REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
IL TRIBUNALE DI ROMA
XVII Sezione civile
in composizione monocratica, nella persona del Giudice dott., ha emesso la seguente
SENTENZA n. 2501/2019 pubblicata il 04/02/2019
nella causa civile di primo grado iscritta al n. del R.G.A.C.C. dell’anno 2016, e vertente tra
XXX e YYY, rappresentati e difesi, giusta procura a margine dell’atto di citazione, dall’Avv., ed elettivamente domiciliati presso il suo studio in;
OPPONENTI
e
BANCA ZZZ S.p.A., in persona del suo legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa, giusta procura a margine della comparsa di costituzione e risposta, dall’Avv., ed elettivamente domiciliata presso il suo studio in; CONVENUTO/OPPOSTO
OGGETTO: opposizione a decreto ingiuntivo – fideiussione bancaria.
CONCLUSIONI
All’udienza del 21.11.2018 il procuratori di parte opposta ha precisato le conclusioni riportandosi a quelle formulate nell’atto introduttivo del giudizio e nella memoria istruttoria.
FATTO E DIRITTO
Con atto di citazione notificato il 18.4.2016, XXX e YYY hanno proposto opposizione avverso il decreto ingiuntivo n. /2016 (R.G. n. /16) con il quale il Tribunale di Roma ha ingiunto loro, in qualità di garanti della società *** S.r.l. in liquidazione, il pagamento in favore della Banca ZZZ S.p.A. della somma di euro 125.000 ciascuno, oltre agli interessi come da domanda e spese di procedura.
A tal fine, hanno evocato in giudizio, dinanzi all’intestato Tribunale, la Banca ZZZ S.p.A., chiedendo di annullare, revocare il decreto ingiuntivo opposto; di dichiarare nulle, annullabili o inefficaci le garanzie fideiussorie azionate; di dichiarare l’invalidità, la nullità o l’annullabilità, totale o parziale del contratto di conto corrente n. intrattenuto da *** S.r.l. presso la Banca convenuta; di dichiarare la inoperatività e l’inefficacia delle fideiussioni in relazione all’obbligazione derivante dalla fideiussione rilasciata da *** S.r.l. a favore della Banca convenuta a garanzia del pagamento delle obbligazioni della — S.r.l. di cui al conto corrente n..
Con il primo motivo, gli opponenti hanno disconosciuto, ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 214 c.p.c., le sottoscrizioni apposte in calce alle fideiussioni prodotte in copia sub doc. nn. 5 e 6 da parte opposta.
Con il secondo e terzo motivo di opposizione viene eccepisce la nullità delle fideiussioni azionate in sede monitoria, in quanto, pur essendo indicato l’importo massimo garantito, mancherebbe l’individuazione delle singole operazioni cui esse sono riferibili o collegabili, al punto che la banca creditrice avrebbe illegittimamente ritenuto che i fideiussori fossero obbligati non solo per il pagamento del saldo passivo della debitrice principale, *** S.r.l., ma anche per quello del terzo — S.r.l.
Con il quarto mezzo gli opponenti hanno contestato l’efficacia probatoria, l’utilizzabilità nei loro confronti e la veridicità degli estratti conto mai ricevuti.
Con gli ulteriori mezzi hanno dedotto la violazione della legge n. 108/1996 in materia di usura, avendo la banca opposta tassi di interessi e commissioni superiori al tasso soglia usurario, una volta considerati tutti i costi, le spese e le commissioni che concorrono a determinare il TAEG; la nullità della clausola che prevede l’obbligo di corrispondere la commissione di massimo scoperto; la violazione dell’art. 1283 c.c. che sancisce il divieto delle clausole anatocistiche in mancanza di usi normativi.
Si è costituita in giudizio la Banca ZZZ S.p.A. che ha resistito alle avverse richieste e deduzioni, chiedendo il rigetto dell’opposizione, in quanto infondata sia in fatto che in diritto.
In primo luogo, sul presupposto che quelli azionati non rientrano tra le fideiussioni codicistiche, ma costituiscono contratti autonomi di garanzia, pare opposta ha dedotto che gli opponenti non avrebbero titolo ad opporre al creditore le eccezioni che spetterebbero soltanto al debitore principale.
Nel merito, le garanzie azionate sarebbero inoltre pienamente valide ed efficaci, rispondendo i garanti nei limiti per l’importo massimo garantito.
