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Codice Civile
Codice Penale

Illegittimità del licenziamento di un dirigente

La sentenza affronta il tema del licenziamento del dirigente in presenza di un patto di non concorrenza, analizzando la legittimità del recesso datoriale alla luce dei doveri di fedeltà e correttezza del dirigente e della sussistenza di un’effettiva attività in concorrenza. Il giudice ha inoltre vagliato la sussistenza dei presupposti per l’applicazione dell’art. 1345 c.c., in relazione alla natura ritorsiva del licenziamento.

Pubblicato il 12 October 2024 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

IL TRIBUNALE DI ROMA SEZIONE III – LAVORO

Il Giudice del Lavoro, Dott.ssa NOME COGNOME ha pronunciato, mediante lettura contestuale delle ragioni di fatto e di diritto, ai sensi dell’art. 429 c.p.c., la seguente

S E N T E N Z A N._9560_2024_- N._R.G._00000426_2024 DEL_01_10_2024 PUBBLICATA_IL_01_10_2024

nella causa civile di primo grado iscritta al numero 426 del Ruolo Generale degli Affari Contenziosi dell’anno 2024, discussa e decisa all’udienza del giorno 1.10.2024 e vertente

TRA

elettivamente domiciliato in Roma INDIRIZZO presso lo studio dell’avv. NOME COGNOME che lo rappresenta e difende unitamente e disgiuntamente all’avv. NOME COGNOME del Foro di Nola, come da procura in atti RICORRENTE

in persona del legale rapp. pro tempore, elettivamente domiciliato in Roma INDIRIZZO presso lo studio RAGIONE_SOCIALE, rappresentata e difesa dagli avv.ti NOME COGNOME, NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME come da procura in atti RESISTENTE

in persona del legale rapp. pro tempore, elettivamente domiciliato in Roma INDIRIZZO rappresentato e difeso dall’avv. NOME COGNOME per procura in atti E

DIRITTO

Con ricorso depositato il 2.1.2024 , premettendo di avere rivestito da aprile 2023 carica di consigliere del c.d.a. di e di RAGIONE_SOCIALE esponeva che aveva prestato attività lavorativa subordinata senza soluzione di continuità dall’8.6.14 al 17.7.2023, alle dipendenze della convenuta dapprima in forza di contratto a tempo determinato dall’8.6.14 al 19.6.15 (prorogato al 22.12.2015), con mansione di e qualifica di impiegato di III ° livello del CCNL Commercio e Terziario e sede di lavoro in Roma INDIRIZZO poi trasformato in contratto a tempo indeterminato dall’8.9.2015 con inquadramento al livello di Quadro dal 1.10.15, poi dal 6.10.2021 in forza di nuovo contratto quale dirigente (CCNL per i Dirigenti di Aziende del Settore Terziario), con mansioni di Chief Operating Officer, con sede in Roma INDIRIZZO che aveva chiesto e ottenuto di fruire di un periodo di ferie dal 14.7.23 al 28.7.23;

che il giorno 14.7.2023 aveva partecipato da remoto, quale membro del c.d.a. della convenuta, ad un’assemblea presieduta da durante la quale alle ore 10.20 circa veniva verbalmente sospeso dall’attività lavorativa di dirigente con effetto immediato dinanzi a tutti i membri del consiglio;

che in pari data la circostanza era resa nota anche a tutti i dipendenti di Office Manager, a mezzo email nella quale si evidenziavano i motivi della sospensione e l’imminente ricezione da parte dello stesso della lettera di contestazione disciplinare;

che inoltre lo stesso giorno aveva ricevuto alle ore 16.34 una mail contenente la contestazione disciplinare e in seguito di ciò aveva revocato la domanda di ferie e sempre in data 14.7.2023 aveva impugnato l’illegittima sospensione subita chiedendo la riammissione in servizio;

che il 15.7.2023 aveva disatteso l’istanza di riammissione in servizio mantenendo la sospensione;

che in data 17.7.23 egli aveva presentato le proprie giustificazioni scritte;

che il 19.7.2023 aveva richiesto a di convertire l’ammontare del fringe benefit di € 26.450,00 annui in remunerazione con corresponsione dalla successiva busta paga;

che in data 26.7.2023 la società tramite l’avv. COGNOME aveva rigettato la richiesta e inviato tramite pec la lettera di licenziamento per giusta causa ai sensi dell’art. 2119 c.c. con effetto dal 17.7.2023;

che il 27.7.23 aveva impugnato stragiudizialmente il licenziamento e in pari data aveva riscontrato la richiesta di restituzione dei beni aziendali tra cui l’immobile concesso in comodato osservando che si trattava dell’abitazione familiare nella quale risiedevano anche due minorenni e che per tale motivo doveva essere concesso un termine per reperire una nuova abitazione;

che con missiva del 2.8.23 la convenuta aveva insistito nella consegna dei beni aziendali per la data ) per un totale di € 8.473,19;

che in data 7.8.23 aveva consegnato una parte dei beni aziendali ad eccezione del Lap-top, della Sim e telefonino, riconsegnati il 5.9.23;

che con pec del 14.9.2023 aveva diffidato la società al pagamento delle somme dovute per i mesi di luglio, agosto 2023 e per il TFR, nonché al pagamento degli importi di cui all’art. 8.2 del contratto di lavoro dirigenziale e del primo rateo trimestrale di cui all’art. 12.4 del citato contratto;

che in pari data 14.9.23 RAGIONE_SOCIALE inoltrava al lavoratore una comunicazione ex art. 1264 c.c. di cessione di un credito, in favore di per “occupazione senza titolo” dell’appartamento di Roma INDIRIZZO per il periodo 17.7.2023 –31.10.2023;

che il 21.9.23 la società inoltrava la busta paga del mese di luglio 2023 riportante un netto di € 1.184,71 (poi bonificato);

che il 30.10.23 la società chiedeva conferma del rilascio dell’immobile entro i successivi 10 gg. riscontrata dal ricorrente che comunicava l’impossibilità materiale di rilasciarlo.

Lamentava innanzitutto l’illegittimità della sospensione dal servizio disposta il 14.7.23 nonchè l’inefficacia, inesistenza, nullità, l’annullabilità del licenziamento per insussistenza del fatto contestato e in quanto ritorsivo e/o per motivo illecito determinante.

Lamentava, altresì, che nonostante l’inquadramento contrattuale ricevuto dall’8.6.2014 sino alla cessazione del rapporto lavorativo egli aveva di fatto svolto mansioni riconducibili alla qualifica di dirigente, con conseguente diritto al pagamento delle relative differenze retributive e contributive.

Lamentava, infine, che la convenuta si era resa inadempiente alle previsioni del contratto del 6.10.21 perché:

a) non aveva provveduto all’assegnazione di alcun piano di incentivazione né per l’anno 2021 e né per l’anno 2022 e non gli aveva corrisposto alcuna somma a titolo di penale in violazione del punto 8.2, con conseguente diritto a percepite l’importo complessivo lordo di € 60.000,00, da considerarsi anche ai fini della quantificazione del TFR;

b) non aveva mai erogato il fringe benefit di € 26.450,00 annuali né sotto forma di prestazioni (l’abitazione gli era stata già concessa dal settembre 2020 in comodato gratuito), né di monetizzazione con conseguente diritto all’importo di € 48.491,66 (di cui € 6.612,50 per i mesi ottobre-dicembre 2021;

€ 26.450,00 per l’anno 2022;

€ 15.429,16 per l’anno 2023) rimarcando come non poteva ritenersi che l’abitazione di INDIRIZZO costituisse espressione del detto fringe benefit atteso che egli di fatto era stato assegnato fin dal giugno 2016 sino al marzo 2020 alla sede operativa di Potenza INDIRIZZO (benchè risultasse formalmente impiegato presso la sede di Roma INDIRIZZO, effettuando trasferte su Roma che dal 1.9.2020 divenivano da temporanee a trasferte di “lungo periodo” con concessione da parte della società in comodato d’uso gratuito dell’immobile, nel quale fin dal settembre del 2020 si era trasferito ad abitare stabilmente unitamente alla propria famiglia per il patto di non concorrenza, pari al 100% dell’ultima retribuzione annua, da versarsi in rate trimestrali a decorrere dalla cessazione del rapporto. Concludeva chiedendo al Tribunale adito:

“in INDIRIZZO

Accertare e dichiarare l’illegittimità della sospensione dall’attività lavorativa del operata dalla in data 14.07.2023 per essere stata effettuata verbalmente ed anticipatamente rispetto alla ricezione della lettera di contestazione disciplinare del 14.07.2023 ricevuta dal lavoratore solo in data 17.07.2023 b) Accertare e dichiarare che il fatto posto a fondamento della lettera di contestazione del 14.07.2023 ricevuta dal lavoratore in data 17.07.2023 (dopo l’intervenuta sospensione) e del successivo licenziamento intimato con lettera del 25.07.2023 (avente decorrenza dal 17.07.2023) e ricevuta dal lavoratore in data 27.07.2023 è inesistente oltre che ritorsivo e/o connotato da grave motivo illecito e per l’effetto dichiarare lo stesso nullo e/o inefficace e/o comunque illegittimo e per l’effetto condannare all’immediata reintegra del Dirigente nel posto di lavoro ricoperto sino al momento del licenziamento, nonché a titolo risarcitorio a corrispondergli le retribuzioni maturate (al tallone mensile di € 8.214,29 lordi) dal giorno del licenziamento sino a quello di effettiva reintegra; – condannare parte resistente al versamento dei contributi previdenziali ed assistenziali per il periodo dal licenziamento alla reingrazione del dipendente nel posto di lavoro oltre ad interessi legali computati sulle somme rivalutate dalla data di licenziamento sino a quella di reintegrazione e con il versamento dei correlati contributi previdenziali.

