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Codice Penale

Illecito di danno da pratica commerciale scorretta, dieselgate

La sentenza analizza la natura dell’illecito di danno da pratica commerciale scorretta, distinguendola dall’illecito di pericolo. Inoltre, viene ribadita la necessità di provare il danno conseguenza e il nesso causale tra la condotta e il pregiudizio lamentato dal consumatore per ottenere il risarcimento. Infine, la Corte specifica le condizioni per l’applicazione della valutazione equitativa del danno.

Pubblicato il 06 December 2024 in Diritto Civile, Diritto Commerciale, Giurisprudenza Civile

Repubblica Italiana CORTE DI APPELLO DI GENOVA SEZIONE TERZA CIVILE

In nome del Popolo italiano riunita in camera di consiglio nelle persone dei magistrati Dott. NOME COGNOME Presidente Dott. ssa NOME COGNOME Consigliere Avv. NOME COGNOME Giudice Ausiliario rel. ha pronunciato la seguente

SENTENZA N._1366_2024_- N._R.G._00000317_2022 DEL_14_11_2024 PUBBLICATA_IL_14_11_2024

nella causa nr 317/2022 promossa da:

persona del legale rappresentante pro tempore, con sede in Germania, elettivamente domiciliata agli indirizzi pec presso gli avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME che congiuntamente e disgiuntamente la rappresentano e difendono come da procura generale alle liti in atti, COGNOME Contro in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata agli indirizzi pec presso gli avvocati NOME COGNOME e COGNOME che congiuntamente e disgiuntamente la rappresentano e difendono per mandato in atti COGNOME Nonché contro elettivamente domiciliato all’indirizzo pec presso l’avv NOME COGNOME che lo rappresenta e difende per mandato in calce all’atto di citazione di primo grado COGNOME

CONCLUSIONI

Per l’Appellante:

Voglia, l’Ecc.ma Corte di Appello adita, contrariis reiectis, riformare integralmente la sentenza n. 2160 resa dal Tribunale di Genova nella persona del Giudice dott.ssa COGNOME in data 3 ottobre 2021 e pubblicata in data 5 ottobre 2021 non notificata e, per l’effetto, così giudicare:

– rigettare integralmente le domande formulate dal sig. nei confronti di in quanto del tutto infondate in fatto ed in diritto per i motivi illustrati nell’atto di appello, nelle note depositate in vista dell’udienza tenutasi in trattazione scritta del 15 settembre 2022 e negli atti depositati nel primo grado del presente giudizio e, per l’effetto, – condannare il sig. a restituire a l’importo di Euro 11.906,85, (versato da in ottemperanza alla sentenza di primo grado), oltre interessi legali e rivalutazione monetaria dal 13 ottobre 2021 al saldo; – con vittoria di spese, diritti ed onorari di entrambi i gradi del giudizio.

Per l’Appellata “….fermo che il coinvolgimento in giudizio di deve intendersi avvenuto ai soli fini del rispetto della regola del litisconsorzio necessario, per mero tuziorismo si intende precisare quanto segue.

Con la Sentenza è stato correttamente affermato che non avendo “partecipato in alcun modo alle fasi di progettazione, costruzione, ed omologazione della vettura, al momento della vendita non poteva avere conoscenza diretta né indiretta della vicenda”, il che – ha coerentemente affermato il Giudice a quo – “porta ad escludere la responsabilità dell’ per prassi commerciale ingannevole, perché la concessionaria effettivamente non poteva essere al corrente nel 2011 (anno della vendita dell’autovettura) di quanto è emerso solo a seguito delle indagini condotte nel 2015 dalla agenzia americana per l’ambiente (EPA)” Per l’Appellato “Voglia l’On. Corte di Appello adita, disattesa ogni contraria richiesta, provvedere come segue:

In via preliminare e/o pregiudiziale:

dichiarare inammissibile il motivo di appello N. 9 formulato dall’appellante:

”Violazione e/o falsa applicazione degli art. 1223, 1227, 2043, 2055 e 2697 cc, degli art. 115 e 116 cpc e dell’art. 130 del codice del consumo e contraddittorietà della motivazione in relazione all’accertamento del danno patrimoniale nella parte in cui non è stata dichiarata inammissibile la domanda attorea (pag. 52-56 atto di appello Volkswagen A.G.)” Nel merito:

Respingere e/o rigettare l’appello proposto da RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro-tempore, confermare integralmente il contenuto della sentenza n. 2160/2021 resa dal Tribunale di Genova nella persona del Giudice Dott.ssa COGNOME nel procedimento avente RG 1390/2016 in data 03/10/2021 e pubblicata in data 05/10/2021 e, per l’effetto, respingere e/o rigettare la domanda di condanna alla restituzione a favore di RAGIONE_SOCIALE dell’importo di € 11.906,85 oltre interessi legali e rivalutazione monetaria dal 13/10/2021 al saldo. Con vittoria di spese, competenze e onorari del presente e del precedente grado di giudizio”.

FATTO E

MOTIVI DELLA DECISIONE

1.Con sentenza n. 2160/2021 pubblicata il 5.10.2021, il Tribunale ordinario di Genova dichiarava inammissibile nei confronti della concessionaria auto convenuta originariamente, mentre accoglieva nei confronti di successivamente chiamata in causa dall’attore, la domanda proposta da di risarcimento dei danni asseritamente derivati dalla installazione, da parte del costruttore, sull’autovettura modello TARGA_VEICOLO, di un software illegale per il controllo delle emissioni di sostanze inquinanti.

