REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
TRIBUNALE di RIETI – SEZIONE CIVILE
Il Tribunale, in composizione monocratica in persona del giudice dott., ha pronunciato la seguente
SENTENZA 142/2019 pubblicata il 18/02/2019
nella causa civile di primo grado iscritta al n. del ruolo generale per gli affari contenziosi dell’anno 2016 vertente
tra
XXX S.R.L. in persona del legale rappresentante p.t., , con il patrocinio dell’avv., giusta procura in atti
-ATTORI OPPONENTI-
e
BANCA YYY S.P.A., in persona del legale rappresentante p.t., con il patrocinio dell’avv., giusta procura in atti
-CONVENUTA OPPOSTA-
OGGETTO: opposizione a precetto
CONCLUSIONI: come da verbale d’udienza del 6/11/2018
Concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione
Con atto di citazione ritualmente notificato gli attori proponevano opposizione avverso l’atto di precetto notificatogli in rinnovazione il 19/5/2016 con cui la Banca intimava alla società e ai suoi fideiussori il pagamento della somma complessiva di euro 463.725,84 in virtù del contratto di finanziamento a medio lungo termine con ammortamento graduale del capitale a rogito del Notaio Dott.ssa in del Rep. Racc. registrato a Rieti il e munito di formula esecutiva in data 07.04.2010, con cui la Banca YYY SpA concedeva a *** sia in proprio (fideiussore) che quale legale rappresentante (amministratore unico) della XXX S.R.L. e a +++ sia in proprio (fideiussore) che quale socia della suddetta XXX S.R.L., un mutuo ipotecario per originari € 500.000,00.
A fondamento dell’opposizione deducevano 1) la usurarietà del tasso di interesse di mora contrattualmente pattuito invocando la conversione del mutuo da oneroso a gratuito ex art. 1815 co.2 c.c.; 2) l’illegittima applicazione dell’anatocismo, in quanto gli interessi di mora sarebbero stati previsti anche sulla quota di interessi corrispettivi costituenti la rata periodica; 3) l’indeterminatezza del TAEG/ISC e la difformità tra quello pattuito e quello effettivamente applicato con conseguente violazione dell’art. 117 T.U.B.; 4) l’omessa informazione precontrattuale; 5) l’illegittimità della fideiussione omnibus.
Concludeva, pertanto, chiedendo preliminarmente la sospensione dell’efficacia esecutiva del titolo esecutivo azionato e, nel merito, l’accoglimento dell’opposizione.
Si costituiva in giudizio BANCA YYY S.P.A. che, contestando la fondatezza degli assunti avversari, resisteva nel merito e chiedeva il rigetto dell’invocata sospensiva e dell’opposizione.
Con ordinanza del 2/11/2016 veniva rigettata l’istanza di sospensione dell’efficacia esecutiva del titolo e, respinte le richieste istruttorie delle parti, la causa veniva assegnata a questo Giudice il 10/5/2018 e, all’udienza del 6/11/2018, veniva trattenuta per la decisione previa assegnazione dei termini ex art. 190 c.p.c. per il deposito delle comparse conclusionali e delle memorie di replica.
***
Va preliminarmente qualificata la domanda come opposizione preventiva all’esecuzione, afferendo essa al diritto di procedere ad esecuzione forzata di BANCA YYY S.P.A. nei confronti degli odierni opponenti.
Nel merito, l’opposizione è infondata e, pertanto, va rigettata per i motivi che seguono.
1.Sull’asserita usurarietà del tasso di interesse di mora contrattualmente pattuito
Non merita accoglimento la prima doglianza degli opponenti afferente all’asserita usurarietà del tasso moratorio contrattualmente pattuito in sé considerato, quindi senza invocare la sommatoria con il tasso corrispettivo.
Si rende opportuno, in questo quadro, delineare brevemente la tematica relativa alla verifica della usurarietà originaria anche dei tassi moratori, questione che involge essenzialmente due aspetti.
Il primo attiene alla possibilità o meno di ritenere usurari non solo gli interessi corrispettivi, ma anche gli interessi moratori. Il secondo attiene alle conseguenze nel caso di accertata usurarietà dei soli interessi moratori e non anche degli interessi corrispettivi.
In relazione al primo e – nel caso di specie – assorbente profilo, è da condividere la tesi che ritiene configurabile l’usura anche con riferimento agli interessi moratori, nel senso che oltre si preciserà.
E’ appena il caso di ricordare che la legge. n. 108/96, nel delineare la nuova disciplina della fattispecie incriminatrice del reato di usura, chiarisce, con previsione inserita al comma terzo del nuovo art. 644 c.p., che “la legge stabilisce il limite oltre il quale gli interessi sono sempre usurari”, aggiungendo, con altra norma inserita nell’art. 644 c.p. (al quinto comma) che “per la determinazione del tasso di interesse usurario si tiene conto delle commissioni, remunerazioni a qualsiasi titolo e delle spese, escluse quelle per imposte e tasse, collegate alla erogazione del credito”.