In particolare, sarebbe infondata la doglianza degli opponenti riguardante la asserita nullità delle fideiussioni per indeterminatezza dell’oggetto; correttamente i fideiussori di *** sarebbero stati chiamati a rispondere del debito di un soggetto ‘terzo’, la — S.r.l., in quanto tra i debiti di *** andava ricompresa anche l’obbligazione di garanzia sorta dalla fideiussione rilasciata da *** in favore di Banca ZZZ nell’interesse di — S.r.l.
Alla prima udienza di comparizione delle parti, il Giudice istruttore ha concesso la provvisoria esecuzione del decreto ingiuntivo opposto, limitatamente all’importo di euro 125.000,00 complessivamente per entrambi i fideiussori.
La causa è stata istruita attraverso l’acquisizione dei documenti prodotti dalle parti con gli atti introduttivi e le memorie istruttorie.
Con la prima memoria istruttoria, la Banca opposta ha segnalato che, da ulteriori accertamenti, è emerso che la *** S.r.l., di cui XXX ha ricoperto la carica di Amministratore e socio unico, è stata cancellata dal registro delle imprese in data 11.1.2016 (cfr. visura camerale in atti).
All’udienza del 17.11.2017, il procuratore di parte opponente ha rinunciato al disconoscimento delle firme apposte dai propri assistiti in calce alle fideiussioni azionate dalla banca in sede monitoria.
All’udienza del 21.11.2018, sulle conclusioni del solo procuratore di parte opposta, la causa è stata trattenuta in decisione, previa assegnazione dei termini per il deposito delle comparse conclusionali e delle memorie di replica.
*****
Innanzitutto, va preso atto della rinuncia di parte opponente al disconoscimento delle sottoscrizioni apposte in calce alle fideiussioni azionate in sede monitoria dalla Banca opposta.
Sempre in via preliminare, va rigettata l’eccezione di difetto di legittimazione ad agire in capo ai garanti opponenti, sollevata dalla Banca opposta, basandosi sull’erroneo assunto secondo il quale le fideiussioni azionate avrebbero natura di contratto autonomo di garanzia, il ché precluderebbe agli stessi la possibilità di sollevare contestazioni relative all’obbligazione principale.
Difatti dall’esame delle lettere di fideiussione sottoscritte dai garanti (all. 5 e 6 fascicolo monitorio) e, in particolare, dal tenore letterale delle espressioni usate, dalla manifestazione di volontà del garante e dal contenuto della garanzia prestata, la stessa va qualificata come fideiussione e non come garanzia autonoma.
Invero, conformemente a quanto previsto dal Codice con riguardo al negozio giuridico di cui agli artt. 1936 ss. c.c., per effetto della sottoscrizione del predetto atto, i fideiussori hanno garantito personalmente al creditore beneficiario l’adempimento dell’obbligazione del debitore, affiancando così il proprio patrimonio (a norma dell’art. 2740 c.c.) a quello del fideiuvato, a tutela delle ragioni creditorie del soggetto beneficiario della garanzia. La causa della fideiussione prestata dall’opponente risiede proprio, ex art. 1936 c.c., nella garanzia dell’adempimento del debito della *** S.r.l., ossia nel rafforzamento della tutela del creditore nella riscossione del proprio credito.
Stante l’intima dipendenza dell’obbligazione fideiussoria dall’obbligazione garantita, come statuito dall’art. 1939 c.c., si ravvisa nel caso in esame l’elemento della accessorietà che costituisce predicato naturale della fideiussione, la cui validità è condizionata dalla validità dell’obbligazione principale.
Non si rinvengono, invece, gli elementi tipici della garanzia autonoma che – per l’appunto – reca come connotato fondamentale l’assenza di accessorietà dell’obbligazione del garante rispetto a quella dell’ordinante, essendo la prima qualitativamente diversa dalla seconda, oltre che rivolta, nella maggior parte dei casi, non al pagamento del debito principale, bensì ad indennizzare il creditore insoddisfatto mediante il tempestivo versamento di una somma di denaro predeterminata, sostitutiva della mancata o inesatta prestazione del debitore.
Non vale a confutare tale tesi il fatto che i fideiussori si siano obbligati “a pagare immediatamente alla Banca ZZZ, a semplice richiesta scritta, anche in caso di opposizione del debitore, quanto dovutole per capitale, interessi, spese, tasse ed ogni altro accessorio” (art. 7 lettera di fideiussione).
