REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
TRIBUNALE DI SALERNO
PRIMA SEZIONE CIVILE
Il Tribunale di Salerno, 1^ Sezione Civile, nella persona del Dott., in funzione di giudice monocratico, ha pronunciato la seguente
SENTENZA n. 2084/2020 pubblicata il 19/08/2020
nella causa iscritta al N.R.G. /2013, avente ad oggetto: Opposizione a decreto ingiuntivo
TRA
XXX (C.F.:), rappresentata e difesa, giusta mandato a margine dell’atto di citazione in opposizione, dall’Avv., presso il cui studio, sito in, elettivamente domiciliato
– PARTE OPPONENTE
E
YYY, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa, giusta mandato a margine del ricorso per decreto ingiuntivo, dall’Avv., presso il cui studio, sito in, elettivamente domicilia
– PARTE OPPOSTA
NONCHE’
ZZZ S.R.L. (P.IVA:), in persona del legale rappresentante p.t., nella qualità di mandataria con rappresentanza della ZZZ *** S.R.L., rappresentata e difesa, giusta procura allegata alla busta di deposito telematico della comparsa di intervento del 12/7/2018, dall’Avv.
– INTERVENTRICE EX ART. 111 C.P.C.
CONCLUSIONI DELLE PARTI
Come da scritti difensivi e verbale dell’udienza del 5/3/2020.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con atto di citazione regolarmente notificato XXX ha proposto opposizione avverso il Decreto Ingiuntivo n. /2013 con il quale era stata ingiunta al pagamento di € 41.974,63 oltre interessi e spese del procedimento monitorio, di cui € 29.881,36 a titolo di saldo debitore di conto corrente e la restante somma a titolo di rate impagate di mutuo chirografario, deducendo: di contestare la documentazione prodotta dall’opposta in sede monitoria, anche ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 2712 c.c., con particolare riferimento al saldo del presunto piano di ammortamento del mutuo chirografario che secondo l’opposta avrebbe scadenza il 31/10/2015, ma che in realtà scadrebbe il 31/1/2012; che, dunque, le rate del mutuo sarebbero state tutte pagate, perlomeno fino al mese di Novembre del 2011, ragion per cui resterebbero, al più, da pagare solo due rate di € 366,19 fino alla scadenza nel mese di Gennaio 2012; che il piano di ammortamento esibito dalla Banca sarebbe falso, mentre sarebbe autentico quello da ella esibito; che, dunque, eliminando l’esposizione del mutuo chirografario il credito azionato in via monitoria sarebbe certamente inferior a quello portato dal decreto ingiuntivo, pari all’incirca ad € 30.000,00; che la domanda monitoria non sarebbe stata suffragata da adeguate prove documentali; che in ordine all’esposizione del conto corrente, la Banca nel ricorso monitorio afferma che “… euro 29.811,36 quale saldo debitore del conto corrente estinto, e generato dall’addebito (oltre il fido di euro 15.000,00) di alcuni assegni (che l’istituto, data la sostanziale regolarità del rapporto fino a quell momento, ha ritenuto di pagare) che specificatamente corrispondono…” indicando una serie di assegni; che la Banca affermerebbe che l’extra-fido si sarebbe determinate quale fatto eccezionale, solo nei giorni immediatamente precedente la chiusura del conto, in perfetta buona fede; che, al contrario, la Banca avrebbe consentito alla società debitrice principale *** S.R.L. di operare sistematicamente oltre il fido, lucrando così in assoluta malafede tassi superiori al 15%, ma avrebbe sempre addebitato per lungo tempo innumerevoli assegni oltre la soglia del fido; che, a fronte di saldi della *** S.R.L. oltre il fido, l’opposta avrebbe pagato alcuni assegni, con competenze elevatissime; che la produzione del certificato ex art. 50 T.U.B. avrebbe valenza probatoria solo ai fini dell’emissione del decreto ingiuntivo, laddove nel giudizio di merito dovrebbe dare prova dell’entità del credito vantato mediante la produzione degli estratti conto, ordinari e scalari; che la Banca avrebbe consentito alla società *** S.R.L. debitrice principale di operare sistematicamente allo scoperto, oltre il fido, pur conoscendone le difficoltà economiche, confidando della solvibilità del fideiussore, senza