L’art. 2 della l. n. 108/96 dispone che “Il Ministro del tesoro, sentiti la Banca d’Italia e l’Ufficio italiano dei cambi, rileva trimestralmente il tasso effettivo globale medio, comprensivo di commissioni, di remunerazioni a qualsiasi titolo e spese, escluse quelle per imposte e tasse, riferito ad anno, degli interessi praticati dalle banche e dagli intermediari finanziari iscritti negli elenchi tenuti dall’Ufficio italiano dei cambi e dalla Banca d’Italia ai sensi degli articoli 106 e 107 del decreto legislativo 1 settembre 1993, n. 385, nel corso del trimestre precedente per operazioni della stessa natura. I valori medi derivanti da tale rilevazione, corretti in ragione delle eventuali variazioni del tasso ufficiale di sconto successive al trimestre di riferimento, sono pubblicati senza ritardo nella Gazzetta Ufficiale”.
Il medesimo articolo di legge aggiunge, quindi, all’ultimo comma, che “il limite previsto dal terzo comma dell’articolo 644 del codice penale, oltre il quale gli interessi sono sempre usurari, è stabilito nel tasso medio risultante dall’ultima rilevazione pubblicata nella Gazzetta Ufficiale ai sensi del comma 1 relativamente alla categoria di operazioni in cui il credito è compreso, aumentato della metà”. Sul punto, peraltro, è intervenuto il d.l. n. 70/2011 che, modificando il citato art. 2, comma 4, della legge 108/96, ha stabilito che per i contratti a far data dal 14 maggio 2011 il tasso soglia debba essere calcolato aumentando il TEGM di un quarto, cui si aggiunge un margine di ulteriori quattro punti percentuali. Si è previsto, altresì, che la differenza tra il tasso di usura e il tasso medio non possa essere superiore a otto punti percentuali.
Con la norma di interpretazione autentica prevista dall’art. 1 comma 1, d.l. n. 394/00, conv., con modif., nella l.n. 24/01, il legislatore ha chiarito che “ai fini dell’applicazione dell’articolo 644 del codice penale e dell’articolo 1815, secondo comma, del codice civile, si intendono usurari gli interessi che superano il limite stabilito dalla legge nel momento in cui essi sono promessi o comunque convenuti, a qualunque titolo, indipendentemente dal momento del loro pagamento”.
In attuazione del dettato dell’art. 2, l.n. 108/96, i decreti del Ministro hanno provveduto, con cadenza trimestrale, all’individuazione dei tassi effettivi globali medi relativi alle singole categorie di operazioni prese in considerazioni: a partire dal d.m. 25 marzo 2003, si è avuto cura di precisare espressamente che i tassi effettivi globali medi non sono comprensivi degli interessi di mora contrattualmente previsti per i casi di ritardato pagamento.
Ne deriva che gli interessi moratori, ancorchè siano assoggettabili alla disciplina dell’usura che, come previsto dall’art.644 c.p., riguarda appunto gli interessi a qualunque titolo pattuiti, non possono considerarsi ricompresi nell’ambito della normativa citata e del tasso soglia rilevato dai decreti MEF per le singole operazioni.
Invero, va evidenziata la diversa funzione svolta dagli interessi corrispettivi e moratori in quanto costituenti, i primi, il corrispettivo previsto per il godimento diretto di una somma di denaro, avuto riguardo alla normale produttività della moneta (cfr. Cass. 22 dicembre 2011, n. 28204), rappresentando viceversa i secondi una liquidazione anticipata, presuntiva e forfettaria del danno causato dall’inadempimento o dal ritardato adempimento di un’obbligazione pecuniaria.
Difatti, il tasso di mora ha un’autonoma funzione risarcitoria per il fatto, solo eventuale e imputabile al mutuatario, del mancato o del ritardato pagamento e la sua incidenza va rapportata al protrarsi ed alla gravità della inadempienza, del tutto diversa dalla funzione di remunerazione propria degli interessi corrispettivi (cfr. Trib. Milano, 22 maggio 2014; Trib. Verona, 9 aprile 2014; Trib. Brescia, 16 gennaio 2014).
Sebbene la distinzione tra le due figure risultasse meno sfumata sotto il vigore dell’art. 41 cod. comm., il quale ammetteva l’automaticità della produzione di interessi non moratori limitatamente ai soli rapporti oggettivamente commerciali, non può per ciò solo ritenersi che l’art. 1282 c.c. sia sovrapponibile all’art. 1224 c.c. e che, dunque, gli interessi corrispettivi e quelli moratori possano porsi sullo stesso piano, in quanto, come evidenziato anche da autorevole dottrina, sono identificabili diverse situazioni in cui si verifica un’esigibilità o un ritardo nel pagamento senza una corrispondente situazione di mora (quale, ad esempio, il caso del corrispettivo pecuniario divenuto esigibile per l’appaltatore dopo la consegna e l’accettazione dell’opera da parte dell’appaltante, esigibile anche qualora non sia decorso il termine per l’adempimento), situazioni riconducibili nell’alveo della prima disposizione, ma non in quello della seconda.
