REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE DI APPELLO DI CALTANISSETTA
SEZIONE CIVILE
composta dai signori magistrati:
ha pronunciato la seguente
SENTENZA n. 637/2019 pubblicata il 14/10/2019
nella causa iscritta al n. /2012 R.G.C.A., promossa in grado di appello DA
XXX, C.F., che si difende personalmente ai sensi dell’art. 86 c.p.c. (), residente e domiciliato in, e YYY, C.F., elettivamente domiciliata presso lo studio dell’avv. XXX, sito in, che la rappresenta e difende per procura in calce all’atto di appello
APPELLANTI – APPELLATI IN VIA INCIDENTALE
CONTRO
FINANZIARIA ZZZ S.p.A. con socio unico (C.F. e Partita IVA) con sede legale in, rappresentata per quest’atto dall’avv., autorizzato in virtù dei poteri allo stesso conferiti con delibera del consiglio di amministrazione del 18 febbraio 2011 e in forza della procura speciale per notaio del 1 giugno 2012, rappresentata e difesa dall’avv., giusta mandato a margine della comparsa di costituzione risposta con appello incidentale, elettivamente domiciliato in presso lo studio dell’avv..
Ai fini e per gli effetti di cui agli articoli 133 comma terzo, 134 comma terzo e 136 comma terzo c.p.c. l’avvocato dichiara di voler ricevere le comunicazioni e le notificazioni inerente il presente procedimento presso il numero di telefax ovvero al seguente indirizzo di posta elettronica
APPELLATA – APPELLANTE IN VIA INCIDENTALE
KKK S.P.A. (C.F. e Partita IVA), e, per essa, quale procuratrice QQQ s.p.a. a socio unico, (C.F. e partita Iva), giusta procura del 20 aprile 2015 in autentica del dottor, quest’ultima in persona della procuratrice speciale, Avv., giusta procura speciale del 31 luglio 2018 a rogito notaio, elettivamente domiciliato in, nello studio e presso l’avvocato, che lo rappresenta e difende giusta procura rilasciata su separato foglie trasmessa in via telematica, nel rispetto delle previsioni di cui all’art. 83, 3 c. ultima parte c.p.c.; ai fini e per gli effetti di cui agli articoli 133 comma terzo, 134 comma terzo e 136 comma terzo c.p.c., l’avvocato dichiara di voler ricevere le comunicazioni e le notificazioni inerente il presente procedimento presso il numero telefax ovvero all’indirizzo di posta elettronica
INTERVENIENTE
Conclusioni delle parti.
Per XXX e YYY:<<voglia la corte di appello adita, in riforma dell’impugnata sentenza:
– preliminarmente sospendere l’efficacia esecutiva della sentenza;
– accertare e dichiarare che YYY non è titolare del conto corrente n. ma fideiussore e per l’effetto obbligata nei limiti della fideiussione stessa;
– accertare e dichiarare le commissioni di massimo scoperto nulle perché costituenti maggiore interesse, generano anatocismo, sono indeterminate e violano l’art. 1346 c.c. e 117 c. 4 TUB;
– accertare che la somma a debito del finanziamento, per effetto dell’addebito automatico, risulta errata, usuraria e va ricalcolata;
– condannare la soccombente al pagamento delle spese e onorari di giudizio>>.
PER FINANZIARIA ZZZ S.P.A. CON SOCIO UNICO:
<<voglia l’Ecc.ma Corte reietta ogni avversa istanza, eccezione e difesa: nel merito, rigettare l’appello proposto perché inammissibile e in ogni caso infondato in fatto in diritto; in via incidentale, in parziale riforma della sentenza n. /2012 emessa dal tribunale di Nicosia, condannare gli opponenti al pagamento, in favore della Finanziaria ZZZ S.p.A., della somma di euro 10.112,81, condannando gli stessi alla corresponsione degli interessi convenzionali di mora, calcolati sulla esposizione del c/c a far tempo dal 21/7/2002 e sull’esposizione derivante dal finanziamento a far tempo dalla domanda e sino all’effettivo adempimento. Con vittoria di spese>>.
RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE
Con atto di citazione notificato in data 11 aprile 2006, XXX e YYY proposero opposizione avverso il decreto n. 15/2006 emesso in data 9 febbraio 2006 dal tribunale di Nicosia (a seguito di ricorso per decreto ingiuntivo depositato in data 26/01/2006) in favore di CASSA ZZZ s.p.a. (quale cessionaria di crediti originariamente riferibili alla Banca Popolare ***) con ingiunzione di pagamento della complessiva somma di euro 13.600,29, oltre interessi convenzionali di mora dal 1 ottobre 2006, di cui € 9.336,41 quale saldo debitorio sul c/c 10.1173/1 ed euro 4.263,88 quale saldo debitorio del contratto di finanziamento del 10.7.1997.