c) Accertare e dichiarare che il lavoratore – per le mansioni effettivamente svolte senza soluzione di continuità – ha e/o avrebbe avuto diritto ad essere inquadrato sin dall’8.06.2014 come Dirigente del CCNL da ultimo applicato dal datore di lavoro e per l’effetto condannare pagamento dell’importo complessivo risultante dai conteggi analitici allegati al ricorso e quindi a € 165.905,39 di cui € 116.075,30 per differenze retribuzione ordinaria, € 10.259,85 per differenze su 14° mensilità, 16.751,31 per differenze su ferie non godute, € 716,07 per differenza festività, € 10.309,46 per differenze 13° mensilità, 559,03 per straordinario festivo diurno ED € 11.234,37 per differenze su TFR. (cfr doc.82 ), nonché condannare la Società datrice di lavoro al versamento dei contributi previdenziali ad oggi non ancora prescritti, disponendo che per la quota parte dei contributi previdenziali prescritti questa venga corrisposta al lavoratore a titolo risarcitorio.

d) Accertare e dichiarare, per tutte le motivazioni di cui al presente atto ed alla luce della documentazione offerta, il diritto del lavoratore a ricevere le somme di cui all’art. 8.2 del contratto individuale di Dirigente sottoscritto in data 6.10.2021 e per l’effetto condannare ) Accertare e dichiarare, per tutte le motivazioni di cui al presente atto e in base alla documentazione offerta, il diritto del ricorrente a ricevere, ai sensi dell ’ art. 9.3 , l’importo di € 48.491,66 di cui:

€ 6.612,50 (=26.450,00/12* 3) per i mesi di ottobre, novembre e dicembre 2021; € 26.450,00 intero 23% per l’anno 2022;

€ 15.429,16 (=26.450,00/12* 7) a titolo di monetizzazione dell’ulteriore fringe benefit per i mesi da gennaio 2023 a luglio 2023 essendo intervenuta la cessazione del rapporto lavorativo de quo con licenziamento disciplinare avente decorrenza 17.07.2023 e per l’effetto condannare al pagamento in favore del ricorrente dell’importo complessivo di € 48.491,66.

f) Accertare e dichiarare, per tutte le motivazioni di cui al presente atto e in base alla documentazione offerta, il diritto del ricorrente a ricevere quanto previsto dall’art. 12.4 del contratto individuale di Dirigente sottoscritto in data 6.10.2021 e per l’effetto condannare al pagamento della rata trimestrale maturata per il periodo da agosto a ottobre 2023 pari a complessivi € 38.206,32 [(=115.000,00 + valore fringe benefit del 23% annuale 26.450,00 ì 11.375,28 auto aziendale):12×3] compensando, parzialmente dette somme con quelle relative ai canoni delle 3 mensilità di locazione pari ad € 6.600,00 e, quindi, condannare versamento in favore del ricorrente dell’importo pari ad € 31.606,32, nonché al pagamento degli ulteriori ratei trimestrali (sino a concorrenza del dovuto) che dovessero – sussistendone le condizioni – maturare nelle more dell’espletamento del presente giudizio. g) Accertare e dichiarare che il comportamento tenuto dalla Società datrice di lavoro, come rappresentato e documento nel presente atto, è stato contrario a buona fede contrattuale oltre che estremamente ingiurioso tale da arrecare grave danno all’immagine del ricorrente e per l’effetto condannare al risarcimento del danno da valutarsi in via equitativa”.

Si costituiva in giudizio la società (d’ora innanzi anche – società attiva nel settore della realizzazione e commercializzazione di software e nella fornitura di servizi informatici – partecipata da quale socio di maggioranza (e da quale socio di minoranza al 15,35%) e controllante RAGIONE_SOCIALE

e – contestando la fondatezza del ricorso e chiedendone il rigetto.

Fallito il tentativo di conciliazione, il giudice disponeva l’integrazione del contraddittorio con in quanto litisconsorte necessario, il quale si costituiva in giudizio chiedendo – ove ritenute fondate le domande del ricorrente – di dichiarare il datore di lavoro tenuto al versamento della contribuzione previdenziale su tutti gli importi eventualmente riconosciuti a titolo retributivo e/o di differenze, anche a titolo di trattamenti accessori, nei limiti della prescrizione quinquennale.

1. Il ricorrente svolge sette domande che vengono qui prese in considerazione secondo l’ordine del ricorso.

Con la prima domanda sub lett. a) il contesta l’illegittimità della sospensione cautelare e/o disciplinare disposta il 14.7.2023, perché operata verbalmente e perché inflitta anteriormente alla contestazione disciplinare.

Pacificamente la sospensione del ricorrente è durata solo tre giorni ed è sfociata nel licenziamento per giusta causa avente decorrenza dal 17.7.2023, né sono state allegate e provate conseguenze lesive derivate dal provvedimento di sospensione in sé e per sé considerato.

Si deve, dunque, ritenere inammissibile per difetto di interesse ex art. 100 c.p.c., la domanda che tenda non alla rimozione di un danno effettivo, ma alla semplice soddisfazione di esigenze teoriche di correttezza formale (Cass. 12241/98).

2. Con la seconda domanda sub lett. b) il ricorrente impugna il licenziamento per giusta causa.

2.a. In punto di fatto questa la contestazione disciplinare del 14.7.23:

“A) La Società ha appreso che Ella, con un’iniziativa attuata tra maggio e il corrente mese di luglio, agendo tramite Società da Lei compartecipata al 50% unitamente all’Amministratore Delegato dott. (RAGIONE_SOCIALE, di seguito “RAGIONE_SOCIALE”), ha instaurato un rapporto con RAGIONE_SOCIALE, per attività/prestazioni in concorrenza con B) Inoltre, Ella, sempre tramite RAGIONE_SOCIALE e di concerto col Dott. , ha predisposto un preteso rapporto sottostante tra Ovest e che appare illegittimo e invalido sotto più profili, oltre che pregiudizievole per la nostra Società. C) In tale ambito, Lei ha messo a disposizione di RAGIONE_SOCIALE le Sue prestazioni per svolgere attività in concorrenza con e contrarie agli interessi della stessa, D) L’attività di cui sopra determina vantaggi per RAGIONE_SOCIALE e per i soci della stessa, per contro esponendo a gravi pregiudizi, patrimoniali, di posizione sul mercato e d’immagine.

E) quanto sopra è stato attuato (a) senza fornie al Consiglio di Amministrazione le necessarie informazioni;

(b) nonché in assenza di autorizzazione dell’Assemblea;

ed (c) in violazione anche degli obblighi di fedelta e di diligenza a Suo carico anche quale Dirigente di (…)”.

Il licenziamento è stato poi intimato per giusta causa il 26.7.2023 con decorrenza dal 17.7.2023 sulla scorta della citata contestazione.

sensi dell’art. 10 L. 604/66 il rapporto di lavoro in essere con un dirigente è liberamente recedibile non essendo assoggettato alle norme limitative dei licenziamenti individuali di cui agli artt. 1 e 3 della stessa legge e non è dunque subordinato alla sussistenza di una giusta causa o di un giustificato motivo, salvo l’obbligo della forma scritta (art. 2) e l’applicazione della disciplina del licenziamento discriminatorio o altrimenti nullo ribadita dall’art. 18 comma 1 S.L..

Inapplicabile, dunque, la normativa legale entro i limiti evidenziati, la tutela del dirigente trova fondamento negli articoli del codice civile in tema di recesso (art. 2118 e 2119 c.c.) e nella contrattazione collettiva dei vari settori economici.

Quest’ultima subordina la legittimità del recesso datoriale alla sussistenza di una motivazione (Cass. sez. un. 9.12.1986, n. 7295), che non coincide né con la nozione di giusta causa di cui all’art. 2118 c.c., né con quella di giustificato motivo di licenziamento contemplato dall’art. 3 della L. 604/66, ma è molto più ampia ed elastica ed è in grado di comprendere anche condotte o situazioni non idonee ad integrare la giusta causa o il giustificato motivo:

è stato a tal riguardo elaborato il concetto di “giustificatezza” del recesso, la cui mancanza determina il diritto convenzionale all’indennità supplementare.

La distinzione si giustifica con il carattere fiduciario particolarmente intenso del rapporto di lavoro con il dirigente:

insomma ai fini della giustificatezza del licenziamento del dirigente è rilevante qualsiasi motivo che lo sorregga, con motivazione coerente e fondata su ragioni apprezzabili sul piano del diritto, atteso che non è necessaria una analitica verifica di specifiche condizioni, ma è sufficiente una valutazione globale che escluda l’arbitrarietà del recesso in quanto intimato con riferimento a circostanze idonee a turbare il rapporto fiduciario con il datore di lavoro nel cui ambito rientra l’ampiezza di poteri attribuiti al dirigente (Cass. 2014 n. 6110; cfr. anche la giurisprudenza richiamata nell’ordinanza di prime cure, Cass. 13918/13; Cass. 5062/13; Cass. 17086/12; Cass. 3547/12; Cass. 1424/12; Cass. 19074/11; Cass. 2137/2001; Cass. 8263/92; Cass. SS.UU. 7295/1986).

Dunque se il dirigente ritiene di essere stato licenziato senza che ricorresse neppure la giustificatezza del recesso, potrà domandare il pagamento dell’indennità supplementare e anche dell’indennità di mancato preavviso se il recesso sia stato intimato senza rispettare il termine previsto.

Se il dirigente chiede la reintegrazione deve prospettare necessariamente la nullità del licenziamento ai sensi dell’art. 18 comma 1

S.L. norma che contempla – tra le altre – l’ipotesi del licenziamento cd. ritorsivo e cioè determinato da motivo illecito determinante ai sensi dell’art. 1345 c.c..

2.c.

Tanto premesso il ricorrente chiede al Tribunale l’accertamento della nullità, inefficacia, illegittimità del licenziamento e la sua reintegrazione nel posto di lavoro, con condanna al pagamento delle retribuzioni maturate dal licenziamento alla reintegrazione.

