REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
La Corte di Appello di Bari,Seconda sezione civile, composta dai signori magistrati:
ha pronunciato la seguente
SENTENZA 2012/2019 pubblicata il 25/09/2019
nella causa civile in grado di appello iscritta nel Ruolo Generale Affari Contenziosi Civili sotto il numero d’ordine dell’anno 2015 avente ad oggetto: opposizione a decreto ingiuntivo.
TRA
XXX nato a, rappresentato e difeso giusta mandato a margine della citazione in appello, dall’avvocato, elettivamente domiciliato in presso lo studio dell’avvocato
APPELLANTE
E
Comune di YYY in persona del sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato in virtù di mandato in calce alla comparsa di costituzione e risposta e di delibera di Giunta comunale del numero, elettivamente domiciliato presso lo studio legale dell’avvocato sito in
APPELLATO
All’udienza collegiale del 24 maggio 2019 la causa è stata riservata per la decisione sulle conclusioni rassegnate dai procuratori delle parti come da verbale di udienza, da intendersi qui per richiamate e trascritte, con la concessione dei termini di cui all’articolo 190 c.p.c..
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO.
Con sentenza numero 234/2015 pubblicata il 21 aprile 2015, il tribunale di Foggia, pronunciando nella causa civile tra il Comune di YYY e XXX, così provvedeva:
decidendo sull’opposizione avverso il decreto ingiuntivo numero 35/13 emesso dal tribunale di Lucera – sezione distaccata di Rodi Garganico -promossa dal Comune di YYY nei confronti di XXX, accoglieva l’opposizione e per l’effetto revocava il decreto ingiuntivo opposto;
condannava l’opposto al pagamento delle spese processuali.
Si rileva dalla sentenza del giudice di primo grado che l’ingegner XXX, in proprio e quale componente della disciolta associazione temporanea di professionisti costituita con l’ingegner ***, aveva chiesto e ottenuto a carico del Comune di YYY ingiunzione di pagamento della complessiva somma di euro 111.425,66 a titolo di compenso per l’attività professionale prestata in relazione alla sistemazione idraulica del canale di, attività asseritamente consistita nell’esecuzione di specifiche prestazioni quali rilievi topografici planoaltimetrici; progettazione definitiva ed esecutiva; studio di impatto ambientale; coordinamento per la sicurezza in fase di progettazione.
A sostegno della domanda monitoria il professionista aveva prodotto cospicua documentazione.
Il Comune di YYY aveva proposto opposizione al decreto ingiuntivo eccependo in via preliminare la mancata stipula di una convenzione professionale in forma scritta e in ogni caso contestando l’avversa pretesa creditoria sia nell’an che nel quantum.
Per la riforma della sentenza di primo grado ha proposto opposizione l’ingegner XXX con atto di citazione spedito per la notifica a mezzo del servizio postale l’11 giugno 2015, e ha chiesto di dare atto della intervenuta esecutorietà del decreto ingiuntivo numero 35/2013 del 22 marzo 2013 ai sensi dell’articolo 647 c.p.c. per effetto della mancata proposizione di qualsiasi opposizione con riferimento alla parte concernente il credito ivi riconosciuto per le prestazioni professionali concernenti i rilievi topografici plano-altimetrici (27.635,00 € oltre Iva e cnpaia), lo studio di impatto ambientale (22.497,57 € oltre Iva e cnpaia) ed il coordinamento per la sicurezza in fase di progettazione (8518,44 € oltre Iva e cnpaia), per complessivi euro 73.806,43;
in via gradata, rigettare l’opposizione a decreto ingiuntivo con la conferma di tale provvedimento;
in via meramente sussidiaria e residuale condannare il Comune di YYY al pagamento della somma portata dal decreto ingiuntivo ovvero di quell’altra ritenuta di giustizia;
in ogni caso, condannare il Comune di YYY al pagamento delle spese processuali del doppio grado di giudizio.
Con il primo motivo di gravame, la difesa dell’appellante deduce omessa pronuncia da parte del tribunale sulla eccezione formulata dal convenuto-opposto nella propria comparsa di costituzione e risposta del 18 novembre 2013, concernente l’intervenuta esecutorietà parziale del decreto ingiuntivo ai sensi dell’articolo 647 c.p.c. per effetto della mancata proposizione di qualsiasi opposizione avverso di esso con riferimento al compenso concernente le prestazioni diverse dalla progettazione (studio di impatto ambientale; rilievi topografici plano-altimetrici; coordinamento della sicurezza in fase di progettazione). Contestuale violazione del principio della corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato.