Difatti, tale clausola non ha rilievo decisivo per la qualificazione del negozio di garanzia come “contratto autonomo di garanzia” o come “fideiussione”, potendo tali espressioni riferirsi sia a forme di garanzia svincolate dal rapporto garantito (e quindi autonome) sia a garanzie, come quelle fideiussorie, caratterizzate da un vincolo di accessorietà, più o meno accentuato, nei riguardi dell’obbligazione garantita (Cass., n. 16825/2006). Invece, secondo quanto stabilito dal noto arresto delle S.U., soltanto “l’inserimento in un contratto di fideiussione di una clausola di pagamento “a prima richiesta e senza eccezioni” vale di per sé a qualificare il negozio come contratto autonomo di garanzia (cd. Garantievertrag), in quanto incompatibile con il principio di accessorietà che caratterizza il contratto di fideiussione, salvo quando vi sia un’evidente discrasia rispetto all’intero contenuto della convenzione negoziale” (Cass. S.U. n. 3947/2010).
Pertanto, nel caso di specie, la presenza della sola clausola di pagamento “a prima richiesta”, ma non anche di quella “senza eccezioni” o “rimossa ogni eccezione”, vale a qualificare il negozio di garanzia come una tipica fideiussione (Cass., n. 84/2010; Cass., n. 27333/2005; Cass., n. 10574/2003), con la conseguente possibilità per i garanti, ai sensi dell’art. 1945 c.c., di opporre al creditore tutte le eccezioni spettanti al debitore e relative all’obbligazione principale.
Al riguardo, neppure rileva in senso contrario quanto previsto dall’art. 9 delle predette fideiussioni, in forza del quale il fideiussore non può opporre eccezioni in merito al momento in cui la Banca esercita la sua facoltà di recedere dai rapporti con il debitore, in quanto tale clausola non implica la rinuncia ad opporre le eccezioni inerenti al rapporto principale.
L’eccezione va dunque rigettata e i fideiussori vanno considerati legittimati a sollevare le eccezioni inerenti la validità dei contratti bancari, al fine di vedere dichiarata inesistente o comunque ridotta la propria obbligazione di garanzia.
Nel merito, tuttavia, l’opposizione è infondata e va rigettata per le ragioni di seguito indicate.
In primo luogo, gli opponenti hanno eccepito la carenza di documentazione posta dalla creditrice a sostegno del ricorso per decreto ingiuntivo, essendosi la Banca limitata a produrre i saldaconti certificati ex art. 50 TUB.
A tale riguardo, va premessa la distinzione tra fase monitoria ed eventuale giudizio di opposizione, atteso che “il giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo non è limitato alla verifica delle condizioni di ammissibilità e validità del decreto, ma si estende anche all’accertamento dei fatti costitutivi, modificativi ed estintivi del diritto in contestazione, con riferimento alla situazione esistente al momento della sentenza” (ex plurimis, Cass., 13085/2008).
Sulla base di tale distinzione, è pacifico in giurisprudenza che, mentre nella fase monitoria l’estratto di saldaconto ex art. 50 TUB costituisce prova del credito sufficiente all’emissione del decreto ingiuntivo, in fase di opposizione, giudizio eventuale a cognizione piena, trovano applicazione le consuete regole di ripartizione dell’onere della prova, con la conseguenza che l’opposto, pur assumendo formalmente la posizione di convenuto, riveste la qualità di attore in senso sostanziale, sicché nel caso in cui l’opposizione all’ingiunzione di pagamento del saldo passivo del conto corrente sia stata fondata su motivi non solo formali, quale la inutilizzabilità dell’estratto conto certificato, ma anche sostanziali, quali la contestazione dell’importo a debito, risultante dall’applicazione di tassi di interesse ultralegali e di interessi anatocistici vietati, nel giudizio a cognizione piena incombe sul creditore opposto l’onere di produrre il contratto su cui si fonda il rapporto e di documentarne l’andamento attraverso l’estratto conto integrale del rapporto di conto corrente.