Le due tipologie di interessi si distinguono anche sul piano della disciplina applicabile, in quanto gli interessi moratori sono dovuti, a differenza di quelli corrispettivi, dal giorno della mora e a prescindere dalla prova del danno subito, ai sensi dell’art. 1224, primo comma, c.c., e si applicano ex lege, per il caso dell’inadempimento, anche in un rapporto contrattuale che non li abbia originariamente previsti, attesa la loro natura latamente punitiva (cfr. Trib. Roma, 16 settembre 2014).
Inoltre, le due figure di interessi si pongono in rapporto di alternatività, in quanto la lettura congiunta degli artt. 1182, terzo comma, e 1219, secondo comma, punto terzo, c.c., porta ad affermare che qualora si tratti di obbligazioni pecuniarie portables e sia scaduto il termine per l’adempimento, l’ambito di applicazione dell’art. 1282 c.c., riconducibile agli interessi corrispettivi, risulti completamente affievolito.
Difatti, non appena il credito diventa liquido ed esigibile si costituiscono le condizioni ed i presupposti per l’applicazione dell’art. 1224 c.c., norma questa prevalente in base al principio di specialità ex art. 15 delle disposizioni sulla legge in generale, sicché in tal caso interessi corrispettivi ed interessi moratori, in via di principio, non si cumulano, ma sono dovuti solo i secondi (cfr. ABF – Collegio di Milano, 3 giugno 2014, n. 3577; ABF – Collegio di Napoli, 20 novembre 2013, n. 5877).
Ed ancora, va altresì posta in evidenza la ratio sottesa alla fattispecie delittuosa del reato di usura che sanziona, all’art. 644 c.p., la condotta di chi si fa dare o promettere interessi o altri vantaggi usurari quale corrispettivo di una prestazione di denaro o di altra utilità, da individuarsi, come desumibile anche dal disposto del comma terzo del medesimo articolo, nel divieto di convenire un corrispettivo sproporzionato per la concessione in godimento del denaro di altra utilità.
Pertanto, assumono rilevanza ai fini dell’integrazione degli estremi dell’usura solo quelle prestazioni di natura corrispettiva (siano esse interessi convenzionali, remunerazioni, commissioni o spese diverse da quelle legate ad imposte e tasse) legate alla fisiologica attuazione del programma negoziale, non essendo possibile estendere l’ambito di applicazione della fattispecie in esame anche alle prestazioni riconducibili alla mora debendi (cfr. Tribunale Verona 9 aprile 2014; in materia penale, vedi Trib. Torino, GUP, 10 giugno 2014).
Ciò posto, pacifico dunque che la verifica di usurarietà riguardi sia il tasso corrispettivo sia il tasso moratorio concretamente applicati (quest’ultimo di norma calcolato con una maggiorazione rispetto al tasso corrispettivo), pare preferibile effettuare tale verifica autonomamente con riferimento a ciascuna delle due categorie di interessi, che esprimono dati non omogenei tra loro.
Il parametro di riferimento per i tassi moratori non può dunque essere quello delle soglie fissate ai sensi della Legge n. 108/96 perché questo vorrebbe dire confrontare tassi non omogenei (quello stabilito per gli interessi corrispettivi con quello di mora che come visto è escluso dalla rilevazione del TEG medio), ma è necessario utilizzare un diverso parametro.
La stessa Suprema Corte peraltro afferma che, ai fini della rilevazione dei tassi usurari è necessario utilizzare dati tra loro oggettivamente comparabili “sicché se detto raffronto non viene effettuato adoperando la medesima metodologia di calcolo il dato che se ne ricava non può che essere in principio viziato” (così, Cassazione civile, sez. I, 03/11/2016, n. 22270; Cassazione civile, sez. I, 22/06/2016, n. 12965).
In questa prospettiva, assume particolare interesse una recente giurisprudenza di merito (Tribunale di Milano, 16 febbraio 2017 n. 1906), che sviluppa il proprio ragionamento nei seguenti passaggi fondamentali:
– in astratto, in conformità al dictum della Cassazione, anche gli interessi moratori debbono sottostare ai limiti derivanti dalla disciplina in materia di usura, in quanto la stessa è riferita agli interessi a qualunque titolo convenuti;
– nel concreto, però, le rilevazioni del tasso effettivo globale medio vengono effettuate trimestralmente sulla base di rilevazioni statistiche che fanno esclusivo riferimento ai tassi corrispettivi;
– analoghe rilevazioni non sono state mai compiute con riferimento ai tassi di mora, essenzialmente in considerazione della loro natura non necessaria, bensì meramente eventuale, in quanto dovuti soltanto nel caso di inadempimento;
– la circostanza che il T.E.G.M., e conseguentemente il tasso soglia che dal primo dipende, siano determinati in forza di rilevazioni statistiche condotte esclusivamente con riferimento agli interessi corrispettivi (oltre alle spese, commissioni e oneri accessori all’erogazione del credito), porta a concludere come, allo stato, non si possa pretendere di confrontare la pattuizione relativa agli interessi di mora con il tasso soglia così determinato, al fine di accertare se i primi siano o meno usurari;
– così operando, infatti, si giungerebbe a una rilevazione priva di qualsiasi attendibilità scientifica e logica, prima ancora che giuridica, in quanto si pretenderebbe di raffrontare fra di loro valori disomogenei (il tasso di interesse moratorio pattuito ed il tasso soglia calcolato in forza di un T.E.G.M. che non considera gli interessi moratori, ma solo quelli corrispettivi).
