REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
CORTE D’APPELLO DI MILANO
Sezione delle Persone, dei Minori e della Famiglia
La Corte riunita in Camera di Consiglio nelle persone dei Magistrati ha emesso la seguente
SENTENZA n. 878/2020 pubblicata il 06/04/2020
nella causa iscritta al n. /2019 R.G. . pendente
tra
XXX rappresentata e difesa dall’ avv. , presso il cui studio, in , ha eletto domicilio
APPELLANTE e
YYY rappresentato a difeso dall’avv., presso il cui studio, in, ha eletto domicilio
APPELLATO
con l’intervento del Procuratore Generale presso la Corte d’Appello di Milano
CONCLUSIONI DELLE PARTI
per parte appellante: “ in via preliminare dichiarare la nullità della sentenza ex art.161 c.p.c. in relazione all’art.50 quater c.p.c. per violazione del D.leg.vo 116/2017; in via principale e nel merito in riforma e/o annullamento della sentenza n. /2019 pubblicata il 22.2.2019 dal Tribunale di Varese, porre a carico del sig. YYY un assegno mensile per il mantenimento di euro 25.000,00 in favore della signora XXX od in quella misura maggiore o minore che sarà ritenuta di giustizia; disporre definitivamente a carico esclusivo del sig. YYY le rate del mutuo relative all’immobile sito in; con vittoria di spese di lite, onorari, rimborso forfettario spese generali, CPA ed IVA per entrambi i gradi di giudizio”.
Per parte appellata: “previo rigetto di tutte le domande proposte da XXX con l’atto introduttivo del presente giudizio, confermare in ogni sua parte la sentenza n. /2019 emessa dal Tribunale di Varese e pubblicata in data 22.2.2019 nella causa RG/2016 per i motivi tutti di cui alla presente comparsa; con vittoria di spese e compensi dei due gradi del giudizio”.
Conclusioni del PG: “ Il PG in parziale riforma della sentenza di primo grado chiede il riconoscimento di un assegno divorzile a favore di parte appellante, XXX, nella misura ritenuta di giustizia”.
FATTO E DIRITTO
1.Con sentenza pronunciata in data 13.2.2018, il Tribunale di Varese, decidendo sul ricorso per declaratoria di scioglimento del matrimonio civile contratto da YYY e XXX in data 7.3.1998, promosso da YYY, nell’ambito del quale il ricorrente aveva chiesto l’affido congiunto della figlia minore ***, nata il 23.2.2001, con collocamento presso di sé, la regolamentazione del diritto di visita della madre, il contributo materno al mantenimento della minore, il riconoscimento dell’autosufficienza economica della moglie e che nulla fosse previsto a favore della stessa a titolo di assegno divorzile, ha dichiarato lo scioglimento del matrimonio, ha affidato la figlia minore *** ad entrambi i genitori con collocamento della stessa presso l’abitazione paterna, anche ai fini della residenza, ha disposto che la madre potesse vedere e tenere con sé la figlia, accordandosi direttamente con la stessa, ha posto a carico del padre il mantenimento ordinario e straordinario della figlia, ha rigettato la domanda di assegno divorzile ed ha condannato XXX alla rifusione a YYY del 50% delle spese di lite del procedimento principale e del sub procedimento di modifica dell’ordinanza presidenziale.
A fondamento della decisione, il giudice di prime cure, dando atto della pendenza del giudizio di appello avverso la sentenza di separazione, ha ritenuto adeguati i provvedimenti assunti in sede presidenziale con riferimento all’intervenuto collocamento della figlia *** presso il padre e all’obbligo del YYY di provvedere al mantenimento ordinario e straordinario della stessa, tenuto conto della condizione economico – reddituale del padre e dell’assenza, nell’attualità, di redditi da parte della madre e, quanto alla domanda di assegno divorzile, ha rigettato in parte motiva la richiesta della convenuta di porre a carico del marito un assegno divorzile pari a 25.000,00 euro mensili.