informare quest’ultimo del rischio aumentato e senza chiederne la preventive autorizzazione; che, pertanto, eccepisce ai sensi dell’art. 1956 c.c. la decadenza dell’operatività della garanzia fideiussoria, per avere la Banca opposta agito in violazione dei doveri di correttezza e buona fede, nella consapevolezza di un’irreversibile situazione di insolvenda della debitrice principale; che il decreto ingiuntivo non risulterebbe correttamente notificato alle altre parti obbligate, in quanto la *** S.R.L. non avrebbe più sede da anni in e l’altro fideiussore, ***, non abiterebbe più in; che, dunque, la Banca opposta non avrebbe consentito le altre parti di essere a conoscenza del decreto ingiuntivo e, dunque, di difendersi, così arrecando alla garante un pregiudizio non solo giuridico, ma anche economico, e cioè la perdita del diritto di surrogazione ex art. 1949 c.c. o di regresso ex art. 1950 c.c.; che, infatti, il creditore avrebbe omesso di compiere un’attività al fine specific di rendere giuridicamente possibili le relative azioni, in quanto le vertenze proposte nei confronti dei debitori in solido sarebbero inscindibili, dando luogo ad un’ipotesi di litisconsorzio processuale; che, dunque, la garanzia fideiussoria si sarebbe estinta ex art. 1955 c.c.; che la Banca opposta avrebbe applicato l’illegittima capitalizzazione trimestrale degli interessi, della c.m.s., delle valute fittizie, interessi ultralegali in misura non pattuita ed interessi usurari.
In virtù di quanto innanzi esposto XXX ha concluso per l’accoglimento dell’opposizione e, per l’effetto, per la revoca del decreto ingiuntivo opposto, stante l’intervenuta decadenza dell’operatività della garanzia fideiussoria o la sua estinzione; in via subordinata, in caso di ritenuta validità ed operatività della garanzia fideiussoria, accertare e dichiarare le illegittimità poste in essere dalla Banca e, per l’effetto, rideterminare il reale rapporto di dare-avere tra le parti; con vittoria delle spese di lite ed accessori di legge, da distrarsi in favore dell’Avv., dichiaratosi anticipatario.
Si costituiva in giudizio il YYY, eccependo: che in caso di opposizione a decreto ingiuntivo si instaura un ordinario giudizio di cognizione in cui il Giudice non si limita ad accertare se l’ingiunzione fu emessa legittimamente, ma anche se la pretesa creditoria è fondata; che essa avrebbe fornito adeguata prova documentale del credito azionato in via monitoria; che l’eccepita estinzione della garanzia per la non corretta notifica del decreto ingiuntivo alla società debitrice principale *** S.R.L. ed all’altro garante *** sarebbe infondata, poiché nel caso di specie vi sarebbe piena solidarietà passiva tra i condebitori, con la conseguenza che sarebbe indifferente che il decreto ingiuntivo venga notificato all’uno o all’altro dei coobbligati, in quanto tutti sono tenuti per l’intero; che, ad ogni modo, il presunto pregiudizio arrecato all’opponente andrebbe provato e non presunto; che, ad ogni modo, la mancata o non corretta notifica del decreto nei confronti degli altri ingiunti non impedirebbe la possibilità che il giudizio di opposizione, introdotto da uno soltanto dei coobbligati, non possa riguardare il merito del credito vantato; che essa avrebbe fornito la prova del proprio credito, derivante dal saldo negativo del conto corrente n. e dal mutuo chirografario n.; che l’opponente non contesterebbe in modo specifico l’importo ingiunto di € 41.220,43 derivante dall’utilizzazione dell’extra-fido, pratica consentita dalle condizioni applicate del 7/2/2008 sottoscritte dalla debitrice principale *** S.R.L; che, quanto al mutuo chirografario non sarebbe stata mossa alcuna specifica contestazione da parte dell’opponente circa il fatto che risultano impagate n. 2 rate di importo totale di € 735.38.
In virtù di quanto innanzi esposto il YYY ha concluso per il rigetto dell’opposizione, in quanto infondata in fatto ed in diritto e, per l’effetto, per la conferma del decreto ingiuntivo n. /2013; con vittoria delle spese di lite ed accessori di legge.