Con il secondo motivo, si sostiene la inammissibilità dell’eccezione sollevata dalla difesa del Comune di YYY nell’atto di citazione in opposizione a decreto ingiuntivo e nei suoi successivi scritti difensivi, concernente la mancata stipula di una convenzione di incarico in forma scritta tra il medesimo Comune di YYY e l’ATP capeggiata dall’ingegner XXX, trattandosi di eccezione mai in precedenza addotta dalla medesima amministrazione comunale, né tantomeno risultante da alcun precedente provvedimento emesso dalla stessa pubblica amministrazione.
Con il terzo motivo, si deduce la manifesta erroneità della sentenza per effetto della ritenuta applicabilità nei confronti degli enti locali, delle previsioni di cui al combinato disposto degli articoli 16 e 17 R.D. 18 novembre 1923 numero 2440 (cosiddetto testo unico contabilità generale dello Stato), e ciò malgrado la inoperatività di tali previsioni nei confronti degli enti locali per effetto dell’entrata in vigore dell’articolo 274 del decreto legislativo numero 267/2000, che ha espressamente abrogato il regio decreto 3 marzo 1934 numero 383 (testo unico delle leggi comunali e provinciali), che inizialmente ne estendeva l’applicazione.
Con il quarto motivo di appello si deduce la infondatezza della ulteriore eccezione di ineseguibilità o non cantierabilità del progetto elaborato dall’ATP dell’ingegner XXX, sollevata in primo grado dall’amministrazione comunale.
Con il quinto motivo di gravame si impugna il capo della sentenza concernente il regolamento delle spese processuali.
Si è costituito in giudizio con comparsa depositata il 1° ottobre 2015 il Comune di YYY che ha chiesto di rigettare l’appello e condannare la controparte al pagamento delle spese processuali.
Con atto del 23 luglio 2018 il procuratore dell’appellante ingegner XXX ha comunicato di aver ceduto il credito controverso a tali *** e *** e di avere intenzione di abbandonare il giudizio.
Con atto del 22 maggio 2019 il procuratore del Comune di YYY ha comunicato il rifiuto dell’amministrazione comunale alla cessione del credito e il diniego alla estromissione dal giudizio dell’appellante ingegner XXX.
Con atto del 23 maggio 2019 i cessionari *** e ***, che in precedenza sono intervenuti nel processo, hanno dichiarato di rinunciare all’intervento spiegato e hanno chiesto di disporre la loro estromissione dal giudizio ovvero di dichiarare non luogo a provvedere in ordine al detto intervento.
All’udienza del 24 maggio 2019 la causa è stata riservata in decisione con la concessione dei termini di cui all’articolo 190 c.p.c.
MOTIVI DELLA DECISIONE.
Il tribunale ha accolto l’opposizione a decreto ingiuntivo osservando che a norma degli articoli 16 e 17 del regio decreto 18 novembre 1923 numero 2440, il contratto di prestazione d’opera professionale stipulato con una pubblica amministrazione, ancorché quest’ultima agisca jure privatorum, deve rivestire a pena di nullità la forma scritta. Dopo aver citato copiosa giurisprudenza il tribunale ha proseguito osservando inoltre che, contrariamente a quanto osservato dall’opposto, il principio normativo in questione in tema di forma scritta ad substantiam del contratto d’opera professionale deve essere mantenuto fermo anche dopo l’abrogazione del regio decreto 3 marzo 1934 numero 383 (testo unico delle leggi comunali e provinciali) che all’articolo 87 richiamava il disposto della norma della legge di contabilità generale dello Stato, in quanto maggiormente consono all’evidenza pubblica del contratto, necessario al controllo istituzionale e della collettività sull’operato dell’ente e quindi, in definitiva, funzionale all’esigenza di assicurare l’imparzialità e il buon andamento della pubblica amministrazione.
Non poteva assumere rilievo nel giudizio il compimento da parte degli organi comunali, di atti di riconoscimento esplicito od implicito dell’utilità dell’opera professionale prestata dal XXX, potendo al più tali atti rilevare ai fini del promovimento di una futura azione di ingiustificato arricchimento.