All’esito dell’ istruttoria, discostandosi peraltro dalle conclusioni della CTU espletata, il Giudice di prime cure, preso atto che fosse circostanza non contestata l’installazione del software denominato “defeat device” sulla vettura di proprietà dell’attore;

che l’illegalità del suddetto software risultasse da Provvedimento AGCOM n. 26137 del 2016 (debitamente allegato alla memoria art. 183 n. 2 cpc di parte attrice) con cui l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato aveva sanzionato RAGIONE_SOCIALE per pratica commerciale scorretta ex art 20 comma 2 , art 21 comma 1 lett. b) e art 23 comma 1 lettera d) Codice del Consumo (testualmente menzionato in sentenza);

che tale provvedimento AGCM fosse stato confermato dal TAR Lazio (pur essendo sub judice innanzi al Consiglio di Stato);

che la natura illecita del dispositivo fosse stata accertata dalla pronuncia pregiudiziale causa C-693/18 della Corte di Giustizia UE, che aveva qualificato il software di cui è causa “impianto di manipolazione” idoneo a ridurre “a monte” in fase di procedure di omologazione le emissioni del veicolo sottoposto a test affinchè le stesse rispettassero le soglie stabilite dal regolamento n. 715/2007;

che pertanto risultasse agli atti del giudizio che la autovettura venduta all’attore non rispettasse il Regolamento europeo 715/2007 con riguardo alle emissioni degli ossidi di azoto;

rigettate in quanto infondate le eccezioni preliminari (di prescrizione e di asserita “mutatio libelli”) sollevate dalla parte convenuta, dopo aver inquadrato la questione normativamente attraverso la disamina degli artt. 18 e ss del DLgs 206/2005 e ss. mm. , della normativa comunitaria di cui alla Direttiva 2007/46/CE, e del Regolamento CE n. 715/2007, deduceva quanto segue.

Successivamente alla scoperta, avvenuta nel 2015, della ingannevolezza della pratica rappresentata dall’utilizzo sulle proprie autovetture del dispositivo di cui è causa da parte di il KBA (Autorità Federale dei Trasporti Tedesca, organo deputato al controllo delle omologazioni delle vetture prodotte in Germania), nella comunicazione del settembre 2015 aveva imposto l’adozione, da parte della casa produttrice convenuta, di un piano di interventi per l’eliminazione delle irregolarità, attraverso la rimozione del dispositivo e l’adozione di misure idonee a garantire il rispetto del tasso soglia di emissioni inquinanti dei veicoli già sul mercato o già in circolazione: risultava pertanto integrato da , con la propria condotta, l’illecito di cui agli artt. 21 comma 1 lettera b) e 22 Codice del Consumatore, in quanto le comunicazioni pubblicitarie omissive e fuorvianti per il consumatore avevano fatto sì che egli non fosse stato posto nella condizione di compiere una scelta consapevole, e si fosse determinato all’acquisto nella erronea convinzione che il produttore avesse tra i propri obiettivi primari la tutela dell’ambiente.

Ininfluente appariva la circostanza che in conseguenza del cd “dieselgate” non ci fosse stato un calo delle vendite dei veicoli o un loro deprezzamento, essendo l’illecito consumieristico un illecito di pericolo “considerata l’astratta idoneità della pratica a falsare il comportamento economico del lavoratore nella sua scelta d’acquisto a prescindere da una valutazione dell’effettivo danno economico concretamente causato” .

Il Giudice di prime cure motivava inoltre il proprio scostamento dalle risultanze della CTU espletata – che, in risposta ai quesiti posti dal Tribunale, aveva escluso il danno – dichiarando che “gli aspetti esaminati dal consulente nominato dal tribunale attengono alla domanda di riduzione del prezzo” (svolta nei confronti della concessionaria sicchè non scalfissero il profilo, relativo alla richiesta indirizzata nei confronti della terza chiamata, che riguardava il risarcimento del danno da ingannevolezza della pratica commerciale. In ordine alla posizione della concessionaria citata in giudizio dall’attore per responsabilità contrattuale fondata sulla violazione dell’art 130 codice del consumo, rilevava il Giudicante che, trattandosi di vendita di beni di consumo, il difetto di conformità consentisse al consumatore di esperire i vari rimedi di cui all’art 130 citato secondo un ben preciso ordine, che prevede il rimedio primario della riparazione e/o sostituzione e solo in secondo luogo, ed alle condizioni ivi previste, l’azione di riduzione del prezzo: il mancato rispetto dell’ordine gerarchico previsto dalla norma attraverso l’esperimento in prima battuta dell’azione di riduzione rendeva la domanda pertanto inammissibile.

ordine alla responsabilità della ditta produttrice, fermo quanto detto in ordine alla responsabilità risarcitoria da illecito, il danno risarcibile andava quantificato sulla base del criterio omogeneo di calcolo basato sul parametro unitario il cui importo è pari al 15% del prezzo medio di acquisto dei veicoli coinvolti nel cd “dieselgate”:

essendo pacifico che il prezzo di acquisto dell’autovettura da parte dell’attore fosse stato di euro 23.500,00 , il Giudicante quantificava dunque in euro 3.540,00 il risarcimento dovuto, oltre interessi e rivalutazione.

Rigettava invece la richiesta di risarcimento del danno morale, in quanto non provato.

2.Avverso la sentenza suddetta ha proposto appello concludendo come in epigrafe.

Si è costituito resistendo all’appello, e chiedendo confermarsi la sentenza di primo grado.

Si è costituita altresì rappresentando di essere stata convenuta solo ai fini della integrità del litisconsorzio, senza che domanda alcuna fosse stata spiegata nei suoi confronti.

All’udienza del 15.09.2022 tenutasi nelle forme della trattazione scritta, questa Corte ha rinviato la causa per la precisazione delle conclusioni all’udienza del 9.11.2023, rinviata d’ufficio al 28.03.2024 e successivamente anticipata al 21.03.2024, data in cui la causa è stata trattenuta in decisione con i termini di cui all’art 190 cpc.

MOTIVI DELLA DECISIONE

3.Con il primo motivo l’appellante ha dedotto “Violazione degli artt. 115 cpc e 2.697 c.c. in relazione all’accertamento dei fatti posti a fondamento della decisione rispetto alla liceità dello ed ai livelli di emissione prodotti dagli autoveicoli”.