Con comparsa depositata telematicamente il 12/7/2018 spiegava intervento la ZZZ S.R.L., nella qualità di mandataria con rappresentanza della Società ZZZ ***, deducendo: che in data 27/12/2017 la *** S.P.A. cedeva “pro soluto”, ai sensi dell’art. 58 del D.Lgs n. 385/1993, alla ZZZ *** S.R.L. (già *** S.R.L), con effetti economici a decorrere dal 6/11/2017, un pacchetto di crediti, individuabili in blocco, aventi le caratteristiche indicate nell’atto di cessione; che dell’avvenuta cessione e delle caratteristiche dei crediti ceduti è stata data notizia mediante pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale Repubblica Italiana – Parte Seconda – n. del ; che nell’ambito di tale cessione, ZZZ *** S.R.L. ha conferito l’incarico di gestore del portafoglio a ZZZ S.R.L., per lo svolgimento delle attività operative concernenti l’amministrazione, la gestione, il recupero dei crediti e l’escussione dei debitori ceduti; che, peraltro, la ZZZ *** S.R.L. ha altresì conferito procura speciale alla ZZZ S.R.L. affinchè quest’ultima provveda a compiere, in nome e per conto della ZZZ *** S.R.L., ogni attività, adempimento e formalità ritenuti necessari e/o utili e/o opportuni allo svolgimento dell’attività di amministrazione, gestione, incasso e recupero dei crediti, giusto atto a rogito Notaio dott. *** di Roma, in data 7/8/2017, Rep. n. – Racc. n.; che tra i crediti oggetto di cessione sarebbe compreso quello oggetto del presente giudizio (contraddistinto dal N.D.G. originario), per il quale la ZZZ S.R.L., nella suddetta qualità, intende agire con intervento onde conseguire gli effetti di legge e di procedura; che, dunque, essa interviene nel presente processo ai sensi e per gli effetti di cui all’articolo 111 c.p.c., richiamando e facendo proprie tutte le difese, eccezioni, istanze, domande e conclusioni già formulate dalla cedente.
All’udienza del 5/3/2020 la causa veniva incamerata in decisione con concessione dei termini ex art. 190 c.p.c. (60+20) per il deposito di compares conclusionali e memorie di replica; a causa del sopraggiungere dell’emergenza sanitaria per la pandemia del COVID-19 entrava in vigore l’articolo 83, comma 2, del D.L. n. 18 del 17/3/2020 in forza del quale il termine per il compimento di qualsiasi atto dei procedimenti civili è stato sospeso dal 9/3/2020 al 15/4/2020, sospensione poi prorogata con D.L. n. 23 dell’8/4/2020 fino all’11/5/2020. Tale sospensione si applica dunque anche al termine per il deposito delle comparse conclusionali e delle memorie di replica.
Ciò posto, è ora possibile decidere la controversia.
SULLA LEGITTIMAZIONE DELLA ZZZ S.R.L.
In via del tutto preliminare va esaminata la sussistenza della legittimazione ad agire nel presente giudizio in capo alla ZZZ S.R.L., posto che secondo la giurisprudenza consolidata (Cass. Civ., SS.UU., n. 2951/2016) “La legittimazione ad agire attiene al diritto di azione, che spetta a chiunque faccia valere in giudizio un diritto assumendo di esserne titolare. La sua carenza può essere eccepita in ogni stato e grado del giudizio e può essere rilevata d’ufficio dal giudice”.
L’interventrice ha dedotto che che in data 27/12/2017 la *** S.P.A. ha ceduto in blocco “pro soluto”, ai sensi dell’art. 58 del D.Lgs n. 385/1993 alla ZZZ ***S S.R.L. (cessione di cui è stata data pubblicità in Gazzetta Ufficiale Repubblica Italiana – Parte Seconda – n. del), tra cui quello oggetto di causa, credito per la cui gestione la ZZZ ***S S.R.L. ha fornito procura speciale, tra l’altro, per il recupero dei crediti, alla ZZZ S.R.L.