Con il primo motivo di gravame l’appellante richiama la propria comparsa di costituzione e risposta del 18 novembre 2013 nella quale aveva chiesto di darsi atto della intervenuta esecutorietà del decreto ingiuntivo numero 35/12 ai sensi dell’articolo 647 c.p.c. per effetto della mancata proposizione di qualsiasi opposizione con riferimento alla parte concernente il credito ivi riconosciuto per le prestazioni professionali concernenti i rilievi topografici plano-altimetrici, lo studio di impatto ambientale ed il coordinamento per la sicurezza in fase di progettazione. Vi sarebbe stato quindi il riconoscimento da parte dell’amministrazione comunale, di una cospicua parte del credito rivendicato dall’opposto in via monitoria quantomeno nella misura di 73.806,43 €. Rispetto a siffatta eccezione nessuna contestazione era stata sollevata dalla difesa dell’amministrazione comunale con la conseguenza che anche in virtù del principio di non contestazione il tribunale avrebbe dovuto tenere conto di essa ai fini della decisione.
Con un secondo rilievo, l’appellante sostiene che l’amministrazione comunale in sede di delibera di conferimento dell’incarico al proprio difensore, numero 55 del 30 aprile 2013, aveva espressamente limitato la propria opposizione al solo compenso ricollegato all’attività di progettazione. Si ripropone pertanto la eccezione di esecutorietà parziale del decreto ingiuntivo o comunque che si dia atto della mancata proposizione di qualsiasi opposizione avverso di esso con riferimento alle citate prestazioni diverse dalla progettazione.
Rispetto al primo motivo di appello, la difesa del Comune di YYY ribatte che con ordinanza depositata in cancelleria il 16 luglio 2014 il giudice di primo grado ha rigettato interamente la richiesta di concessione della provvisoria esecuzione del decreto ingiuntivo evidenziando quale oggetto dell’opposizione non solo il quantum ma la genesi del rapporto contrattuale e quindi superando la tesi avversa secondo la quale l’opposizione era stata limitata al compenso relativo all’attività di progettazione. Inoltre, la limitazione letterale evidenziata dall’appellante nella delibera di Giunta numero /2013, di conferimento dell’incarico al difensore relativo alla pretesa dell’opposto di pagamento delle competenze professionali relative alla progettazione definitiva ed esecutiva della sistemazione idraulica del canale di si riscontra nella determina numero 134/2012 dell’ufficio tecnico del Comune di YYY, di affidamento dell’incarico alla associazione temporanea di professionisti di cui faceva parte l’ingegner XXX nella quale si menziona tra l’altro l’attività preliminare di progettazione svolta dallo stesso ufficio tecnico comunale e non dall’ingegner XXX. Ne consegue che le attività per le quali si sarebbe perfezionata la pretesa parziale esecutorietà del decreto ingiuntivo non sarebbero nemmeno state oggetto di incarico e quindi non potrebbero essere oggetto di compenso. In conclusione, secondo il Comune di YYY l’attività che si pretende non contestata dall’appellante in realtà risulta propedeutica, preliminare e costituente un tutt’uno con la progettazione.
Il motivo è privo di fondamento. La questione sollevata dall’appellante era stata già sottoposta all’attenzione del giudice di primo grado come si rileva dal verbale di udienza del 19 novembre 2013, da cui si desume l’opposizione del Comune di YYY alla richiesta di concessione di parziale esecuzione del decreto ingiuntivo, avendo il difensore dell’amministrazione municipale osservato che oggetto di opposizione era l’intera prestazione professionale della quale si contestava addirittura l’esistenza per la mancata formalizzazione dell’incarico fra l’associazione temporanea di professionisti e l’ente. Condividendo la difesa del Comune, il giudice di primo grado con l’ordinanza depositata il 16 luglio 2014 rigettava l’istanza di concessione della provvisoria esecuzione del decreto ingiuntivo osservando che, contrariamente a quanto asserito dall’opposto, i motivi di opposizione attenevano oltre che al quantum della pretesa creditoria, alla genesi del credito contrattuale vantato dall’ingegner XXX. Ed in effetti dall’atto di opposizione al decreto ingiuntivo si desume che oggetto della opposizione era l’intero credito azionato dal ricorrente, di 111.425,66 € per tutte le attività professionali espletate senza alcuna distinzione e limitazione a quella di progettazione. In particolare, avendo l’amministrazione comunale con il primo motivo di opposizione sostenuto la inesistenza di una convenzione fra l’associazione di professionisti e il Comune, osservando che “tutta l’attività” per la quale si richiedeva il compenso era stata posta in essere senza alcun rapporto intercorrente tra l’ingegner XXX quale capogruppo dell’associazione di professionisti e il Comune di YYY, appare del tutto privo di fondamento l’assunto secondo il quale l’amministrazione municipale non avrebbe contestato le attività relative ai rilievi topografici plano-altimetrici, allo studio di impatto ambientale, al coordinamento per la sicurezza in fase di progettazione, trattandosi oltretutto di attività propedeutiche e funzionali a quella di progettazione definitiva ed esecutiva.