Gli opponenti denunciarono la nullità della clausola che prevedeva interessi a capitalizzazione trimestrale oltre che delle clausole che prevedevano ed applicavano interessi, competenze, remunerazioni e costi non concordati o non dovuti e, in riconvenzionale, chiesero il pagamento di quanto, in seguito al ricalcolo dei saldi, fosse risultato a proprio credito.
Nel corso dell’attività istruttoria, succeduta a CASSA ZZZ s.p.a. la FINANZIARIA ZZZ s.p.a., il tribunale adito dispose una consulenza tecnica d’ufficio e provvide al richiamo del consulente, affinché rideterminasse l’ammontare complessivo del saldo calcolando gli interessi debitori.
Il tribunale di Nicosia, all’esito, pronunciò in date 22-23 giugno 2012 la sentenza n. 190/12 che, accogliendo parzialmente l’opposizione, previa revoca del decreto ingiuntivo opposto, condannò gli opponenti al pagamento, in favore della FINANZIARIA ZZZ s.p.a., di euro 10.112,81 oltre interessi convenzionalmente pattuiti dalla domanda fino al soddisfo; compensò nella misura del 30% le spese processuali tra le parti e condannò gli opponenti al pagamento delle spese residue liquidate in sentenza.
Il giudice di prime cure, in primo luogo, determinò in euro 4.263,88 l’importo dovuto dagli opponenti all’istituto bancario per residuo del finanziamento concesso a seguito di contratto sottoscritto dalle parti in data 10 luglio 1997, sostenendo che gli interessi ultralegali di detto finanziamento, denunciati dagli opponenti, erano stati per contro pattuiti per iscritto, come pure per iscritto erano state determinate le altre condizioni e competenze, trattandosi quindi di clausole valide ed efficaci.
Il giudice di prime cure, per quanto atteneva al saldo negativo del rapporto di conto corrente già intercorso tra l’istituto bancario ed il XXX, osservò che il contratto di conto corrente risultava stipulato in forma scritta in data 25 maggio 1995 e che, pertanto, sotto tale profilo esso era valido ed efficace. Osservò pure che il succitato contratto di conto corrente prevedeva specificamente ed analiticamente il tasso di interesse convenzionale, nonché la commissione di massimo scoperto, nonché le altre condizioni da applicare al rapporto.
Per quanto concerneva la commissione di massimo scoperto il giudice di prime cure affermò, seguendo l’indirizzo giurisprudenziale inaugurato dalla Suprema Corte nel 2006 (veniva citata Cass. 18.1.2006 n. 870) – prima delle modifiche normative del 2009 – che tale commissione costituiva un costo collegato all’erogazione del credito e che, rappresentando la remunerazione riconosciuta alla banca per l’accordata disponibilità di una somma di denaro e per il conseguente onere, dalla stessa assunto, di tenere a disposizione del cliente la necessaria provvista, la relativa clausola non poteva che considerarsi lecita sotto il profilo causale, in assenza di una disposizione che espressamente la vietasse. Il giudice di prime cure concluse che la commissione di massimo scoperto, prevista dal contratto di conto corrente tra le parti, era valida.
Quanto alla clausola del contratto di conto corrente sottoscritto dal XXX che prevedeva la capitalizzazione trimestrale degli interessi passivi, il giudice di prime cure ne ritenne la nullità conformandosi, sul punto, alla giurisprudenza ormai consolidata della Corte di Cassazione (venivano citate le Sentenze nn. 2374/99; 21095/04 e 24418/10) e concluse che alcuna capitalizzazione doveva essere applicata al rapporto.
Il primo giudice rigettò anche l’eccezione di prescrizione sollevata dall’istituto di credito in ragione della tardività della costituzione della banca e del pari furono rigettate anche tutte le altre eccezioni in senso proprio sollevate dall’istituto di credito.
Il giudice di prime cure concluse che il saldo finale del conto corrente doveva essere ricalcolato decurtando la capitalizzazione trimestrale degli interessi ed applicando il solo interesse convenzionalmente pattuito nella convenzione per apertura di credito del 25 maggio 1995 e successive modifiche. Richiamò e fece proprie le conclusioni del c.t.u., che aveva rideterminato in euro 5.848,93 il saldo del conto corrente, decurtando dal ricalcolo ogni capitalizzazione.