Secondo l’appellante, erroneamente il Giudice avrebbe ritenuto provate le circostanze di fatto poste a base della decisione, e cioè:

1) la installazione sui veicoli equipaggiati con motorizzazione TARGA_VEICOLO di un software configurante un impianto di manipolazione per la riduzione dell’efficacia dei sistemi di controllo delle emissioni vietato dalla normativa citata;

che l’installazione di tale software avrebbe determinato la produzione di emissioni di NOx superiori a quelle consentite dal regolamento CE 2007.

Una corretta valutazione degli elementi di prova da parte del giudice avrebbe in realtà dovuto portare ad un rigetto della domanda:

secondo il Tribunale la presunta illiceità del software di cui è causa sarebbe risultata dal provvedimento AGCM citato ampiamente a stralcio dalla sentenza gravata;

tuttavia:

innanzitutto AGCM non aveva eseguito alcuna autonoma verifica, sicché non poteva aver accertato né l’esistenza di un dispositivo vietato negli autoveicoli indicati, né i livelli di emissione di NOx generati dai suddetti autoveicoli e la conformità o meno delle emissioni suddette rispetto al regolamento CE 2007;

in secondo luogo il Tribunale aveva impropriamente citato la parte del provvedimento AGCM che richiamava l’ordinanza del KBA del 15 ottobre 2015 per sostenere che fosse “documentata in atti” la circostanza che la vettura non rispettasse il regolamento 715/2007 , ma il KBA non aveva mai rilevato alcuna difformità rispetto ai limiti di emissione, limitandosi a prescrivere l’osservanza di requisiti ausiliari ed aggiuntivi rispetto alle omologazioni rilasciate, che pertanto erano rimaste valide ed efficaci.

Nell’affermare che il Provvedimento AGCM fosse stato “confermato dal TAR Lazio” il Giudice non aveva poi neppure tenuto conto che la sentenza del TAR fosse stata impugnata innanzi al Consiglio di Stato ed ancora pendente sub judice.

Infine, non era condivisibile neppure l’affermazione secondo cui la presunta natura “illecita” del software sarebbe stata confermata dalla pronuncia C- 693/2018 della Corte di Giustizia UE del 2020, con cui la Corte si era limitata in realtà a formulare una serie di precisazioni sulla interpretazione della normativa di settore, rilevanti ai fini della identificazione di un “defeat device”, ma non aveva mai accertato se gli autoveicoli producessero livelli di emissioni di NO superiori ai limiti del Regolamento CE 2007. Correttamente pertanto il Giudice avrebbe dovuto concludere che le due circostanze di fatto dedotte non fossero risultate provate (violazione art 115 cpc e 2697 c.c.), e rigettare conseguentemente le domande attoree.

Con il secondo motivo di appello ha dedotto “Violazione e/o falsa applicazione dell’art 23 comma 1 lettera d) Codice del Consumo” impugnando la parte della sentenza in cui il Giudice individua la pratica commerciale ingannevole vietata dall’art 23 comma 1 lettera d) Codice del consumo nell’ “uso del dispositivo idoneo a raggiungere il fine dell’omologazione”.

Nella prospettazione dell’appellante, la sentenza gravata sarebbe viziata da violazione e falsa applicazione dell’art 23 comma 1 lett d Codice del consumo per aver ampliato l’ambito di applicazione della norma e/o comunque averla applicata ad una condotta diversa da quella considerata dalla fattispecie normativa.

La condotta indicata dal Tribunale, difatti, non rientra tra quelle descritte dall’art 23 comma 1 lettera d), che tuttavia è norma eccezionale e dunque non applicabile al di fuori dei casi espressamente considerati.

Essa prevede due condotte:

1) la falsa affermazione che “il professionista, le sue pratiche commerciali o un suo prodotto sono stati autorizzati, accettati o approvati da un organismo pubblico o privato;

2) la falsa affermazione che “sono state rispettate le condizioni dell’autorizzazione , dell’accettazione o dell’approvazione ricevuta”, sicché l’uso del dispositivo non rientra tra gli elementi costitutivi del fatto tipico della pratica commerciale ingannevole di cui all’art 23 comma 1 lettera d).

Inoltre, nel caso che ci occupa non sarebbe neppure ipotizzabile violazione di tale norma, atteso che tutti gli autoveicoli coinvolti nella vicenda delle emissioni di NOx avevano ottenuto l’omologazione e la classificazione Euro TARGA_VEICOLO da parte delle Autorità omologanti competenti, e che anche la seconda parte della norma era formulata in modo da riferirsi alle condotte comunicative rivolte ai consumatori che si pongono “a valle” del procedimento autorizzativo, mentre l’eventuale condotta che avesse consentito all’impresa di ottenere (indebitamente o in assenza di presupposti) una autorizzazione, accettazione o approvazione (l’omologazione) sarebbe sanzionabile eventualmente in virtù di altre norme dell’ordinamento. condotta sanzionabile ex art 23 comma 1 lettera d) è ascrivibile a giacchè le informazioni fornite dalla casa produttrice in merito ad esistenza, validità e contenuto della omologazione e della classificazione Euro TARGA_VEICOLO dell’autoveicolo erano state sempre corrette, complete e non fuorvianti, tant’è che, a seguito dell’accertamento della presenza del dispositivo nessuna autorità italiana o di altro paese dell’unione europea aveva revocato o caducato l’omologazione dell’autoveicolo o la classificazione Euro 5. Con il terzo motivo di impugnazione l’appellante ha impugnato la sentenza nella parte in cui il Giudice ha ravvisato nella condotta di gli illeciti di cui all’art. 21 comma 1 lett b) e art 22 D Lgl 206/2005, deducendo “Violazione e/o falsa applicazione dell’art 21 comma 1 lettera b) Codice del Consumo” per insussistenza delle condotte tipiche descritte dalla norma, ed in particolare di comunicazioni non corrette su una caratteristica principale del prodotto autoveicolo. Il Giudice avrebbe omesso qualunque analisi della norma ed anche di descrivere la condotta asseritamente scorretta;

inoltre non avrebbe indicato ragioni ed elementi probatori in base ai quali avesse ritenuto sussistenti gli elementi costitutivi della pratica commerciale scorretta vietata dalla norma citata.