A tale riguardo il giudice di prime cure ha affermato, in applicazione dei principi ormai consolidati in giurisprudenza a seguito della pronuncia delle Sezioni Unite n.18287/2018, che pur in presenza di una disparità reddituale tra le parti, parte convenuta non aveva, tuttavia, assolto l’onere di provare il nesso causale tra tale squilibrio patrimoniale e le eventuali scelte condivise assunte in costanza di matrimonio, che avrebbero comportato un sacrificio delle proprie aspettative professionali e reddituali, con conseguente impossibilità di porre rimedio allo squilibrio esistente.
In particolare, il giudice di prime cure ha evidenziato che la convenuta aveva fondato le richieste economiche avanzate nel corso del giudizio unicamente sulla propria compromessa condizione psicofisica, (par altro documentata da certificazioni datate e non più attuali) che, a suo dire, non le consentiva di svolgere alcuna attività lavorativa, avendo, di contro, il YYY fornito elementi rilevanti al fine di dimostrare, sia la capacità lavorativa della XXX, (la quale nel corso del matrimonio aveva sempre lavorato e, a seguito della crisi coniugale, benché colpita nel 2011 da una forte depressione esitata in crisi di ansia ed attacchi di panico, si era candidata ad elezioni politiche, aveva fondato un comitato, partecipando ad incontri politici e trasmissioni televisive), sia la capacità patrimoniale della stessa, disponendo di beni ed utilità familiari.
2.Avverso tale pronuncia, con atto depositato in data 26.3.2019, XXX ha proposto appello esclusivamente in relazione al mancato riconoscimento dell’assegno divorzile. In via preliminare parte appellante ha dedotto la nullità della sentenza per violazione del D.leg.vo 116/2017, essendo il procedimento di primo grado stato celebrato in fase istruttoria (concessione termini e richiesta di ammissione prove, con decisione autonoma sulle questioni di cui all’art.183 co.VI c.p.c.) prevalentemente da un GOT, in evidente violazione del dettato normativo che esclude le questioni riguardanti il diritto di famiglia dalla trattazione dei giudici onorari; nel merito ha dedotto l’erronea e/o omessa valutazione da parte del giudice di prime cure, della durata del matrimonio ( 12 anni), dell’età della XXX, (52 anni), delle sue ridotte condizioni psicofisiche e della circostanza che la società operante nel settore della moda nella quale in costanza di matrimonio aveva lavorato dal 2000 al 2010, supportando il coniuge sia con le proprie risorse economiche che con le proprie capacità personali, era di proprietà del marito e che la stessa era solo socia accomandante; ha inoltre dedotto l’erronea valutazioni delle attività di impegno politico e sociale realizzate, secondo il Tribunale di Varese, dalla XXX, atteso che alcune sarebbero state risalenti nel tempo e altre limitate a pochi eventi l’anno, ai quali la XXX partecipa solo per evitare l’emarginazione e l’aggravamento delle proprie condizioni psicologiche; ha dedotto l’erronea valutazione delle risultanze mediche in atti (consulenze di parte prodotte nel corso del giudizio), che, ancorché risalenti nel tempo (anni 2015 e 2016), hanno certificato una incapacità lavorativa e un danno biologico del 37% di natura irreversibile; ha dedotto la permanenza attuale della situazione problematica dello stato psicologico della XXX, a mezzo di produzione di certificazione medica del 10.12.2018 a firma dott. ***; ha,poi, dedotto la non definitiva chiusura dei procedimenti penali a carico del YYY, il quale ha estromesso la moglie da ogni attività lavorativa, isolandola da qualsiasi attività produttiva di reddito, sicché la stessa oggi si trova, senza lavoro, priva di beni e di reddito; ha, infine, dedotto che la sentenza di appello del giudizio di separazione aveva confermato l’obbligo del mantenimento economico del marito, nella misura di 2.500,00 euro mensili, in ragione dei problemi di salute della XXX, come comprovati dalla espletata CTU.
3.Con comparsa di costituzione e risposta, YYY ha chiesto il rigetto del ricorso di parte e la conferma dell ‘impugnata sentenza.
In particolare, quanto all’eccezione preliminare sollevata dall’appellante, ne ha eccepito l’infondatezza, essendo il giudice onorario, dott. ***, stato nominato in data 10.3.2017 e pertanto prima dell’entrata in vigore del D.leg.vo 116/2017, normativa che ha precluso l’assegnazione della materia del diritto di famiglia ai giudici onorari.