Il secondo motivo di gravame è diretto a sostenere la inammissibilità della eccezione sollevata dall’opponente, di mancata stipula di una convenzione di incarico in forma scritta fra il Comune di YYY e l’associazione di professionisti capeggiata dal XXX. Questo perché tale questione nella fase stragiudiziale precedente la instaurazione del processo non era stata sollevata neppure di fronte alle richieste di pagamento del compenso avanzate dal professionista. Inoltre, nel conferire il mandato al proprio difensore, l’amministrazione comunale non ha inteso contestare la mancata stipula della convenzione di incarico.
Il motivo è destituito di fondamento. I limiti all’attività professionale del difensore non possono essere desunti dal mandato ad litem, avendo la Corte di cassazione più volte affermato il principio secondo il quale il difensore è libero di scegliere la linea difensiva più opportuna per l’espletamento dell’incarico in piena autonomia adottando la condotta tecnico – giuridica ritenuta più confacente alla tutela del proprio cliente. (cfr. Corte di cassazione Sez. 2, Sentenza n. 5226 del 12/04/2002; Sez. 2, Sentenza n. 3883 del 12/03/2012).
A ciò si aggiunga il consolidato indirizzo giurisprudenziale secondo il quale per il contratto d’opera professionale, quando ne sia parte una P.A. e pur ove questa agisca “iure privatorum”, è richiesta, in ottemperanza al disposto degli artt. 16 e 17 del r.d. 18 novembre 1923, n. 2440, come per ogni altro contratto stipulato dalla P.A. stessa, la forma scritta “ad substantiam”, che è strumento di garanzia del regolare svolgimento dell’attività amministrativa nell’interesse sia del cittadino, costituendo remora ad arbitri, sia della collettività, agevolando l’espletamento della funzione di controllo, ed è, quindi, espressione dei principi d’imparzialità e buon andamento della P.A. posti dall’art. 97 Cost.; pertanto il contratto deve tradursi, a pena di nullità, nella redazione di un apposito documento, recante la sottoscrizione del professionista e del titolare dell’organo attributario del potere di rappresentare l’Ente interessato nei confronti dei terzi, dal quale possa desumersi la concreta instaurazione del rapporto con le indispensabili determinazioni in ordine alla prestazione da rendere ed al compenso da corrispondere. Di conseguenza, in mancanza di detto documento contrattuale, ai fini d’una valida conclusione del contratto rimane del tutto irrilevante l’esistenza di una deliberazione con la quale l’organo collegiale dell’Ente abbia conferito un incarico ad un professionista, o ne abbia autorizzato il conferimento, in quanto detta deliberazione non costituisce una proposta contrattuale nei confronti del professionista, ma un atto con efficacia interna all’Ente di natura autorizzatoria e diretta al diverso organo legittimato ad esprimere la volontà all’esterno. Deve inoltre escludersi che il contratto possa essere concluso a distanza, a mezzo di corrispondenza, occorrendo che la pattuizione sia versata in un atto contestuale, anche se non sottoscritto contemporaneamente. Tale difetto di forma scritta richiesta “ad substantiam” può essere rilevato d’ufficio dal giudice chiamato a decidere sulla domanda del professionista volta al pagamento del compenso, anche in grado di appello, salvo che sulla validità del contratto vi sia stata pronuncia del giudice di primo grado, non investita da specifico motivo di gravame. (cfr. Corte di cassazione Sez. 3, Sentenza n. 1702 del 26/01/2006, Rv. 588321 – 01). A prescindere dai limiti del mandato professionale quindi, il tribunale avrebbe potuto rilevare di ufficio il difetto di forma scritta del contratto d’opera.