La fattispecie tipica di cui all’art 21 comma 1 lettera b) è integrata da una pratica commerciale che contiene informazioni non rispondenti al vero o decettive sulle “caratteristiche principali” del prodotto, inducendo il consumatore medio in errore su caratteristiche principali del prodotto portandolo ad assumere una decisione di natura commerciale che non avrebbe altrimenti preso:

il Tribunale non aveva indicato l’oggetto delle informazioni non rispondenti al vero o decettive, né quali sarebbero state tali informazioni, né prospettato che l’oggetto delle stesse riguardasse una “caratteristica principale” dell’autoveicolo;

ove pure il Giudice si fosse voluto riferire alle emissioni di NOx, le stesse non costituiscono una delle caratteristiche principali del prodotto autoveicolo, tant’è che nessun produttore all’epoca dei fatti forniva ai consumatori informazioni sui livelli delle suddette emissioni, né esisteva una norma di diritto italiano o comunitaria che imponesse una comunicazione;

ciò esclude che possa ritenersi che il livello di tali emissioni possa costituire una “caratteristica principale” .

Ove il Tribunale avesse voluto riferirsi (come caratteristica principale) alla minore dannosità per l’ambiente inficiata dalla presenza del dispositivo di cui è causa, si tratterebbe di affermazione priva di riscontro, in quanto nei propri messaggi pubblicitari aveva sempre associato la minore nocività per l’ambiente ad altri fattori, quali la riduzione di consumo dei carburanti, e sotto tale profilo i claims ambientali di non potevano dirsi non veri, sicchè non era configurabile alcuna violazione dell’art 21 citato. Con il quarto motivo di impugnazione l’appellante ha censurato la sentenza nella parte in cui il Giudicante aveva ritenuto che risultassero integrati gli illeciti di cui agli articoli 21 e 22 citati “in quanto le comunicazioni pubblicitarie sono state omissive e fuorvianti per il consumatore che non è stato posto nella condizione di compiere una scelta consapevole e si è determinato all’acquisto nell’ erronea convinzione che il produttore avesse tra i suoi primari obiettivi la tutela dell’ambiente”, deducendo la ininfluenza della mancata comunicazione da parte del produttore dei valori specifici finali di NOx “in quanto il messaggio commerciale.. consiste nella natura ecocompatibile del veicolo per il basso impatto per l’ambiente, mentre nella realtà della conduzione in strada del veicolo il livello di emissioni non ne avrebbe consentito l’omologazione”.

L’appellante ha contestato Violazione e/o falsa applicazione dell’art 22 codice del consumo per insussistenza di alcuna omissione ingannevole rilevante, atteso che nessuna norma (italiana o comunitaria) impone la divulgazione al pubblico di informazioni sulle emissioni di NO, né una tale informazione dalle indagini di mercato risulta influenzare il processo di determinazione all’acquisto di un autoveicolo da parte dei consumatori.

Con il quinto motivo di impugnazione l’appellante ha dedotto Violazione e/o falsa applicazione degli articoli 20, 21, 22 e 23 del Codice del Consumo e art 2043 c.c. in relazione alla natura degli illeciti consumeristici nella parte in cui il Giudice di prime aveva qualificato questi ultimi come illecito di pericolo.

Da tale erronea qualificazione erano derivati ulteriori e gravi errori quali il mancato accertamento della sussistenza in concreto di un danno conseguenza patito dal sig il mancato accertamento della sussistenza in concreto di un nesso causale tra le condotte asseritamente illecite ed il danno conseguenza;

lo scostamento (immotivato) dalle risultanze della CTU espletata.

Le pratiche commerciali scorrette possono avere difatti duplice rilevanza:

sul piano amministrativo possono generare una violazione punita dalla AGCOM con apposito provvedimento sanzionatorio;

sul piano civilistico possono rilevare quale causa di richieste risarcitorie da parte dei consumatori che, in conseguenza di tali pratiche scorrette, possano aver riportato danni, intesi come danni conseguenza.

La differente natura e funzioni dei due illeciti si riflette sulle diverse caratteristiche che gli stessi debbono avere:

ai fini dell’accertamento dell’illecito amministrativo è sufficiente difatti l’idoneità astratta della condotta ingannatoria a falsare il comportamento del consumatore (illecito di pericolo), mentre, diversamente, per l’illecito civilistico, la suddetta idoneità deve essere non meramente astratta ed ipotetica ma deve essersi materializzata in concreto e avere preso la forma di un danno (nella dimensione di danno conseguenza) causalmente collegato con la pratica commerciale scorretta (in tal senso Cass SS UU n. 794 del 15 gennaio 2009). Nel caso in ispecie l’attore non aveva fornito nessuna prova del fatto che la propria decisione di acquistare l’autovettura Golf fosse stata condizionata o influenzata dalle condotte ascritte dal Tribunale alla né ciò era in concreto avvenuto, e nessun danno conseguenza risultava patito dal sig come peraltro aveva concluso il CTU nel proprio elaborato, che aveva escluso che il prezzo finale di vendita avesse subito un deprezzamento rispetto ai veicoli di categoria analoga o a veicoli VW non interessati dalla problematica di causa. Con il sesto motivo di appello l’appellante ha dedotto Violazione e/o falsa applicazione degli artt 20, 21, 22 e 23 del Codice del Consumo e 1223, 2043 e 2056 civile in relazione all’accertamento del nesso causale, impugnando la sentenza nella parte in cui non avrebbe accertato il nesso causale tra le condotte illecite attribuite alla casa produttrice ed il danno asseritamente riportato dal sig Condizione necessaria per stabilire ai fini della responsabilità civile se una pratica commerciale possa ritenersi scorretta ex artt 20-23 citati e sostanziare una condotta illecita ex art 2043 c.c. è che tale condotta abbia in concreto tratto in inganno i consumatori inducendoli ad assumere una decisione che altrimenti essi non avrebbero preso. Il Tribunale aveva ritenuto che un tale accertamento non fosse necessario, in quanto la presunta pratica scorretta costituirebbe un “illecito di pericolo” e non “di danno”, sicché sarebbe stata sufficiente l’astratta idoneità della condotta a falsare il comportamento economico del consumatore.