Ebbene, nel delineato contesto si osserva che, preso atto del vuoto normativo rappresentato dall’assenza di una rilevazione trimestrale anche dei tassi medi di mora e non potendosi applicare il tasso fissato per gli interessi corrispettivi per i motivi sopra esposti, si ritiene equo utilizzare il dato che emerge a seguito dell’indagine statistica condotta a fini conoscitivi dalla Banca d’Italia e dall’Ufficio Italiano dei Cambi. Detta indagine ha rilevato che, con riferimento al complesso delle operazioni facenti capo al campione di intermediari considerato, la maggiorazione media stabilita contrattualmente per i casi di ritardato pagamento è mediamente pari a 2,1 punti percentuali.
Infatti, in data 3 luglio 2013, successivamente all’emanazione della richiamata pronuncia della Cassazione n. 350/13, la Banca d’Italia ha chiarito che gli interessi di mora, pur essendo soggetti alla normativa anti-usura, sono esclusi dal calcolo del TEG, in ragione del fatto che trattasi di oneri eventuali la cui debenza ed applicazione cadono solo a seguito di un eventuale inadempimento da parte del cliente e ha conseguentemente chiarito che, in assenza di una previsione legislativa che determini una specifica soglia in presenza di interessi moratori, la Banca d’Italia adotta, nei suoi controlli sulle procedure degli intermediari, il criterio in base al quale i TEG medi pubblicati sono aumentati di 2,1 punti per poi determinare la soglia su tale importo: proprio perché previsti in funzione compensativa dell’inadempimento non possono essere inseriti nel TEGM perché innalzerebbero il valore delle soglie (cfr. “Chiarimenti in materia di applicazione della legge antiusura” della Banca d’Italia del 3 luglio 2013).
In ultima analisi, se gli interessi moratori sono rilevati separatamente rispetto a tutti gli oneri che concorrono a formare il T.E.G.M. su cui poi sarà calcolato il tasso soglia, è evidente che gli stessi, una volta sottoposti al vaglio di usurarietà, non potranno sic et simpliciter essere rapportati ai dati di cui ai decreti ministeriali di rilevazione dei tassi medi; con la conseguenza che, al fine di evitare il confronto tra grandezze disomogenee, non resterà che applicare la maggiorazione del 2,1% prevista nelle citate istruzioni della Banca d’Italia, poiché fondata, questa sì, “su criteri omogenei che tengono conto appunto di una rilevazione degli stessi interessi moratori” (cfr. ex multis, Tribunale di Roma, sez. IX, 7/1/2017, Tribunale di Roma, sez. IX, 25/05/2017, n. 10653/17, Tribunale di Roma, sez. IX, 12/04/17, n. 7838/17, Tribunale di Roma, sez. IX, 18/09/2017, n. 17368/17, Tribunale Cagliari, 22/2/2016, Tribunale di Roma, 25/2/2016, Tribunale di Milano, 29/11/2016, n. 13719/16; Tribunale di Padova, sentenza 14 novembre 2016).
In sostanza, ai fini del verificarsi dell’usura, il tasso di mora deve essere raffrontato al tasso medio, stabilito ai sensi della legge n. 108/96, maggiorato di 2,1 punti percentuali e poi su questa base va calcolato il tasso soglia usura per gli interessi di mora. La formula da utilizzare, dunque, è la seguente: interessi moratori = (T.E.G.M. corrispettivi + 2,1%) + maggiorazione ex art. 2, comma 4, L. n. 108/1996.
Valga evidenziare, come si è già detto in precedenza, che tale maggiorazione è pari alla metà in relazione ai contratti stipulati fino al 13 maggio 2011, mentre per le pattuizioni negoziali successive si applica il diverso calcolo stabilito dalla novella normativa di cui al d.l. 70/2011, che prevede che il tasso soglia si calcoli aumentando il T.E.G.M. di un quarto, cui si aggiunge un margine di ulteriori quattro punti percentuali, con l’ulteriore precisazione che la differenza tra il tasso di usura e il tasso medio non può essere superiore a otto punti percentuali.