Come osservato il dirigente può essere reintegrato solo allegando e provando che ricorrano le condizioni del primo comma dell’art. 18 cit. atteso che il difetto di giustificazione (sub specie di mancanza di giustificatezza o di giustificato motivo oggettivo), può condurre ad una tutela meramente economica (sub specie di indennità supplementare e/o di indennità di mancato preavviso), che qui non è stata richiesta.

È pertanto contraddittorio allegare l’illegittimità del licenziamento e al contempo domandare la sola reintegrazione.

2.d.

Ciò posto e circoscrivendo, quindi, il perimetro della decisione alla tutela domandata, cioè quella reintegratoria, occorre rimarcare che il ricorrente deduce che il licenziamento “è da considerarsi illegittimo per insussistenza del fatto, perché privo di giusta causa e di giustificato motivo e qualificabile, pertanto, come licenziamento ritorsivo”.

Segnatamente il licenziamento sarebbe illegittimo per:

1) insussistenza del fatto contestato atteso che il ricorrente non ha violato il patto di non concorrenza in quanto l’art. 6.1 del contratto individuale escludeva dal patto l’attività lavorativa con Ovest;

l’accordo era legittimo in quanto sottoscritto dai legali rappresentanti muniti dei relativi poteri;

benchè non fosse necessaria l’autorizzazione del c.d.a. per la sottoscrizione del contratto RAGIONE_SOCIALE – questi unitamente al ricorrente aveva comunque portato il c.d.a. a conoscenza della problematica e della soluzione trovata nell’esclusivo interesse di 2) tardività della contestazione disciplinare del 14.7.2023, avendo conoscenza dell’esistenza dei due contratti “gemelli” sin dal maggio 2023;

3) violazione del principio di specificità e immutabilità della contestazione.

Tuttavia l’affermazione per cui il licenziamento è illegittimo e quindi automaticamente ritorsivo è del tutto errata sul piano giuridico, in quanto la ritorsività postula l’allegazione e la prova di fatti che sono ben diversi dalla mancanza di giustificazione del recesso e che consistono nell’essere quest’ultimo frutto di un intento punitivo della parte datoriale in conseguenza di un comportamento del lavoratore risultato sgradito.

Ora proprio questa allegazione è del tutto deficitaria nel ricorso nel quale si fa un generico riferimento a rapporti conflittuali all’interno della compagine aziendale e all’occasione mancata di di esercitare il diritto di opzione acquistando la restante parte delle azioni di la perdita dell’opportunità di esercitare il diritto di opzione non è dipesa, nella ricostruzione del ricorrente, da e quindi non è comprensibile perché la e per essa avrebbe dovuto procedere al licenziamento, peraltro di un soggetto diverso, cioè di In altro passaggio del ricorso è poi affermato che il licenziamento di sarebbe conseguenza del suo rifiuto di divenire amministratore delegato del gruppo Ma anche dando per provato che il abbia ricevuto una formale proposta di nomina quale a.d.

del Gruppo RAGIONE_SOCIALE da parte di come asserito dal ricorrente, non vi sono sufficienti elementi indiziari che convergano in modo univoco a far ritenere che il suo licenziamento sia stato determinato, in via esclusiva, dal rifiuto di accettare la suddetta proposta e cioè che questo rifiuto fosse stato considerato un fatto così grave da scatenare la reazione punitiva.

Né si vede che in modo la circostanza che nella riunione del 19.9.23 abbia (asseritamente) screditato nell’ottica di accaparrarsi successivamente l’affare RAGIONE_SOCIALE attraverso una propria società, possa costituire – nella prospettiva del ricorrente – una dimostrazione del carattere ritorsivo del suo licenziamento.

Ad avviso dell’Ufficio – dunque – trattasi di doglianze fumose e vaghe, di mere illazioni che non trovano aggancio in concrete circostanze di fatto che abbiano una reale consistenza oggettiva.

Insomma gli elementi indiziari offerti dal ricorrente a sostegno della natura ritorsiva del licenziamento sono del tutto insufficienti.

2.e.

Ad ogni buon conto costituisce orientamento condivisibile della S.C. quello per cui il motivo illecito determinante di cui all’art. 1345 c.c. che determina la nullità del licenziamento è quello unico ovvero quello che, pur non essendo necessariamente unico, concorre con un motivo che non sia oggettivamente giustificato (cfr. in tal senso Cass. 30429/2018 “Il nuovo testo dell’art. 18 della l. n. 300 del 1970, come modificato dalla l. n. 92 del 2012, ha previsto, ai fini della nullità del licenziamento, la rilevanza del motivo illecito determinante ex art. 1345 c.c., anche non necessariamente unico, il cui carattere determinante può restare escluso dall’esistenza di un giustificato motivo oggettivo solo ove quest’ultimo risulti non solo allegato dal datore di lavoro, ma anche comprovato e, quindi, tale da poter da solo sorreggere il licenziamento, malgrado il concorrente motivo illecito”).

Nella specie sussiste la giustificazione del licenziamento e dunque anche per questo verso non ricorre l’ipotesi dell’art. 1345 c.c..

A tale fine deve, infatti, rimarcarsi che la società ha dimostrato la piena legittimità del recesso e dunque – nell’ottica di escluderne la matrice ritorsiva, benchè si ripete l’accertamento della che hanno condotto ad adottare la sanzione espulsiva nei confronti del dirigente.

2.f. Stante la complessità della vicenda sottostante al licenziamento, appare opportuno riepilogare alcuni fatti non controversi:

è stata fondata da dieci soci, tra i quali che, dalla sua fondazione, ha avuto il ruolo di socio di maggioranza relativa, Presidente e Amministratore Delegato della società;

il 21.3.2019 hanno costituito la società RAGIONE_SOCIALE con quote al 50% ciascuno, avente oggetto sociale analogo a quello di (cfr. visura docc. 1 e 3 fasc. res. );

il 25.9.2020 è divenuto azionista di acquisendo, altresì, il diritto di esercitare un’opzione per aumentare la propria quota al 100% delle azioni;

nel 2021 ha acquistato tutte le azioni di ad eccezione di una parte delle azioni di , divenendo così socio di maggioranza (cfr. doc. 4 fasc. res. , cfr. anche visura, doc. 1 fasc. res. ):

in particolare nell’accordo tra contestuale alla cessione delle quote a (doc. 4 cit.), alla clausola 6.6.

, è così scritto:

“Le Parti danno atto che l’Amministratore detiene attualmente partecipazioni nella RAGIONE_SOCIALE

, e nella RAGIONE_SOCIALE L’Amministratore garantisce che nessuna delle predette società svolge alcuna attività che sia in concorrenza con quella della Società o di qualsiasi Società del Gruppo.

Il fatto che l’Amministratore detenga tali azioni in tali società non costituisce violazione degli obblighi previsti al paragrafo 6.4, purché le società non svolgano attività in concorrenza con quelle della Società o di qualsiasi Società del Gruppo” (traduzione dall’inglese all’italiano, pag. 3 memoria non contestata) e inoltre in detto accordo il ha negoziato l’attribuzione a della funzione di dirigente (doc. 4, all.

1.1.b), che è divenuta effettiva con il contratto stipulato a Milano il 6.10.2021 (doc. 8 fasc. ric.);

il 16.3.2023 è stato eletto membro del nuovo Consiglio di Amministrazione di unitamente a (Amministratore Delegato) e ad (divenuto Presidente del consiglio di amministrazione);

RAGIONE_SOCIALE era un potenziale cliente di per la fornitura di servizi di consulenza informatica;

il 27.4.2023, *** RAGIONE_SOCIALE Ovest hanno concluso il contratto di consulenza in questione, il 5.5.2023, , membro del c.d.a di ha chiesto a mezzo pec indirizzata a tutti i membri del c.d.a. delucidazioni in merito alle bozze degli accordi tra e ***:

“Please also provide the (draft) agreements between and Swiss RAGIONE_SOCIALE” (traduzione:

“Si prega di fornire (in bozza) gli accordi tra e RAGIONE_SOCIALE” (doc. 29 fasc. ricorrente e 13 fasc. res. );

lo stesso giorno 5.5.23 ha riscontrato la pec di con mail del seguente tenore:

“…Hi , (…) With regards to the draft contract you can find attached the draft we agreed on. As anticipated the draft is not directly with but instead with Ovest. will invoice Ovest for the effective activities…. ” (traduzione: “Ciao NOME) Per quanto riguarda la bozza di contratto puoi trovare in allegato la bozza che abbiamo concordato.

Come Anticipato da , il draft non è direttamente con ma con Ovest. fatturerà a Ovest le attività effettivamente svolte”);

il giorno 22.5.23 ha inviato a una pec di analogo tenore (doc. 14 fasc. res. , docc. 33, 34 fasc. ricorrente) e allegato una bozza di contratto tra e Ovest gemello di quello stipulato il 27.4.24 (doc. 28, 33, 34 fasc. ricorrente e docc. 14, 15 fasc. res. ) in data 19.6.2023 si è tenuta l’Assemblea del c.d.a. di avente al secondo punto dell’o.d.g. “obblighi di non concorrenza di RAGIONE_SOCIALE nei confronti della Società” (doc. 39 fasc. res. ) nel corso della quale, il Presidente del c.d.a , introduceva “la questione relativa alla contrattualizzazione dei rapporti con il partener commerciale RAGIONE_SOCIALE con il quale la Società ha coltivato le sue relazioni nell’ultimo anno” e riferiva che “per quanto a sua conoscenza RAGIONE_SOCIALE avrebbe chiesto di potere usufruire di alcuni servizi da prestarsi da parte della Società, attraverso le attività del nostro Consigliere e dirigente Dott. a partire dal 1 maggio 2023…” e “Invece che concludere il relativo contratto di consulenza IT con la nostra Società RAGIONE_SOCIALE avrebbe sottoscritto il relativo contratto di consulenza con RAGIONE_SOCIALE (“RAGIONE_SOCIALE”), società posseduta e controllata dal nostro Amministratore Delegato e dal nostro Consigliere , la quale avrebbe poi volute concludere un contratto con la Società retrocedendo alla stessa il 95% dei ricavi incassati” e manifestava la sua contrarietà rispetto all’operazione tra RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE e ritenendo necessario che parti del contratto dovessero essere esclusivamente e RAGIONE_SOCIALE In quella sede , difendeva la legittimità del contratto Swiss e precisava “che non era stato ancora firmato un contratto da per la retrocessione dei ricavi” e dell’a.d. e di , prendeva atto della situazione di conflitto di interessi che si era venuta a creare nei confronti di e dava mandato al Presidente di inoltrare a *** una comunicazione chiarificatrice dei diversi rapporti tra le società e finalizzata ad ottenere un rapporto contrattuale diretto con 2.g.