Con il terzo motivo di gravame, l’appellante insiste sulla tesi già sostenuta in primo grado, secondo la quale il giudice di primo grado sarebbe incorso in un evidente errore di diritto nell’applicare la normativa in vigore alla data di conferimento dell’incarico all’ingegner XXX, poiché i precedenti giurisprudenziali citati dal tribunale riguardano fattispecie ricadenti sotto il vigore della legge comunale e provinciale numero 383 del 1934, che all’articolo 87 richiamava le norme sulla contabilità generale dello Stato (articoli 16 e 17 del regio decreto numero 2440/1923). A seguito dell’abrogazione della legge comunale e provinciale per effetto del decreto legislativo numero 267/2000, venuto meno il richiamo alle norme che impongono la forma scritta per i contratti delle amministrazioni statali, l’incarico professionale conferito all’ingegner XXX nel corso del 2002 sarebbe valido anche in difetto della forma scritta in quanto l’unico requisito richiesto dal testo unico degli enti locali, della copertura finanziaria relativa all’incarico professionale, è stato rispettato nel caso di specie.
L’appellante cita poi precedenti giurisprudenziali secondo i quali nell’ipotesi in cui la pubblica amministrazione si sia avvalsa comunque della progettazione fornita da un professionista al fine di conseguire il finanziamento dell’opera progettata, non può esimersi dal corrispondere il relativo compenso, anche nel caso in cui l’incarico non sia stato validamente conferito per qualsiasi ragione.
Osserva poi come il requisito della forma scritta per gli incarichi conferiti dalle amministrazioni locali sia stato reintrodotto a partire dal 2006 per effetto dell’entrata in vigore del codice dei contratti pubblici decreto legislativo 12 aprile 2006 numero 163, ma tale norma non ha efficacia retroattiva e quindi non si applicherebbe al contratto stipulato dal XXX nel 2002.
Inoltre, anche sotto il vigore dell’articolo 16 del regio decreto numero 2440/1923, non era prevista la formalizzazione dell’incarico professionale mediante la stipula di apposite convenzioni per iscritto tra il tecnico incaricato e l’amministrazione committente nell’ipotesi in cui l’amministrazione avesse proceduto alla scelta del contraente mediante il ricorso a una delle procedure ad evidenza pubblica essendo comunque previsto in tale norma che i processi verbali di aggiudicazione definitiva, in seguito ad incanti pubblici o private licitazioni, equivalgono per ogni legale effetto al contratto. Nel caso di specie, il conferimento dell’incarico professionale all’associazione di professionisti dell’ingegnere XXX, di cui faceva parte anche l’ingegner *** il cui incarico è tuttora in corso di espletamento, era avvenuto non a trattativa privata, bensì all’esito di apposita procedura ad evidenza pubblica indetta dal Comune di YYY autorizzata dalla Giunta comunale mediante delibera numero del 13 agosto 2002, in particolare all’esito di avviso pubblico regolarmente pubblicato all’albo pretorio del Comune di YYY dal 22 agosto al 6 settembre 2002, dal quale uscì vittoriosa l’associazione di professionisti dell’ingegner XXX. In seguito, quest’ultimo fu eletto consigliere comunale in occasione delle elezioni amministrative del 15 aprile 2008, e rassegnò le proprie dimissioni dall’incarico professionale essendosi verificata la situazione di incompatibilità di natura politica. Dopo le dimissioni dell’ingegner XXX, l’amministrazione comunale con delibera di Giunta numero 142 del 25 agosto 2008 demandò al direttore del secondo settore tecnico l’incarico di predisporre tutti gli atti e relativi adempimenti ai fini del proseguimento delle ulteriori fasi di progettazione dell’opera in questione già affidate alla associazione di professionisti dell’ingegner XXX, in gran parte già espletate da tale raggruppamento. L’amministrazione comunale pertanto decise di mantenere l’affidamento dell’incarico in capo alla medesima associazione di professionisti dell’ingegner XXX e di avvalersi dell’unico professionista che residuava quale suo componente, l’ingegner *** conferendogli l’incarico relativo.
Insomma, la sottoscrizione della convenzione sarebbe stata effettuata dall’ingegner *** non in nome proprio ma in nome e per conto della medesima associazione temporanea di professionisti a suo tempo costituita con l’ingegner XXX, il che comporta l’accettazione e la ratifica dell’incarico professionale e del lavoro sino ad allora svolto dalla suddetta associazione di professionisti di cui l’ingegner XXX è stato il principale componente nella misura del 70% fino alla data delle sue dimissioni. Si può quindi ritenere secondo l’appellante che la sottoscrizione della convenzione da parte dell’unico componente rimasto della associazione temporanea di professionisti ove anche effettuata per la prima volta da parte dell’ingegner *** il 18 dicembre 2008 abbia sanato con efficacia ex tunc l’eventuale mancata sottoscrizione della convenzione con la medesima associazione di professionisti.