Orbene, l’approdo interpretativo innanzi descritto non può ritenersi inficiato neanche dalle recenti pronunce della Suprema Corte, non ignorando questo Giudice, in particolare, la recente ordinanza della Corte di Cassazione Sez. III n. 27442/18 che, dopo aver affermato l’applicabilità anche agli interessi moratori della disciplina inerente agli interessi usurari, ha ritenuto incidentalmente non applicabile l’aumento del TEGM del suddetto dato del 2,1% al fine di determinare il tasso soglia comprensivo della valutazione dei tassi moratori, definendo questa un’operazione “fantomatica”.
A ben vedere tale conclusione, adottata nelle notazioni finali della motivazione di detta ordinanza, è stata disattesa da numerose pronunce successive dei Tribunali di merito che questo Giudice ritiene di condividere.
In particolare, la recente sentenza n. 22543/2018 del Tribunale di Roma ha ribadito l’esigenza di raffrontare dati omogenei tra loro, a tal fine richiamando la recente pronuncia della Corte di Cassazione a Sezioni Unite n.16303 del 2018, intervenuta in materia del calcolo di interessi usurari in presenza della pattuizione di commissioni di massimo scoperto, le cui argomentazioni sono apparse applicabili anche al caso degli interessi moratori. Si è affermato, pertanto, che “non essendo incluso nel calcolo del TEGM rilevato nei decreti ministeriali l’ammontare medio delle pattuizioni riguardanti gli interessi moratori, per i motivi sopra visti, ed essendovi una rilevazione media di detto tipo di interessi in modo separato, al fine di consentire un raffronto di dati omogenei, tale dato, nel caso di specie il 2.1., andrà aggiunto al TEGM al fine di calcolare il tasso soglia per valutare l’usurarietà o meno dei tassi moratori pattuiti nelle diverse categorie di operazioni individuate nei decreti ministeriali medesimi”.
Nella medesima prospettiva interpretativa si colloca anche la recente sentenza n. 12425 emessa il 10/12/2018 dal Tribunale di Milano, che ha sottoposto a revisione critica l’anzidetta ordinanza della Suprema Corte prospettando addirittura profili di incostituzionalità in merito alla pretesa equiparazione, in punto di applicazione della disciplina antiusura, tra interessi corrispettivi e moratori. Difatti, la pronuncia in esame ha chiaramente statuito che “gli interessi di mora non rilevano ai fini dell’usura. Il T.E.G.M., sulla cui base viene individuato il tasso soglia, non viene calcolato facendo riferimento ai tassi d’interesse moratori, ma solo a quelli corrispettivi. Ne consegue che estenderlo puramente e semplicemente anche agli interessi moratori finirebbe per dare vita ad una interpretazione della normativa antiusura priva di base normativa, censurabile ex art. 3 Cost. in quanto: 1) applicherebbe la legge in difetto dei necessari provvedimenti di sostanziale attuazione all’ipotetica volontà del legislatore (i.e. la determinazione del tasso soglia di mora); 2) omologherebbe situazioni diverse violando il principio di eguaglianza di trattamento, del quale è corollario l’illegittimità di disciplinare allo stesso modo situazioni in realtà diverse; 3) ricollegherebbe una sanzione calcolata su determinati presupposti fattuali ad una fattispecie relativa a ben altri elementi costitutivi”.
In definitiva, ritiene il Tribunale che debba esistere un tasso soglia antiusura fissato per legge anche per i tassi moratori ma, in assenza di una espressa previsione legislativa di tale tasso per questi ultimi, non pare corretto applicare estensivamente o peggio in via analogica anche ai tassi moratori il tasso soglia in concreto fissato solo per i tassi corrispettivi, a ciò ostando tutte le motivazioni sopra esposte.
Ne deriva che l’unico criterio attendibile, al fine di comparare dati omogenei tra loro, sia quello espresso dalle Istruzioni di Banca d’Italia ottenuto, come si è detto, mediante la maggiorazione del TEG medio del 2,1% per poi determinare il tasso soglia in base a tale ultimo dato.
Venendo alla fattispecie che ci occupa, va innanzitutto rilevato che dalla documentazione in atti risulta stipulato tra le parti, in data 22/03/2010, il contratto di mutuo ipotecario a tasso variabile per un importo di € 500.000,00 con un piano di ammortamento di 60 (sessanta) rate a rimborso trimestrale.
La misura degli interessi corrispettivi erano stati pattuiti al tasso variabile parametrato all’Euribor a tre mesi e, alla data della stipula del contratto, tale tasso ammontava al 2,706%, con TAEG al 2,77%.
Gli interessi moratori erano stati concordati maggiorando di 1,674 punti percentuali il tasso degli interessi corrispettivi pattuiti e, dunque, erano pari al 4,38%.
Il tasso soglia del periodo, avuto riguardo al D.M. vigente all’epoca della stipula del contratto, con riferimento ai contratti di mutuo a tasso variabile, era pari al 4,38%.