Ora dalla cronologia dei fatti sopra elencati – che risultano documentalmente e sono pacifici e non controversi tra le parti – emerge che il contratto tra *** e RAGIONE_SOCIALE è stato concluso il 27.4.2023 e che al momento della conclusione del contratto non vi era alcuna autorizzazione da parte di di procedere all’operazione, al punto che il 5.5.23 ha chiesto a notizie sullo stato delle trattative tra e RAGIONE_SOCIALE.

Tale richiesta è stata subito riscontrata da che ha omesso di affermare con chiarezza che le trattative tra questi due soggetti erano sfumate e ha altresì omesso di informare che però otto giorni prima era stato già sottoscritto il contratto tra Ovest e Swiss Banker.

Dunque solo nel mese di maggio e quindi molto tempo dopo la conclusione del contratto tra RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE, per la prima volta, attraverso le mail del 5 e del 22 rispettivamente prospettano a la soluzione del doppio contratto RAGIONE_SOCIALERAGIONE_SOCIALE e (con retrocessione degli introiti salva la percentuale del 5%), contratto quest’ultimo che lo stesso afferma peraltro non essere stato ancora sottoscritto durante la riunione del consiglio di amministrazione del 7.7.24.

In ogni caso non vi è alcuna evidenza documentale che abbia mai autorizzato tale operazione e quindi avallato la sottoscrizione del contratto del 27.4.2023 da parte di Ovest.

Poiché è socio di Ovest, che svolge la stessa attività di la sottoscrizione del contratto con RAGIONE_SOCIALE all’insaputa di e senza il suo consenso, l’ha posto in una posizione di conflitto di interessi e ha integrato una violazione del dovere di fedeltà, particolarmente grave trattandosi di un dirigente e cioè di una figura apicale della società nella quale la parte datoriale deve potere riporre la più totale fiducia.

È chiaro, infatti, che la detenzione delle quote di era tollerata da sul presupposto che quest’ultima non agisse in concorrenza con la società, presupposto esplicitato nel contratto di cessione quote sopra menzionato (“Il fatto che l’Amministratore detenga tali azioni in tali società non costituisce violazione degli obblighi previsti al paragrafo 6.4, purché le società non svolgano attività in concorrenza con quelle della Società o di qualsiasi Società del Gruppo”;

con la garanzia “che nessuna delle predette società svolge alcuna attività che sia in concorrenza con quella della Società o di qualsiasi Società del Gruppo” – doc. 4 fasc. res. art. 6.6).

obblighi previsti dall’art. 2105 c.c. è fatto divieto al dirigente di tenere una condotta che risulti in contrasto con i doveri connessi alla sua posizione nell’organizzazione aziendale e che possa dare luogo a un conflitto di interessi.

Non è chi non veda come tra questi doveri vi sia quello di fedeltà e di correttezza.

Pertanto la stipula del contratto del 27.4.23 e il comportamento opaco tenuto dal ricorrente nei confronti della parte datoriale, prima e dopo quella data, sono fatti estremamente gravi dal punto di vista oggettivo e dal punto di vista soggettivo denotano consapevolezza ed intenzionalità e quindi certamente giustificano il licenziamento in tronco del dirigente.

2.h.

Né inducono ad una diversa valutazione le giustificazioni rese dal in sede di procedimento disciplinare e ripetute nella presente sede processuale, con le quali osserva che:

avrebbe instaurato il rapporto con RAGIONE_SOCIALE al solo scopo di favorire quand’anche ciò fosse vero, resterebbe il fatto che avrebbe dovuto informare preventivamente dell’operazione che si accingeva a compiere con e ricevere un esplicito consenso, ciò che non è accaduto;

egli avrebbe portato a conoscenza dell’operazione durante la discussione sull’argomento avvenuta in sede di convocazione dell’assemblea dei soci del 5.5.2023 nella quale il (presente avrebbe rappresentato l’impossibilità di ottenere un accordo diretto tra la banca svizzera e la tale circostanza è tuttavia smentita dalla mail (sopra citata) inviata quello stesso giorno da con la quale questi chiedeva di avere una copia dell’accordo/bozza tra e ***, apparendo alquanto inverosimile che il consigliere non avesse capito niente del contenuto della riunione alla quale aveva partecipato, tanto da scrivere un messaggio diametralmente opposto rispetto a quanto emerso nella stessa; in risposta a tale mail di , lo stesso giorno il ricorrente lo aveva informato che l’accordo non era con ma con Ovest (cfr. mail del 5.5.23 sopra citata):

ora a parte il tenore sibillino di questa mail, non certo idoneo a chiarire ad un interlocutore – tanto più se avente particolari difficoltà di comprensione, come il ricorrente vorrebbe far apparire il consigliere – la reale dinamica delle trattative avute con *** e gli esiti delle stesse, vi è il fatto, per un verso, che in tale mail invia la bozza dell’accordo e non l’accordo era già stato siglato otto giorni prima, per altro verso, egli afferma che sarebbe stato ad anticipare la criticità avuta con *** e non lui stesso nella riunione del 5 maggio, come precedentemente sostenuto; per altro verso ancora che la criticità Par aveva tratto beneficio dall’attività oggetto del contratto come emergeva dalle due fatture emesse da Ovest nei confronti di *** e da nei confronti di Ovest (una del 31.5.2023 di € 17.325,00 e una di giugno 2023 di € 18.727,50):

tuttavia la circostanza non elide il compimento dell’illecito disciplinare, ma anzi si inquadra nel tentativo postumo del ricorrente e di di tentare una “regolarizzazione” del proprio operato.

Né è dato comprendere come fosse possibile che il 31.5.2023 potesse emettere fatture a Ovest in riferimento ad un contratto che a quella data non risultava essere stato ancora sottoscritto (cfr. dichiarazione di al c.d.a. del 19.6.2023).

Sotto altro aspetto – poi – al c.d.a. del 19.6.2023 era chiesto espressamente a documentare il numero di ore di lavoro svolte dal nell’attività con *** e tale richiesta è stata riscontrata negativamente da nella successiva riunione del c.d.a. del 7.7.23 in cui egli ha asserito di “non ritenere opportuno fornire la fattura tra *** e Ovest in quanto le informazioni presenti nella fattura tra Ovest sono sufficienti per definire le ore di lavoro svolte” (cfr. ns. doc. 17 – Verbale CdA del 7 luglio 2023), così impedendo la verifica della corrispondenza tra gli importi pagati a *** e Ovest e quelli retrocessi da Ovest a In ogni caso, comunque, contesta radicalmente la circostanza dell’emissione della fattura da a Ovest in data 31.5.2023 e osserva che dal documento risulta che è stata Ovest a emettere una fattura a *** per ottenerne l’incasso (doc. 35 fasc. ric. prima pagina), mentre nella seconda pagina compare una fattura di che è del 13.6.2023 e non del 31.5.2023 e che dunque quella che conta è solo la fattura elettronica SDI del 13.6.2023, mentre la data del 31.5.23 è stata inserita a mano per creare un’apparente retrodatazione, con l’aggiunta che nella terza pagina del doc. 35 solo il 17.7.2023 vi è stato il bonifico disposto dai soci di RAGIONE_SOCIALE dopo la revoca deliberata dal c.d.a. di e la contestazione disciplinare Parimenti contesta la fattura di giugno (doc. 36 fasc. ric.) la cui data reale è quella del 13.7.2023, anch’essa retrodatata a mano e pagata da Ovest il 25.8.23.

Inoltre – in disparte l’inconsistenza e la contraddittorietà di queste difese- balza subito agli occhi che nella lettera di impugnazione stragiudiziale del licenziamento il lavoratore non faccia alcuna menzione al carattere ritorsivo dello stesso, che invece diventa la pietra angolare della difesa giudiziale.

2.i.

La legittimità del recesso emerge con chiarezza già solo sulla scorta di quanto sopra osservato in base a documenti che sono prodotti da entrambe le parti e su cui, quindi, non vi è alcuna mail del 15.4.2023 scrive a – all’esito del disco verde all’accordo dato il giorno prima da *** – di apportare alcune modifiche al testo del contratto e in particolare con riguardo all’intestazione dell’affare e conclude “Quanto all’intestatario vediamo appena parlo con lui.

Per noi è indifferente tanto se chiudiamo, come ti dicevo, il contratto non può essere portato avanti perché è consulenza personale con te” (doc. 9 fasc. resistente):

l’idea è quindi di sostituire nella titolarità del contratto la società con la loro società Ovest, in previsione di una loro possibile uscita da stessa.

Nella mail del 18 aprile 2023 comunica, infatti, a *** di aver cambiato l’intestatario da a Ovest espressamente citando l’intesa sul punto con (traduzione:

“Come menzionato anche da e per evitare qualsiasi tipo di problema alla nostra collaborazione, abbiamo cambiato società che fornisce la consulenza.

Ora è RAGIONE_SOCIALE ” (doc. 10, fasc. res.).