Pertanto il decreto ingiuntivo opposto venne revocato e gli opponenti furono condannati al pagamento di euro 10.112,81, di cui euro 4.263,88 quale saldo debitorio del contratto di finanziamento del 10 luglio 1997 ed euro 5.848,93 quale saldo del conto corrente contestato, oltre interessi convenzionalmente pattuiti dalla domanda fino al soddisfo.
In ragione del parziale accoglimento dell’opposizione, il giudice di prime cure compensò le spese tra le parti in misura del 30% e condannò gli attori opponenti alla residuo come da dispositivo.
Con atto di citazione notificato in data 15 ottobre 2012 XXX e YYY hanno proposto appello avverso tale sentenza ed hanno articolato i seguenti motivi di appello.
Con il primo motivo di appello assumono essere errata la condanna di YYY, poiché la stessa non è stata titolare del c/c intestato a XXX ma semplice fideiussore del XXX, come da nota del 25 maggio 1995, sottoscritta ed allegata al contratto, fino alla concorrenza di lire 20.000.000 (pari a euro 10.329,14). Affermano pertanto che è ingiusta la condanna della YYY per un importo superiore alla somma per la quale essa si è obbligata quale fideiussore del XXX. Con il secondo motivo si dolgono del fatto che il giudice di prime cure non abbia dichiarato la nullità della clausola del contratto di conto corrente che prevede la capitalizzazione della commissione di massimo scoperto (CMS). Assumono che la stessa costituisca un costo collegato all’erogazione del credito e che sia quindi da considerare legittima. Si sostiene che, quanto al contratto di conto corrente sottoscritto dal XXX, sono sconosciute le modalità concrete di conteggio della CMS e che non vi è possibilità per gli interessati di poter controllare i criteri di calcolo dell’ammontare della stessa CMS. Si sostiene che la CMS applicata dalla Banca in costanza di rapporto sarebbe indeterminata e, quindi, nulla per violazione degli artt. 1346 c.c. e 117 c. 4 TUB.
Con il terzo motivo di appello, si assume essere errata la determinazione della somma ancora dovuta in relazione al contratto di finanziamento. Si sostiene che il tribunale non ha considerato che le rate relative al finanziamento venivano pagate con addebito automatico in conto corrente e che, pertanto, gli interessi convenzionali del finanziamento si aggiungevano agli interessi del conto corrente; si sostiene che quelle somme del finanziamento, con il meccanismo dell’anatocismo, contribuivano ad alimentare il saldo debitorio del conto corrente stesso; agli interessi convenzionali del finanziamento del 17,496% si sarebbero perciò aggiunti, ad avviso degli appellanti, gli interessi del 16,75%, oltre alla CMS per cui ne sarebbe scaturita una somma per singola rata di finanziamento superiore al limite dell’usura.
Parte appellante conclude che tali somme pagate sarebbero nulle e dovrebbero essere decurtate e sottratte al saldo debitorio riportato in sentenza.
L’appellata FINANZIARIA ZZZ s.p.a. si è costituita e ha chiesto il rigetto dell’appello principale.
Quanto al primo motivo deduce che la YYY è fideiussore del XXX e che la condanna è entro il limite della garanzia fideiussoria da lei rilasciata.
Quanto agli altri motivi, deduce la piena liceità della commissione di massimo scoperto pattuita e l’inammissibilità, trattandosi a suo dire di domanda nuova, della domanda di nullità quanto al contratto di finanziamento.
La parte appellata propone altresì appello incidentale avverso la sentenza n. 190/12 del Tribunale di Nicosia, relativamente alla data di decorrenza degli interessi sulla sorte capitale, in quanto afferma che essi devono decorrere dalla chiusura del conto corrente e quindi a far tempo dal 21 luglio 2002 e non dalla successiva domanda giudiziale.
Con ordinanza in data 6-18 marzo 2013 la Corte di appello ha dichiarato insussistenti i presupposti per la pronuncia di inammissibilità dell’appello ai sensi dell’art. 348 bis c.p.c.
Dopo alcuni rinvii, determinati dal carico dei ruoli di questa Corte di Appello, i procuratori delle parti hanno precisato le conclusioni all’udienza del 31 gennaio 2019, riportandosi ai rispettivi atti introduttivi (il cui contenuto è in epigrafe trascritto).
Alla stessa udienza la causa è stata trattenuta in decisione.