Facendo applicazione delle coordinate sopra esposte al caso di specie, risulta evidente che il tasso degli interessi corrispettivi fosse al di sotto della soglia antiusura. Del pari, anche l’interesse di mora, in sé considerato, non può considerarsi usurario non superando, al tempo della stipula, il tasso soglia anti-usura calcolato senza nemmeno operare alcuna maggiorazione.
Dalle considerazione che precedono deriva il rigetto della doglianza relativa all’usurarietà degli interessi moratori.
2.Sull’asserita illegittima applicazione di interessi di mora sull’intera rata scaduta (anatocismo)
Va ora esaminata la doglianza relativa alla illegittima capitalizzazione degli interessi.
Ritiene il Tribunale che la pattuizione in base alla quale si prevede che il tasso di mora sia applicato sull’intera rata scaduta e non pagata, comprensiva, quindi, sia della quota capitale che della quota interessi corrispettivi, non determini un’indebita sommatoria dei tassi di interessi, trattandosi di una capitalizzazione espressamente consentita dalla delibera CICR del 09.02.2000.
Difatti, tale delibera prevede espressamente che “nelle operazioni di finanziamento per le quali è previsto che il rimborso del prestito avvenga mediante il pagamento di rate con scadenze temporali predefinite, in caso di inadempimento del debitore l’importo complessivamente dovuto alla scadenza di ciascuna rata può, se contrattualmente stabilito, produrre interessi a decorrere dalla data di scadenza e sino al momento del pagamento. Su questi interessi non è consentita la capitalizzazione periodica”.
In tali casi, pertanto, la rata scaduta e non pagata va a costituire un unicum, in cui non è più possibile distinguere e considerare separatamente la quota capitale e la quota interessi corrispettivi, sul quale vanno calcolati gli interessi moratori.
Soltanto nell’ipotesi di risoluzione del contratto per inadempimento del mutuatario, gli interessi di mora vanno calcolati sul capitale residuo depurato degli interessi corrispettivi.
Pertanto, “nel contratto di mutuo con obbligo di restituzione rateale, non viola il divieto di capitalizzazione degli interessi la pattuizione negoziale in base alla quale gli interessi di mora vanno calcolati sull’intera rata scaduta e non pagata, comprensiva sia della quota capitale che della quota interessi corrispettivi” (Tribunale di Roma, 30/07/2018 n. 15884).
Anche tale doglianza è dunque infondata e non merita accoglimento.
3. Sull’asserita errata indicazione dell’ISC
Quanto alla dedotta difformità tra il TAEG/ISC indicato nel contratto e quello concretamente applicato, assumono in particolare gli attori – per vero in modo estremamente generico – che in violazione del principio di trasparenza vigente in materia di servizi bancari e finanziari, la banca convenuta avrebbe indicato nel contratto di mutuo un ISC inferiore rispetto a quello effettivamente applicato, con conseguente nullità della clausola determinativa degli interessi ai sensi dell’art. 117 comma 6 TUB.
Il quadro normativo di riferimento è sancito dagli artt. 116 e 117 TUB, che prevedono per le Banche l’obbligo di pubblicizzare in modo chiaro le condizioni economiche applicate alla propria clientela. Lo stesso art. 116, comma 3 TUB demanda poi al CICR il compito di individuare più precisamente il perimetro degli obblighi informativi in capo agli istituti di credito.
Per i contratti bancari diversi dal credito al consumo (Tit. VI, Capo II, artt. 121 ss. TUB), l’indicatore sintetico di costo (ISC) è stato introdotto dalla delibera CICR 4.3.2003, emessa in attuazione dell’art. 116 co. 3 TUB che attribuisce allo stesso Comitato il potere di dettare disposizioni in materia di pubblicità delle operazioni e dei servizi. Si tratta, secondo la previsione di cui all’art. 9, comma 2, di detta delibera, di un indice comprensivo degli interessi e degli oneri che concorrono a determinare il costo effettivo dell’operazione per il cliente, secondo la formula stabilita dalla Banca d’Italia medesima. La circolare della Banca d’Italia n. 229 del 21.4.1999, modificata in conseguenza alla predetta delibera CICR, ha stabilito che “il contratto e il documento di sintesi di cui al par. 8 della presente sezione riportano un “indicatore sintetico di costo” (ISC), calcolato conformemente alla disciplina sul tasso annuo effettivo globale (TAEG) ai sensi dell’art. 122 del TU e delle relative disposizioni di attuazione, quando hanno ad oggetto le seguenti categorie di operazioni indicate nell’allegato alla delibera del CICR del 4.3.2003: – mutui; – anticipazioni bancarie; altri finanziamenti”.
Nel credito al consumo – ipotesi che non è applicabile al caso di specie relativo ad un mutuo – l’art. 125-bis, comma 6, del TUB (inserito nel Titolo VI, Capo II del TUB, intitolato “Credito al consumo”) prevede espressamente la nullità delle clausole del contratto relative a costi non inclusi o inclusi in modo non corretto nel TAEG.