La S.C. ha infatti costantemente affermato che “in tema di prova del credito fornita da un istituto bancario nel giudizio monitorio e nel successivo giudizio contenzioso di opposizione, va distinto l’estratto di saldaconto – dichiarazione unilaterale di un funzionario della banca creditrice accompagnata dalla certificazione della sua conformità alle scritture contabili e da un’attestazione di verità e liquidità del credito – dall’ordinario estratto/conto – funzionale a certificare le movimentazioni debitorie e creditorie intervenute dall’ultimo saldo, con le condizioni attive e passive praticate dalla banca -, poiché il saldaconto riveste efficacia probatoria nel solo procedimento per decreto ingiuntivo eventualmente instaurato dall’istituto, mentre l’estratto – conto, trascorso il debito periodo di tempo dalla sua comunicazione al correntista, assume carattere di incontestabilità ed è, conseguentemente, idoneo a fungere da prova anche nel successivo giudizio contenzioso instaurato dal cliente (principio affermato dalla S.C. in fattispecie in cui la banca, dopo aver fondato l’istanza di decreto ingiuntivo su di un estratto di saldaconto, aveva poi prodotto, nel successivo giudizio di opposizione, la copia degli estratti conto registrati su microfilm, le cui risultanze erano -legittimamente – state poste, dal giudice di merito, a fondamento del rigetto dell’opposizione)”. (cfr. ex plurimis Cass., n. 2751 del 25/02/2002; Cass., Ord. n. 14640/2018; conformi, Cass., n. 21092/2016; Cass. n. 21466/2013)
Orbene, nel caso in esame, risulta che la Banca creditrice aveva già allegato in copia al ricorso per decreto ingiuntivo: il contratto di apertura di conto corrente intestato alla *** S.r.l. in cui sono riportate e debitamente sottoscritte le clausole contrattuali e le condizioni economiche; la fideiussione rilasciata il 15.09.2003 da *** S.r.l. nell’interesse di — S.r.l., con estensione, in data 15.03.2005, del limite massimo garantito ad euro 360.000,00; fideiussione rilasciata il 15.09.2003 da YYY nell’interesse di *** S.r.l., per l’importo massimo di euro 125.000,00; fideiussione rilasciata l’11.12.2007da XXX nell’interesse di *** S.r.l., per l’importo massimo garantito di euro 125.000,00; estratti autentici notarili del saldo dei conti sofferenza intestati ad *** S.r.l. e ad — S.r.l.
Nel presente giudizio di opposizione, la Banca opposta ha compiutamente integrato la propria produzione documentale, versando in atti gli estratti conto integrali relativi ai rapporti di conto corrente intrattenuti con la Banca ZZZ S.p.A. da *** S.r.l. e — S.r.l..
Sulla base della documentazione prodotta, deve ritenersi che la creditrice opposta abbia documentalmente provato i fatti costitutivi delle proprie ragioni di credito cui afferiscono le fideiussione rilasciate dagli odierni opponenti, assolvendo, in tal modo, all’onere probatorio posto a suo carico dall’art. 2697, I co., c.c..
A fronte di ciò, non risultano fondate le eccezioni attraverso le quali gli opponenti hanno contestato la validità dei titoli azionati dalla creditrice e la sussistenza della propria obbligazione di garanzia.
E’ innanzitutto infondata la doglianza relativa alla nullità delle fideiussioni per indeterminatezza dell’oggetto, tanto da indurre la creditrice ad estendere della garanzia dei fideiussori al pagamento delle obbligazioni della — S.r.l., società terza della quale si era a sua volta costituita fideiussore la *** S.r.l.
Sotto il profilo dell’individuazione delle singole operazioni cui sono riferibili o collegabili le garanzie, si rileva le fideiussioni de quibus indicano con sufficiente grado di chiarezza e precisione per quali obbligazioni di *** S.r.l. venivano prestate le fideiussioni. Difatti, gli opponenti si sono costituiti fideiussori di *** “per l’adempimento delle obbligazioni verso la Banca ZZZ, dipendenti da operazioni bancarie di qualunque natura, già consentite o che venissero in seguito consentite […] quali, ad esempio, finanziamenti sotto qualsiasi forma concessi, aperture di credito, aperture di credito documentari, anticipazioni su titoli, su crediti o su merci, sconto o negoziazioni di titoli cambiari o documenti, rilascio di garanzie a terzi, depositi cauzionali, riporti, compravendita titoli e cambi, operazioni di intermediazione o prestazioni di servizi”. Con particolare rifermento alle garanzie rilasciate dalla debitrice principale in favore di terzi, le fideiussioni garantiscono, inoltre, “qualsiasi altra obbligazione che il debitore principale si trovasse in qualunque momento ad avere verso la Banca ZZZ in relazione a garanzie prestate o che venissero prestate dallo stesso debitore a favore della Banca ZZZ nell’interesse di terzi, per le quali vi dichiar …. sin d’ora di considerar…. solidalmente obbligat…. nei confronti della Banca ZZZ e ciò indipendentemente dalla sussistenza delle condizioni stabilite dall’art. 1948 cod.civ.”.