Orbene, dalla documentazione in atti risulta che la ZZZ S.R.L. non ha fornito la prova di essere munita della condizione dell’azione della legittimazione ad agire nel presente giudizio: infatti non vi è alcuna prova documentale che dimostri in che modo la cedente del credito azionato in via monitoria ed opposto in questa sede, cioè la *** S.P.A., abbia acquistato la titolarità del suddetto credito dall’originaria titolare, cioè il YYY che ha chiesto ed ottenuto il Decreto Ingiuntivo n. /2013 in danno dell’opponente. Pertanto, stante l’assenza di prova degli atti che legittimano il trasferimento del credito per cui è causa dalla parte opposta alla *** S.P.A. (a sua volta cedente il credito attivato in via monitoria alla ZZZ ***S S.R.L., mandante della interventrice) non è possibile ravvisare la titolarità del diritto di credito in capo alla ZZZ S.R.L. e, pertanto, va dichiarato il difetto di legittimazione ad agire di quest’ultima.
SULLA NULLITA’ DELLA FIDEIUSSIONE SOTTOSCRITTA DALL’OPPONENTE IL 7/2/2008
All’udienza del 5/3/2020 l’opponente XXX ha dedotto che il contratto di garanzia da ella sottoscritto in data 7/2/2008 (cfr. all. 7 della produzione monitoria) sarebbe affetto da nullità per contrasto con l’articolo 2 della Legge n. 287/1990.
In particolare, l’opponente ha dedotto che secondo la giurisprudenza della Suprema Corte intervenuta di recente, in particolare l’ordinanza n. 29810 del 2017 resa dalla Prima Sezione della Corte di Cassazione Civile, sono nulle le fideiussioni prestate a garanzia delle operazioni bancarie (c.d. “fideiussioni omnibus”) conformi allo schema predisposto dall’A.B.I. (Associazione Bancaria Italiana), e segnatamente, alla luce del provvedimento n. 55 del 2/5/2005 della Banca d’Italia, le fideiussioni che contengono la sostanza delle seguenti clausole: 1) «il fideiussore è tenuto a rimborsare alla banca le somme che dalla banca stessa fossero state incassate in pagamento di obbligazioni garantite e che dovessero essere restituite a seguito di annullamento, inefficacia o revoca dei pagamenti stessi, o per qualsiasi altro motivo»; 2) «qualora le obbligazioni garantite siano dichiarate invalide, la fideiussione garantisce comunque l’obbligo del debitore di restituire le somme allo stesso erogate»; 3) «i diritti derivanti alla banca dalla fideiussione restano integri fino a totale estinzione di ogni suo credito verso il debitore, senza che essa sia tenuta ad escutere il debitore o il fideiussore medesimi o qualsiasi altro coobbligato o garante entro i tempi previsti, a seconda dei casi, dall’art. 1957 cod. civ., che si intende derogato».
In sintesi, la Suprema Corte ha stabilito che la violazione dell’art. 2 della Legge c.d. “Antitrust”, consumatasi a monte nella predisposizione e nell’adozione uniforme di uno schema contrattuale restrittivo della concorrenza, determina “a cascata” la nullità dei contratti stipulati a valle in conformità allo schema; giacchè questi costituiscono lo sbocco sul mercato dell’intesa illecita (cfr. Cass., SS. UU., n. 2207/2005): ciò perché secondo la Corte di Cassazione, “…allorchè l’articolo in questione (cioè 2 della Legge n. 287/1990) stabilisce la nullità delle “intese”, non abbia inteso dar rilevanza esclusivamente all’eventuale negozio giuridico originario postosi all’origine della successiva sequenza comportamentale, ma a tutta la più complessiva situazione – anche successiva al negozio originario la quale – in quanto tale – realizzi un ostacolo al gioco della concorrenza”.
Pertanto la Suprema Corte ha sancito il seguente principio di diritto: “in tema di accertamento dell’esistenza di intese anticoncorrenziali vietate dalla L. n. 287 del 1990, art. 2, la stipulazione “a valle” di contratti o negozi che costituiscano l’applicazione di quelle intese illecite concluse “a monte” (nella specie: relative alle norme bancarie uniformi ABI in materia di contratti di fideiussione, in quanto contenenti clausole contrarie a norme imperative) comprendono anche i contratti stipulati anteriormente all’accertamento dell’intesa da parte dell’Autorità indipendente preposta alla regolazione o al controllo di quel mercato (nella specie, per quello bancario, la Banca d’Italia, con le funzioni di Autorità garante della concorrenza tra istituti creditizi, ai sensi della L. n. 287 del 1990, artt. 14 e 20, (in vigore fino al trasferimento dei poteri all’AGCM, con la L. n. 262 del 2005, a far data dal 12 gennaio 2016) a condizione che quell’intesa sia stata posta in essere materialmente prima del negozio denunciato come nullo, considerato anche che rientrano sotto quella disciplina anticoncorrenziale tutte le vicende successive del rapporto che costituiscano la realizzazione di profili di distorsione della concorrenza”.
