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Codice Penale

Il Fondo di garanzia per la previdenza complementare e l’insinuazione al passivo fallimentare del credito del lavoratore

La sentenza chiarisce che per accedere al Fondo di garanzia per la previdenza complementare, il lavoratore deve aver insinuato al passivo fallimentare il proprio credito, che in origine di natura retributiva, assume natura previdenziale solo a seguito del versamento al Fondo. In caso di fallimento del datore di lavoro, il lavoratore, è legittimato ad insinuarsi al passivo per ottenere la soddisfazione del proprio credito in via privilegiata, subentrando il Fondo di garanzia, in caso di pagamento, nei diritti del lavoratore.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE DI APPELLO DI NAPOLI sezione controversie di lavoro e di previdenza ed assistenza composta dai magistrati:
1. dr.
NOME COGNOME Presidente 2. dr.
NOME COGNOME Consigliere rel.
3. dr.
NOME COGNOME Giudice NOME riunita in camera di consiglio ha pronunciato in grado di appello il 13/05/2024 la seguente

SENTENZA N._2023_2024 – N._R.G._00003145_2021 DEL_10_06_2024 PUBBLICATA_IL_11_06_2024

nella causa civile iscritta al n. 3145/2021 r.g. sez. lav., vertente tra in persona del l.r.p.t. , rappresentata e difesa dall’Avv. NOME COGNOME e con lo stesso elettivamente domiciliato in NAPOLI Appellante

rappresentato e difeso dall’ Avv.to COGNOME e con gli stessi elettivamente domiciliata in AVERSA Appellato

FATTO E DIRITTO

Con ricorso depositato presso questa Corte il 04.11.2021, l’ proponeva appello avverso la sentenza n. 3070/2021 del Tribunale di Napoli, in funzione di Giudice del Lavoro, pubblicata in data 05.05.2021, che aveva accolto la domanda di e condannato l’ quale gestore del Fondo di Garanzia per la posizione di previdenza complementare di cui all’art. 5 del D.lgs. 80/92, a versare al fondo, il TFR spettante che, invece, l’ gli aveva negato in ragione della mancata ammissione del credito al passivo fallimentare nelle modalità corrette (ossia in privilegio).

In particolare, l’appellante censurava la sentenza nella parte in cui ritiene:

1) irrilevante la modalità di ammissione del credito al passivo fallimentare ai fini dell’attivazione della garanzia di cui al Fondo previsto dall’art. 5, comma 2, D. Lgs. 80/1992;
2) rilevante il pagamento della prestazione, in relazione a diverse posizioni analoghe a quella controversa;
3) condannato l’ al pagamento TFR nei confronti del Fondo complementare, non essendo tale domanda formulata nel ricorso di prime cure, così incorrendo nel vizio di ultrapetizione.

Ricostituito il contraddittorio, l’appellato eccepiva l’infondatezza degli spiegati motivi d’appello insistendo per la conferma della sentenza.

Trattata con modalità cartolare ex art. 127 ter cpc, la causa veniva decisa come da dispositivo in atti.

*** L’appello è fondato per quanto si dirà.

Va innanzitutto, esaminato il III motivo di gravame che ove fondato assorbirebbe gli altri.

Si lamenta il vizio di ultrapetizione in cui sarebbe incorso il giudice di I cure per aver condannato al versamento del TFR in favore del fondo complementare , pur essendo stata invece domandata dal la condanna al pagamento in proprio favore.

Occorre, al riguardo, riportare le conclusioni spiegate nel ricorso di I grado:

“Condannarsi in persona del Presidente pro- tempore dom.to per la qualità c/o la sede dello stesso in Roma, , per le ragioni di cui in premessa, a pagare immediatamente all’istante la somma di €.18.122,01 a titolo di quota T.F.R non versata al Fondo, oltre interessi e rivalutazione come per legge, e/o il versamento della detta somma al Fondo Complementare ad integrazione della propria posizione,oltre interessi e rivalutazione monetaria come per legge.

” La sentenza, quindi, non si è e discostata dalla domanda spiegata dal accogliendo quella proposta in via alternativa alla principale.