Tale previsione non rende indeterminato o indeterminabile l’oggetto delle fideiussioni in esame, rientrando piuttosto configurandosi piuttosto come fideiussione del fideiussore (ovvero, fideiussione di secondo grado) disciplinata dagli artt. 1940 e 1948 c.c.
Nella fideiussione di secondo grado il fideiussore del fideiussore si obbliga verso il creditore a pagare il debito principale, se esso resta inadempiuto tanto dal debitore, quanto dal fideiussore, ma mentre la fideiussione di primo grado garantisce il debito principale, la fideiussione di secondo grado garantisce la fideiussione di primo grado e dunque le due garanzie hanno oggetto diverso.
La fideiussione di secondo grado, infatti, ha per oggetto il debito di altro fideiussore, di primo grado, e non quello del debitore principale a differenza di quanto avviene in occasione della fideiussione prestata da più persone che ha per oggetto unicamente il debito del debitore principale (Cass., n. 6635/1997).
La fideiussione omnibus che sia comprensiva anche delle obbligazioni assunte da terzi rispetto alle quali il debitore principale assume la veste di fideiussore, pur se deve essere espressamente stipulata, non deve necessariamente contenere l’indicazione nominativa dei terzi debitori, essendo tali soggetti determinabili per relationem. L’indicazione nominativa del terzo (garantito dal primo fideiussore) non è necessaria e la sua mancanza non comporta l’indeterminabilità dell’oggetto (Cass. n. 6613/2000).
Nondimeno, il fideiussore risponde, oltre che delle obbligazioni personali del soggetto garantito, anche di quelle del terzo per il quale questi ha, a sua volta, prestato fideiussione, soltanto se ciò sia stato specificatamente pattuito nel contratto di fideiussione (Cass. n. 2630/1974).
Nella fattispecie in esame, come innanzi detto, è stato espressamente previsto che le fideiussioni rilasciate dagli opponenti hanno ad oggetto anche le obbligazioni di *** sorte a seguito del rilascio di garanzie a terzi in favore della Banca.
Assume rilievo, quindi, per relationem la fideiussione rilasciata a favore della Banca ZZZ il 15.09.2003 da *** S.r.l. nell’interesse di — S.r.l., con estensione, in data 15.03.2005, del limite massimo garantito ad euro 360.000,00.
L’art. 1948 c.c. espressamente prevede che “il fideiussore del fideiussore non è obbligato verso il creditore, se non nel caso in cui il debitore principale e tutti i fideiussori di questo siano insolventi, o siano liberati perché incapaci”.
La norma di cui all’art. 1948 c.c. disciplina l’obbligazione del fideiussore senza porsi a tutela di alcun interesse di ordine pubblico, bensì è soltanto a presidio di un interesse di natura privata, quale è quello del fideiussore di secondo grado a non essere obbligato se non nel caso di insolvenza o incapacità del primo fideiussore. Trattasi di un interesse pienamente disponibile, in quanto attinente alla sfera patrimoniale del fideiussore di secondo grado, il quale può, quindi, rinunciare alla sussidiarietà ed obbligarsi direttamente (Cass., n. 1323/1996).
Secondo la giurisprudenza di legittimità, non ha natura vessatoria, e non deve, pertanto, essere approvata specificamente per iscritto la clausola, presente nelle fideiussioni in esame, con la quale il fideiussore di secondo grado si obbliga ad adempiere in luogo del debitore principale, anche in assenza dell’insolvenza (o dell’incapacità) di questi o del fideiussore di primo grado, atteso che tale clausola integra una rinuncia alla sussidiarietà prevista dall’art. 1948, vale a dire con riferimento al regime sostanziale del rapporto, e non si tratta, invece, di una mera rinuncia alla facoltà di opporre in sede processuale l’eccezione di sussidiarietà dell’obbligazione (Cass., n. 6587/1997; Cass., n. 9363/1991). Nel caso in esame, da un canto, parte opponente non ha sollevato alcuna contestazione in ordine alla validità della clausola con la quale si deroga alla sussidiarietà prevista dall’art. 1948 c.c. e, dall’altro canto, parte opposta ha fornito la prova che la *** S.r.l. – fideiussore di primo grado rispetto alle obbligazioni di — – è stata cancellata dal registro delle imprese in data 11.1.2016.
