REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
La Corte d’Appello di Venezia Prima Sezione civile riunita in camera di consiglio nelle persone dei seguenti magistrati:
dott.ssa NOME COGNOME Presidente dott. NOME COGNOME Consigliere rel. dott. NOME COGNOME Consigliere ha pronunciato la presente
SENTENZA N._387_2025_- N._R.G._00001105_2024 DEL_06_03_2025 PUBBLICATA_IL_06_03_2025
nella causa civile di appello promossa da:
con sede in Milano (p. iva n. ), in persona dei procuratori speciali difesa dagli avv.ti NOME COGNOME e NOME COGNOME del foro di Milano e domiciliata presso lo studio dell’avv. NOME COGNOME del Foro di Venezia (appellante) nei confronti di (c.f. ), difeso dall’avv. NOME COGNOME del foro di Treviso e domiciliato presso lo studio del difensore (appellato) sulle seguenti conclusioni:
per l’appellante: Voglia l’Ill.ma Corte d’Appello adita, disattesa ogni contraria istanza, eccezione e deduzione:
Nel merito ed in via principale:
in riforma della sentenza del Tribunale di Treviso n. 82/2024 e in C.F. è debitore di dell’importo di € 26.055,86, oltre interessi legali e spese legali maturate per il procedimento monitorio condannandolo per l’effetto al pagamento di quanto dovuto, accogliendo le domande tutte proposte da in primo grado da ritenersi qui integralmente riproposte e non rinunciate.
In ogni caso:
con vittoria integrale di spese e competenze di causa di entrambi i gradi di giudizio, oltre al rimborso forfettario, IVA e CPA come per legge, e tutte le successive occorrende.
per l’appellato:
Ogni contraria istanza, eccezione e deduzione rejetta;
In principalità: respingersi l’appello siccome infondato.
Con rifusione delle spese, anche generali, e del compenso professionale In subordine: disporsi il rinvio pregiudiziale degli atti alla Corte di Cassazione ex art. 363 bis c.p.c.;
In via d’ulteriore subordine:
Per la denegata e per la denegata e non creduta ipotesi d’accoglimento dell’appello, disporsi la compensazione delle spese ex art. 92 c.p.c.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con atto di citazione notificato l’11.12.2020, conveniva, davanti al Tribunale di Treviso, opponendosi al decreto n. 2864/2020, con cui lo stesso Tribunale gli aveva ingiunto il pagamento alla banca della somma di euro 26.055,86, oltre interessi e spese (debito residuo di mutuo, contratto per complessivi euro 44.625,04 da NOME COGNOME:
contratto sottoscritto anche da in qualità di “coobbligato”).
L’opponente assumeva che la fattispecie contrattuale dovesse essere ricondotta all’ambito della fideiussione ed eccepiva che la banca convenuta fosse decaduta dalla garanzia per non avere agito nei confronti dell’obbligata principale nel termine di sei mesi previsto dall’art.1957 c.c.:
a fronte di comunicazione di decadenza dal beneficio del termine, inviata alla mutuataria il 31.10.2018, l’azione giudiziale era stata esercitata solo il 9.9.2020.
Si costituiva in giudizio chiedendo la concessione della provvisoria esecutorietà del decreto opposto e il rigetto dell’opposizione, poiché aveva sottoscritto il contratto quale coobbligato, non trovando perciò applicazione la disciplina della fideiussione, quella delle obbligazioni solidali derivanti “dalla prestazione di una garanzia personale atipica”.
Rigettata l’istanza di concessione al decreto ingiuntivo della provvisoria esecutorietà e scambiate le parti le memorie ex art 183, comma 6°, c.p.c., la causa era trattenuta in decisione alla scadenza dei termini concessi per lo scambio delle comparse conclusionali e delle memorie di replica.
Con sentenza n. 82/2024 del 16.1.2024, il Tribunale di Treviso accoglieva l’opposizione e revocava il decreto ingiuntivo opposto, condannando a rifondere le spese di lite all’attore opponente.
Il giudice, premesso che fosse incontestato che obbligata principale del contratto era quale “richiedente” il prestito personale, affermava che , impegnandosi a garantire l’adempimento della mutuataria senza essere, a sua volta, parte del contratto di mutuo, avesse assunto il ruolo di fideiussore, non essendo prevista dall’ordinamento una diversa fattispecie per il caso di chi si obblighi a garantire l’adempimento di un debito altrui.