In data 1.4.2019 la KKK S.p.A. e per essa la procuratrice QQQ s.p.a. a socio unico, ha depositato, in via telematica, una comparsa di intervento ex art. 111
c.p.c. e contestuale comparsa conclusionale.
Quest’ultima società assume di essere cessionaria del credito azionato dalla FINANZIARIA ZZZ s.p.a. e richiama e fa proprie tutte le domande e difese di quest’ultima parte nel dichiarare di volere intervenire ex art. 111 c.p.c. nel presente giudizio.
*****
Va preliminarmente dichiarata l’inammissibilità dell’intervento ex art. 111 c.p.c. della QQQ s.p.a. con socio unico in quanto avvenuto mediante comparsa depositata in data 1/4/2019 e, quindi, dopo l’udienza in cui sono state precisate le conclusioni.
Costituisce jus receptum nella giurisprudenza della Suprema Corte il principio per cui il successore a titolo particolare nel diritto controverso è non terzo ma parte, con la conseguenza che il suo intervento nel processo è regolato dall’art. 111 c.p.c. (e non dall’art. 105 dello stesso codice) e, proprio in considerazione della particolare situazione dell’interveniente, è esperibile in grado di appello, al di fuori dei limiti rigorosi di cui all’art. 344 c.p.c. (Sez. 2, Sentenza n. 29766 del 29/12/2011) e anche nel giudizio di rinvio (Sez. 6-2, Ordinanza n. 4536 del 05/03/2015).
Con specifico riferimento alle preclusioni istruttorie, va poi richiamato l’orientamento della giurisprudenza di legittimità in forza del quale l’art. 268 comma 2 c.p.c. (nella formulazione risultante dalla L. n. 353 del 1990), secondo cui l’interveniente “non può compiere atti che al momento dell’intervento non sono più consentiti ad alcuna altra parte”, deve essere interpretato alla luce del comma 1 dello stesso articolo, in forza del quale l’intervento può avere luogo anche successivamente al maturare dei termini di preclusione per le altre parti, purché “sino a che non vengano precisate le conclusioni” (Sez. 3, Sentenza n. 25264 del 16/10/2008).
Non può quindi tenersi conto della comparsa conclusionale che è stata depositata dalla stessa parte interveniente.
Nel merito, è opportuno esaminare, anzitutto le doglianze concernenti la posizione del debitore principale XXX, in ragione del rapporto di subordinazione e dipendenza dell’obbligazione fideiussoria, riferibile alla YYY, rispetto a quella principale.
Quanto al primo motivo di appello (pagg. 3-4 dell’atto di appello) – cioè la dedotta nullità della commissione di massimo scoperto (CMS) applicata alla apertura di credito in conto corrente sottoscritta in data 25 maggio 1995 da XXX con la Banca Popolare *** – va premesso che la nozione di commissione di massimo scoperto che viene qui in considerazione è quella indicata dalla Banca d’Italia nelle “Istruzioni per la rilevazione del tasso effettivo globale medio ai sensi della legge sull’usura” emanate il 30 settembre 1996 e confermate fino al secondo trimestre 2009.
Tali Istruzioni espressamente escludevano la commissione di massimo scoperto dalla rilevazione del tasso effettivo globale medio (TEGM) da indicare nei decreti ministeriali previsti dall’art. 2, comma 1, legge n. 108 del 1996, cit., disponendo che la sua entità fosse rilevata separatamente.
Nelle già citate Istruzioni della Banca d’Italia per la rilevazione del TEGM ai fini della legge sull’usura (determinato, com’è noto, aumentando il primo nella misura indicata dall’art. 2, comma 4, legge n. 108 del 1996), si legge che tale commissione «nella tecnica bancaria viene definita come il corrispettivo pagato dal cliente per compensare l’intermediario dell’onere di dover essere sempre in grado di fronteggiare una rapida espansione nell’utilizzo dello scoperto del conto. Tale compenso – che di norma viene applicato allorché il saldo del cliente risulti a debito per oltre un determinato numero di giorni – viene calcolato in misura percentuale sullo scoperto massimo verificatosi nel periodo di riferimento». Questa definizione, per l’esattezza, compare testualmente per la prima volta nell’aggiornamento delle Istruzioni della Banca d’Italia del luglio 2001, ma alla medesima nozione si rifanno anche le Istruzioni precedenti, che espressamente prendono in considerazione la CMS calcolata sull’ammontare del massimo scoperto.