Nel merito, ha dedotto la non riconducibilità della disparità reddituale delle parti a scelte condivise nel corso del matrimonio, avendo la XXX scelto liberamente, a seguito della separazione, di non proseguire nell’attività lavorativa fino a quel momento svolta, rifiutando, a seguito della cessazione della società ***, nella quale entrambi i coniugi lavoravano in forza di un contratto di collaborazione con *** spa, la proposta di continuare la propria attività di consulenza a favore della predetta società; ha dedotto la capacità lavorativa e reddituale della XXX, la quale ha sempre lavorato, sia prima del matrimonio, sia in costanza di matrimonio sia a seguito della nascita della figlia, guadagnando quanto il marito, continuando a svolgere, a seguito della separazione, intense attività politiche, culturali e sociali, partecipando ad eventi ed organizzando iniziative; ha dedotto la scarsa attendibilità delle produzioni mediche, con particolare riguardo alle consulenze di parte, effettuate al di fuori del processo, le quali avrebbero, nel 2016 (dott. ***), riscontrato un danno psichico temporaneo, trattabile con una psicoterapia di appoggio della durata di un anno, con sedute settimanali, e nel 2015, (dott. ***) una patologia idonea a determinare ripercussioni sulla capacità della paziente di mantenere e sostenere valide relazioni sociali, diagnosi, a dire della difesa di parte, nei fatti ampiamente sconfermata, tenuto conto delle numerose relazioni sociali intrattenute dalla XXX e della attiva e brillante vita politica, artistica e sociale dalla stessa condotta; ha, poi, dedotto l’inammissibilità della produzione sanitaria a firma dott. ***, in quanto documento risalente al dicembre del 2018 e pertanto in corso di pendenza del giudizio di primo grado e comunque la sua irrilevanza, in quanto attestante un quadro psichico ansioso depressivo, necessitante di supporto psicologico per un paio di volte al mese; ha dedotto la definitiva archiviazione delle plurime denunce penali nei confronti del YYY ad opera della moglie, intervenuta con provvedimento del GIP del 6.3.2018 (doc. 1 produzioni di parte appellata), riportando la presenza di un giudizio pendente a carico della moglie per il reato di diffamazione nei confronti del YYY, per il quale vi è stata richiesta di rinvio a giudizio (doc. 2 produzioni di parte appellata); ha insistito per la capacità patrimoniale della moglie, la quale ha sempre guadagnato e che dal momento della separazione, ha ricevuto il mantenimento per la figlia, ha attinto dal conto corrente cointestato 100.000, 00 euro, ha incassato 350.000, 00 euro della vendita della casa in ***, 70.000,00 dalla vendita della casa in ***, è comproprietaria della casa familiare di ***, attualmente in vendita e che potrà fruttarle circa 350.000,oo euro, ha ereditato dai genitori numerosi immobili, avendo, nell’aprile 2018, acquistato una casa a *** del valore di 150.000,00 euro; ha infine dedotto l’incongruità dell’entità dell’assegno divorzile richiesto nella misura di 25.000 euro mensili, superiore al reddito mensile del YYY, ammontante a circa 15.000,00 euro.
4. All’udienza del 12.2.2020, la difesa dell’appellante ha riferito che la XXX, non presente, aveva di recente cominciato a lavorare con un contratto a tempo determinato e che aveva lasciato la casa familiare, andando a vivere altrove.
YYY, a domanda della Corte, ha riferito di avere sempre lavorato con la moglie nella società dallo stesso costituita, all’interno della quale si erano divisi i compiti con responsabilità analoghe; ha affermato che tale società, nella quale entrambi i coniugi erano soci al 50% , è stata ceduta alla società *** spa e che, a seguito della cessione dell’attività, entrambi avevano continuato a lavorare con partita IVA. Dopo la separazione, a dire dell’appellato, *** spa aveva offerto a ciascuna parte di continuare la collaborazione con distinti contratti, proponendo alla XXX di lavorare in altra sede per evitare contatti quotidiani con il YYY, offerta, tuttavia, non accettata dalla moglie.