Pertanto, in applicazione della disciplina della fideiussione e, in particolare, dell’art. 1957 c.c. – a mente del quale il fideiussore rimane obbligato anche dopo la scadenza dell’obbligazione principale a condizione che il creditore agisca nei confronti del debitore garantito nel termine decadenziale di sei mesi –, il giudice riteneva che fosse decaduta dall’azione nei confronti del fideiussore , avendo agito giudizialmente solo con il ricorso monitorio del 9.9.2020 a fronte della comunicazione di decadenza dal beneficio del termine avvenuta quasi due anni prima, ossia il 31.10.2018, senza che a ciò fosse seguita alcuna istanza giudiziale o stragiudiziale. Con atto di citazione notificato il 24 giugno 2024, proponeva appello, dolendosi che il Tribunale avesse qualificato quale “fideiussore” e non, invece, quale “obbligato solidale”.
L’erroneo convincimento del giudice, secondo parte appellante, sarebbe conseguito:
i) alla violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. nella valutazione delle prove documentali;
ii) alla violazione dei criteri di interpretazione soggettiva del contratto diretti all’accertamento della comune volontà delle parti, nonché del criterio di interpretazione secondo il tenore letterale del contratto;
iii) all’erronea qualificazione del rapporto giuridico instaurato tra le parti, avendo escluso che fosse parte nel contratto di finanziamento.
L’appellante chiedeva che, in riforma dell’impugnata sentenza, fosse condannato a pagare a l’importo di Euro 26.055,86 “oltre interessi legali e spese legali ’appellato resisteva al gravame, chiedendo il rigetto di tutte le domande ed istanze avversarie con conferma integrale dell’impugnata sentenza e riproponendo, in via subordinata ai sensi dell’art. 346 c.p.c., le eccezioni formulate in primo grado e rimaste assorbite dalla decisione.
Le conclusioni erano precisate con note scritte depositate nel termine fissato con ordinanza del 13 dicembre 2024.
All’udienza del 20 febbraio 2025, fissata ex art. 281 sexies c.p.c., le parti hanno discusso oralmente la causa e la Corte ha riservato la decisione.
*** 1. Con un unico articolato motivo di impugnazione, la banca appellante censura la sentenza pronunciata dal giudice trevigiano, poiché questi avrebbe erroneamente qualificato quale fideiussore, ritenendo la banca decaduta dalla garanzia, in quanto non era stato rispettato il termine di cui all’art. 1957 c.c.
Secondo l’appellante, esclusa la fideiussione per mancanza dell’espressa manifestazione di volontà prevista dall’art. 1937
c.c., il Tribunale avrebbe dovuto qualificare il rapporto quale garanzia atipica, prestata con l’assunzione di un’obbligazione solidale da parte di , che quindi era tenuto a rimborsare l’intero importo erogato e ogni ulteriore onere contrattualmente previsto.
L’appellante ritiene che il Tribunale abbia violato gli artt. 115 e 116 c.p.c., poiché l’opponente non aveva allegato l’accordo fideiussorio.
Al contempo, il giudice non aveva valorizzato le risultanze documentali e in particolare il contratto dell’1.10.2014, in cui è sempre indicato quale “coobbligato” in funzione della garanzia richiesta che, al punto 2 delle “Informazioni Europee di Base sul Credito ai Consumatori” che tratta delle “Caratteristiche principali del prodotto di credito”, è espressamente indicata come “Coobbligazione”.
Ciò sarebbe, inoltre, confermato dalle plurime sottoscrizioni dell’opponente a titolo di “coobbligato”, tanto nel contratto, quanto nella lettera di accettazione e nella lettera di conteggi di estinzione.
Secondo la banca appellante, quindi, il giudice avrebbe erroneamente ritenuto la semplice sottoscrizione del contratto quale comportamento concludente dal quale dedurre la volontà di costituire una garanzia fideiussoria.