In realtà, come detto al punto precedente, era la premessa del tribunale ad essere errata, trattandosi di illecito di danno, e l’onere della prova del nesso causale incombeva integralmente sull’attore che avrebbe dovuto fornire dimostrazione che la propria decisione di acquistare la autovettura modello TARGA_VEICOLO fosse stata determinata o influenzata dalle condotte che il Tribunale aveva qualificato scorrette.

Andava poi tenuto conto del fatto che studi di mercato hanno escluso che tra gli elementi considerati dai consumatori per determinarsi all’acquisto di un autoveicolo vi sia il livello di emissioni di NO, essendo i criteri che orientano gli acquisti, piuttosto, il prezzo, i consumi e la sicurezza su strada.

I Livelli di emissioni in concreto non potevano dunque influire sul processo di formazione della decisione di acquisto del consumatore:

tuttavia il Tribunale non aveva svolto alcuna considerazione al riguardo, appiattendosi sulla valutazione in astratto svolta da AGCOM a proposito della idoneità potenziale della pratica commerciale ad incidere sulle scelte di acquisto della platea di clienti Con il settimo motivo di impugnazione l’appellante censura la sentenza gravata per “Violazione e/o falsa applicazione degli artt 20, 21, 22 e 23 Codice del Consumo, 1223, 2043, 2056 e 2697 c.c. e degli artt 115, 116 e 132 cpc in relazione ’accertamento del danno conseguenza, nella parte in cui il Giudice aveva omesso di valutare le prove fornite da che dimostrerebbero che nessun danno può essere stato patito dall’attore nella vicenda di cui è causa. Sempre partendo dalla erroneità del presupposto (illecito civilistico come illecito di pericolo) il Tribunale aveva omesso di individuare ed accertare la sussistenza del danno conseguenza nella vicenda di cui è causa, mentre condizione necessaria per stabilire ai fini della responsabilità civile se una pratica commerciale possa considerarsi scorretta ex artt 20- 23 codice del consumo o che comunque possa configurare condotta illecita ex art 2043 c.c. è che sussista un danno in concreto nella accezione di danno conseguenza. Il Giudice di prime cure non si era soffermato su tale accertamento ma si era limitato ad affermare apoditticamente che il danno andasse “riconosciuto sulla base del criterio omogeneo di calcolo basato sul parametro unitario del 15% del prezzo medio di acquisto dei veicoli coinvolti nel cd Dieselgate”, di fatto così limitandosi alla quantificazione del danno ma non effettuando alcun accertamento sullo stesso.

In assenza, tuttavia, di uno degli elementi costitutivi della fattispecie invocata dall’attore, la sentenza è nulla:

il Giudice aveva ignorato tutti gli elementi forniti da riprova del fatto che nessun danno fosse stato patito dall’attore:

l’autoveicolo era rimasto difatti sempre Euro 5, il valore residuo dei veicoli usati marchio non aveva evidenziato variazioni anomale rispetto al normale andamento del mercato in seguito all’emersione della vicenda RAGIONE_SOCIALE.

Se fosse stata vera la tesi portata dall’attore, ne sarebbe dovuto discendere de plano il crollo delle quotazioni degli autoveicoli equipaggiati con motori diesel TARGA_VEICOLO commercializzati in Italia dal gruppo ma ciò non era avvenuto.

Molti Tribunali civili difatti avevano respinto le pretese risarcitorie avanzate dai proprietari di autoveicoli in vicende analoghe.

Con l’ottavo motivo l’appellante ha dedotto “Nullità della sentenza ai sensi dell’art 132 comma 2 cpc per aver il Tribunale disatteso le conclusioni del CTU senza fornire adeguata motivazione e/o fornendo una motivazione errata e contraddittoria”.

Partendo corretto inquadramento dell’illecito civilistico quale illecito di danno e non di pericolo, condizione necessaria per stabilire, ai fini dell’accertamento della responsabilità civile, se una pratica commerciale possa dirsi scorretta ex artt 20-23 Codice del consumo o comunque se possa configurare un illecito ex art 2043 c.c. è accertare che la condotta abbia concretamente tratto in inganno i consumatori inducendoli ad assumere una decisione di acquisto che diversamente non avrebbero assunto, e che abbia in concreto causato un danno conseguenza al consumatore. Sul falso presupposto che l’illecito fosse inquadrabile come illecito di pericolo il giudice di prime cure aveva disatteso le risultanze della CTU , cosa che avrebbe dovuto adeguatamente motivare attraverso una valutazione critica ancorata alle risultanze processuali:

nello specifico, il CTU aveva risposto ai quesiti posti dal Tribunale, e tuttavia il Giudice si era discostato dalle risultanze della consulenza affermando che gli aspetti esaminati dal consulente fossero relativi alla domanda di riduzione (articolata e non al profilo della ingannevolezza della pratica commerciale da parte , mentre in realtà i quesiti n. 1 e 2 attengono proprio alla conformità dell’autoveicolo alle qualità promesse con particolare riguardo alla classe di omologazione Euro 5, e dunque hanno a che vedere con l’accertamento delle circostanze rilevanti ai fini dell’accertamento di una pratica commerciale ingannevole. Con il nono motivo l’appellante ha dedotto “Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1223, 1227, 2043, 2055 e 2697 c.c. , degli artt 115 e 116 cpc e dell’art 130 Codice del Consumo contraddittorietà della motivazione relazione all’accertamento del danno patrimoniale nella parte in cui non è stata dichiarata inammissibile la domanda attorea.

Anche la domanda nei confronti di come già quella formulata nei confronti di avrebbe dovuto essere dichiarata inammissibile in quanto volta a sovvertire l’ordine gerarchico che il legislatore ha stabilito tra i rimedi attivabili ex art 130 del codice del consumo.