Il motivo di opposizione in esame è pertanto infondato, per cui sussistono tutte le condizioni affinché i fideiussori rispondono ciascuno per l’intero importo garantito di euro 125.000,00.
Nella fattispecie, infatti, non si è in presenza di un’ipotesi di confideiussione (artt. 1946 e 1947 c.c.), ma di due distinte fideiussioni rispetto alle quali ciascun fideiussore risponde separatamente dall’altro e individualmente nei limiti dell’importo massimo garantito da ciascuno.
Si ha confideiussione quando più persone prestano congiuntamente fideiussione per un medesimo debitore e per un medesimo debito. Essa si caratterizza per il collegamento necessario tra le obbligazioni assunte dai singoli fideiussori (concernenti lo stesso debito e lo stesso debitore), nel comune intento di garanzia, magari in assenza di contestualità nell’assunzione della garanzia stessa (Cass., n. 17723/2004; Cass., n. 8605/2004; Cass., n. 6649/2002).
Si configura invece un’ipotesi di fideiussioni plurime in caso di distinte fideiussioni prestate da diversi soggetti in tempi successivi e con atti separati, senza alcuna manifestazione di reciproca consapevolezza tra fideiussori o, al contrario, con espressa convenzione con il creditore di mantenere differenziata la propria obbligazione da quella degli altri, e, in ogni caso, in assenza di un collegamento correlato ad un interesse comune dei cogaranti (Cass., 17723/2004).
Nelle due fideiussioni in esame, difatti, sottoscritte a distanza di oltre quatto anni, non è previsto alcun tipo di collegamento, ma è espressamente pattuita la differenziazione delle diverse obbligazioni di garanzia, laddove si prevede che “la fideiussione ha pieno effetto indipendentemente da qualsiasi altra garanzia, personale o reale, già esistente o che fosse in seguito prestata a favore della Banca ZZZ nell’interesse del debitore medesimo. Quando vi siano più fideiussori, ciascuno di essi risponde per l’intero ammontare del debito, anche se le garanzie sono state prestate con un unico atto ….” (art. 11)
Risultano pertanto infondate le contestazioni mosse in ordine alla validità e all’efficacia delle fideiussioni, anche con riferimento alle obbligazioni di — garantite da ***: società nell’interesse della quale gli opponenti hanno rilasciato le separate garanzie.
Passando ad esaminare i profili di doglianza riguardanti la validità di alcune clausole del contratto di apertura di conto corrente, va innanzitutto affermata l’infondatezza della contestazione riguardante la nullità della clausola anatocistica in mancanza di un uso normativo.
A riguardo, va sottolineato che parte opponente assume la contrarietà a legge (art 1283 c.c.) della clausola con cui è stata pattuita la capitalizzazione nel contratto del 31.1.2001, ma non deduce e tantomeno dimostra che tale pattuizione abbia violato l’art. 120, co. 2, TUB nel testo ratione temporis vigente.
Pertanto, rilevato che il contratto di conto corrente è stato stipulato successivamente all’entrata a regime della nuova disciplina dell’anatocismo bancario (decreto legislativo 4 agosto 1999, n. 342, recante disposizioni integrative e correttive del Testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia) e prevede espressamente che i rapporti di dareavere debbano essere chiusi con identica periodicità trimestrale e siano produttivi di interessi, attivi o passivi con capitalizzazione trimestrale, la disciplina negoziale che ne risulta è pienamente rispettosa del principio della pari periodicità di cui agli artt. 120, comma 2, T.U.B. e 2 della delibera CICR del 9 febbraio 2000.
ale delibera, nel confermare che, nelle operazioni di raccolta del risparmio e di esercizio del credito poste in essere dalle banche e dagli intermediari finanziari, gli interessi possono produrre a loro volta interessi (art. 1), a condizione che nell’ambito di ogni singolo conto corrente sia pattuita la stessa periodicità nel conteggio degli interessi creditori e debitori (art. 2, comma 2), ha affermato che, in tali casi, l’accredito e l’addebito degli interessi avviene sulla base dei tassi e con le periodicità contrattualmente stabiliti e che il saldo periodico produce interessi secondo le medesime modalità (art. 2 comma 1).