La decisione sarebbe stata assunta violando i criteri d’interpretazione del contratto, che individuano nel senso letterale delle parole e delle espressioni utilizzate il primo strumento ermeneutico e, solo in seconda battuta, rimandano ai canoni indicati dagli artt. 1362-1365 c.c. e, ove non sufficienti, a quelli interpretativi integrativi di cui agli artt. 1366-1371 c.c. Il Tribunale avrebbe trascurato che la volontà comune delle parti era espressa in chiara e univoca già nel testo contrattuale, rendendo pertanto impossibile una diversa interpretazione. L’uso del termine “garanzia” non implicherebbe alcun riferimento a quella personale fideiussoria, ma piuttosto andrebbe inteso letteralmente nel senso della maggiore tutela degli interessi di entrambi i contraenti, al contempo facilitando la concessione del credito e l’adempimento del contratto.
Ciò troverebbe conferma, secondo la banca, nella circostanza che nel contratto era espressamente prevista la possibilità di garantire il debito tramite la firma di un “Coobbligato” o, in alternativa, con la prestazione di idonea fideiussione (art. 2 Condizioni Generali di contratto):
la volontà di colui che ha sottoscritto il contratto quale “coobbligato” doveva ritenersi inequivocabilmente contraria a quella di divenire fideiussore.
Proprio l’acquisizione della firma del “coobbligato” – parola contemplata nell’art. 2 delle condizioni generali di contratto e considerata atecnica dal Tribunale – escluderebbe, secondo l’appellante, la costituzione di una garanzia di tipo fideiussorio, che non richiede la sottoscrizione da parte del fideiussore del contratto presupposto.
La banca appellante sostiene, poi, che la sottoscrizione del contratto da parte del ne avrebbe determinato l’effettiva partecipazione a titolo di “coobbligato solidale”, in ossequio al principio della libertà contrattuale che consente di concludere un contratto atipico ex art. 1322 c.c. ove ricorra il requisito della meritevolezza degli interessi perseguiti dalle parti che, nel caso di specie, il Tribunale avrebbe dovuto indagare e ritenere sussistente:
interesse della banca ad essere maggiormente garantita, interesse del soggetto finanziato a ottenere l’erogazione, interesse del coobbligato a far ottenere i finanziamento in quanto destinato anche a estinguerne uno precedente (n. 15819737) dallo stesso partecipato in qualità di soggetto coobbligato.
Pertanto, l’obbligazione assunta da rientrerebbe tra quelle solidali passive nelle quali più soggetti sono tenuti in solido alla medesima prestazione in ragione della funzione di rafforzamento del credito, consentendo al creditore di scegliere a quale debitore rivolgere la richiesta restitutoria.
Per l’appellante, dunque, il giudice avrebbe dovuto escludere l’applicazione della disciplina prevista per la fideiussione e conseguentemente rigettare l’eccezione sollevata dall’opponente ai sensi dell’art 1957 c.c.
Il motivo d’impugnazione, che assomma questioni diverse, è infondato.
2.
Deve innanzitutto escludersi che vi sia stata, da parte del Tribunale, violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. Diversamente da quanto sostenuto dall’appellante, l’opponente aveva dedotto, fin ’11 dicembre 2020, in cui si legge:
“Ferme le eccezioni di nullità o annullabilità del contratto che si andranno a formulare, in ossequio al principio per cui la decisione va resa sulla base della ragione più liquida, va immediatamente eccepito che è decaduta dai diritti verso il fideiussore, odierno opponente, non avendo agito nei confronti della debitrice principale, Sig.ra NOME COGNOME nel termine semestrale di cui all’art. 1957 c.c..
Né si sostenga che l’opponente sarebbe stato tenuto al pagamento in virtù di “coobbligazione” e non di fideiussione ”).
Il Tribunale si è perciò limitato ad accogliere la qualificazione giuridica del negozio di garanzia compiuta dall’opponente.
non ha affermato che i mutuatari fossero due ed anzi ha precisato che la debitrice principale, ossia la mutuataria, fosse NOMECOGNOME la quale veniva indicata nel contratto come il soggetto richiedente il prestito personale e intestataria del conto corrente sul quale l’importo di denaro mutuato venne accreditato.
NOME è nominata debitrice principale, ossia mutuataria, anche nella comunicazione della banca di decadenza dal beneficio del termine.
La stessa banca, sia negli atti del primo grado di giudizio sia nell’atto di appello, ha affermato che “l’interesse meritevole di tutela deve essere principalmente inteso nella volontà del signor di favorire la concessione del finanziamento alla signora NOME” (pag. 21), riconoscendo il ruolo di garante dell’opponente.