A fronte della disponibilità del YYY di cedere la propria quota di proprietà (50%) dell’abitazione familiare, già assegnata alla moglie in sede di separazione ed attualmente messa in vendita per un valore di circa 500.000/600.000 euro, la Corte ha invitato le parti a valutare la possibilità di accordi conciliativi.
Preso atto del rifiuto di parte appellante di accedere a tale possibilità, la Corte ha invitato le parti alle conclusioni, trattenendo la causa in decisione.
5. Tutto ciò premesso ritiene la Corte che l’eccezione di nullità della sentenza, sollevata in via preliminare dall’appellante, non sia degna di pregio.
Al riguardo si rileva che ai sensi dell’art. 10 co. 11 del D.leg.vo n.116/2017, che ha regolamentato in modo organico la materia della magistratura onoraria, il giudice professionale può sempre delegare a quello onorario, anche nei procedimenti collegiali, compiti ed attività, compresa l’assunzione di testimoni.
Il successivo comma 12, nel prevedere gli ambiti nei quali il giudice onorario di pace può pronunciare provvedimenti che definiscono il procedimento, prevede un preciso divieto di assunzione di provvedimenti definitori in materia di famiglia, materia che, ai sensi dell’art. 11 co. 6 lett.a) n.5, viene espressamente esclusa dalla possibilità di assegnazione diretta ai giudici onorari.
Nel caso in esame, pertanto, l’attività svolta dal giudice onorario nell’ambito della fase di assunzione delle prove, poteva essere regolarmente delegata ai sensi dell’art. 10 co. 11 D.leg,vo 116/2017 e non avendo carattere definitorio ( riguardando un singola fase del procedimento ed essendo ogni relativo provvedimento sempre revocabile dal giudice professionale), non è incorsa nei divieti posti dagli artt. 10 co. 12 e 11 co. 6 lett.a) del citato decreto legislativo.
In ogni caso si osserva che, fino al 15.8.2017, data di entrata in vigore del D.lgs. 116/2017 che, come detto, ha introdotto, tra le altre, la preclusione relativa alla trattazione da parte dei giudici onorari delle cause in materia di famiglia, in forza dell’art.43 bis lett.a) del RD 30.1.1941 n.12, le uniche materie precluse alla trattazione dei giudici onorari addetti ai tribunale ordinari, riguardavano quelle relative ai procedimenti cautelari e possessori.
Il D.lgs. 116/2017, a fronte delle preclusioni di cui all’ art. 11 co.6 lett.a) n. 5, all’art. 30 n. 2, ha, tuttavia, escluso dalla portata della normativa, l’assegnazione dei procedimenti civili e penali già effettuata ai giudici onorari in servizio nella sezione, alla data di entrata in vigore del decreto.
Nel caso che qui occupa, dalla visione degli atti a disposizione di questa Corte, appare pacifico che il giudice onorario che è intervenuto nella fase relativa alle questioni di cui all’art.183 co.VI cpc, è stato nominato in data 10.3.2017 e pertanto in epoca antecedente all’entrata in vigore del D.lgs. 116/2017, sicché l’attività istruttoria realizzata dal predetto appare in linea con i dettati normativi sopra richiamati.
Ed anche a volere assumere l’espletamento di un’attività in materia sottratta alla competenza dei giudice onorario, stante il principio di tassatività delle nullità, si configurerebbe una mera irregolarità, che, nel caso in esame, è stata completamente sanata dal giudice di primo grado, il quale pronunciando la sentenza, ha recepito in toto l’attività espletata dal giudice onorario.