Tanto premesso, in tema di contratti bancari, con riferimento ai rapporti svoltisi, come nella specie, nel periodo anteriore all’entrata in vigore (il 1 gennaio 2010) delle disposizioni di cui all’art. 2 bis del d.l. n. 185 del 2008, inserito dalla legge di conversione n. 2 del 2009, le Sezioni Unite Civili della Corte di Cassazione, superando il contrasto insorto tra la Seconda sezione penale (vedi Cass. 12028/2010; Cass. 28743/2010; Cass. 46669/2011; Cass.
28928/2014) e la Prima sezione civile (vedi sentenze 22/06/2016, n. 12965 e 03/11/2016, n. 22270), hanno affermato i seguenti principi:
1) In tema di contratti bancari, con riferimento ai rapporti svoltisi, in tutto o in parte, nel periodo anteriore all’entrata in vigore (il 1 gennaio 2010) delle disposizioni di cui all’art. 2 bis del d.l. n. 185 del 2008, inserito dalla legge di conversione n. 2 del 2009, ai fini della verifica del superamento del tasso soglia dell’usura presunta, come determinato in base alle disposizioni della legge n. 108 del 1996, va effettuata la separata comparazione del tasso effettivo globale (TEG) degli interessi praticati in concreto e della commissione di massimo scoperto (CMS) eventualmente applicata, rispettivamente con il “tasso soglia” – ricavato dal tasso effettivo globale medio (TEGM) indicato nei decreti ministeriali emanati ai sensi dell’art. 2, comma 1, della predetta l. n. 108 del 1996 – e con la “CMS soglia” – calcolata aumentando della metà la percentuale della CMS media pure registrata nei ridetti decreti ministeriali -, compensandosi, poi, l’importo dell’eccedenza della CMS applicata, rispetto a quello della CMS rientrante nella soglia, con l’eventuale “margine” residuo degli interessi, risultante dalla differenza tra l’importo degli stessi rientrante nella soglia di legge e quello degli interessi in concreto praticati (Cass. Sez. U – , Sentenza n. 16303 del 20/06/2018 (Rv. 649294 – 01):
2) In tema di contratti bancari, l’art. 2 bis del d.l. n. 185 del 2008, inserito dalla legge di conversione n. 2 del 2009, in forza del quale, a partire dal 1 gennaio 2010, la commissione di massimo scoperto (CMS) entra nel calcolo del tasso effettivo globale medio (TEGM) rilevato dai decreti ministeriali emanati ai sensi dell’art. 2, comma 1, della l. n. 108 del 1996, ai fini della verifica del superamento del tasso soglia dell’usura presunta, non è norma di interpretazione autentica dell’art. 644, comma 4, c.p., ma disposizione con portata innovativa dell’ordinamento, intervenuta a modificare – per il futuro – la complessa normativa, anche regolamentare, tesa a stabilire il limite oltre il quale gli interessi sono presuntivamente sempre usurari, come si evince sia dall’espressa previsione, al comma 2 del detto art. 2 bis, di una disciplina transitoria da emanarsi in sede amministrativa (in attesa della quale i criteri di determinazione del tasso soglia restano regolati dalla disciplina vigente alla data di entrata in vigore della ridetta disposizione), sia dalla norma contenuta nel comma 3 del ridetto art. 2 bis (poi abrogato dall’art. 27 del d.l. n. 1 del 2012, conv. con modif. dalla l. n. 27 del 2012), a tenore della quale “i contratti in corso alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto sono adeguati alle disposizioni del presente articolo entro centocinquanta giorni dalla medesima data” (Sez. U – , Sentenza n. 16303 del 20/06/2018 (Rv. 649294 – 02).
Nel caso di specie, la CTU contabile svolta nel giudizio di primo grado ha correttamente rideterminato – in base agli estratti conto depositati dalla Banca opposta – il saldo finale del conto corrente numerato 10001173, conteggiando gli interessi a debito senza operare alcuna capitalizzazione (applicando Cass. S.U. n. 24418 del 2.12.2010).
Il CTU ha pure estrapolato la CMS ricalcolandola sul nuovo saldo debitore depurato dalla capitalizzazione ed applicando il saggio convenzionale, giungendo, in questo modo, a ricalcolare la CMS dall’iniziale somma pretesa dalla Banca (pari a lire 581.771) alla somma indicata come dovuta pari a lire 315.536 (euro 162,96).
In tal modo il saldo finale del conto corrente è stato calcolato dal CTU, alla data del 30 luglio 2002, nella somma di € 5.848,93, a cui il CTU giunge secondo il prospetto di calcolo riportato nel supplemento di consulenza depositata il 15.6.2011 e che è stato fatto proprio dal giudice di prime cure.
