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Illegittimità del licenziamento per giustificato motivo oggettivo – Insussistenza delle ragioni organizzative addotte – Espansione dell’attività aziendale – Diritto all’indennità risarcitoria

Il licenziamento per giustificato motivo oggettivo è illegittimo se il datore di lavoro non fornisce la prova della sussistenza delle ragioni organizzative addotte e se, al contrario, dall’esame della visura camerale emerge un’espansione dell’attività aziendale. In tal caso, il lavoratore ha diritto ad un’indennità risarcitoria, determinata dal giudice in base all’anzianità di servizio, alle dimensioni dell’attività economica e al comportamento delle parti.

TRIBUNALE DI LOCRI SEZIONE CIVILE Controversie in materia di lavoro e previdenza

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Giudice dott.ssa NOME COGNOME all’udienza del 21/03/2023, ha pronunciato la seguente

SENTENZA N._243_2023_- N._R.G._00001093_2022 DEL_29_03_2023 PUBBLICATA_IL_29_03_2029

Nella causa iscritta al n. 1093 / 2022 reg.gen.sez.lavoro, e vertente TRA (C.F. rappresentato e difeso dagli avv.ti NOME COGNOME e NOME COGNOME con le quali elettivamente domicilia in Roma Ricorrente contro P.Iva.
) in persona del legale rappresentante p.t.
Resistente OGGETTO:
impugnativa di licenziamento Conclusioni:
il procuratore costituito per parte ricorrente ha discusso

RAGIONI DI FATTO

E DI DIRITTO DELLA DECISIONE

Con ricorso depositato in data 23/03/2022, il ricorrente, come in epigrafe rappresentato e difeso, ha esposto:

-che, dal 19.11.2020 sino al 6.02.2022, ha svolto ininterrottamente attività lavorativa alle dipendenze della impresa agricola con sede in Gioiosa Ionica e avente sette dipendenti;
-che la società cooperativa sociale  si occupa di produzione, vendita e distribuzione di prodotti agricoli;
-che il ricorrente svolgeva attività di conducente, addetto al trasporto e distribuzione dei prodotti agricoli della Cooperativa su tutto il territorio nazionale e prevalentemente nell’area di Roma;
-che, con raccomandata a.r. del 7/10/2021, è stato comunicato il rigetto della richiesta di trasferimento verso altra sede lavorativa;
-che, a tale missiva, ne ha fatto seguito un’altra, con la quale è stato comunicato l’avvio della procedura per superare il divieto di licenziamento prescritto dalla normativa anti covid;
-che, in data 7/12/2021, il ricorrente, a mezzo del proprio procuratore, ha diffidato la Società al pagamento delle differenze retributive fino ad allora maturate;
-che, con pec del 21/02/2022, è stato intimato il licenziamento per giustificato motivo oggettivo ex art. 2118 c.c., per riduzione del personale e, in particolare, per esigenze di riassetto organizzativo dell’attività lavorativa, con termine di preavviso dal 21.01.2022 e decorrenza del licenziamento dal 6.02.2022;
-che, in data 21/02/2022, ha trasmesso impugnativa di licenziamento tramite pec;
-che l’ultima busta paga consegnata è quella relativa alla mensilità di Ottobre 2021;
-che il ricorrente vanta dei crediti retributivi nei confronti della società datrice di lavoro;
-che la società resistente è iscritta all’associazione sindacale stipulante il C.C.N.L. del settore, praticando il trattamento economico normativo del settore ivi previsto;
-che a nulla sono valsi i tentativi di definizione stragiudiziale della vertenza esperiti per il pagamento delle differenze retributive maturate;
-che l’art. 7 della legge 604/1966 stabilisce:
“il licenziamento per giustificato motivo oggettivo di cui all’articolo 3, seconda parte, della presente legge, qualora disposto da un datore di lavoro avente i requisiti dimensionali di cui all’articolo 18, ottavo comma, della legge 20 maggio 1970, n. 300, e successive modificazioni, deve essere preceduto da una comunicazione effettuata dal datore di lavoro alla Direzione territoriale del lavoro del luogo dove il lavoratore presta la sua opera, e trasmessa per conoscenza al lavoratore”;
-che il datore di lavoro, che supera i limiti di cui all’art. 18 dello Statuto dei Lavoratori, in quanto società cooperativa iscritta nell’apposita sezione speciale in qualità di Impresa agricola a far data dal 14.12.2020, deve seguire la procedura prevista della legge n. 604/66, circostanza che, nella specie, non si è verificata;
-che, infatti, il licenziamento deve essere preceduto da un tentativo di conciliazione, presso l -che non sussistono, nella specie, le ipotesi di esclusione della predetta procedura, quali il superamento del periodo di comporto o l’interruzione del rapporto di lavoro a tempo indeterminato nel settore delle costruzioni edili per completamento delle attività e chiusura del cantiere;
-che, pertanto, il licenziamento è nullo;
-che non sussiste il giustificato motivo oggettivo, a fronte di un significativo incremento dell’attività della società cooperativa resistente e del numero di dipendenti;
-che, dalla visura camerale allegata, si evince l’aumento progressivo del numero dei dipendenti dal 2019 al 2021;
-che, in ipotesi di licenziamento per giustificato motivo oggettivo derivante dalla soppressione del posto di lavoro cui era addetto il lavoratore, incombe sul datore di lavoro l’onere di provare non solo l’assenza di una posizione di lavoro analoga a quella soppressa per l’espletamento di mansioni equivalenti, ma anche l’avvenuta prospettazione al dipendente della possibilità di un reimpiego in mansioni inferiori, compatibili con il suo bagaglio professionale;
-che il datore di lavoro deve anche dimostrare di aver verificato l’inesistenza di altri posti di lavoro a cui adibire il dipendente licenziato, fornendo la prova che, al tempo del recesso, i posti di lavoro residui erano stabilmente occupati e che, dopo il licenziamento, non è stata effettuata alcuna nuova assunzione a tempo indeterminato in qualifica analoga a quella del lavoratore licenziato;
-che, in relazione all’intero rapporto di lavoro subordinato intercorso con la società resistente, il ricorrente aveva il diritto di percepire il relativo integrale trattamento economico, rapportato al rispettivo livello di inquadramento nell’applicazione del CC.N.L. di categoria;
-che la quantificazione del TFR è stata effettuata utilizzando come base di riferimento l’ultima busta paga consegnata del mese di ottobre 2021, cui sono stati aggiunti i ratei maturati successivamente;
-che si è provveduto a calcolare le spettanze di fine rapporto come indicate nell’ultimo cedolino consegnato al lavoratore relativo al mese di ottobre 2021, comprendendo i giorni di ferie residui e le ore di festività non godute e 5 oltre i ratei di XIII e XIV mensilità, maturati nel corso dell’ultimo anno, sulla base della retribuzione indicata nei cedolini stessi.

Alla luce di quanto esposto, ha formulato le seguenti conclusioni:

“accertare e dichiarare illegittimo, nullo e privo di efficacia il contestato licenziamento con ogni conseguenza di legge ;
per l’effetto ordinare alla società, in persona del suo legale rappresentante pro tempore, di reintegrare il sig. nel posto di lavoro e condannare la società resistente al pagamento del risarcimento dei danni, secondo la retribuzione globale di fatto dal giorno del licenziamento sino a quello dell’effettiva reintegrazione ed al versamento dei contributi assistenziali e previdenziali dal momento del licenziamento al momento dell’effettiva reintegrazione;

conseguentemente, accertata l’applicazione del CCNL di categoria, accertare e dichiarare la mancata corresponsione delle differenze retributive come da conteggi parte integrante del presente ricorso e, per l’effetto, condannare la società in persona del Pres. del C.D.A. legale rappresentante pro tempore, a corrispondere al ricorrente la somma complessiva, di € 13.339,51 lordi, di cui € 746,20, a titolo di ferie residue, € 235,48 a titolo di ex festività residue e € 1.567,68 per T.F.R., come da allegato conteggio analitico ovvero alla diversa somma, maggiore o minore, che verrà accertata in corso di causa e ritenuta di giustizia anche ai sensi del combinato disposto degli art. 36 Cost., e 2009 c.c., oltre rivalutazione monetaria ed interessi legali dalla maturazione dei singoli diritti al saldo ex art. 429 c.p.c.; ordinare ex art. 423 co. 2 c.p.c.