Sul punto :” i giudici onorari possono decidere ogni processo e pronunciare qualsiasi sentenza per la quale non vi sia espresso divieto di legge, con piena assimilazione dei loro poteri a quelli dei magistrati togati, con la conseguenza che la nullità della sentenza per vizio relativo alla costituzione del giudice ex art. 158 c.p.c. è ravvisabile solo quando gli atti giudiziali, siano posti in essere da persona estranea all’ufficio, ossia non investita dalla funzione esercitata. Neppure è richiesto, ai sensi dell’art. 43 bis del R.D. n.12 del 1941 che sia documentata la situazione legittimante l’assegnazione al giudice onorario del lavoro giudiziario, atteso che il presupposto dell’impedimento o mancanza dei giudici ordinari, previsto dalla norma, risulta integrato anche dalla insufficienza degli organici, essendo attribuita alla magistratura onoraria una funzione suppletiva e il suo impiego costituendo una misura apprezzabile nell’ottica di un’efficiente amministrazione della giustizia”(cfr. Cass.Sez.2 , ordinanza n.2047 del 24.1.2019).
Venendo al merito, ritiene la Corte che la sentenza di primo grado debba essere confermata, non ritenendosi fondato l’unico motivo di appello con cui l’appellante si duole della ritenuta insussistenza, da parte del primo giudice, dei presupposti dell’assegno di divorzio a carico del marito.
Occorre, al riguardo, richiamare i consolidati principi della giurisprudenza di legittimità a seguito della nota sentenza delle Sezioni Unite n.18287/2018, in base ai quali è stato chiarito quale debba essere la funzione dell’assegno di divorzio e sono stati delineati i criteri che debbono essere valutati dal giudice per il suo riconoscimento.
E’ noto, infatti, che la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 18327/2018 resa a Sezioni Unite in data 11.7.2018, attraverso una rivisitazione critica dei principi espressi in passato, alla luce di una interpretazione dell’art. 5 comma 6 legge divorzio coerente con gli articoli 2, 3 e 9 della Cost., ha ritenuto erronea una rigida distribuzione tra i criteri attributivi e determinativi dell’assegno divorzile, rilevando (in sintesi e per quel che qui interessa) che la “funzione assistenziale dell’assegno di divorzio si compone di un contenuto perequativo- compensativo”, di talchè, in ipotesi di squilibrio economico – patrimoniale conseguente al divorzio, il soggetto debole ha diritto all’assegno di divorzio ove “ tale squilibrio derivi dal sacrificio di aspettative professionali e reddituali fondate sull’assunzione di un ruolo consumato esclusivamente o prevalentemente all’interno della famiglia “, avendo il detto coniuge diritto ad un livello reddituale adeguato al contributo fornito nella realizzazione della vita familiare, in particolare tenendo conto delle aspettative professionali ed economiche eventualmente sacrificate .
Nella valutazione di tale profilo, i giudici di legittimità hanno affermato che devono essere presi in considerazione la durata del matrimonio e l’età del richiedente, e che pertanto il giudizio di adeguatezza ha anche un contenuto prognostico, riguardante la concreta possibilità di recuperare il pregiudizio professionale ed economico derivante dall’assunzione di un impegno diverso.
In particolare, la citata sentenza ha affermato che, accertata l’eventuale rilevante disparità della situazione economico patrimoniale dei coniugi, il giudice deve effettuare una valutazione concreta ed effettiva dell’adeguatezza dei mezzi e dell’incapacità di procurarseli per ragioni oggettive “al fine di accertare se l’eventuale rilevante disparità della situazione economico-patrimoniale dei coniugi all’atto dello scioglimento del vincolo sia dipendente dalle scelte di conduzione della vita familiare adottate e condivisi in costanza di matrimonio con il sacrificio delle aspettative professionali e reddituali di una delle parti, in funzione dell’assunzione di un ruolo trainante endofamiliare, in relazione alla durata, fattore di cruciale importanza nella valutazione del contributo di ciascun coniuge alla formazione del patrimonio comune e/o del patrimonio dell’altro coniuge, oltre che delle effettive potenzialità professionali e reddituali valutabili alla conclusione della relazione matrimoniale, anche in relazione all’età del coniuge richiedente e alla conformazione del mercato del lavoro”.