Alla prima udienza il ricorrente ha contestato – tra l’altro – i docc. 9 e 10 della controparte, sostenendone la provenienza illecita per essere frutto di un accesso illecito alla propria casella postale in epoca successiva al licenziamento:

tuttavia il ricorrente non ha disconosciuto l’autenticità dei documenti, né li ha specificamente contestati, né ancora ha chiaramente dedotto i profili di presunta inutilizzabilità processuale.

Sicchè in difetto di un puntuale disconoscimento fatto in udienza e di una compiuta articolazione dei profili di censura, i documenti devono ritenersi utilizzabili.

D’altro canto il ricorrente ben conosceva le mail di cui ai docc. 9 e 10, essendo state poste a fondamento dell’ordinanza del Tribunale di Milano del 21.8.2023 (doc. 22 fasc. res. ) e non ha svolto in merito ad esse alcuna contestazione neppure nel ricorso.

Il Tribunale di Milano, adito da di cui come si ripete è socio al 50%, con ricorso cautelare ex art. 700 c.p.c. per ottenere l’inibitoria in relazione all’asserito carattere denigratorio e non veritiero delle circostanze riportate nei verbali del Consiglio di Amministrazione di del giugno e luglio 2023, ha rigettato la domanda osservando che “La documentazione versata in atti e i chiarimenti acquisiti in udienza, consentono di ritenere veritiera, all’esito della sommaria delibazione imposta dallo strumento cautelare azionato, la ricostruzione dei fatti prospettata da parte resistente, secondo la quale il e il concordarono direttamente con la i termini di un accordo contrattuale di consulenza, inizialmente coinvolgenti la e in seguito “dirottati” sulla Ovest, con il benestare della società svizzera (doc. 11 fascicolo ricorrenti) e all’insaputa della Depongono in tal senso: firmatario e non Ovest.

In tale occasione il , nell’approvare il contenuto degli accordi (“Letto tutto, è pulito e va bene”), fa salva proprio la questione del nominativo della società cui intestare il contratto (“Quanto all’intestatario vediamo appena parlo con lui della ].

Per noi è indifferente tanto se chiudiamo (…) il contratto non può essere portato avanti perché è consulenza personale con te”) (doc. 3 res. );

• le successive mail del 17.4.2023 (tra della , in cui il primo comunica al secondo il cambio di intestatario, “as discussed”), del 18.4.2023 inviata dal allo stesso (doc. 5 res. ) e del 24.4.2023 (doc. 6 res. ) indirizzata da , che sanciscono la conclusione dell’accordo sottoscritto il 27.4.2023 tra Ovest e (firmato e scambiato in pdf via mail – doc. 6 bis res.) , con reciproca soddisfazione delle stesse e con il benestare di (interessata a una collaborazione di consulenza con il , dipendente e componente del CdA nonché socio al 50% con quanto al cambio del nominativo della società contraente (doc. 11 ric.).

Tale risultato finale, che ha portato alla sottoscrizione del contratto RAGIONE_SOCIALE, è stato raggiunto all’insaputa della Prova ne è il fatto che, allorché con mail del 5.5.2023 (doc. 13 ric.) il consigliere (componente del CDA chiese al “di fornire anche gli accordi (bozze) tra e ***”, il risponde lo stesso giorno nei seguenti termini, trasmettendo la mera bozza del contratto RAGIONE_SOCIALE in realtà già sottoscritto il 27.4.2023:

“per quanto riguarda la bozza di contratto potete trovare in allegato la bozza che abbiamo concordato.

Come anticipato da il draft (BOZZA) non è direttamente con ma con Ovest.

fatturerà a Ovest le attività effettive” (doc. 13 bis ric.).

Non potendo più nascondere il cambio della società intestataria del contratto con , deciso in totale autonomia e già sottoscritto ormai da un mese, con mail del 22.5.2023, facendo riferimento allo stipulando accordo tra e Ovest “per la consulenza informatica basata sul lavoro di ” e accampando la scusa che la copia cartacea del contratto tra Ovest e “verrà inviata da RAGIONE_SOCIALE questa settimana”, illustra “l’architettura contrattuale” ideata (a posteriori) per consentire a di ricevere i ricavi di tali attività, inviando bozza del contratto tra Ovest e da lui preparato, da firmare “quando l’altro firmato da arriva nella nostra sede” e da far ratificare nel corso del prossimo CdA della (doc. 14 ric.). Resta così smentita l’affermazione contenuta a pag. 7 del ricorso secondo la quale tale meccanismo sarebbe stato condiviso “per le vie brevi contestualmente alla sottoscrizione del contratto di prestazione di servizi consulenziali fra RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE”, richiamando a sostegno di tale che poi accadde nella riunione del CDA del 19 giugno 2023 è ben riassunto nel relativo verbale (doc. 7 res. ) in relazione al quale il COGNOME non ha richiesto alcuna modifica al testo inviatogli in bozza nella parte relativa al secondo punto all’ordine del giorno “Obblighi di non concorrenza di Ovest nei confronti della Società” (doc. 24 ric.).

§ 4. Alla luce della ricostruzione che precede, è agevole pertanto pervenire alla conclusione che le iniziative asseritamente diffamatorie assunte da con comunicazioni ai propri dipendenti e alla , sono del tutto prive dei lamentati profili denigratori”.

È stato riportato un ampio stralcio della pronuncia milanese in quanto essa ha analizzato la fattispecie oggetto di causa, pervenendo alle medesime conclusioni qui raggiunte.

La domanda sub lett. b) non può quindi essere accolta.

3. Con la terza domanda sub lett. c) il ricorrente chiede l’accertamento del diritto all’inquadramento, sin dall’assunzione dell’8.6.2014, come dirigente e conseguentemente la condanna al pagamento delle relative differenze retributive e contributive.

3.a.

Ai sensi dell’art. 2103 c.c. nella versione ratione temporis applicabile nel 2014 “Il prestatore di lavoro deve essere adibito alle mansioni per le quali è stato assunto o a quelle corrispondenti all’inquadramento superiore che abbia successivamente acquisito ovvero a mansioni equivalenti alle ultime effettivamente svolte, senza alcuna diminuzione della retribuzione.

Nel caso di assegnazione a mansioni superiori il prestatore ha diritto al trattamento corrispondente all’attività svolta e l’assegnazione stessa diviene definitiva, ove la medesima non abbia avuto luogo per sostituzione di lavoratore assente con diritto alla conservazione del posto, dopo un periodo fissato dai contratti collettivi, e comunque non superiore a tre mesi.

(omissis)”.

Ai sensi dell’art. 2103 c.c. nel testo novellato ad opera del d.lgs. 81/2015 “Il lavoratore deve essere adibito alle mansioni per le quali è stato assunto o a quelle corrispondenti all’inquadramento superiore che abbia successivamente acquisito ovvero a mansioni riconducibili allo stesso livello e categoria legale di inquadramento delle ultime effettivamente svolte”.

3.b.

Costituisce consolidato e condivisibile orientamento della Suprema Corte quello per cui il procedimento logico-giuridico diretto alla determinazione dell’inquadramento di un lavoratore subordinato consta di tre fasi tra di loro ordinate in successione e consistenti:

a) nell’accertamento di fatto dell’attività lavorativa in concreto svolta;

b) nell’individuazione delle qualifiche o gradi previsti dalla normativa applicabile nel singolo caso (contratto collettivo ovvero regolamento del personale ad esso equiparabile);

c) nel raffronto dei risultati di tali due indagini (Cass. 3069/2005;

Cass. CoIl ricorrente durante il periodo di lavoro oggetto di causa è stato formalmente inquadrato come impiegato di 3° livello dall’8.6.2014 e poi dal 1.10.2015 come quadro del CCNL Commercio e Terziario, infine dal 6.10.2021 come dirigente (CCNL Dirigenti di Aziende del Settore Terziario).

3.c.

Appartengono alla categoria di Quadro i prestatori di lavoro subordinato, esclusi i dirigenti, che svolgono con carattere continuativo funzioni direttive di rilevante importanza per lo sviluppo e l’attuazione degli obiettivi dell’impresa, in ampi settori aziendali specifici o, con responsabilità generale, in organizzazioni di ridotta dimensione e struttura, anche decentrata, e quindi:

a) abbiano poteri decisionali e responsabilità gestionale anche nei confronti di terzi e nella conduzione e coordinamento di risorse umane e materiali, in settori o servizi di Particolare complessità operativa;

b) siano preposti, in condizione d’autonomia decisionale, di responsabilità e di elevata professionalità di tipo specialistico, allo sviluppo ed attuazione degli obiettivi generali dell’impresa di ridotte dimensioni, garantendo adeguato supporto sia nella fase d’impostazione sia in quella di sperimentazione e realizzazione, controllandone la regolare esecuzione e rispondendo dei risultati complessivi (art. 126 del CCNL doc. 81 fasc. ricorrente).

Il quid proprium di tale livello contrattuale è, dunque, l’elevato grado di capacità gestionale, organizzativa e professionale, lo svolgimento di un’attività di rilevante importanza all’interno dell’impresa, con elevato grado di autonomia, capacità propositiva e responsabilizzazione e il coordinamento di unità organizzative complesse.

3.d.

Il ricorrente rivendica il proprio diritto ad essere inquadrato nel livello di dirigente, fin dall’8.6.2014.

Ai sensi dell’art. 1 del CCNL per i Dirigenti di Aziende del Settore Terziario “1. Sono dirigenti a norma dell’art. 2094 c.c., ed agli effetti del presente contratto, coloro che, rispondendo direttamente all’imprenditore o ad altro dirigente a ciò espressamente delegato, svolgono funzioni aziendali di elevato grado di professionalità, con ampia autonomia e discrezionalità e iniziativa e col potere di imprimere direttive a tutta l’impresa o ad una sua parte autonoma.

2.