Alla luce di quanto esposto, appare evidente che il legislatore ha ritenuto di sanzionare espressamente con la nullità del contratto o delle singole clausole i soli casi in cui, nel credito al consumo, vi sia stata un’indicazione non corretta del TAEG (indice di costo nel finanziamento al consumo), ma non anche le ipotesi di non corretta indicazione dell’ISC nei contratti di mutuo, di anticipazione bancaria e di altri finanziamenti.
È quindi evidente che, qualora il legislatore avesse voluto sanzionare con la nullità la difformità tra ISC e TAEG nell’ambito di operazioni diverse dal credito al consumo, allora lo avrebbe espressamente previsto con una norma dal tenore analogo a quella di cui all’art. 125-bis, comma 6 TUB. Una simile previsione, tuttavia, non si rinviene nell’ambito dell’art. 117 TUB e, pertanto, se ne deve dedurre che, a norma di detto ultimo articolo, l’erronea indicazione dell’ISC non determini nessuna incertezza sul contenuto effettivo del contratto stipulato e del tasso di interesse effettivamente pattuito.
In altri termini, la violazione dell’obbligo pubblicitario perpetrata dalla Banca mediante l’erronea quantificazione dell’ISC non è suscettibile di determinare alcuna invalidità del contratto di mutuo (né tantomeno della sola clausola relativa agli interessi), atteso che l’ISC non ha alcuna funzione o valore di “regola di validità”, tanto meno essenziale, del contratto poiché è un mero indicatore sintetico del costo complessivo del contratto e non incide sul contenuto della prestazione a carico del cliente ovvero sulla determinatezza o determinabilità dell’oggetto contrattuale, definita dalla pattuizione scritta di tutte le voci di costo negoziali (Tribunale di Milano, 26 ottobre 2017, n. 10832).
Ne consegue che l’erronea indicazione dell’ISC/TAEG non determina, di per sé, una maggiore onerosità del finanziamento ma, al più, un’erronea rappresentazione del suo costo complessivo, assumendo pertanto “valenza di regola di comportamento, comportante una mera obbligazione risarcitoria a titolo di responsabilità precontrattuale” (Tribunale Bologna, sez. III, 09/01/2018, n. 34).
Del resto, partendo dalle differenze tra regole di validità e regole di comportamento, la giurisprudenza di legittimità ha sostanzialmente rilevato che la nullità del contratto per contrarietà a norme imperative postula necessariamente che siffatta violazione incida su elementi intrinseci della fattispecie negoziale, cioè relativi alla struttura o al contenuto del contratto, come del resto si desume dal dato testuale dell’art. 1418, 1° comma, c.c. che si riferisce al contratto e non a comportamenti antecedenti o successivi delle parti (“Il contratto è nullo quando è contrario a norma imperativa”), con la conseguenza che le violazioni che concernono la condotta tenuta sia nel corso delle trattative per la formazione del contratto sia nella sua esecuzione non determina la nullità del contratto medesimo, indipendentemente dalla natura delle norme con le quali sia in contrasto, a meno che questa sanzione non sia espressamente prevista dalla legge, così come prescritto dall’art. 1418, 3° comma, c.c. (cfr. Cass. SS.UU. n. 26724/07).
In ultima analisi, l’ISC/TAEG non appare assimilabile né alla categoria dei “tassi di interesse”, né a quelle dei “prezzi” o delle “condizioni” menzionate dalla richiamata disciplina normativa, assolvendo ad una funziona eminentemente informativa che non incide sulla determinazione del tasso stesso, con conseguente inapplicabilità del combinato disposto degli artt. 116 e 117 TUB.
Nella medesima prospettiva, valga anche richiamare una recente pronuncia che nel ribadire la argomentazione sopra esposte, ha escluso l’invalidità del contratto non solo nel caso di asserita erronea indicazione dell’ISC ma anche nell’ipotesi di omessa indicazione dello stesso. Si è rilevato, infatti, che “l’eventuale omissione di tale elemento non comporta la nullità del negozio giuridico quando nel contratto siano riportati i tassi di interesse e gli oneri economici che consentano al cliente di determinarlo e, dunque, di individuare il costo complessivo dell’operazione di finanziamento” (Tribunale Catania sez. IV, 28/02/2018, n.957).
Ne deriva che, esclusa in radice la nullità affermata da parte attrice, diventa irrilevante l’accertamento in fatto circa l’esatta determinazione dell’ISC.
In ogni caso, nel caso in esame l’indicazione del costo dell’operazione non risulta omessa nel contratto di mutuo in quanto espressamente indicata nella misura del 2,77%, ma, come prospettato dalla stessa attrice, risulta soltanto difforme rispetto all’ISC ricalcolato dal consulente di parte nella misura del 2,84% alla stregua di criteri che non appaiono comunque conformi alle disposizioni dettate in materia di trasparenza dalla Banca d’Italia.