La Suprema Corte ha, quindi, ritenuto che l’accertamento relativo all’inadeguatezza dei mezzi ed all’incapacità di procurarseli per ragioni oggettive debba essere saldamente ancorato alle caratteristiche e alla ripartizione dei ruoli endofamiliari, tenuto conto delle scelte e dei ruoli sulla base dei quali si è impostata la relazione coniugale e la vita familiare. E ciò al fine di accertare se la condizione di squilibrio economico patrimoniale derivi dal sacrificio di aspettative professionali e reddituali riconducibile eziologicamente alle determinazioni comuni ed ai ruoli endofamiliari e comunque all’assunzione di un ruolo esclusivamente consumato all’interno della famiglia, in relazione alla durata del matrimonio e all’età del richiedente.
E’ di tutta evidenza, pertanto, come la giurisprudenza di legittimità, ponendo l’accento sui principi di autoresponsabilità ed autodeterminazione dei singoli all’interno della vita di coppia, abbia inteso fare un espresso riferimento alle scelte liberamente compiute dai singoli all’interno della famiglia, scelte in virtù delle quali si è delineato un comune progetto familiare che ha un riflesso dinamico anche nella successiva fase della crisi, in relazione ai profili economico – patrimoniali anche post coniugali.
Nel caso in esame, pur sussistendo una disparità economica che incide esclusivamente sulle rispettive situazioni reddituali delle parti, (il patrimonio immobiliare della coppia è risultato essere cointestato al 50% tra i coniugi), rilevandosi, al riguardo, che la XXX ha solo di recente reperito un’attività lavorativa, mentre il YYY percepisce un reddito mensile ammontante a circa 15.000,00 euro come evidenziato dalle ultime dichiarazioni dei redditi prodotte, tuttavia, osserva la Corte, in linea con quanto ritenuto dal giudice di prime cure, che la XXX non ha assolto all’onere, a lei spettante, della prova di non poter disporre, per ragioni obiettive, di mezzi adeguati, in relazione alle determinazioni comuni del progetto familiare e alla ripartizione dei ruoli endofamiliari e al conseguente sacrificio che essi hanno comportato per le sue aspettative professionali e reddituali.
E’ infatti dato pacifico e non contestato che XXX, negli anni, abbia sempre svolto attività lavorativa, prima presso Mediaset e nel corso del matrimonio, all’interno delle società familiari, svolgendo attività professionali qualificate, dividendo con il coniuge responsabilità ed emolumenti economici, attività mai interrottasi, neppure a seguito dell’intervenuta nascita della figlia ***.
Non può certo affermarsi, pertanto, che la donna, in virtù del legame matrimoniale e di scelte effettuate insieme al marito in conseguenza dello stato di coniugio, abbia subito una perdita di chances lavorative o sacrificato aspettative professionali, che, di contro, nel corso del matrimonio, appaiono essersi implementate e pienamente realizzate.
Deve, inoltre, osservarsi che, anche a seguito della separazione dal marito, la donna avrebbe potuto continuare a lavorare, avendo ricevuto una vantaggiosa offerta da parte della società *** spa, con la quale da tempo intratteneva rapporti professionali, determinandosi, tuttavia, a rifiutarla, e pertanto scegliendo liberamente, pur avendo avuto opportunità di impiego, di smettere di lavorare.
A tale proposito, parte appellante ha dedotto che la scelta di non lavorare è stata dettata da una grave compromissione psico fisica, esitata in una forma depressiva invalidante, dovuta alla difficile separazione dal marito, nonché dall’ elevata conflittualità che contraddistingueva il rapporto con il coniuge e dai comportamenti gravemente vessatori posti in essere dal medesimo ai suoi danni .
Con riferimento alla dedotta conflittualità, che non avrebbe permesso all’appellante di mantenere, dopo l’intervenuta separazione, il lavoro da sempre svolto, rileva la Corte che alla XXX, come dalla stessa ammesso, era stata offerta la possibilità di continuare a lavorare per *** spa presso una sede diversa da quella nella quale operava il marito, situazione che, evitando contatti diretti e rischi di conflitti tra i coniugi, avrebbe consentito alla donna di continuare a svolgere la propria attività professionale e di percepire emolumenti di sicura entità, che le avrebbero permesso di vivere dignitosamente. A tale riguardo, parte appellante ha prodotto una serie di email dalla quali, a suo dire, emergerebbe la criticità della condizione lavorativa nella quale la stessa si era venuta a trovare dopo la separazione dal YYY. Rileva, in proposito, la Corte, che detta documentazione, pur evidenziando elementi di difficoltà relazionale tra le parti, del tutto compatibile con l’intervenuta separazione della coppia, tuttavia non consente di affermare la sussistenza di una condizione di così grave ed irreparabile pregiudizio per la donna, tale da portarla a non accettare l’offerta lavorativa propostale.