La qualifica di dirigente comporta la partecipazione e la collaborazione, con la responsabilità inerente al proprio ruolo, all’attività diretta a conseguire l’interesse dell’impresa ed il fine della sua utilità sociale (doc. 69 fasc. ricorrente).

Il quid proprium di tale livello contrattuale è l’elevato grado di professionalità, di autonomia e di potere decisionale, l’essere posti con ampi poteri direttivi a capo di importanti servizi o uffici, l’avere in modo continuativo poteri di rappresentanza e di decisione per tutta o per una notevole parte dell’azienda.

quadro dal dirigente è l’ampiezza del potere decisionale e del potere di rappresentanza sia sotto il profilo della sua intrinseca consistenza, sia sotto il profilo dell’ambito aziendale rispetto al quale esso viene esercitato.

Infatti il dirigente ha “ampia autonomia e discrezionalità e iniziativa e col potere di imprimere direttive a tutta l’impresa o ad una sua parte autonoma” mentre il quadro ha mera capacità propositiva e non ha poteri di rappresentanza dell’azienda;

il dirigente esercita i propri poteri decisionali e rappresentativi rispetto all’intera azienda o a una notevole parte di essa, laddove il quadro coordina unità organizzative complesse.

3.f.

Tanto premesso e rimarcate le caratteristiche proprie delle categorie a confronto e gli elementi distintivi di ciascuna, può ora procedersi all’esame delle mansioni concretamente svolte dal ricorrente, onde poi completare il percorso logico procedendo al raffronto tra le stesse e le categorie generali ed astratte appena esaminate.

Sul punto deve innanzitutto osservarsi che l’onere della prova della fondatezza della domanda grava sul lavoratore il quale deve allegare e dimostrare la sussistenza del diritto all’inquadramento superiore in modo rigoroso.

Deve, altresì, rimarcarsi come nella specie l’assolvimento di tale onere avrebbe innanzitutto richiesto una chiara descrizione dell’organizzazione aziendale, delle strutture e dei settori che la componevano diacronicamente a partire dal giugno del 2014 e cioè dall’epoca di inizio della rivendicazione delle mansioni dirigenziali, con una descrizione delle funzioni e dell’importanza di ciascuna struttura, anche in termini di ampiezza di mezzi, di risorse umane e di obiettivi strategici perseguiti.

Al contrario nell’atto introduttivo non è contenuta alcuna descrizione dell’organigramma aziendale (in tal senso vi è solo il documento n. 7 depositato dall’azienda che risale tuttavia al marzo 2015 e che è stato specificamente contestato nella sua valenza probatoria dal ricorrente alla prima udienza rappresentando che “il doc. 7 di parte resistente è un organigramma dell’anno 2015 e quindi inconferente ai fini del giudizio e che successivamente ad esso sono stati fatti altri cambiamenti organizzativi”), né il ricorrente ha depositato a tale fine documentazione idonea a dimostrare quale fosse l’assetto organizzativo della società, le strutture semplici o complesse di cui si componesse, i rapporti tra le stesse, in modo da cogliere l’ampiezza e l’importanza dei poteri decisionali da lui esercitati essendo a capo di questa o di quella struttura. Vi è solo un’elencazione delle mansioni svolte dal , nonché la sommaria indicazione della sua posizione, che tuttavia – in mancanza di un chiaro quadro di riferimento complessivo – posto deve osservarsi che gli esiti dell’istruttoria orale non hanno confermato gli assunti del lavoratore.

Nessuna conferma dello svolgimento di mansioni dirigenziali da parte del nel periodo controverso è venuta dai testi di parte resistente.

Mentre i testimoni di parte ricorrente hanno potuto riferire a partire dal 2019 e quindi di un periodo estremamente circoscritto e sostanzialmente a ridosso dell’epoca in cui il ricorrente ha effettivamente acquisito le mansioni dirigenziali (2021).

Segnatamente la teste , ha dichiarato di essere dipendente della dal maggio del 2019, dapprima in forza di un contratto interinale e poi con contratto a tempo indeterminato dal settembre dello stesso anno e di avere dapprima lavorato a Potenza come addetto operation e di essere poi passata in amministrazione.

In realtà nel prosieguo della deposizione si è appurato che la è stata dipendente fino a luglio del 2020 e poi dipendente Ovest fino al gennaio 2023 (“(…) Poi a luglio del 2020 è stata chiusa la sede di Potenza e aperta quella di Roma (…)

NOME Preciso che quando è stata chiusa la sede di Potenza molti colleghi non hanno accettato il trasferimento e io ero tra questi.

Mi è stato proposto di cambiare società con RAGIONE_SOCIALE e garantire la continuità del servizio amministrativo.

E io ho accettato per un periodo che è durato fino al gennaio 2023).

In disparte questa dimenticanza nel riferire il proprio datore di lavoro, la deposizione appare comunque alquanto contraddittoria.

Infatti la teste invitata a descrivere la struttura organizzativa della società, dapprima ha affermato che vi erano solo due direzioni, la direzione operativa (costituita dalla divisione IT, divisione Customer Support e divisione Marketing e vendite) e la direzione amministrativo-contabile;

poi, dopo la lettura del capitolo di prova n. 26 del ricorso, ha confermato che ha diretto due divisioni la divisione IT e la divisione Operation (dove Operation non è più una direzione ma diventa una divisione) e ricordato l’esistenza di una “direzione” RAGIONE_SOCIALE e Servizi e di una direzione Generale.

Successivamente la teste ha riferito dell’esistenza di una divisione RAGIONE_SOCIALE, non citata in precedenza e ha dichiarato che la divisione Marketing e la divisione IT facevano capo alla direzione Generale, contraddicendo quello che aveva affermato precedentemente e cioè che tali due divisioni facevano capo alla direzione operativa (“ADR Quindi, ad esempio, il ricorrente approvava le ferie di tutti i dipendenti di tutte le direzioni?

Indirettamente sì.

Su ogni divisione vi erano dei livelli intermedi che erano dei livelli quadro che a loro volta riportavano a. Nel 2019 ho che era a capo della divisione vendite.

Queste quattro divisioni facevano capo alla direzione Generale”).

Non ha trovato poi una rassicurante conferma la circostanza per cui il ricorrente fin dal 2014 coordinasse e dirigesse dipendenti aventi il livello di quadro.

Sul punto ha dichiarato che nel 2019-2020 vi erano quattro quadri che riportavano al ricorrente, i sigg.ri ma appare alquanto singolare che il nel ricorso non abbia mai neppure menzionato i nominativi di e che abbia individuato come impiegati suoi collaboratori e non come quadri ( peraltro, è effettivamente impiegato di I livello e non quadro, cfr. contratto di cessione delle azioni, doc. 4 fasc. resistente).

Risulta, invece, che i due quadri che pacificamente hanno collaborato con il dirigente sono stati assunti entrambi dopo che era divenuto dirigente.

D’altro che la scarsa affidabilità della deposizione della emerge anche da quanto dichiarato dal teste che affermato di essere stato assunto da come quadro il 2.5.2022 e non nel 2023 come sostenuto dalla teste.

Inoltre il teste ha riferito, contrariamente a quanto dedotto dalla e dalla teste che era e non a dirigere il Reparto Customer Support e il reparto Marketing (“Vi erano cinque reparti, due sotto e tre sotto :

vi era il reparto Customer Support, reparto Marketing e Amministrazione sotto ;

mentre reparto IT e reparto Business, sotto COGNOME”), il che contribuisce ulteriormente a rendere il quadro istruttorio lacunoso, contraddittorio e insufficiente.

Anche la teste , che peraltro non è dipendente della convenuta ma di altra società del gruppo dal mese di luglio del 2021 e che quindi è in grado di riferire circostanze rilevanti ai fini della presente vertenza per il brevissimo lasso di tempo di circa tre mesi (luglio, agosto mese nel quale ha peraltro goduto di ferie e settembre), non è apparsa precisa e puntuale nel descrivere l’organizzazione aziendale.

Infatti alla domanda con cui le si chiedeva di descrivere l’organigramma di nel 2021 quando ha iniziato a lavorare, ha dapprima riferito dell’esistenza di soli 6 “reparti” quello IT, Supporto Clienti, Marketing, Vendita, Operation, peraltro ammettendo di non ricordare chi fosse a capo di quest’ultimo (“Vi era un reparto di amministrazione, un reparto IT, un reparto Supporto Clienti, un reparto di Marketing, l’area di vendita.

Il ricorrente stava a capo del Marketing, dell’IT, di Supporto Clienti e aveva in gestione alcuni dei clienti esistenti.

Vi era anche il reparto operation.

Non ricordo chi fosse a capo di questo reparto”), salvo però dopo la lettura dei capitoli di prova nessuno dei testi escussi ha saputo descrivere con precisione l’organizzazione aziendale e i settori di cui essa si componeva.

In questa cornice vaga e lacunosa i capitoli di prova del ricorso, nei quali sono passate in rassegna in modo analitico le mansioni e le attività svolte dal , finiscono con il cadere nel vuoto perché non è possibile apprezzarne l’importanza, il carattere strategico, la capacità di imprimere direttive a tutta l’impresa o a una sua parte autonoma, né misurarne l’ampiezza dei poteri, la responsabilità, l’autonomia.

Per tale motivo non è neppure stato dato ulteriore corso all’istruttoria mediante l’escussione di altri testimoni:

appare peraltro significativo il fatto che avendo il giudice limitato a due i testi da escutere, il ricorrente anziché citare persone in grado di rispondere sull’intero periodo controverso (di 7 anni) abbia citato due testi a conoscenza solo di una modesta parte dello stesso (una addirittura meno di tre mesi).

D’altro canto non è sufficiente a confermare lo svolgimento delle mansioni tipiche del dirigente la mera preposizione ad un qualsiasi ufficio o servizio in cui si articoli la struttura aziendale, con i conseguenti poteri decisionali e responsabilità, né il fatto che in tale veste si abbia il coordinamento e la direzione di risorse, magari anche gestendone le ferie, atteso che tali caratteri sono comunque riscontrabili anche nel livello del quadro.