La somma ricalcolata dal CTU per CMS senza alcuna capitalizzazione (lire 315.536) – ben minore rispetto alla CMS applicata originariamente risultante dagli estratti conto (lire 581.771) – appare dovuta non essendo la CMS in sé vietata per i rapporti svoltisi, come nella specie, nel periodo anteriore all’entrata in vigore delle disposizioni di cui all’art. 2 bis del d.l. n. 185 del 2008, inserito dalla legge di conversione n. 2 del 2009.
Quanto all’eccepita indeterminatezza dei criteri di computo della CMS, la circostanza è confutata dal fatto che il CTU è stato in grado di calcolare la CMS applicata, rinvenendo negli estratti di conto corrente “inter partes” gli elementi utili.
Ciò vale a superare il dubbio circa l’indeterminatezza dei criteri per la sua applicazione in costanza di rapporto.
Quindi appare corretta la valutazione del giudice di primo grado sul fatto che la CMS non è nulla ma che deve essere ricalcolata sui saldi una volta depurati dalla capitalizzazione degli interessi passivi per il correntista affidato.
Si vedrà, però, più avanti che il conto corrente non si è chiuso alla data del 30 luglio 2002 bensì, per recesso della Banca, nel corso del mese di novembre 2001; di ciò si dovranno trarre le conseguenze nell’esame del primo motivo di appello principale e dell’appello incidentale.
Con il terzo motivo di impugnazione – sviluppato alle pagine 4 e 5 dell’atto di appello – gli appellanti affermano che il Tribunale non ha considerato che, per effetto dell’addebito sul conto corrente “de quo” delle rate del distinto contratto di finanziamento sottoscritto nel corso del 1997 dal XXX – rate che già incorporavano un tasso d’interesse convenzionale pari al 17,496 – sarebbe stata superata la soglia del tasso di usura.
La Corte rileva che si tratta di una questione del tutto nuova e mai proposta dagli odierni appellanti nel corso del giudizio di primo grado e, come tale, deve essere dichiarata inammissibile.
Il divieto di “nova” sancito dall’art. 345 c.p.c. per il giudizio d’appello, applicabile anche nel giudizio di rinvio, riguarda non soltanto le domande e le eccezioni in senso stretto, ma altresì le contestazioni in punto di fatto non esplicate in primo grado, poiché l’ammissione di simili contestazioni in secondo grado trasformerebbe il giudizio d’appello da mera “revisio prioris instantiae” in “iudicium novum”, modello quest’ultimo estraneo al vigente ordinamento processuale (Cass. 2529/2018).
Per contro il primo motivo di appello sollevato dal fideiussore YYY (pag. 2-3 atto di appello) è fondato e va accolto nei limiti di seguito indicati.
YYY, in data 25.5.1995, si è costituita fideiussore del proprio coniuge XXX fino alla concorrenza dell’importo di lire 20.000.000 (pari a euro 10.329,14).
La fideiussione ha avuto ad oggetto: <<… L’adempimento delle obbligazioni verso codesta azienda di credito, dipendenti da operazioni bancarie di qualunque natura, già consentite o che venissero in seguito consentite al predetto nominativo a chi gli fosse subentrato, quali, ad esempio, finanziamenti sotto qualsiasi forma concessi, aperture di credito, aperture di crediti documentari, anticipazioni su titoli, su crediti o su merci, sconto o negoziazioni di titoli cambiari o documenti, rilascio di garanzie a terzi, depositi cauzionali, riporti, compravendita titoli e cambi, operazioni di intermediazione o prestazioni di servizi. La fideiussione garantisce inoltre qualsiasi altra obbligazione che il debitore principale si trovasse in qualunque momento ad avere verso codesta azienda in relazione garanzie già prestate o che venissero prestate dallo stesso debitore a favore di codesta azienda di credito nell’interesse di terzi, per le quali vi dichiaro fin d’ora di considerarmi solidalmente obbligato nei confronti di codesta azienda di credito e ciò indipendentemente dalla sussistenza delle condizioni stabilite dall’articolo 1948 codice civile>>.
Ai sensi dell’art. 1 delle condizioni generali del contratto “la fideiussione garantisce tutto quanto dovuto dal debitore per capitale, interessi anche se moratori e ogni altro accessorio, nonché per ogni spesa anche se di carattere giudiziario e ogni onere tributario”; il successivo art. 7 delle condizioni generali di contratto recita che in caso di ritardo nel pagamento, “il fideiussore tenuto a corrispondere all’azienda di credito gli interessi moratori nella stessa misura delle stesse condizioni previste a carico del debitore”.