Deve, invece, ritenersi fondato il I motivo di gravame.

L’art.5 del D.Lgs. n.80/1992 ha istituito un apposito fondo di garanzia teso ad assicurare i lavoratori contro il rischio derivante dall’omesso o insufficiente versamento, da parte dei datori di lavoro, dei contributi dovuti ai fini delle pensioni di vecchiaia e superstiti.
La disposizione prevede che “Nel caso in cui, a seguito dell’omesso o parziale versamento dei contributi di cui al comma 1 ad opera del datore di lavoro, non possa essere corrisposta la prestazione alla quale avrebbe avuto diritto, il lavoratore, ove il suo credito sia rimasto in tutto o in parte insoddisfatto in esito ad una delle procedure indicate al comma 1, può richiedere al Fondo di garanzia di integrare presso la gestione di previdenza complementare interessata i contributi risultanti omessi.

Il fondo interviene non attraverso il pagamento diretto di prestazioni pensionistiche in favore In generale, è stato evidenziato che il sistema della previdenza complementare differisce dal regime previdenziale obbligatorio, essendo contraddistinto dalla volontarietà dei versamenti e persegue l’interesse del singolo lavoratore di accrescere la sua pensione di vecchiaia.

Il fondo di previdenza complementare, quindi, non è finanziato secondo il principio della c.d. ripartizione (applicabile alla sola previdenza obbligatoria, nel cui ambito l’interesse perseguito ha natura collettiva e pubblicistica, essendo a favore non solo del singolo pensionato, ma dell’intero sistema sociale), bensì secondo il principio dell’accantonamento (in cui ciascuno versa solo nel proprio interesse individuale), con conseguente inapplicabilità del principio di automaticità delle prestazioni di cui all’art. 2116 c.c.. Quanto alla natura giuridica dei versamenti effettuati dal datore di lavoro per la previdenza complementare, la suprema Corte ne ha affermato la natura previdenziale e non retributiva ( cfr. Cass. 19792/2015; Cass. Sezioni 4684/2015; Cass. Sez. Unite 4949/2015; Cass. Sez. Unite 6928/2018).

Tanto precisato e premesso che la materia sub iudice è oggetto di discordi interpretazioni su molteplici questioni, compresa quella oggetto di gravame, pare corretta al collegio l’impostazione seguita dall’ che ha impugnato la sentenza ritenendo che il lavoratore non abbia diritto all’intervento del fondo di garanzia per le somme che non siano state ammesse al passivo in privilegio, ma in chirografo.

Dagli atti, innanzitutto, non risulta che il ricorrente sia stato ammesso al passivo né che il suo credito sia pari alla somma di euro 18.122,01 nemmeno quale creditore chirografario, come si asserisce in ricorso.

Dal provvedimento del giudice delegato del 28.09.2017 depositato in atti, invero, si evince la sola ammissione del Fondo per euro 184.542, 38 in chirografo.

Non v’è, pertanto, prova del credito vantato dal singolo lavoratore nè del relativo importo, elementi la cui evidente necessità ai fini dell’accesso al Fondo di garanzia – come emerge nel caso di specie – induce a prendere posizione in ordine alla dibattuta questione della legittimazione del lavoratore o del fondo previdenziale alla tutela del credito contributivo ed, in caso di fallimento del datore di lavoro, all’insinuazione al passivo, nel senso di ritenere essenziale il riconoscimento della predetta legittimazione in capo al lavoratore, a prescindere da quella concorrente (da taluni pure sostenuta) del fondo che, invece, giammai potrebbe essere esclusiva (come ritengono coloro che qualificano il rapporto tra il lavoratore ed il fondo di , fa riferimento al credito insoddisfatto del lavoratore (.. il lavoratore, ove il suo credito sia rimasto in tutto o in parte insoddisfatto in esito ad una delle procedure indicate al comma 1, può richiedere al Fondo di garanzia…)

Chiarificatrice è la recente giurisprudenza della Cassazione (n. 11198/2024) che ha affermato un essenziale distinguo in ordine alla natura e titolarità del credito:

“In materia di fondi pensione complementari, se il datore di lavoro non adempie l’obbligo di versare le quote del TFR maturando al fondo di previdenza scelto dal lavoratore, questi resta creditore nei confronti del datore del corrispondente importo di natura retributiva e nel relativo debito…”;

pronunzia che si coordina perfettamente con quanto già affermato da Cass. n. 19510 del 2023, secondo cui il credito del lavoratore al T.F.R. accantonato presso il datore di lavoro, con la finalità di destinazione alla previdenza complementare e in origine di natura «retributiva», assume natura «previdenziale» nel momento di attuazione del vincolo di destinazione, vale a dire con il versamento, al Fondo di previdenza complementare, delle risorse finanziarie del lavoratore – sub specie di contribuzione o di conferimento di quote di T.F.R. – accantonate dal datore di lavoro, su mandato del lavoratore medesimo.

La premessa sulla natura giuridica del credito di cui alla citata pronunzia n. 11198/2024 consente alla Corte di Cassazione di trarne il precipitato logico-giuridico in punto di legittimazione alla tutela, asserendo, per quanto di interesse nella presente fattispecie, che:
“il fallimento del datore di lavoro, quale mandatario del lavoratore, comporta lo scioglimento del contratto di mandato, ai sensi dell’art. 78, comma 2, l. fall. e il ripristino della titolarità, spettante, di regola, al lavoratore, così legittimato ad insinuarsi allo stato passivo, salvo che dall’istruttoria emerga che vi sia stata una cessione del credito (ndr secondo le previsioni statutarie del fondo) in favore del Fondo di previdenza complementare, cui in tal caso spetta la legittimazione attiva ai sensi dell’art. 93 l. fall. ” La mancata insinuazione del al passivo fallimentare costituisce un aspetto dirimente che esclude la fondatezza della domanda, al quale si aggiunge un’ulteriore considerazione.

Non è condivisibile l’impostazione del giudice di prime cure che desume dal tenore letterale dell’art. 5 cit. l’irrilevanza delle modalità di ammissione del credito; la conclusione appare il frutto di una lettura monca della disposizione.

Se è vero che la norma non specifica che il credito debba esser ammesso in privilegio, è altrettanto vero che tale requisito si desume, come correttamente osserva l’appellante, di surroga, riconosciuto dal combinato disposto del D.Lgs. n. 80 del 1992, artt. 2, comma 3, e della L. n. 297 del 1982, art. 2, comma 7, “Il fondo è surrogato di diritto al lavoratore o ai suoi aventi causa nel privilegio spettante sul patrimonio dei datori di lavoro ai sensi dell’art. 2751 bis c.c., e art. 2776 c.c., per le somme da esso pagate”.

Dunque – per ricondurre ad unità il sistema di funzionamento del fondo di garanzia ed in conseguenza stessa del meccanismo legale di operatività della “surroga” di cui agli artt. 1201 e ss. cc che implica la successione del surrogante negli stessi diritti che aveva il creditore – affinchè la surroga dell’ possa avvenire, ai sensi di legge, nel “privilegio”, è necessario che il lavoratore sia stato ammesso al passivo nella medesima modalità.

Più a monte, va rilevato che il problema della mancata ammissione privilegiata è frutto proprio della omessa attivazione del lavoratore, non insinuatosi personalmente al passivo fallimentare, aspetto che ne avrebbe consentito – attesa la natura retributiva del credito, come sopra argomentata – l’ammissione privilegiata.

Per le ragioni espresse, l’appello va accolto.

La complessità delle questioni affrontate, l’esistenza di orientamenti contrastanti e gli interventi nomofilattici in corso di causa giustificano la compensazione delle spese del doppio grado.

PQM

La Corte così decide, in accoglimento dell’appello ed in riforma della sentenza di I grado:
– rigetta la domanda formulata da – compensa le spese del doppio grado.
Napoli 13/05/2024

Il Consigliere estensore Il Presidente dr.ssa NOME COGNOME dr.ssa NOME COGNOME

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