Tale domanda, ancorché formulata per la prima volta all’udienza di precisazione delle conclusioni del 5/3/2020, deve ritenersi innanzitutto ammissibile.
La disciplina in materia di nullità, infatti, comporta che ai sensi dell’articolo 1421 del Codice Civile essa può essere rilevata d’ufficio dal Giudice in ogni stato e grado del processo; di recente, poi, la Corte di Cassazione a Sezioni Unite con le pronunce gemelle n. 26242 e 26243 del 2014 ha stabilito che il Giudice ha il potere-dovere di rilevare “ex officio”, laddove emerga dagli atti di causa, l’eventuale nullità del contratto, sottoponendo la relativa questione alle parti, e ciò al fine di evitare pronunce giurisdizionali che si basino sulla validità del contratto in realtà invalido o che, addirittura, finiscano per sancirne la “non invalidità”, così di fatto sanandolo.
Orbene, considerato il dettato dell’articolo 1421 c.c. e l’interpretazione pretoria più recente, deve ritenersi che se la “quaestio nullitatis” è rilevabile anche d’ufficio dal Giudice, in ogni stato e grado del processo, allora non può essere preclusa alla parte la possibilità di sollevare la relativa questione per la prima volta all’udienza di precisazione delle conclusioni, tenuto conto peraltro che in tal modo è assicurato il rispetto del contraddittorio poiché la controparte ben può difendersi alla suddetta udienza, nonché con gli scritti successivi, cioè la comparsa conclusionale e la memoria di replica.
Ferma l’ammissibilità della censura relativa alla nullità per la natura “anticoncorrenziale” della fideiussione sottoscritta dalla opponente XXX per contrasto con il disposto dell’articolo 2 della Legge n. 287/1990 in quanto contenente le clausole di cui al Modello A.B.I. di cui la Banca d’Italia ha sancito il contrasto con le regole poste a presidio della concorrenza 6, è ora possibile esaminare la fondatezza del motivo di opposizione per la nullità totale del suddetto contratto di garanzia. Il motivo di opposizione è fondato e deve trovare accoglimento.
Innanzitutto si rileva che questo Giudice ritiene di aderire all’orientamento espresso dalla Suprema Corte, dapprima con ordinanza n. 28910/2017 e, più di recente ribadito con sentenza n. 21878 del 15/6/2019, secondo cui il mero dato della coincidenza oggettiva delle condizioni contrattuali pattuite con quelle di cui agli articoli 2), 6) ed 8) del Modulo A.B.I. è condizione necessaria e sufficente per ritenere che l’invalidità dell’intesa “a monte” tra Istituti di credito, volta a restringere la concorrenza, si estenda in via derivata al contratto di garanzia “a valle”, stipulato tra la singola Banca ed il singolo garante, poiché appare evidente che l’intesa “a monte”, ancorché conclusa tra soggetti diversi da quelli che stipuleranno il contratto “a valle” ha quale finalità unica ed esclusiva, quella di imporre in modo generale ed uniforme a tutti i contraenti le pattuizioni convenute tra le Banche, in tal modo ripercuotendosi inevitabilmente, quale effetto naturale, sui singoli contratti di garanzia.