Del resto, la semplice sottoscrizione del contratto da parte dell’appellato, in assenza di una controprestazione in suo favore, non varrebbe a renderlo mutuatario.
4.
L’appellante ribadisce che era “garante”, ma non in quanto fideiussore, bensì in quanto “coobbligato”.
In tale affermazione risiede l’errore giuridico dell’appellante, che il Tribunale di Treviso ha già messo in evidenza.
“Coobbligato” significa che vi è solidarietà passiva tra le obbligazioni di più soggetti, ma nulla dice sulla fonte dell’obbligazione, ossia sul titolo della stessa.
Anche il fideiussore è “coobbligato”, in quanto obbligato in solido con il debitore principale (v. art. 1944, 1° co., c.c.).
“Coobbligato” non indica, pertanto, un negozio di garanzia, ma il vincolo esistente tra più obbligazioni.
Contrapponendo il “coobbligato” al “fideiussore”, opera un confronto tra termini eterogenei:
il primo qualifica la natura dell’obbligazione (solidale), mentre il secondo sintesi, il termine “coobbligato” non è riferibile a un particolare negozio di garanzia, ma indica esclusivamente il rapporto di solidarietà passiva, che può senz’altro discendere dal negozio di fideiussione.
5. Il richiamo alla finalità del finanziamento (solutoria di precedenti prestiti, contratti sempre da: n. 32174661496 e n. 15819737, il secondo dei quali già garantito da sempre quale “coobbligato”, che quindi già si trovava nella medesima posizione giuridica oggetto di causa) nulla dimostra.
Escluso che fosse mutuatario e accertato, invece, che prestò garanzia, occorre individuare la fattispecie da cui è sorta la solidarietà passiva.
Già s’è detto che “coobbligato” non designa un negozio di garanzia, ma esclusivamente un modo di essere delle obbligazioni, ossia la solidarietà passiva.
Come esattamente esposto dal Tribunale, le garanzie personali sono prestate con la fideiussione, non esistendo altri negozi tipici cui è riconducibile l’assunzione della garanzia di adempimento di un’obbligazione altrui (e, nella specie, l’obbligazione era senz’altro altrui, poiché non era mutuatario).
Ora, è senz’altro possibile che la parti deroghino alle norme disciplinanti la fideiussione e addirittura creino una garanzia personale atipica, come nel caso della garanzia autonoma.
Tuttavia, affinché ciò avvenga, non è certamente sufficiente chiamare il garante “coobbligato” (e nei modelli contrattuali utilizzati contrapporre il “coobligato” al “fideiussore”), poiché già si è detto che il fideiussore è senz’altro un coobbligato.
Affinché la garanzia personale sia atipica, è necessario che i contraenti deroghino alle norme che caratterizzano la fideiussione e, segnatamente, alle disposizioni degli artt. 1939, 1945, 1955, 1956 e 1957 c.c. (cfr. Cass. civ. 26 maggio 2020, n. 9862, nella cui parte motiva si può leggere:
“la deroga alla disciplina dettata da tale disposizione , non può ritenersi implicitamente prevista per il semplice inserimento, nella garanzia, di una clausola che esprima il carattere solidale della obbligazione di garanzia, non essendo clausola incompatibile con l’applicazione dell’art. 1957 c.c.”).
Nel caso di specie, il contratto non deroga alla disciplina della fideiussione, in particolare le parti non hanno derogato all’art. 1957 c.c. Invero, l’appellante non è in grado d’indicare una singola clausola contrattuale con cui le parti, nel regolare la posizione del “coobbligato”, abbiano manifestato la volontà di derogare alle norme codicistiche che disciplinano la fideiussione.
L’appellante fa perno esclusivamente sulla parola “fideiussore”.
Quindi, compie un’inversione logica:
anziché trarre dalla deroga della disciplina codicistica (deroga in concreto assente) la conclusione che il negozio di garanzia fosse atipico, afferma che il negozio fosse atipico e che perciò non trovino applicazione le norme del codice civile.
Si deve invece affermare che non vi è stata alcuna falsa interpretazione del contratto da parte del primo giudice, poiché il contratto non deroga in alcun modo allo schema tipico della garanzia personale, ossia della fideiussione, le cui norme non cessano di trovare applicazione perché è indicato come “coobbligato”.