Dalla formulazione avversaria risultava difatti evidente che con la richiesta di al risarcimento dei presunti danni sofferti in seguito all’emergere della vicenda cd RAGIONE_SOCIALE, il sig pretendeva di ottenere surrettiziamente in via risarcitoria ciò che l’eventuale rigetto della domanda restitutoria proposta ai sensi dell’art 130 codice del consumo non gli avrebbe consentito di conseguire.

In pratica si trattava di una domanda di riduzione “sotto mentite spoglie” di domanda di risarcimento per responsabilità aquiliana:

di qui la inammissibilità per violazione dell’ordine gerarchico imposto dall’art 130 codice del consumo, che prevede che il consumatore non abbia diritto ad alcuna riduzione di prezzo là dove il difetto di conformità sia rimediabile attraverso un intervento di riparazione.

Con il decimo motivo l’appellante ha dedotto Violazione e/o falsa applicazione degli artt 1223, 1226, 2056 e 2697 c.c. e degli artt. 115 e 116 cpc in relazione alla liquidazione del danno patrimoniale nella parte in cui era stato applicato il criterio equitativo in assenza delle condizioni richieste.

La decisione del Tribunale in punto di quantum debeatur non era corretta né nelle premesse giuridiche né nelle modalità applicative:

costituisce giurisprudenza granitica quella secondo cui il Giudice è tenuto a determinare il quantum debeatur sulla base della prova rigorosa del danno sia nella sua oggettiva esistenza che nella sua misura, e può accedere alla valutazione equitativa solo in funzione integrativa e limitatamente alla determinazione del quantum risarcitorio, a condizione che 1) la parte che invoca il risarcimento abbia fornito piena prova della esistenza dei danni lamentati nella loro dimensione di danni conseguenza;

2) della oggettiva impossibilità o gravissima difficoltà a procedere alla sua quantificazione.

Nel caso in ispecie, il Tribunale non aveva neppure provato a verificare se la quantificazione del danno fosse impossibile o gravemente difficile, ricorrendo subito alla liquidazione in via equitativa.

In realtà a fronte del mancato assolvimento dell’onere della prova da parte del sig ed, al contrario, della esistenza di circostanze dedotte da comprovanti l’opposto di quanto dedotto da controparte, il tribunale non avrebbe potuto del tutto procedere a valutazione equitativa.

l’undicesimo motivo di appello ha dedotto Violazione e/o falsa applicazione degli artt 1226 e 2056 c.c. e dell’art 132 cpc nonché omessa e/o carente motivazione in relazione ai criteri seguiti per la liquidazione del danno patrimoniale.

La sentenza gravata, oltre a non aver indicato le ragioni per cui fosse impossibile o estremamente difficile provare il preciso ammontare del danno, non aveva offerto apprezzabili motivazioni sulla determinazione equitativa effettuata.

Nella valutazione equitativa il Giudice in realtà deve sempre dar conto in motivazione dei criteri adottati per la quantificazione del risarcimento e degli elementi di fatto su cui fonda la sua valutazione equitativa, corredati delle ragioni logiche della liquidazione, mentre nella sentenza gravata il Giudice non si era attenuto a tali principi, applicando il criterio equitativo del 15% del presunto prezzo di acquisto dell’autoveicolo, sostenendo questa scelta con l’affermazione che il criterio adottato sarebbe stato tratto dal provvedimento dell’AGCOM n. 26137 del 2016, “che lo ha stimato compreso tra 10.000 e 30.000 euro”. In realtà, leggendo il provvedimento indicato esso non contiene alcun riferimento ad un asserito danno pari al 15% del prezzo di acquisto, sicché l’appellante ha chiesto che, se del caso, la Corte voglia procedere a nuova valutazione sulla scorta della percentuale media dei valori di svalutazione dei modelli prodotti dai principali competitor di appartenenti al medesimo segmento di mercato dell’autoveicolo prodotti nel periodo tra settembre 2015 e data di vendita dell’autoveicolo a terzi da parte del sig nonché tenendo conto del prezzo base di listino senza optional, rispetto ai quali il sig non può vantare alcun diritto. 4.L’appello è fondato nei termini che seguono.

In applicazione del principio processuale della “ragione più liquida” – in forza del quale la causa può essere decisa sulla base della questione ritenuta di più agevole soluzione, anche se logicamente subordinata, senza che sia necessario esaminare previamente le altre, imponendosi, a tutela di esigenze di economia processuale e di celerità di giudizio, un approccio interpretativo che comporti la verifica delle soluzioni piano dell’impatto operativo piuttosto che su quello della coerenza logico sistematica e sostituisce il profilo dell’evidenza a quello dell’ordine delle questioni da trattare ai sensi dell’art 276 cpc ( Cass ord. 363/2019; Cass SS UU sent. N. 9936 dell’8.05.2014; Cass sez 6 -L, sent. N. 12002 del 28.05.2014) – può essere esaminato direttamente il profilo inerente la allegazione e la prova del danno determinato dalla condotta contestata e dell’ammontare dello stesso (motivi quinto e seguenti di impugnazione).

Sul punto, l’attore non ha adeguatamente circostanziato né dimostrato il danno che avrebbe subito in conseguenza della pratica commerciale scorretta ed ingannevole da parte di Aver, difatti, individuato una condotta antigiuridica non implica automatico riconoscimento del diritto al risarcimento del danno, in assenza di prova della ricorrenza degli altri elementi costitutivi della fattispecie della responsabilità invocata (art 2043 c.c.):

colpa o dolo del soggetto agente, danno ingiusto, nesso causale tra condotta antigiuridica ed evento danno.