La difesa del Comune con riferimento al terzo motivo di appello ha osservato come l’articolo 16 comma 4 del regio decreto numero 2440/1923 va interpretato nel senso che il principio da esso fissato non ha di per sé natura automatica e obbligatoria ma opera a patto che non risulti la volontà dell’amministrazione di rinviare la costituzione del vincolo negoziale al momento successivo della stipulazione del contratto la quale perciò rappresenta la vera ed unica fonte del rapporto negoziale. Nel caso che ci occupa, con la determina numero /2002 l’amministrazione comunale rimandò per la formalizzazione dell’incarico ad una successiva apposita convenzione professionale richiedendo la produzione di apposito atto notarile di associazione temporanea stipulato il 2 ottobre 2002, quindi dopo il processo verbale di aggiudicazione dell’incarico.
L’appellato contesta poi la tesi secondo la quale l’affidamento del nuovo incarico per la redazione del progetto all’ingegner *** dovrebbe imputarsi pur sempre alla ATP dell’ing. XXX e quindi finirebbe per sanare con efficacia ex tunc la mancata sottoscrizione. Questo perché secondo la scrittura privata autenticata costitutiva dell’associazione di professionisti tra l’ingegner XXX e l’ingegner *** i poteri di rappresentanza erano conferiti unicamente all’ingegner XXX, il solo con facoltà di stipulare in nome e per conto dei professionisti riuniti tutti gli obblighi contrattuali conseguenti necessari per l’affidamento, la gestione e l’esecuzione dell’incarico professionale. In secondo luogo, l’articolo 3 della scrittura privata prevede che l’associazione di professionisti si sarebbe sciolta automaticamente e quindi senza obbligo di particolari formalità o adempimenti all’esaurimento della prestazione o in caso di mancato affidamento dell’incarico professionale. Si sarebbe quindi verificato lo scioglimento dell’associazione a causa del mancato affidamento dell’incarico non formalizzato con apposita convenzione che doveva essere sottoscritta dall’ingegnere XXX in nome e per conto dell’associazione temporanea di professionisti.
Il motivo è destituito di fondamento.
Il tribunale ha fatto corretta applicazione del consolidato insegnamento giurisprudenziale citato in precedenza, secondo il quale per il contratto d’opera professionale, quando ne sia parte committente una pubblica amministrazione, e pur ove questa agisca iure privatorum, è richiesta, in ottemperanza al disposto del R.D. 18 novembre 1923, n. 2440, artt. 16 e 17, come per ogni altro contratto stipulato dalla pubblica amministrazione stessa, la forma scritta ad substantiam, che è strumento di garanzia del regolare svolgimento dell’attività amministrativa nell’interesse sia del cittadino, costituendo remora ad arbitri, sia della collettività, agevolando l’espletamento della funzione di controllo, ed è, quindi, espressione dei principi di imparzialità e buon andamento della pubblica amministrazione posti dall’art. 97 Cost. Il contratto deve, quindi, tradursi, a pena di nullità, nella redazione di un apposito documento, recante la sottoscrizione del professionista e del titolare dell’organo attributario del potere di rappresentare l’ente interessato nei confronti dei terzi, dal quale possa desumersi la concreta instaurazione del rapporto con le indispensabili determinazioni in ordine alla prestazione da rendere e al compenso da corrispondere.
Di conseguenza, in mancanza di detto documento contrattuale, ai fini d’una valida conclusione del contratto rimane del tutto irrilevante l’esistenza di una deliberazione con la quale l’organo collegiale dell’ente abbia conferito un incarico a un professionista, o ne abbia autorizzato il conferimento, in quanto detta deliberazione non costituisce una proposta contrattuale, ma un atto con efficacia interna all’ente, che, almeno ai fini che ne occupano, ha solo natura autorizzatoria e quale unico destinatario il diverso organo legittimato a esprimere la volontà all’esterno.
L’unica ipotesi di contratto validamente concluso da una pubblica amministrazione per mezzo di corrispondenza, e cioè tra assenti, sia pure con l’osservanza della forma scritta, è quella dei contratti conclusi con ditte commerciali, valendo in ogni altro caso l’obbligo della forma scritta contestuale a pena di nullità. Tale principio, peraltro, deve essere mantenuto fermo anche dopo l’abrogazione del R.D. 3 marzo 1934, n. 383 (testo unico delle leggi comunali e provinciali), che all’art. 87 richiamava il disposto della norma della legge di contabilità generale dello Stato, in quanto maggiormente consono all’evidenza pubblica del contratto, necessario al controllo istituzionale e della collettività sull’operato dell’ente e quindi, in definitiva, funzionale all’esigenza di assicurare l’imparzialità e il buon andamento della pubblica amministrazione (cfr. Corte di cassazione Sez. 1, Sentenza n. 1752 del 2007; Sez. 1, Sentenza n. 17327 del 2008).