Deve, infatti, rilevarsi, quanto alle asserite condotte vessatorie poste in essere dal YYY ai danni della moglie, che agli atti, non solo non vi è alcuna prova della effettiva sussistenza, essendo le relative denunce sporte dalla XXX state oggetto di provvedimento di archiviazione da parte del Gip di Varese in data 6.3.2018 (doc. 1 di parte appellata), ma neppure della loro certa riconducibilità causale allo stato di compromissione psico- emotiva evidenziato dalla XXX.
In proposito si rileva che la CTU espletata nel corso del giudizio di separazione, aveva riportato che la donna, dopo avere maturato, nell’anno 2011, una forma depressiva, tuttavia superata, aveva evidenziato una condizione post traumatica caratterizzata da ansia, con possibili sviluppi in panico, difficoltà nella resistenza alla fatica mentale ed operativa, nella tenuta attentiva e nella concentrazione.
Alla luce di tale emergenze probatorie, il giudice della separazione, ritenendo la XXX nella condizione di non potere reperire, nell’immediatezza, un’attività lavorativa che le consentisse di mantenere l’elevato tenore di vita goduto in costanza di matrimonio, aveva disposto, con sentenza del 9.2.2016, l’obbligo del marito di versare a titolo di contributo al mantenimento della moglie, la somma mensile di 2.500,00 euro, statuizione, poi confermata dalla sentenza della Corte di Appello di Milano in data 26.4.2017, nella quale il collegio giudicante, prendendo atto delle attività svolte dalla donna in ambito politico, sociale e culturale, aveva auspicato una veloce ritorno della stessa nel mondo del lavoro, ritenendo, pertanto, tale condizione psicologica suscettibile di una celere evoluzione in termini migliorativi.
Che poi le condizioni di disagio psichico manifestate dalla XXX, a seguito dell’episodio depressivo, fossero destinate a risolversi nel tempo, risulta attestato dalle successive produzioni mediche della stessa parte appellante, dalle quali si evidenziano un danno psichico temporaneo ed una restitutio ad integrum per il tramite dell’avvio di una psicoterapia di appoggio della durata di circa un anno con frequenza settimanale (cfr. relazione dott. Renato Valtolin del 3.6.2016, prodotta dalla difesa XXX), poi tramutatasi in una psicoterapia ad indirizzo dinamico, con cadenza quindicinale (cfr. certificazione dott. *** del 10.12.2018, prodotta dalla difesa XXX).
Deve, sul punto, rilevarsi che la documentazione medica prodotta non ha evidenziato patologie psichiatriche della XXX tali da inficiarne in via irreversibile le capacità lavorative, essendo stati riportati sintomi emotivi e comportamentali in risposta a fattori stressanti, discendenti dalla disgregazione del progetto di vita matrimoniale e familiare, che paiono, per altro, in via di totale remissione, (tenuto conto della rarefazione delle sedute terapeutiche suggerite dagli stessi terapeuti che seguono la donna) e che comunque, nell’attualità, non appaiono alla Corte preclusivi dello svolgimento di attività lavorativa, (salvo affermare che buona parte della popolazione italiana dovrebbe essere esonerata da attività lavorativa, stante la notoria diffusione di patologie psicologiche di tale natura).
A conferma di tali considerazioni depongono, non solo la circostanza, emersa e non contestata nel giudizio di primo grado, che la XXX, pur non lavorando, abbia nel tempo svolto attività sociali, culturali, artistiche, comportanti un rilevante dispendio di energie ed investimenti relazionali (cfr. candidatura politica, fondazione di comitati, partecipazione a incontri e trasmissioni televisive), ma altresì, che di recente la donna abbia ripreso a lavorare, (come riportato dal difensore a questa Corte all’udienza del 12.2.2020).