L’YYY risulta quindi obbligata in forza delle obbligazioni assunte con la sottoscrizione della lettera contratto di fideiussione, di modo che appare priva di fondamento l’eccezione secondo cui la stessa non è coobbligata perché non titolare del conto corrente.
Il fideiussore YYY è così tenuto al pagamento del debito del XXX alla data della revoca da parte della Banca del fido concesso ed entro il limite del massimale della garanzia previsto nel contratto di fideiussione.
Il recesso della banca dal rapporto di credito garantito produce l’effetto di circoscrivere l’obbligazione fideiussoria al saldo del debito esistente al momento in cui il recesso è divenuta efficace, nei limiti della fideiussione prestata.
Gli interessi moratori maturati successivamente al recesso della banca per inadempimento del debitore garantito sono a carico del fideiussore anche oltre il limite del massimale della fideiussione, in applicazione della regola generale della garanzia patrimoniale di cui all’art. 2740 cod. civ.
Al riguardo la Suprema Corte ha affermato il principio che In caso di recesso della banca dal contratto di conto corrente bancario, il fideiussore resta tenuto al soddisfacimento del debito quale esistente alla data dello scioglimento del rapporto e in tale misura cristallizzato, dovendo ad esso essere raffrontato il limite di massimale della garanzia; gli interessi moratori maturati dopo quel momento a causa del mancato tempestivo adempimento imputabile (anche) allo stesso fideiussore restano, invece, a suo carico oltre il limite del massimale della fideiussione, in applicazione della regola generale della garanzia patrimoniale di cui all’art. 2740 cod. civ. per i fatti a lui riferibili, nonché dei principi di divieto dell’abuso del diritto e della correttezza nei rapporti interprivati. (Cass. Civ. Sez. 1, Sentenza n. 12263 del 12/06/2015 (Rv. 635647 – 01).
La CTU espletata non ha calcolato le somme a debito del XXX alla data di revoca del fido (risulta dagli atti che la Banca *** revocò la linea di fido al XXX con lettera a.r. datata 14.11.2001 e ricevuta dal destinatario il 19.11.2001) ma attraverso le tabelle allegate alla relazione di consulenza tecnica integrativa depositata il 15.6.2011 è possibile comunque individuare gli importi alla data di fine dell’ultimo trimestre 2001, da cui si evince che il saldo epurato al 31/12/2001 è pari a lire 6.125.271; che gli interessi ricalcolati senza capitalizzazione al 31/12/2001 sono pari a lire 4.356.224; che la CMS è pari a lire 315.536: il tutto per un totale di lire 10.797.031 (pari a euro 5.576,20).
Può quindi determinarsi in euro 5.576,20 il saldo debitorio depurato da capitalizzazione trimestrale alla data di chiusura del rapporto di conto corrente affidato. Quanto al residuo del finanziamento non pagato dal XXX esso risulta pari ad euro 4.263,88, fatto affermato a pagina 2 della sentenza non appellata sul punto.
L’obbligazione fideiussoria riguarda del pari anche tale finanziamento che il XXX ha richiesto ed ottenuto dalla Banca nel corso del 1997 e che prevedeva il rimborso con 60 rate mensili (comprensive degli interessi). Ciò è la giuridica conseguenza del contratto di fideiussione sottoscritto dalla YYY.
In definitiva, la YYY è obbligata a garantire il XXX nel limite della saldo passivo del conto alla chiusura del rapporto di c/c determinato dalla revoca dell’affidamento, saldo passivo che qui si determina in euro 5.576,20 al 31/12/2001.
A ciò si aggiunge la somma di euro 4.263,88 quale saldo residuo del distinto finanziamento concesso al XXX e per cui la YYY è fideiussore.
Gli interessi convenzionali moratori dovuti dalla YYY sulla somma residua del finanziamento concesso al XXX (e non rimborsata da quest’ultimo) devono correttamente decorrere dalla domanda giudiziale della Banca (e quindi dal deposito del ricorso per decreto ingiuntivo: cfr. in tale senso Cass. Sez. 1, Sentenza n. 5035 del 24/05/1999 Rv. 526576 nonché Cass. N. 9311 del 1990 Rv. 469244 – 01), così come affermato dal giudice di prime cure.