Tale orientamento non risulta contraddetto dalla sentenza citata dall’appellante (Corte di cassazione Sez. 1, Sentenza n. 15296 del 2007), che in motivazione ha osservato come all’epoca della vicenda controversa il T.U. della legge comunale e provinciale di cui al R.D. 3 marzo 1934, n. 383, art. 87, comma 1, il quale estendeva ai contratti stipulati dai Comuni le forme stabilite per i contratti dello Stato, era ancora in vigore, ai sensi della L.8 giugno 1990, n. 142, art. 64, comma 1, lett. c), essendo stata tale disposizione abrogata solo successivamente dal D.Lgs. n. 267 del 2000, art. 274, comma 1, lett. a), inapplicabile ratione temporis. L’impugnazione pertanto si presentava destituita di fondamento dal punto di vista fattuale, poiché l’abrogazione della norma che richiamava per i contratti stipulati dai comuni le forme stabilite per i contratti dello Stato era intervenuta successivamente ai fatti controversi. I giudici di legittimità tuttavia, in tale decisione non si sono pronunciati espressamente sulla legittimità di un contratto stipulato verbalmente dal Comune successivamente all’abrogazione della legge comunale e provinciale, contrariamente alle altre decisioni che si sono riportate infra. Ritiene pertanto il collegio che nel disporre l’abrogazione del regio decreto numero 383/1934 (legge comunale e provinciale), il legislatore non abbia inteso far venir meno la necessità della forma scritta per i contratti delle amministrazioni locali, tanto è vero che nel 2006 ha espressamente introdotto tale requisito, che trova la sua fondamentale ragion d’essere nell’articolo 97 dalla costituzione al fine di evitare spazi di opacità se non di arbitrio nell’operato della pubblica amministrazione.
Neppure può essere condiviso il richiamo fatto dall’appellante all’articolo 16 del regio decreto numero 2440/1923, avendo la Corte di cassazione affermato che nei contratti stipulati dalla P.A. con il sistema dell’asta pubblica o della licitazione privata, il processo verbale di aggiudicazione definitiva equivale per ogni effetto legale al contratto, con forza immediatamente vincolante per entrambe le parti, salvo che dallo stesso verbale non risulti la volontà dell’amministrazione di rinviare la costituzione del vincolo negoziale al momento successivo della stipulazione del contratto, la quale, perciò, in tal caso, non assume il valore di un mero atto formale e riproduttivo, ma rappresenta la vera ed unica fonte del rapporto negoziale. (cfr. Corte di cassazione Sez. 1, Sentenza n. 7481 del 27/03/2007).
In precedenza, già le sezioni unite avevano affermato che il verbale di aggiudicazione definitiva, a seguito di incanto pubblico o licitazione privata, non necessariamente equivale, ad ogni effetto di legge, al contratto perché l’art. 16, quarto comma, R.D. 18 novembre 1923 n. 2440 ha natura dispositiva – com’è confermato dall’ art. 89 R.D. 23 maggio 1924 n. 827, che prevede l’invio agli interessati, prima dell’ aggiudicazione, di uno schema negoziale contenente le condizioni generali e speciali, non escluse quelle relative al quando – e pertanto la P.A., alla quale spetta valutare discrezionalmente l’ interesse pubblico, può rinviare, anche implicitamente, la costituzione del vincolo al momento della stipulazione del contratto, fino al quale non sussiste un diritto soggettivo dell’ aggiudicatario all’ esecuzione di esso (cfr. Corte di cassazione Sez. U, Sentenza n. 5807 del 11/06/1998).
Ebbene, dalla determinazione dell’ufficio tecnico comunale di YYY numero 134 del 16 settembre 2002 si rileva che l’affidamento dell’incarico progettuale all’associazione temporanea di imprese formata dall’ingegner XXX e dall’ingegner *** doveva essere seguito dalla formalizzazione dell’incarico mediante apposita convenzione sottoscritta previa presentazione di atti e documentazione da richiedere con separato atto.