Non può, infine, sottacersi che parte appellante disponga, ad oggi, di una solida posizione patrimoniale che le ha consentito, di recente, di acquistare in proprio un immobile a Luino del valore di circa 150.000,00 euro (cfr. doc.3 produzioni YYY).
Come accertato nel giudizio di primo grado, infatti, la XXX, nel momento della separazione, ha potuto contare su un capitale liquido di sicura entità, derivato dal ricavato della vendita degli immobili familiari detenuti al 50% con il marito (case in *** e in ***) e dalla divisione dei conti correnti cointestati, ha fruito dell’assegno di mantenimento da parte del coniuge, è stata sgravata da tutte le spese relative al mantenimento ordinario e straordinario della figlia, in quanto sostenute integralmente dal padre e del rimborso delle rate del mutuo della casa familiare, alla stessa assegnata, corrisposte interamente dal YYY, dalla vendita della quale potrà ricevere il 50% del ricavato.
Alla luce di quanto sin qui argomentato, ritiene la Corte che la XXX disponga di capacità personali e professionali, in alcun modo sacrificate in costanza di matrimonio, (anzi implementate dall’attività lavorativa svolta in comune con il marito), che nell’attualità le consentono di svolgere attività intellettuali e materiali e pertanto di reperire, come di recente avvenuto, un’adeguata collocazione lavorativa, elementi che non possono giustificare il riconoscimento di un assegno divorzile.
Ne’ lo squilibrio economico esistente tra le parti e l’elevato livello reddituale del coniuge destinatario della domanda ex art. 5 L.898/1970, rappresentano elementi autonomamente decisivi per il riconoscimento e la successiva quantificazione dell’assegno divorzile, atteso che i criteri fondanti su cui accertare la sussistenza del diritto a percepire l’assegno divorzile, sono costituiti dalla non autosufficienza economica insieme alla eventuale necessità di compensazione del particolare contributo dato dal coniuge richiedente l’assegno durante la vita matrimoniale ( cfr. Cass.civ. sez.I, 7 ottobre 2019 n. 24934).
Disattesi i motivi dell’appello, la sentenza impugnata deve essere integralmente confermata. Al presente giudizio, consegue la condanna dell’appellante alla rifusione alla controparte delle spese di lite, nella misura liquidata in dispositivo e dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato ai sensi dell’art. 13 comma quater del DPR 115/2002.
P.Q.M.
La Corte di Appello di Milano sull’appello proposto da XXX avverso la sentenza n. /2019 pronunciata dal Tribunale di Varese in data 13.2.2019 , pubblicata il 22.2.2019 , così dispone:
a) rigetta i motivi di appello proposti da XXX e, per l’effetto, conferma l’impugnata sentenza;
b) condanna XXX alla rifusione delle spese di lite del presente grado di giudizio in favore di YYY che liquida in € 2.500,00 per compensi oltre al rimborso delle spese forfettarie nella misura del 15% ed oltre accessori di legge;
c) dichiara che sussistono i presupposti di cui all’13 comma quater del DPR 115/2002 per il versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto a norma del comma 1 bis.
Così deciso in Milano il 12 febbraio 2020
IL Consigliere est.
Il Presidente
La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di
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Prima dell'appuntamento: analisi del caso prospettato. Si tratta della fase più delicata, perché dalla esatta comprensione del caso sottoposto dipendono il corretto inquadramento giuridico dello stesso, la ricerca del materiale e la soluzione finale.
Durante l’appuntamento: disponibilità all’ascolto e capacità a tenere distinti i dati essenziali del caso dalle componenti psicologiche ed emozionali.
Al termine dell’appuntamento: ti verranno forniti gli elementi di valutazione necessari e i suggerimenti opportuni al fine di porre in essere azioni consapevoli a seguito di un apprezzamento riflessivo di rischi e vantaggi. Il contenuto della prestazione di consulenza stragiudiziale comprende, difatti, il preciso dovere di informare compiutamente il cliente di ogni rischio di causa. A detto obbligo di informazione, si accompagnano specifici doveri di dissuasione e di sollecitazione.