (fatto non contestato, che comunque si ribadisce) madre di tre figli minori di anni 10;
– la ricorrente ha lavorato nell’anno 2024, in forza di contratto a tempo determinato, dall’1/1/2024 sino al 31/8/2024, ed anche questo è dato di fatto non contestato.
Non è ostativa al riconoscimento del diritto la natura alternativa dell’esonero rispetto all’esonero previsto dall’art. 1 co 15 della stessa l. 213/2023, così come affermato dall’ propria circolare.
Premesso che la natura alternativa non è espressamente affermata da alcuna delle norme che hanno introdotto i due benefici di esonero, ma che vi è un’ovvia non cumulabilità tra gli stessi (di certo la lavoratrice madre non potrà ottenere, in applicazione delle norme interessate, sgravio per più del 100% della quota di contribuzione a suo carico), si deve osservare che di alternatività comunque si può parlare solo laddove la parte abbia pacifica facoltà di scelta tra un beneficio e l’altro, e non, come nel caso di specie, laddove uno dei due sia negato a priori. Altrettanto è ovvio, però, che la parte ricorrente, nell’opera di quantificazione del dovuto, dovrà tenere conto solo di quanto effettivamente trattenuto in corso di rapporto dal datore di lavoro, e quindi già al netto dei benefici di sgravio ottenuti in forza del c.d. cuneo fiscale.
Deve infine osservarsi che l’eccezione di parte convenuta in merito alla deduzione dei contributi dovuti per i giorni di fruizione dei congedi parentali, in quanto contributi meramente figurativi, non è allo stato valutabile, posto che non vi è specificazione alcuna di tali giorni e dei relativi contributi previdenziali.
E’ però sufficiente, a tale proposito, la considerazione espressa appena sopra, ovvero che, in sede di quantificazione di quanto effettivamente trattenuto dalla retribuzione a titolo di contribuzione, nonostante il diritto all’esonero, si terrà ovviamente conto quanto eventualmente non versato all’ , in quanto non trattenuto alla fonte, a carico della lavoratrice.
Deve quindi emettersi pronuncia di accertamento del diritto all’esonero contributivo, previa la sopra annunciata disapplicazione delle norme di diritto interno di rilievo, e condanna generica alla restituzione alla ricorrente di quanto trattenuto, nel corso del 2024, nel corso del rapporto a tempo determinato (da gennaio a tutto agosto 2024, come si è precisato), a titolo di contributi previdenziali, per la quota teoricamente a suo carico, entro il limite massimo di euro 3.000,00 per anno.
Sulle somme di cui alla condanna spettano gli interessi.
3. Le spese di lite, in ragione della novità della questione, devono essere compensate
PQM
Il Tribunale Ordinario di Torino – Sezione Lavoro Visto l’art. 429 c.p.c. disattesa ogni contraria domanda, eccezione e deduzione, – accerta e dichiara il diritto di parte ricorrente alla fruizione del beneficio dell’esonero contributivo previsto dall’art. 1, commi 180 e 181, l. 213/2023, e per l’effetto condanna il al pagamento, in favore della parte ricorrente, di quanto trattenuto, nel corso del 2024, nel corso del rapporto a tempo determinato, a titolo di contributi previdenziali, per la quota teoricamente a suo carico, entro il limite massimo di euro 3.000,00 per anno; oltre ad interessi;
– visto l’art. 92 co 2 cpc, compensa le spese di lite.
Torino, 12/2/2025 Il Giudice dott. NOME COGNOME
La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di
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