Anche il terzo profilo sollevato dall’appellante appare privo di fondamento, in quanto l’atto costitutivo dell’associazione temporanea di professionisti registrato il 16 ottobre 2002 attribuiva i poteri di rappresentanza esclusivamente all’ingegner XXX, con la conseguenza che la convenzione di incarico professionale intervenuta il 18 dicembre 2008 fra l’ente committente e l’ingegner *** non può essere imputata all’associazione temporanea di professionisti. Oltretutto, l’articolo 1 della convenzione espressamente conferiva “al professionista incaricato” e cioè all’ingegnere *** l’incarico di progettazione esecutiva dell’opera sistemazione idraulica della strada. Risulta chiaro della convenzione che l’ingegner *** sottoscrisse il documento a titolo personale e non quale rappresentante dell’associazione temporanea di professionisti che alla data di conferimento dell’incarico all’ingegner *** si era già sciolta senza l’obbligo di particolari formalità, per effetto del mancato affidamento dell’incarico professionale come previsto dall’articolo 3 della scrittura privata di costituzione dell’associazione. Infatti, non si era verificata la condizione contemplata dalla determina dell’ufficio tecnico comunale numero 134/2002 che come si è visto, prevedeva la formalizzazione dell’incarico mediante apposita convenzione.
Neppure può essere accolto il motivo sotto il profilo adombrato di una utilizzazione delle prestazioni svolte dall’appellante, qualora con esso si sia voluto introdurre una domanda di arricchimento ex articolo 2041 del codice civile, in difetto di uno specifico motivo di gravame avverso la sentenza di primo grado che come si è visto, ha osservato come il compimento da parte degli organi comunali di atti di riconoscimento esplicito od implicito dell’utilità dell’opera professionale prestata dal XXX poteva rilevare ai fini del promovimento di una futura azione di ingiustificato arricchimento, azione che evidentemente non è stata ritualmente promossa nel precedente grado di giudizio.
Il quarto motivo di appello risulta assorbito dal rigetto dei precedenti motivi, in quanto il tribunale non si è pronunciato sulla eccezione sollevata dall’ente opponente, di ineseguibilità e non cantierabilità del progetto elaborato dall’associazione di professionisti dell’ingegner XXX.
Altresì infondato appare il quinto motivo di gravame con il quale si contesta la condanna dell’opposto al pagamento delle spese processuali. Vale la pena di osservare che la causa è stata introdotta nel 2013, quando l’articolo 92 c.p.c. consentiva la compensazione delle spese solo nel caso di soccombenza reciproca o di altre gravi ed eccezionali ragioni, nella specie non ravvisabili.
In conclusione, l’appello deve essere integralmente rigettato. Le spese processuali seguono la regola della soccombenza e sono liquidate in dispositivo ai sensi del decreto ministeriale numero 55/2014 e successive modifiche, omessa la fase della trattazione ed istruttoria che non si è svolta.
L’appellante è tenuto a versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione a norma dell’articolo 13 comma 1 bis d.p.r. 30 maggio 2002 numero 115 ai sensi dell’art.13 comma 1 quater del d.p.r. 30 maggio 2002 numero 115 inserito dall’articolo 1 comma 17 della legge 24 dicembre 2012 numero 228 applicabile ai procedimenti iniziati in data successiva al 30 gennaio 2013, dovendosi aver riguardo al momento in cui la notifica dell’atto di impugnazione si è perfezionata, con la ricezione dell’atto da parte del destinatario (cfr. Corte di cassazione Sez. 6 – 3, Sentenza n. 14515 del 10/07/2015, Rv. 636018).
P.Q.M.
La Corte, pronunciando definitivamente sull’appello proposto da XXX con atto di citazione notificato l’11 giugno 2015 nei confronti del Comune di YYY avverso la sentenza numero 234/2015 del Tribunale di Foggia pubblicata il 21 aprile 2015, così provvede:
1) Rigetta l’appello;
2) Condanna l’appellante al pagamento delle spese processuali di secondo grado in favore del Comune di YYY e le liquida in 9515,00 € oltre al rimborso forfettario del 15%, Iva e contributo previdenziale come per legge;
3) dichiara che nei confronti dell’appellante ricorrono le condizioni per il versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione a norma dell’articolo 13 comma 1 bis d.p.r. 30 maggio 2002 numero 115.
Così deciso in Bari nella Camera di Consiglio del 20 settembre 2019.
Il Presidente
Il consigliere estensore
La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di
Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.
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