Con sent Sez Unite n. 794/2009 la Corte di Cassazione ha evidenziato:

“ il consumatore che lamenti di aver subito un danno per effetto di pubblicità ingannevole ed agisca, ex art 2043 c.c., per il relativo risarcimento, non assolve al suo onere probatorio dimostrando la sola ingannevolezza del messaggio, ma è tenuto a provare l’esistenza del danno, il nesso di causalità tra pubblicità e danno, nonché (almeno) la colpa di chi ha diffuso la pubblicità, concretandosi essa nella prevedibilità che dalla diffusione di un determinato messaggio sarebbero derivate le menzionate conseguenze dannose” Il Sig. non ha dedotto – prima ancora che provato – nessun elemento idoneo a dimostrare la ricorrenza del danno. In fatto egli ha dedotto di aver acquistato il 18.05.2011 da concessionaria ufficiale l’autovettura TARGA_VEICOLO meglio identificata in atti al costo di euro 23.600,00, e di averla rivenduta il 9 marzo 2016 al prezzo di euro 4.500,00;

che sulla stessa era installato un software da parte del costruttore RAGIONE_SOCIALE (successivamente chiamata in causa) che aveva consentito all’autovettura in maniera fraudolenta di superare i test di omologazione e di rispettare formalmente i limiti di emissioni di NOx, in violazione del Regolamento europeo 715/2007;

che la circostanza della installazione fosse pacifica ed ammessa dalla stessa casa costruttrice, e la illegalità di tale software risultasse da provvedimento AGCM n. 26317 del 2016 che aveva sanzionato per pratica commerciale scorretta ex art 20 comma 2 , art 21 comma 1 lettera b) e art 23 comma 1 lettera d) del Codice del Consumo, Provvedimento che richiamava altresì Decisione dell’Autorità Federale Tedesca di pari contenuto.

In base ai provvedimenti richiamati – ha dedotto l’attore – la vettura venduta al sig per cui è causa non è conforme alla omologazione di cui alla Direttiva CEE 2007/46/CE, sicchè – ha concluso – “L’installazione del software illegittimo o “sistema EGR” o “defeat device” è fonte di responsabilità aquiliana del produttore dell’autovettura, la RAGIONE_SOCIALE, convenuta terza chiamata, nei confronti del sig per la violazione di diverse norme dell’ordinamento giuridico italiano”..

“La responsabilità aquiliana della RAGIONE_SOCIALE è fondata sulla violazione dell’art 2043 CC in combinato disposto con il c. 3 dell’art 77 del DLgs 30.04.1992 n. 285 e con l’art 76 comma 6 DLgs 30.04.1993 n. 285 (Codice della Strada)”, secondo cui “chiunque produce o mette in commercio un veicolo non conforme al tipo omologato è soggetto, se il fatto non costituisce reato, alla sanzione amministrativa del pagamento di una somma da euro 841 ad euro 3.366” (art 77 comma 3 CdS).

Ribadita dunque in punto di diritto la natura “esclusivamente extracontrattuale” della responsabilità di RAGIONE_SOCIALE AG, l’attore ha dedotto che fossero “pienamente provati” gli elementi essenziali configuranti l’illecito:

la condotta antigiuridica (la costruzione del veicolo da parte di e la non conformità dello stesso al tipo omologato), l’elemento soggettivo ( dolosa violazione dell’art 77 comma 3 Codice della Strada) , l’ingiustizia del danno (l’acquisto di autovettura non conforme al europeo 715/2007), il nesso causale tra la condotta della convenuta, ed il danno sofferto dall’attore “determinato dalla costruzione dell’autovettura e la sua conseguente commercializzazione in Italia da parte della convenuta sulla base della falsa dichiarazione rilasciata alla Motorizzazione in sede di immatricolazione/omologazione e riportata sulla carta di circolazione” (pag 7 comparsa conclusionale di primo grado). La falsità della attestazione di conformità al regolamento europeo avrebbe permesso alla di conseguire un ingiusto vantaggio patrimoniale rappresentato dall’intero prezzo del veicolo pagato per l’acquisto, in quanto, in assenza di tale falsa dichiarazione, il sig non avrebbe mai acquistato l’autovettura perché la stessa non sarebbe mai stata omologata perché priva dei requisiti necessari richiesti dal Reg CEE 715/2007:

“ Sulla base della falsa convinzione di acquistare un veicolo ecologico, pienamente rispettoso delle norme poste a tutela dell’ambiente e “condensate” in questa falsa dichiarazione, rilasciata dal costruttore, il Sig ha deciso di procedere all’acquisto dell’autovettura sostenendo un esborso pari ad euro 23.600,00..

, acquisto ed esborso che non si sarebbero mai realizzati qualora il costruttore avesse dichiarato che sulla vettura era stato installato un software illecito, poiché la vettura non sarebbe mai stata immatricolata e né (concessionario ufficiale Vw) né la RAGIONE_SOCIALE avrebbero mai potuto incamerare il prezzo della vettura a danno del sig. come in pratica si è invece verificato” In questo modo tuttavia l’attore ha ribadito il fatto asseritamente causativo del danno, senza tuttavia precisare in cosa sarebbe consistito il danno conseguenza , ossia il pregiudizio derivante dalle condotte ascritte a , quali avrebbero potuto essere, a titolo esemplificativo: il minor valore del veicolo acquistato rispetto al prezzo pagato, la svalutazione del mezzo all’emergere dello scandalo Dieselgate, la revoca della omologazione Euro TARGA_VEICOLO, o aver subito provvedimenti restrittivi della circolazione.

Peraltro, come rilevato dalla parte appellante, l’autoveicolo non ha mai perduto la sua TARGA_VEICOLO (mai revocata né modificata), nessuna autorità ha disposto restrizioni e/o limitazioni alla circolazione dell’autoveicolo nel territorio della Repubblica italiana;

il dispositivo installato non risulta aver avuto conseguenze sul piano del funzionamento dell’autoveicolo, e quest’ultimo non ha mai subito alcun anomalo deprezzamento.