nel corso del giudizio, ritenuto accertato il diritto azionato e nei limiti della quantità per cui ritiene raggiunta la prova, il pagamento della somma che SI riterrà di giustizia a titolo provvisorio;
ordinare alla , in persona del legale rappresentante pro tempore, di consegnare le buste paga relative alle mensilità intercorso con ;
condannare la società, in persona dell’Amministratore legale rappresentante pro tempore, corrente in Gioiosa Ionica (RC) , alla rifusione delle spese, competenze, ed onorari del giudizio oltre al rimborso delle spese generali ed accessori di legge, come da nota spese o, comunque, secondo le tariffe di cui al D.M. n. 55/2014 e succ. mod. , da distrarsi a favore dei sottoscritti procuratori quali antistatari”

Ritualmente instauratosi il contraddittorio, la Società resistente, pur convenuta in giudizio, non si è costituita.

Istruita la causa documentalmente e mediante l’escussione dei testi indicati nel ricorso introduttivo, all’udienza del 21/03/2023, svoltasi mediante collegamento da remoto, ai sensi dell’art. 127 bis c.p.c., all’esito della discussione orale, il giudice ha deciso, dando lettura del dispositivo.

*** Il ricorso è parzialmente fondato, nei termini che si andranno di seguito a specificare.

Preliminarmente va ribadita la contumacia della società resistente (dichiarata all’udienza del 18/07/2022), la quale, sebbene regolarmente convenuta in giudizio, non si è costituita, né è comparsa in udienza a mezzo del suo rappresentante.

È vero che la mancata costituzione di una parte in giudizio non equivale ad ammissione dell’esistenza dei fatti dedotti dall’attore a fondamento della propria domanda, non escludendosi il potere-dovere del giudice di accertare se, da parte dell’attore, sia stata data dimostrazione probatoria dei fatti costitutivi e giustificativi della pretesa (Cass. 12.7.2006 n.15777);
ciò non di meno, tale condotta processuale costituisce elemento liberamente apprezzabile dallo stesso giudice ai fini della decisione (Cass. 20.2.2006 n.3601).

Nella specie, può certamente affermarsi che il contegno tenuto dalla parte Con un primo motivo di ricorso, parte ricorrente lamenta la violazione della procedura di licenziamento, di cui all’articolo 7 della legge 604/66, che testualmente recita:

“1. Ferma l’applicabilità, per il licenziamento per giusta causa e per giustificato motivo soggettivo, dell’articolo 7 della legge 20 maggio 1970, n. 300, il licenziamento per giustificato motivo oggettivo di cui all’articolo 3, seconda parte, della presente legge, qualora disposto da un datore di lavoro avente i requisiti dimensionali di cui all’articolo 18, ottavo comma, della legge 20 maggio 1970, n. 300, e successive modificazioni, deve essere preceduto da una comunicazione effettuata dal datore di lavoro alla Direzione territoriale del lavoro del luogo dove il lavoratore presta la sua opera, e trasmessa per conoscenza al lavoratore.

2. Nella comunicazione di cui al comma 1, il datore di lavoro deve dichiarare l’intenzione di procedere al licenziamento per motivo oggettivo e indicare i motivi del licenziamento medesimo nonché le eventuali misure di assistenza alla ricollocazione del lavoratore interessato.

3. La Direzione territoriale del lavoro trasmette la convocazione al datore di lavoro e al lavoratore nel termine perentorio di sette giorni dalla ricezione della richiesta:
l’incontro si svolge dinanzi alla commissione provinciale di conciliazione di cui all’articolo 410 del codice di procedura civile.

4. La comunicazione contenente l’invito si considera validamente effettuata quando è recapitata al domicilio del lavoratore indicato nel contratto di lavoro o ad altro domicilio formalmente comunicato dal lavoratore al datore di lavoro, ovvero è consegnata al lavoratore che ne sottoscrive copia per ricevuta.