Come sancito di recente proprio dalla Suprema Corte, infatti, “benchè l’accertamento stesso abbia avuto luogo in un procedimento svoltosi tra le imprese e l’autorità competente, deve ritenersi che la circostanza che il singolo utente o consumatore sia beneficiario della normativa in tema di concorrenza (per tutte, Cass. 9 dicembre 2002, n. 17475) comporta pure, al fine di attribuire effettività alla tutela dei primi ed un senso alla stessa istituzione dell’Autorità Garante, la piena utilizzabilità da parte loro, una volta accertate condotte di violazione della normativa di settore posta anche a loro tutela, degli accertamenti conseguiti nel procedimento di cui pure non sono stati formalmente parte; in tal senso, il ruolo di prova privilegiata degli atti del procedimento pubblicistico “impedisce che possano rimettersi in discussione proprio i fatti costitutivi dell’affermazione di sussistenza della violazione della normativa in tema di concorrenza, se non altro in base allo stesso materiale probatorio od alle stesse argomentazioni già disattesi in quella sede” (Cass. 20 giugno 2011, n. 13486 cit.). Una conclusione in tal senso poggia, del resto, sull’assioma per cui “il contratto finale tra imprenditore e consumatore costituisce il compimento stesso dell’intesa anticompetitiva tra imprenditori, la sua realizzazione finale, il suo senso pregnante”: per modo che “teorizzare la profonda cesura tra contratto a monte e contratto a valle, per derivarne che, in via generale, la prova dell’uno non può mai costituire anche prova dell’altro, significa negare l’intero assetto, comunitario e nazionale, della normativa antitrust, la quale (4 è posta a tutela non solo dell’imprenditore, ma di tutti i partecipanti al mercato” (Cass. 2 febbraio 2007, n. 2305). E tale rilievo si coniuga con una duplice considerazione: per un verso, nel sistema della L. n. 287 del 1990, come del resto nella disciplina comunitaria, private e public enforcement, e cioè tutela civilistica e tutela pubblicistica, sono tra loro complementari; per altro verso, il principio di effettività e di unitarietà dell’ordinamento non consente di ritenere irrilevante il provvedimento amministrativo nel giudizio civile, considerato anche che le due tutele sono previste nell’ambito dello stesso testo normativo e nell’ambito di un’unitaria finalità: tanto più in considerazione dell'”evidente asimmetria informativa tra l’impresa partecipe dell’intesa anticoncorrenziale ed il singolo consumatore, che si trova, salvo casi eccezionali da considerare di scuola, nell’impossibilità di fornire la prova tanto dell’intesa anticoncorrenziale quanto del conseguente danno patito e del relativo nesso di causalità (Cass. Civ., n. 11904/ 2014).”
Pertanto, tenuto conto dei principi giurisprudenziali sopra richiamati, che si condividono, e che è provato documentalmente (cfr. all. 7 della produzione monitoria) che la fideiussione sottoscritta dall’opponente XXX in data 7/2/2008 contiene agli articoli 2), 6) e
8) delle “Condizioni contrattuali – Pattuizioni non strettamente economiche” le medesime condizioni di cui al Modulo ABI stigmatizzato dalla Banca d’Italia con provvedimento n. 55 del 2/5/2005, consegue che il motivo di opposizione basato sulla nullità della fideiussione in oggetto è fondata.
Infatti, sebbene la Corte di Cassazione né con la pronuncia n. 29810/2017 né con quella n. 13846/2019 abbia precisato se le clausole vietate determinino la nullità dell’intero contratto o la sostituzione delle stesse con la normativa codicistica, deve escludersi l’applicabilità della nullità parziale ex art. 1419 c.c. perché la gravità delle violazioni in esame, – che incidono pesantemente sulla posizione del garante, aggravandola in modo significativo – rispetto ai superiori valori di solidarietà, muniti di rilevanza costituzionale (art. 2 Cost.), che permeano tutta l’impianto dei rapporti tra privati, dalla fase prenegoziale (art. 1137 c.c.) a quella esecutiva (artt. 1175, 1375 c.c.), ben giustifica che sia sanzionato l’intero agire dei responsabili di quelle violazioni; in altri termini, nell’ottica di assicurare alla nullità la sua funzione “sanzionatoria”, in questo caso di comportamenti precontrattuali e contrattuali caratterizzati da contrarietà a buona fede ed ai canoni minimi di solidarietà sociale, è necessario assicurare in questo caso alla più grave forma di patologia del contratto la sua massima manifestazione, senza consentire che, in nome del principio di conservazione degli atti giuridici, possano essere salvaguardate le restanti pattuizioni o, addirittura, che si dia vita ad un’operazione “ortopedica” di sostituzione eteronoma di clausole ex articolo 1339 c.c.