Come si ripete il tratto caratteristico della figura del dirigente d’azienda rispetto a funzioni simili come quella di impiegato con funzioni direttive, va individuato nell’autonomia e nella discrezionalità delle scelte decisionali, in modo che l’attività del dirigente influisca sugli obiettivi complessivi dell’impresa.

Infine risulta che nel periodo dall’assunzione (giugno 2014) fino al 6.10.21 il non avesse procure (circostanza confermata anche dalla teste ) e anche per quanto concerne la posizione di DPO è documentato che non gli erano comunque attribuiti poteri decisionali dovendo agire “attenendosi alle istruzioni impartite dal Titolare” (doc. 80 fasc. ric.).

La domanda non può, quindi, essere accolta.

4. Con la quarta domanda sub lett. d) il ricorrente rivendica il pagamento di € 60.000,00 per la mancata assegnazione dei piani di incentivazione previsti dal contratto individuale di lavoro del 6.10.21 con cui è stato inquadrato come dirigente.

La domanda è fondata.

Il detto contratto:

all’art. 8 denominato “Retribuzione variabile” stabilisce che:

“…8.1.

In aggiunta alla retribuzione fissa di cui alla precedente clausola 7, il Dirigente parteciperà al piano di incentivazione del management della Società, le cui condizioni di corresponsione e tempi di pagamento saranno successivamente stabiliti dalla Società.

8.2. Resta inteso che qualora la Società non dovesse assegnare alcun piano di incentivazione entro dodici mesi dal termine iniziale di cui al punto 1.1, ovvero dovesse successivamente interromperne l’assegnazione, il Dirigente avrà diritto di ricevere, anche a titolo di penale, un importo forfettario lordo pari a Euro 30.000,00 (trentamila/00) per ciascun anno di mancata assegnazione del piano di incentivazione.

8.3. Resta altresì inteso che gli eventuali importi che dovessero essere corrisposti al Dirigente in esecuzione di quanto previsto alle clausole 8.1.

e 8.2.

non saranno utili per la determinazione di alcun istituto retributivo indiretto con la sola eccezione del trattamento di fine rapporto ex art. 2120 cod. civ., poiché nella loro quantificazione già si terrà conto di tale incidenza.

” È pacifico e non controverso tra le parti che la convenuta ha assegnato anche al piano di incentivazione basato sulla possibilità di attribuzione al dirigente di un certo numero di azioni al prezzo di € 139,40 per azione, con contestuale sottoscrizione da parte del dirigente di un accordo di prestito con di importo pari al valore di 139,40 moltiplicato per il numero di azioni attribuite e successiva possibilità di rivendere le azioni al valore di mercato e di restituire il prestito:

l’incentivo era quindi rappresentato dalla differenza tra i due valori e il ricorrente risulta avere sottoscritto tale piano (docc. 10, 11 fasc ricorrente e docc. 27. 28 fasc. resistente).

È poi pacifico che non abbia portato a compimento il piano di incentivazione.

afferma che ciò è dipeso da perdite di esercizio registrate nel 2021 e 2022 che hanno determinato una diminuzione del valore delle azioni, scese da € 139,40 ad € 26,39 (docc. 29, 30, 31 fasc. resistente) e che la mancata esecuzione del piano era imputabile esclusivamente ad Tuttavia ciò che qui rileva è che il piano, pur assegnato nel termine contrattualmente previsto (il piano è di gennaio 2021 ed è stato assegnato a maggio 2021), è stato poi interrotto dalla parte datoriale e che in base alla clausola contrattuale in tale ipotesi il dirigente ha diritto di ricevere € 30.000,00 per ciascun anno di mancata assegnazione.

Se, infatti, l’azienda ha assunto l’impegno contrattuale di assegnare un piano di incentivazione e di portarlo a compimento non sussiste alcuna discrezionalità per la società di attivarlo e di Poiché la convenuta, quindi, ha assegnato nel corso del primo anno di lavoro del ricorrente (6.10.21-6.10.22) il piano di incentivazione, ma lo ha poi interrotto e revocato è dovuta la penale di € 30.000,00 con riferimento al primo anno di servizio.

Quanto al secondo anno, è pacifico che la società non ha assegnato alcun piano di incentivazione dal 1.10.2022 al 17.7.2023 e non ha allegato e dato prova che nel periodo successivo (dal 17.7.2023 al 1.10.2023) avrebbe con certezza o quantomeno con probabilità assegnato al dirigente tale piano.

Se avesse fornito questa prova, il licenziamento si sarebbe posto come fatto impeditivo alla fruizione del piano e il dirigente, quindi, non avrebbe avuto diritto alla penale.

Non avendo, tuttavia, fornito tale prova emerge l’inadempimento della società all’obbligo contrattuale di assegnare il piano e la circostanza che il lavoratore sia stato licenziato per giusta causa con decorrenza 17.7.23 rimane priva di rilievo in rapporto a tale inadempimento, con la conseguenza che è dovuta la penale anche per il secondo anno.

Sono, quindi, complessivamente dovuti dalla convenuta al ricorrente € 60.000,00.

5. Con la quinta domanda sub lett. e) il ricorrente chiede la condanna della società al pagamento di € 48.491,66 a titolo di monetizzazione dei fringe benefits di cui all’art. 9.3 del contratto di lavoro citato (di cui:

€ 6.612,50 (=26.450,00/12* 3) per i mesi di ottobre, novembre e dicembre 2021; € 26.450,00 intero 23% per l’anno 2022;

€ 15.429,16 (=26.450,00/12* 7) per i mesi da gennaio 2023 a luglio 2023).

La domanda è infondata.

Il contratto di lavoro prevede all’art. 9 intitolato “Beni in dotazione al Dirigente – fringe benefit”:

“9.1 La Società metterà a disposizione del Dirigente un telefono cellullare e un computer portatile per svolgimento della sua attività lavorativa.

Tutti i costi relativi all’uso del telefono e del computer portatile finalizzato allo svolgimento dell’attività lavorativa saranno sostenuti dalla Società.

9.2

La Società metterà altresì a disposizione del dirigente un’auto aziendale ad uso promiscuo, secondo le disposizioni di cui alla relativa policy aziendale 9.3 Per ulteriori frange benefits sarà assegnato un budget pari al 23% della retribuzione base di cui al precedente paragrafo 7.1.

Il dirigente potrà scegliere se spendere tale budget per una soluzione abitativa, assicurazione medica privata o contributi pensionistici superiori al minimo richiesto.

9.4.

Il dirigente potrà in qualsiasi momento trasformare la quota pattuita come frange benefits in remunerazione ovvero cambiarne la destinazione d’uso.

9.5 La Società rimborserà tutte le ragionevoli e necessarie spese di viaggio, intrattenimento e altre spese aziendali sostenute per lo svolgimento delle mansioni dal Dirigente, in conformità con le politiche, le norme e i regolamenti aziendali.

9.6 (omissis) 9.7

Alla cessazione del rapporto di lavoro, o al massimo entro tre giorni dalla stessa data, il Dirigente dovrà prontamente restituire alla Società tutti i documenti, anche in formato digitale, i software, ogni attrezzatura elettronica, le chiavi e tutti gli altri beni di proprietà della Società;

in ogni caso, detti beni non potranno essere utilizzati in un momento successivo alla cessazione del rapporto e/o senza la preventiva autorizzazione scritta della Società”.

afferma di avere ricevuto il p.c., il cellulare e l’auto aziendale e di avere diritto al pagamento del 23% della retribuzione base a titolo di ulteriore fringe benefit ai sensi degli artt. 9.3 e 9.4.

Tuttavia risulta che l’azienda ha concesso al ricorrente, in comodato d’uso gratuito, l’abitazione di INDIRIZZO a Roma per l’intero periodo nel quale è stato dirigente.

È vero che detta abitazione gli fu concessa sin dal mese di settembre 2020 quando egli era ancora un quadro, ma è anche vero che il motivo dell’assegnazione era legato al fatto che il all’epoca lavorava di fatto presso la sede aziendale di Potenza e che svolgeva trasferte di “lungo periodo” a Roma e quindi l’abitazione era strumentale alle trasferte nella capitale.

Al contrario a ottobre del 2021, con la sottoscrizione del nuovo contratto di lavoro come dirigente, la sua sede lavorativa formale ed effettiva diveniva quella di Roma, per cui non vi era più alcun motivo di mantenere la concessione dell’abitazione in comodato gratuito.

Il mantenimento può dunque trovare spiegazione solo nella volontà delle parti di considerare la soluzione abitativa di INDIRIZZO espressiva del fringe benefit di cui all’art. 9.3 del contratto.

D’altro canto il ricorrente, prima del licenziamento, non ha mai rivendicato né sotto forma di denaro, né di altri benefici, il budget di cui all’art. 9.3 il che dimostra che egli ritenesse che lo stesso fosse integrato dal mantenimento gratuito dell’appartamento romano, che altrimenti non avrebbe avuto alcun diritto di godere a spese della società.

Solo dopo il licenziamento, con la lettera del 19.7.2023, il ha avanzato per la prima volta la richiesta di monetizzazione (doc. 43 fasc. ricorrente).

Sul punto si osserva per completezza che poiché poi l’abitazione avrebbe dovuto essere rilasciata al momento della cessazione del rapporto di lavoro, ai sensi dell’art. 9.7 del contratto, l’occupazione successiva deve ritenersi avvenuta senza titolo.

Infatti risulta dagli atti che la società, con missiva il tempo necessario alla ricerca di una nuova soluzione abitativa, fino alla data del 31.10.2023, a condizione che il rimborsasse i canoni e le spese dal licenziamento (17.7.2023) fino alla detta data (31.10.2023) quantificandone l’importo in € 8.473,19 (8.473,19: 106 giorni= 79,93 euro al giorno che moltiplicato per 30 giorni, dà il canone mensile di € 2.400,00):

il dirigente tuttavia non ha liberato l’immobile alla scadenza del 31.10.23 e non ha corrisposto il canone mensile di € 2.400,00 a partire dal licenziamento.