Anche tale doglianza è, dunque, infondata e non merita accoglimento.
Quanto alla dedotta illegittima applicazione, da parte della Banca, della commissione di massimo scoperto, va rilevato che le parti hanno concordato sia l’applicazione della stessa che il suo specifico ammontare.
La commissione di massimo scoperto – definita nella tecnica bancaria come il corrispettivo pagato dal cliente per compensare l’intermediario dell’onere di dover essere sempre in grado di fronteggiare una rapida espansione nell’utilizzo dello scoperto del conto, di norma applicato allorché il saldo del cliente risulti a debito per oltre un determinato numero di giorni e calcolato in misura percentuale sullo scoperto massimo verificatosi nel periodo di riferimento – pur non costituendo un interesse in senso tecnico, bensì una commissione, vale a dire un onere posto in relazione allo “scoperto di conto corrente”, trova giustificazione quale parziale ristoro per la minore redditività che la banca subisce dovendo tenere a disposizione del cliente risorse liquide. Pertanto l’autonomia contrattuale riconosciuta alle parti dall’art. 1322 c.c. consente alle stesse di convenire il pagamento di una simile commissione, posto che la stessa è volta a remunerare un onere effettivamente gravante sulla banca e quindi sia meritevole di tutela giuridica.
Tale ricostruzione è stata avallata anche dalla giurisprudenza di legittimità che ha qualificato la CMS come la remunerazione accordata alla banca per la messa a disposizione dei fondi a favore del correntista indipendentemente dall’effettivo prelevamento della somma (Cass. 870/06; Cass. 11772/02).
Recentemente la S.C. ha confermato che l’art. 2-bis del D.L. n. 185/2008 – introdotto dalla Legge di conversione n. 2/2009 – disciplinando la materia delle commissioni di massimo scoperto, “pure omettendo ogni definizione più puntuale delle stesse, ha effettuato una ricognizione dell’esistente con l’effetto sostanziale di sancire definitivamente la legittimità di siffatto onere e, per tale via, di sottrarla alle censure di legittimità sotto il profilo della mancanza di causa” (Cass., n. 12965/2016).
Ne consegue l’infondatezza della contestazione sul punto e il legittimo addebito in conto corrente delle commissioni di massimo scoperto.
Passando all’esame degli altri motivi di opposizione, la contestazione relativa al superamento del tasso soglia antiusura previsto dall’art. 2 della Legge n. 108/1996 risulta del tutto generica ed assertiva, essendosi parte opponente limitata ad affermare che dall’analisi contabile effettuata, una volta conteggiate tutte le somme addebitate a vario titolo dalla Banca, emergerebbe l’applicazione di un TAEG (rectius TEG) superiore di una volta e mezzo il tasso soglia antiusura.
Essa non ha indicato neppure l’ammontare dei tassi originariamente pattuiti, né l’ammontare del TEG risultante a seguito del computo di costi, commissioni e spese pagati per l’erogazione del credito, né, infine, l’ammontare delle somme pagate ogni anno a titolo di interesse.
Recentemente, la S.C. ha precisato che la contestazione in tema di usura deve essere specifica e analitica, non potendosi genericamente riferire al tasso di interesse, essendo necessario indicare la pattuizione originaria e le somme pagate ogni anno a titolo di interessi, diversamente, la genericità della tesi della parte non consente di ritenere pacifica l’esistenza della usurarietà, risolvendosi nella sollecitazione allo svolgimento di una c.t.u. esplorativa. (Cass. ord. n. 2311/2018).
Fermo restando quanto appena detto, appare ugualmente utile evidenziare al riguardo che in riferimento al computo della commissione di massimo scoperto ai fini del superamento del TSU sono recentemente intervenute le Sezioni Unite civili con sentenza del 20 giugno 2018, n. 16303, con la quale è stato affermato che, nei rapporti svoltisi, in tutto o in parte, nel periodo anteriore all’entrata in vigore delle disposizioni di cui all’art. 2-bis, D.L. n. 185 del 2008, inserito nella legge di conversione n. 2 del 2009, ai fini della verifica de superamento del tasso soglia antiusura, deve effettuarsi una separata comparazione del tasso effettivo globale di interesse praticato in concreto e della commissione di massimo scoperto.