6. Non si avvede poi l’appellante a cosa condurrebbe l’affermazione, da essa compiuta, secondo cui nel contratto non si rinviene l’espressa manifestazione di prestare fideiussione (art. 1937 c.c.).
Se così fosse, non avrebbe assunto alcuna obbligazione nei confronti della banca.
Infatti, la mancanza di una volontà espressa non conduce a qualificare la garanzia come atipica (con l’asserita conseguenza che non troverebbero applicazione gli artt. 1936 c.c. e ss.), ma porta tout court ad escludere che sia stata prestata una garanzia personale.
Non esiste, infatti, una garanzia personale che possa essere assunta senza l’espressa volontà di chi la presta, ossia in violazione dell’art. 1936 c.c., che è norma di generale applicazione.
7. Escluso che fosse mutuatario, la sottoscrizione del contratto sotto la dicitura “coobbligato” ha senz’altro comportato la prestazione di una fideiussione.
L’indicazione “coobbligato”, per le ragioni sopra dette, non può valere a derogare in blocco alle norme sulla fideiussione, creando un tertium genus di impegno contrattuale (che si collocherebbe tra quello del mutuatario e quello del fideiussore) che – come già evidenziato dal Tribunale – non ha riscontro nell’ordinamento.
Le deroghe alle norme sulla fideiussione (che, si ripete, rappresenta l’unico schema tipico di negozio giuridico con cui si presta una garanzia personale) devono essere, pure esse, pattuite espressamente, il che non è avvenuto nella specie.
Se proprio si vuole dare un senso alla contrapposizione, presente nei modelli contrattuali impiegati tra “fideiussore” e “coobbligato” (non corretta, per quanto già sopra detto, e in ogni caso non conforme ai precetti normativi che impongono il dovere di trasparenza e in particolare l’obbligo per il predisponente di redigere in modo chiaro e comprensibile il contratto concluso con il consumatore: v. art. 2, 2° co., lett. e) e art. 35 cod. cons.), occorre interpretare l’art. ”) nel senso che esso contempla due modalità alternative per acquisire la prestazione di garanzia e non, come sostenuto dall’appellante, due diversi negozi di garanzia.
Con detta clausola si prevede allora che la garanzia richiesta dalla finanziatrice possa essere prestata dal fideiussore alternativamente con la sottoscrizione dello stesso contratto di finanziamento (come avvenuto nel caso di specie) oppure con autonomo atto all’uopo perfezionato.
E’ appena il caso di aggiungere che nulla vieta che la fideiussione sia prestata nello stesso documento che contiene il contratto da cui scaturisce l’obbligazione principale.
L’impegno assunto da non deroga all’art. 1957 c.c., che onera il creditore garantito di agire entro sei mesi dalla scadenza dell’obbligazione principale nei confronti del debitore a pena dell’estinzione della garanzia.
Si è già detto che il contratto, firmato da , non contiene alcuna previsione in tal senso.
L’appellante non ha contestato l’allegazione dell’opponente circa il ritardo con cui ha agito nei confronti della debitrice principale e non ha dedotto di avere rispettato il termine previsto dall’articolo suddetto, sicché è senz’altro decaduta dal diritto di garanzia.
8. Conclusivamente, rigettato l’appello, l’impugnata sentenza deve trovare integrale conferma.
Le spese del grado seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo in base ai parametri medi di cui al d.m. n. 147/22, tenuto conto del valore della controversia (scaglione da euro 26.001,00 a euro 52.000,00) e delle fasi effettivamente svolte (con riduzione del compenso per la fase decisionale, compiutasi in forma semplificata).
Sussistono i presupposti dell’art. 13, comma 1 quater, d.p.r. 30 maggio 2002, n. 115, con conseguente obbligo in capo a di versare ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello già corrisposto.
La Corte di Appello di Venezia, definitivamente pronunciando nella causa di appello iscritta al n. 1105/24 r.g., così ha deciso:
rigetta l’appello e, per l’effetto, conferma l’impugnata sentenza;
condanna alla rifusione in favore di delle spese del grado, che liquida in euro 5.211,00 per compensi, oltre spese generali, i.v.a. e c.p.a. come per legge.
Si dà atto che sussistono i presupposti di cui all’art.13, comma 1 quater d.p.r. n. 115/02 a carico di , 20 febbraio 2025 Il Presidente dott.ssa NOME COGNOME Il consigliere estensore dott. NOME COGNOME
La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di
Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.
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