Peraltro, la differenza tra quanto indicato nel contratto e quanto ricalcolato dagli attore è talmente minima (0,07%) da poter essere considerata irrisoria e, comunque, tale da non integrare una pubblicità ingannevole o una violazione delle regole di trasparenza.
Per le ragioni innanzi descritte anche tale doglianza non può essere accolta.
4.Sull’informativa precontrattuale asseritamente omessa
Gli opponenti deducono che la banca opposta non avrebbe fornito, in sede preliminare, “l’avviso ed i fogli informativi (art.6 della Deliberazione CICR del 4/03/2003) né copia completa del contratto (art. 8 della Deliberazione CICR del 4/03/2003)”(pag. 11 citazione), in spregio ai precetti stabiliti dagli artt. 116 e 117 TUB.
La doglianza, peraltro neanche reiterata dagli opponenti nella comparsa conclusionale, appare del tutto destituita di fondamento siccome allegata in modo generico e sconfessata dal fatto che gli attori, a sostegno della propria pretesa, hanno anche prodotto una perizia di parte, il che evidenzia che essi fossero certamente in possesso di copia completa del contratto e dei relativi allegati.
5.Sulla dedotta illegittimità delle fideiussioni omnibus
Sostengono gli opponenti che la Banca sarebbe venuta meno al dovere di correttezza e buona fede – di qui la illegittimità della fideiussione – perché a fronte di un finanziamento per euro 500.000,00 avrebbe richiesto oltre alla garanzia ipotecaria (sui beni della società – soggetto mutuatario) anche la garanzia personale del Cenci e della Ancarani (mutuataria anche in proprio).
Anche tale doglianza non è meritevole di accoglimento, dovendosi evidenziare che, per consolidata giurisprudenza, è onere della parte che lamenti la violazione del canone di buona fede fornire i riscontri probatori all’uopo necessari.
La censura, invece, oltre ad essere formulata in modo estremamente generico, si appalesa anche infondata poiché i fideiussori hanno liberamente scelto di rilasciare la garanzia personale richiesta a fronte dell’ingente somma di € 500.000,00 concessa a titolo di mutuo, pertanto non è dato riscontrare, in capo alla banca, alcuna condotta contraria al canone di buona fede.
Deve inoltre ritenersi inammissibile la censura inerente all’invalidità della fideiussione per violazione della normativa antitrust, siccome sollevata per la prima volta in comparsa conclusionale ed essendo, dunque, già decorso il termine perentorio per l’attività assertiva delle parti.
Sul punto, infatti, si è affermato che siffatta doglianza non può essere sollevata per la prima volta nella comparsa conclusionale, avente notoriamente soltanto la funzione di illustrare le ragioni di fatto e di diritto sulle quali si fondano le domande e le eccezioni già proposte e dunque non può contenere domande o eccezioni nuove che comportino un ampliamento del “thema decidendum”. Ne deriva che, “l’eccezione che si fonda su fatti nuovi, costituiti dalla corrispondenza tra il testo del contratto di fideiussione e lo schema predisposto dall’ABI in violazione della normativa antitrust, sollevata per la prima volta in comparsa conclusionale deve essere ritenuta inammissibile in quanto tardiva” (Tribunale di Perugia n. 1414/2018; Tribunale di Monza n. 2053/2018; Trib. Brescia 4.9.2018; Trib. Spoleto 21.8.2018).
6.Sul rigetto della CTU
Alla luce di tutte le suesposte considerazioni è agevole rilevare la natura esplorativa della consulenza tecnica d’ufficio richiesta da parte attrice, che a sostegno della domanda ha prodotto una perizia di parte non attendibile in quanto espletata alla stregua di una metodologia non conforme alle Istruzioni della Banca di Italia pro tempore vigenti e recepite dall’orientamento giurisprudenziale prevalente cui questo Giudice ritiene di aderire
7.Spese processuali
Le spese di lite seguono la soccombenza e sono poste a carico di parte opponente nella misura liquidata in dispositivo ai sensi del D.M. 55/2014, tenuto conto dell’assenza della fase istruttoria.
P.Q.M.
Il Tribunale di Rieti in composizione monocratica, definitivamente pronunciando sulla domanda in epigrafe, ogni diversa domanda, eccezione e deduzione disattese, così provvede:
a) rigetta l’opposizione proposta da XXX S.R.L. in persona del legale rappresentante p.t., +++ e ***;
b) condanna XXX S.R.L. in persona del legale rappresentante p.t., +++ e ***, in solido tra loro, alla rifusione delle spese di giudizio in favore di BANCA YYY S.P.A., in persona del legale rappresentante p.t., che liquida in complessivi € 8.030,00 per compenso professionale, oltre al rimborso forfettario di spese generali e accessori come per legge.
Così deciso in Rieti il 9 gennaio 2019
La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di
Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.
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