Alla luce di tale interpretazione, dunque, il TSU va raffrontato con il TEG esclusa la commissione di massimo scoperto, la quale, ove eventualmente applicata, va confrontata con la “CMS soglia”, ottenuta maggiorando della metà il valore della “CMS media”, indicato nei decreti ministeriali emanati ai sensi dell’art. 2, comma 1, della Legge 108 del 1996.
La stessa Corte ha inoltre precisato che, qualora vi sia un’eccedenza della Commissione di massimo scoperto in concreto applicata rispetto alla “CMS soglia”, risultando, la commissione, superiore alla soglia, l’eccedenza così formatasi va confrontata con “l’ammontare degli interessi (ulteriori rispetto a quelli in concreto praticati) che la banca avrebbe potuto richiedere fino ad arrivare alle soglie di volta in volta vigenti”.
Dunque, l’eccedenza della commissione di massimo scoperto rispetto alla CMS soglia va confrontata con il differenziale tra il valore del TSU e quello degli interessi effettivamente praticati. E qualora il differenziale sia inferiore a tale margine, non si determina alcun un superamento delle soglie di legge.
Pertanto, attesa l’impossibilità di far confluire la commissione di massimo scoperto in modo diretto nel calcolo finalizzato alla verifica del superamento del TSU, sarebbe stato necessario raffrontare l’ammontare della commissione con la “CMS soglia” vigente all’epoca della sottoscrizione del contratto.
In riferimento alla dedotta usura soggettiva, invece, la domanda attorea va respinta, in quanto si limita ad allegare genericamente una mera situazione di difficoltà economica della società debitrice principale senza nulla specificare a riguardo, e difettando ulteriormente qualsiasi principio di prova in ordine all’approfittamento di tale situazione da parte della Banca: circostanza, com’è noto, essenziale ai fini dell’integrazione della fattispecie in esame.
Infine, alla luce della recente pronuncia delle Sezioni Unite civili della Cassazione (S.U. del 19 ottobre 2017, n. 24675, conforme, Cass., ord. n. 2311/2018, cit.) risulta infondata anche la domanda relativa alla cd. usura sopravvenuta.
Con la citata sentenza, infatti, le SS.UU hanno stabilito, risolvendo un contrasto di giurisprudenza, che nei contratti di mutuo, allorché il tasso degli interessi concordato tra mutuante e mutuatario superi, nel corso dello svolgimento del rapporto, la soglia dell’usura, come determinata in base alle disposizioni della legge 7 marzo 1996, n. 108, non si verifica la nullità o l’inefficacia della clausola contrattuale di determinazione del tasso degli interessi stipulata anteriormente all’entrata in vigore della predetta legge o della clausola stipulata successivamente per un tasso non eccedente tale soglia quale risultante al momento della stipula, né la pretesa del mutuante, di riscuotere gli interessi secondo il tasso validamente concordato, può essere qualificata, per il solo fatto del sopraggiunto superamento di detta soglia, contraria al dovere di buona fede nell’esecuzione del contratto.
Le Sezioni Unite, cioè, hanno attribuito rilievo essenziale, ai fini della sussistenza o meno del carattere usurario dei tassi di interesse, al momento in cui questi sono stati pattuiti, negando ingresso alla configurabilità della c.d. usura sopravvenuta.
Anche le doglianze in materia di usurarietà dei tassi pattuiti con il contratto di conto corrente sono infondate.
In conclusione, l’opposizione va rigettata e, conseguentemente, va confermato il decreto ingiuntivo opposto.
P.Q.M.
Il Tribunale di Roma, definitivamente pronunciando, disattesa o assorbita ogni altra domanda ed eccezione, così provvede:
1) rigetta l’opposizione proposta da XXX e YYY e, per l’effetto, conferma il decreto ingiuntivo n. /2016 (R.G. n. /16);
2) condanna gli opponenti, in solido, alla rifusione delle spese di lite in favore di parte opposta, che liquida in complessivi euro 4.000,00, oltre al rimborso forfettario delle spese generali, IVA e CPA.
Così deciso in Roma il 4.2.2019
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Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.
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