Su tale ultimo punto, avendo il sig venduto l’autoveicolo in corso di causa, in risposta al quesito posto dal Tribunale “ dica se il prezzo finale di vendita appaia frutto di un deprezzamento maggiore rispetto a veicoli di categoria analoga o a veicoli VW non interessati dalla problematica di causa” (quesito 4) il consulente ha risposto “Il prezzo finale di vendita non ha subito alcun deprezzamento rispetto a veicoli di categoria analoga o a veicoli VW non interessati dalla problematica di causa”, così fugando anche ogni dubbio circa la configurabilità di un danno patrimoniale (da deprezzamento) che comunque parte attrice ha prospettato per la prima volta nel presente grado di giudizio e solo in comparsa conclusionale. Nel caso che ci occupa, il Sig non ha fornito prova alcuna di quanto dedotto, vale a dire che la propria decisione di acquistare l’autoveicolo fosse stata a suo tempo causata o anche solo influenzata dalla (asseritamente falsa) pubblicizzazione della autovettura come ecologica e rispettosa dell’ambiente, non essendo stata fornita prova alcuna che le condotte addebitate alla casa produttrice fossero state determinanti nella scelta di quell’autoveicolo.

“In materia di responsabilità civile, il consumatore che, lamentando di aver subito un danno per effetto di una pubblicità ingannevole..

agisca per il risarcimento del danno ai sensi dell’art 2043 cod civ. non assolve in modo adeguato all’onere della prova esistente a suo carico, limitandosi a dimostrare il solo carattere ingannevole della pubblicità, ma è tenuto a provare l’esistenza del danno, del nesso di causalità, nonché (almeno) la colpa di chi ha diffuso la pubblicità” (Cass 26516/2009; Cass. Sez UU 794/2009) .

Ed ancora, Cass 28037/2021:

“ l’aver individuato una condotta antigiuridica non implica l’automatico riconoscimento del diritto risarcitorio, in della prova della ricorrenza degli altri elementi costitutivi della fattispecie di responsabilità invocata:

colpa o dolo del soggetto agente, ricorrenza del danno ingiusto, nesso di causa tra condotta e l’evento di danno, conseguenze pregiudizievoli..

Non basta infatti che al soggetto agente venga imputata una condotta antigiuridica , come in questo caso, occorrendo altresì la dimostrazione che quella condotta antigiuridica di cui l’agente debba rispondere a titolo di colpa o di dolo abbia provocato un danno ingiusto risarcibile. ..

La ricorrente non ha dimostrato di essere interessata ai livelli di emissione inquinanti dell’auto acquistata, neppure ha allegato di avere risposto al richiamo della o di aver dimostrato interesse per la sostituzione del software difettoso:

né ha fornito indici dai quali desumere un deprezzamento dell’auto, adducendo, ad esempio, gli esiti di una accreditata indagine di mercato o che l’auto aveva perduto la qualificazione di euro 5 o che le emissioni inquinanti avevano alterato la performance del mezzo o ne avessero ridotto la possibilità di circolazione..

” In tale contesto, risulta dunque fondato altresì il motivo di appello che censura il ricorso al criterio equitativo da parte del primo giudice, in quanto “la valutazione equitativa presuppone che il danno sia certo nella sua esistenza ontologica (Cass 19/12/2011 n. 27477), cioè che “la sussistenza di un danno risarcibile nell’an debeatur sia stata dimostrata ovvero sia incontestata”(Cass 4/04/2017 n. 8662)”.

Nemmeno risulta configurabile nel caso specifico un danno non patrimoniale da reato, atteso che (Cass. 28037/2021:) “l’astratta ricorrenza di un reato esonera la parte asseritamente danneggiata dall’onere di provare la lesione di un interesse costituzionalmente protetto, ma non comporta alcun automatismo risarcitorio, restando a carico del danneggiato l’onere della prova della ricorrenza delle conseguenze pregiudizievoli” “anche quando il fatto illecito integra gli estremi del reato la sussistenza del danno non patrimoniale non può mai essere ritenuta in re ipsa, ma va sempre debitamente allegata e provata da chi lo invoca, anche attraverso presunzioni semplici” (Cass 8421/2011). sentenza gravata andrà pertanto integralmente riformata nella parte in cui ha riconosciuto la responsabilità aquiliana di ed il diritto del sig risarcimento del danno, con conseguenziale obbligo di restituzione, da parte del sig a RAGIONE_SOCIALE di quanto corrisposto in ottemperanza alla sentenza di prime cure, in data 13 ottobre 2021, pari all’importo complessivo di euro 11.906,85, di cui euro 5.830,46 a titolo di risarcimento comprensivo di interessi e rivalutazione ed euro 6.076,39 a titolo di spese legali, il tutto oltre interessi legali. Resta confermata – non essendo stata oggetto di impugnazione neppure incidentale – la inammissibilità dell’azione proposta nei confronti della concessionaria La complessità e novità della vicenda giustificano la integrale compensazione delle spese di lite del doppio grado, con spese di CTU a carico di ciascuna delle parti in misura pari al 50%.

Le spese in favore di citata ai soli fin della integrità del contradittorio, ma nei cui confronti non sono state spiegate domande, vengono integralmente compensate anche nel presente grado di giudizio.

Definitivamente pronunciando, respinta ogni contraria o diversa istanza:

– Accoglie l’appello proposto da avverso la sentenza del Tribunale di Genova n. 2160 del 3 ottobre 2021 pubblicata il 5 ottobre 2021 ed in totale riforma di quest’ultima, rigetta tutte le domande proposte da nei confronti di e lo condanna, per l’effetto, a restituire a in persona del legale rappresentante pro tempore, l’importo complessivo di euro 11.906,85 versato in ottemperanza alla sentenza di primo grado, oltre interessi dal 13 ottobre 2021 al saldo;

-Conferma la sentenza gravata nella parte in cui ha dichiarato inammissibile la domanda proposta nei confronti di – Compensa integralmente tra le parti le spese di lite del doppio grado.

– Pone a carico di e di in persona del [… rappresentante pro tempore in misura pari al 50% ciascuno le spese di CTU liquidate come in atti.

– Compensa integralmente le spese del doppio grado di giudizio tra – Dispone che in caso di diffusione della presente sentenza siano omesse le generalità delle parti e dei soggetti in essa menzionati, a norma del D.Lgs n. 30 giugno 2003 n. 196 art. 53..

Genova, li 25 ottobre 2024

Il Giudice ausiliario estensore Il Presidente Avv. NOME COGNOME Dott. NOME COGNOME

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