Infondata, da ultimo, la deduzione per cui il non sarebbe tenuto al pagamento dei canoni in oggetto in quanto avrebbe diritto, fino al gennaio del 2025, ad un corrispettivo pari al 100% dell’ultima retribuzione annua comprensiva dei fringe benefits e che avrebbe diritto “a ricevere la monetizzazione dell’auto”:

occorre infatti per un verso rimarcare l’inadempimento del dirigente al patto di non concorrenza di cui all’art. 12 (cfr. infra) e per altro verso sottolineare che il punto 9.7 del contratto prevede che il dirigente, al momento della cessazione del rapporto di lavoro, debba restituire “tutti gli altri beni di proprietà della Società” formula ampia e omnicomprensiva che certamente concerne anche l’auto aziendale, concessa in uso durante il rapporto di lavoro e rispetto alla quale non vi sono previsioni derogatorie nel contratto di lavoro che prevedano una sua monetizzazione. 6.

Con la sesta domanda sub lett. f) il dirigente domanda la condanna della convenuta al pagamento del corrispettivo per il patto di non concorrenza di cui all’art. 12 del contratto del 6.10.21.

Segnatamente deduce che dopo il licenziamento non ha instaurato alcun nuovo rapporto di lavoro o di collaborazione con terzi, ragion per cui nessuna informativa andava data alla convenuta ai sensi dell’art. 12.6;

che pertanto gli era dovuto il corrispettivo trimestrale previsto dall’art. 12.4 pari ad € 38.206,32 [(=115.000,00 + valore fringe benefit del 23% annuale 26.450,00 + il valore dell’autovettura pari ad € 11.375,28 iva compresa doc. 87):12×3] e che detta somma andava parzialmente compensata con i canoni delle 3 mensilità di locazione pari ad € 6.600,00 e, quindi, chiede la condanna di al pagamento di € 31.606,32 per il primo trimestre, nonché il pagamento degli ulteriori ratei trimestrali sino a concorrenza del dovuto. La domanda non è fondata.

Il contratto prevede all’art. 12 denominato “Patto di non concorrenza”:

“12.1.

Il Dirigente si obbliga, ai sensi dell’art. 2125 cod. civ., per il periodo di 18 mesi a decorrere dalla cessazione del rapporto di lavoro, per qualunque causa avvenuta, a:

– non svolgere alcuna attività in favore di trovarsi in concorrenza con l’attività svolta dalla Società.

L’obbligo di astensione comporta che nessuna attività a favore dei soggetti di cui sopra possa essere svolta sia direttamente, che per interposta persona od ente, sia in proprio, in forma autonoma o subordinata, anche occasionale o gratuita, ovvero in qualità di associato in partecipazione o socio con prestazioni accessorie, sia quale socio, amministratore o institore, distaccato, consulente o agente e ciò indipendentemente dalle mansioni oggetto della futura prestazione lavorativa;

– non sollecitare o offrire, direttamente o indirettamente, lavoro a dipendenti, agenti, collaboratori e/o consulenti della nostra Società e/o dalle società controllanti e controllate, anche in relazione ad attività non concorrenziali con quelle di quest’ultima.

12.2.

L’obbligo di non concorrenza avrà validità nel seguente territorio:

Unione Europea e Regno Unito, con riferimento all’attività prestata, anche solo in parte, dal Dirigente.

12.3.

Tenuto conto che gli attuali strumenti tecnologici consentono una dissociazione tra il luogo in cui è eseguita la prestazione lavorativa e quello in cui la stessa può essere proficuamente utilizzata, il limite territoriale di cui sopra è da intendersi espressamente riferito sia al luogo in cui venga di fatto svolta, in qualunque forma, l’attività del Dirigente sia quello in cui essa produca i propri effetti o venga in tutto o in parte utilizzata a prescindere, quindi, dalla presenza fisica del Dirigente in tali luoghi. 12.4.

Quale corrispettivo dell’obbligo di non concorrenza di cui al presente patto, la Società si obbliga a corrispondere al Dirigente un compenso lordo pari al 100% dell’ultima retribuzione annua lorda, inclusiva del valore dei fringe benefits, percepita dal Dirigente al momento della cessazione del rapporto, determinata ai sensi dell’articolo 2120 cod. civ., diviso per 12 e moltiplicato per il numero di mensilità di durata dell’obbligo di non concorrenza.

Tale compenso sarà corrisposto in rate trimestrali uguali posticipate a decorrere dalla data di cessazione del rapporto di lavoro.

12.5.In caso di inadempimento anche parziale alle obbligazioni di cui al presente paragrafo, il Dirigente sarà tenuto a restituire alla Società l’intera somma percepita a titolo di corrispettivo del presente patto di non concorrenza.

12.6.

Allo scopo di consentire alla Società il controllo sull’esatto adempimento dell’obbligo di non concorrenza, il Dirigente si obbliga a comunicare immediatamente alla Società con lettera raccomandata il nome della società, dell’ente od organizzazione o semplicemente datore di lavoro, per il quale svolgerà la propria opera o collaborazione, ovvero l’attività che svolgerà nel periodo di esecuzione del patto ed ogni modificazione variazione dei soggetti o dell’attività prima della 12.7.

In caso di inadempimento all’obbligo di informazione di cui al paragrafo che precede, il Dirigente corrisponderà alla Società, a titolo di penale, un importo di Euro 1.000,00 (mille/00) per ogni giorno di ritardo…”.

Pertanto, in base alla clausola pattizia, il dirigente avrebbe dovuto astenersi, dopo la cessazione del rapporto di lavoro avvenuta per qualsiasi motivo, anche per licenziamento, dal compiere attività per società in concorrenza con la convenuta, direttamente o indirettamente, per interposta persona e anche quale socio.

È pacifico e documentale che anche dopo il 17.7.2023 sia proseguito il rapporto commerciale tra la (di cui è socio al 50%) e la società RAGIONE_SOCIALE che ha integrato un’attività in concorrenza con quella di (cfr. doc. 36 fasc. res. ):

che il contratto RAGIONE_SOCIALE si sia risolto dopo il 17.7.23 è affermazione incontestata dal ricorrente.

Tale attività è stata posta in essere dal , nella qualità di socio di RAGIONE_SOCIALE, in Italia e quindi nel territorio dell’Unione europea, rientrante nei limiti territoriali del patto che espressamente stabilisce che si deve tener conto sia del luogo di svolgimento dell’attività prestata dal dirigente sia di quello in cui essa produca i suoi effetti o venga utilizzata (art. 12.3).

Pertanto il corrispettivo non è dovuto stante l’inadempimento del dirigente.

7. Con l’ultima domanda sub lett. g) il ricorrente chiede il risarcimento del danno all’immagine determinato dalla condotta aziendale.

Deduce che la condotta datoriale ha minato seriamente l’onorabilità e la professionalità del lavoratore, recandogli un danno all’immagine che merita di essere risarcito;

che infatti il 14.7.23 il si è visto sospendere dall’attività lavorativa con effetto immediato mentre partecipava all’assemblea del c.d.a.

di dinanzi a tutti i membri del consiglio e che la circostanza è stata resa nota anche a tutti i dipendenti della società a mezzo email.

La domanda non è fondata.

Occorre da un lato rimarcare che la email incriminata (doc. 17 fasc. ricorrente) non appare avere contenuti diffamatori o offensivi, ma è redatta nel rispetto della continenza verbale e si limita a riferire un fatto oggettivo – quello della sospensione del – non nell’ottica di screditarlo, ma di fornire una informazione di servizio necessaria nell’ambito dell’organizzazione aziendale.

Dall’altro lato i fatti per i quali è stata disposta la sospensione e per i quali si è poi proceduto al licenziamento disciplinare sono veri e il licenziamento è legittimo, sicchè nessuna condotta illecita è questi assorbenti rilievi, per scrupolo di completezza, si osserva da ultimo che la domanda è anche priva di una compiuta allegazione della natura dei danni subiti (patrimoniali? non patrimoniali?), dei quali si chiede in modo del tutto generico una liquidazione equitativa.

8.

Quanto all’eccezione riconvenzionale di compensazione impropria, sollevata dalla parte resistente nella memoria di costituzione in giudizio, in forza della quale la società chiede di compensare quanto eventualmente dovuto al ricorrente con il proprio maggior credito fondato sull’art. 12.7 del contratto, osserva l’Ufficio che il credito in questione non è di facile e pronta liquidazione ai sensi dell’art. 1243 comma 2 c.c. (Cass. 21923/2009).

9. Appaiono sussistere gravi ed eccezionali motivi per compensare integralmente tra le parti le spese di lite, atteso che per un verso il ricorrente è soccombente su tutte le domande aventi maggiore importanza e valore economico, per altro verso il mancato accoglimento dell’eccezione riconvenzionale della convenuta è legata alla mera circostanza della non facilità e prontezza di liquidazione del credito.

Appaiono altresì sussistere gravi motivi per compensare le spese di lite tra il ricorrente e l’ litisconsorte processuale.

Pone definitivamente a carico di parte resistente il compenso liquidato all’interprete con decreto giudiziale.

Il Tribunale di Roma, in funzione di giudice del lavoro, definitivamente pronunciando, ogni diversa istanza, eccezione e deduzione disattesa, così provvede:

condanna la società resistente al pagamento in favore del ricorrente della somma complessiva lorda di € 60.000,00;

dichiara inammissibile la domanda sub lett. a) e rigetta tutte le altre domande;

compensa integralmente tra tutte le parti le spese di lite.

Roma, 1.10.2024 Il Giudice del Lavoro Dott.ssa NOME COGNOME

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