In un caso analogo (che si ben attaglia al caso di specie) la Corte di Cassazione ha affermato che <<In tema di mutuo, la mancata spontanea restituzione della somma mutuata giustifica la decorrenza degli interessi moratori dopo la messa in mora, la quale è insita nella proposizione della domanda giudiziale, non rilevando l’eventuale invalidità della clausola contrattuale che preveda il permanere dell’obbligo di restituzione del mutuo a carico del mutuatario, anche in caso di mancato funzionamento del meccanismo di addebito automatico delle rate in conto corrente>> (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 23033 del 07/11/2011 (Rv. 620482 – 01).
Gli interessi sulla esposizione del c/c dovrebbero correttamente decorrere, invece, dalla comunicazione di revoca del fido con richiesta di rientro dalla esposizione che risale al 19.11.2001 (data di ricezione da parte degli interessati della lettera a.r. trasmessa dalla Banca).
Peraltro la FINANZIARIA ZZZ s.p.a. non ha chiesto la decorrenza degli interessi moratori sul saldo passivo del c/c dalla chiusura del rapporto bensì da una data successiva (21 luglio 2002)
Quanto sopra esposto implica che vada accolto l’appello incidentale della Banca di fare decorrere dal 21 luglio 2002 gli interessi moratori sulla somma calcolata dal CTU quale esposizione debitoria per il conto corrente, non potendosi attribuire una decorrenza anteriore (19.11.2001, data di messa in mora e revoca dell’affido) poiché non vi è stata tale specifica richiesta, mentre è corretto fare decorrere dalla domanda giudiziale gli interessi moratori sulla residua esposizione del finanziamento.
La somma totale che la YYY è quindi tenuta a garantire quale fideiussore del XXX è quella sopra indicata, ampiamente compresa nel limite della fideiussione prestata.
In ragione dell’accoglimento dell’appello incidentale in punto di decorrenza degli interessi moratori YYY e XXX sono condannati a pagare gli interessi moratori convenzionali con decorrenza dal 21.7.2002 quanto alla somma di euro 5.576,20 (quale esposizione riferibile al c/c n. intestato al debitore principale XXX) e dalla domanda giudiziale (e quindi dal 26/01/2006) quanto alla somma pari ad euro 4.263,88 che costituisce il residuo non pagato del finanziamento concesso dalla Banca al debitore principale XXX e garantito dalla YYY.
Il tutto fino all’effettivo soddisfo e comunque entro il limite massimo del tasso soglia usurario previsto dall’art. 2, comma 4, della legge 7.3.1996 n. 108.
La sentenza di primo grado va quindi riformata sul punto.
E’ assorbita ogni altra questione.
Si ravvisano giusti motivi, in ragione della reciproca soccombenza, per compensare tra le originarie parti le spese del grado di appello e per dichiararle irripetibili nei confronti di KKK S.P.A. e, per essa, quale procuratrice QQQ s.p.a. a socio unico.
P.Q.M.
la Corte di Appello, definitivamente pronunciando, in parziale riforma della sentenza n. 190/2012 del Tribunale di Nicosia, depositata il 23 giugno 2012, appellata in via principale da XXX ed YYY ed in via incidentale da FINANZIARIA ZZZ S.p.A. con socio unico, con l’intervento di KKK S.P.A. e, per essa, quale procuratrice QQQ s.p.a. a socio unico, così provvede:
1) dichiara inammissibile l’intervento di KKK S.P.A. e, per essa, quale procuratrice, di QQQ s.p.a. a socio unico;
2) accoglie il primo motivo di appello principale e l’appello incidentale nei limiti della motivazione e, in parziale riforma della sentenza impugnata, condanna in solido XXX, quale debitore principale, e YYY, quale fideiussore, al pagamento in favore della FINANZIARIA ZZZ s.p.a. (quale cessionaria del credito già riferibile a Banca ***) dei seguenti importi:
a) euro 5.576,20 quale saldo debitorio riferito al c/c n. intestato al debitore principale XXX presso la Banca ***, oltre interessi moratori con decorrenza dal 21 luglio 2002 e fino al soddisfo; in ogni caso entro il limite del tasso soglia usurario di cui all’art. 2 legge 108/1996;
b) euro 4.263,88 quale saldo debitorio residuo riferibile al finanziamento concesso a XXX dalla Banca ***, oltre interessi moratori dalla domanda giudiziale e fino al soddisfo; in ogni caso entro il limite del tasso soglia usurario di cui all’art. 2 legge 108/1996;
3) conferma nel resto la sentenza impugnata;
4) compensa tra le parti le spese del grado di appello.
Così deciso nella camera di consiglio del 27 giugno 2019.
Il consigliere rel. est. Il Presidente
La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di
Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.
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