Soltanto attraverso una siffatta interpretazione, infatti, è consentito realizzare quella funzione di “private enforcement” a tutela della concorrenza che l’ordinamento ormai attribuisce anche ai privati cittadini (come da ultimo certifica il recepimento della Direttiva n. 2014/104/EU), nonché di scoraggiare gli Istituti di credito dal fare applicazione di clausole che la Banca d’Italia, nel suo ruolo di Autorità garante della concorrenza tra banche, ha ritenuto restrittive della concorrenza.
Dunque, poiché qualsiasi forma di distorsione della competizione del mercato (che rappresenta un valore costituzionale ai sensi dell’art. 41 Cost., dunque espressione di un interesse generale), in qualunque modo posta in essere, costituisce comportamento rilevante per l’accertamento della violazione dell’art. 2 della normativa antitrust, per cui è inevitabile concludere che l’intero portato, a valle di quella distorsione, debba essere assoggettato alla sanzione della nullità.
In tal senso pare esprimersi anche il dato testuale della pronuncia della Corte di Cassazione n. 29810/2017, la quale parla ripetutamente ed esclusivamente di “nullità del contratto” e mai di nullità delle singole clausole; inoltre, la fattispecie in esame alla Suprema Corte non concerneva una pronuncia di invalidità della fideiussione, ma il risarcimento del danno, chiesto all’attore, per aver dovuto pagare le somme ingiunte nel contempo pure al debitore principale. Orbene se la nullità, denunziata dal garante non avesse travolto l’intera fideiussione, giammai si sarebbe potuta cassare la sentenza di rigetto della domanda risarcitoria, perché tale rigetto avrebbe trovato conferma anche dopo la sostituzione delle clausole nulle, dato che nessuna delle clausole così introdotte poteva incidere a favore dell’istanza risarcitoria.
Alla luce di quanto innanzi esposto, dunque, consegue che la fideussione sottoscritta da XXX è affetta da nullità totale per essere in contrasto con il disposto dell’articolo 2 della Legge n. 287/1990, con la conseguenza che, essendo la garanzia personale da questa sottoscritta nulla, non vi è alcun obbligo per la stessa nei confronti della Banca opposta di corrispondere la somma oggetto di ingiunzione.
L’accertamento della nullità della garanzia rilasciata dall’opponente, sia pure “incidenter tantum”, in quanto oggetto di eccezione e non di domanda riconvenzionale (da formularsi necessariamente, a pena di decadenza, con l’atto di citazione in opposizione), oltre a non poter essere oggetto di domanda proposta in via principale, stante la competenza funzionale del Tribunale delle Imprese per le domande dirette ad ottenere l’accertamento e la declaratoria di nullità delle fideiussioni anticoncorrenziali, comporta che l’opposizione è fondata e, per l’effetto, il Decreto Ingiuntivo n. /2013 va revocato.
L’accertamento della nullità della fideiussione comporta l’assorbimento di tutti gli altri motivi di opposizione sollevati da parte opponente.
SUL REGIME DELLE SPESE DI LITE
Le spese del presente giudizio seguono il criterio generale della soccombenza e, considerato l’accoglimento dell’opposizione, sono poste quindi a carico del YYY e della ZZZ S.R.L. interventrice in solido tra loro; tuttavia, considerato che successivamente alla notificazione dell’atto di citazione in opposizione (2013) è intervenuta la pronuncia della Suprema Corte n. 28910/2017 che ha determinato un “mutamento della giurisprudenza” in ordine alla validità delle fideiussioni c.d. “anticoncorrenziali”, si ritiene opportuno compensare integralmente le spese di lite tra le parti ai sensi dell’articolo 92, co. 2, c.p.c.
P.Q.M.
Il Giudice, definitivamente pronunziando, disattesa ogni contraria istanza, difesa ed eccezione, così decide:
1) Dichiara il difetto di legittimazione della ZZZ S.R.L.;
2) Accoglie l’opposizione proposta e, per l’effetto, revoca il Decreto Ingiuntivo n. /2013;
3) Compensa integralmente le spese di lite.
Così deciso in Salerno il 19/8/2020
Il Giudice
La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di
Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.
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