5. Le parti possono essere assistite dalle organizzazioni di rappresentanza cui sono iscritte o conferiscono mandato oppure da un componente della rappresentanza sindacale dei lavoratori, ovvero da un 8

6. La procedura di cui al presente articolo non trova applicazione in caso di licenziamento per superamento del periodo di comporto di cui all’articolo 2110 del codice civile, nonché per i licenziamenti e le interruzioni del rapporto di lavoro a tempo indeterminato di cui all’articolo 2, comma 34, della legge 28 giugno 2012, n. 92. La stessa procedura, durante la quale le parti, con la partecipazione attiva della commissione di cui al comma 3, procedono ad esaminare anche soluzioni alternative al recesso, si conclude entro venti giorni dal momento in cui la Direzione territoriale del lavoro ha trasmesso la convocazione per l’incontro, fatta salva l’ipotesi in cui le parti, di comune avviso, non ritengano di proseguire la discussione finalizzata al raggiungimento di un accordo.
Se fallisce il tentativo di conciliazione e, comunque, decorso il termine di cui al comma 3, il datore di lavoro può comunicare il licenziamento al lavoratore.
La mancata presentazione di una o entrambe le parti al tentativo di conciliazione è valutata dal giudice ai sensi dell’articolo 116 del codice di procedura civile.

7. Se la conciliazione ha esito positivo e prevede la risoluzione consensuale del rapporto di lavoro, si applicano le disposizioni in materia di Assicurazione sociale per l’impiego (ASpI) e può essere previsto, al fine di favorirne la ricollocazione professionale, l’affidamento del lavoratore ad un’agenzia di cui all’articolo 4, comma 1, lettere a), c) ed e), del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276.

8. Il comportamento complessivo delle parti, desumibile anche dal verbale redatto in sede di commissione provinciale di conciliazione e dalla proposta conciliativa avanzata dalla stessa, è valutato dal giudice per la determinazione dell’indennità risarcitoria di cui all’articolo 18, settimo comma, della legge 20 maggio 1970, n. 300, e successive modificazioni, e per l’applicazione degli articoli 91 e 92 del codice di procedura civile.

9. In caso di legittimo e documentato impedimento del lavoratore a presenziare all’incontro 9 3, la procedura può essere sospesa per un massimo di quindici giorni”.

Pertanto, il licenziamento per giustificato motivo oggettivo derivante da ragioni inerenti all’attività produttiva, all’organizzazione del lavoro e al regolare funzionamento di essa, disposto da un datore di lavoro avente i requisiti dimensionali di cui all’articolo 18, ottavo comma, della legge 20 maggio 1970, n. 300, deve essere preceduto da una comunicazione effettuata dal datore di lavoro alla Direzione territoriale del lavoro del luogo dove il lavoratore presta la sua opera, e trasmessa per conoscenza al lavoratore. Ai sensi dell’art. 18, comma 8, della legge n. 300 1970 :

“Le disposizioni dei commi dal quarto al settimo si applicano al datore di lavoro, imprenditore o non imprenditore, che in ciascuna sede, stabilimento, filiale, ufficio o reparto autonomo nel quale ha avuto luogo il licenziamento occupa alle sue dipendenze più di quindici lavoratori o più di cinque se si tratta di imprenditore agricolo, nonché al datore di lavoro, imprenditore o non imprenditore, che nell’ambito dello stesso comune occupa più di quindici dipendenti e all’impresa agricola che nel medesimo ambito territoriale occupa più di cinque dipendenti, anche se ciascuna unità produttiva, singolarmente considerata, non raggiunge tali limiti, e in ogni caso al datore di lavoro, imprenditore e non imprenditore, che occupa più di sessanta dipendenti”. Nella specie, secondo quanto allegato da parte ricorrente e confermato dalla visura camerale allegata in atti, la RAGIONE_SOCIALE Nelson Mandela ha ad oggetto la coltivazione di alberi da frutta e di ortaggi culture olivicole, con codice ateco 01.2, che corrisponde alla “coltivazione di colture permanenti”;

inoltre, la cooperativa risulta avere 7 dipendenti.

Tuttavia, ai sensi dell’art. 1 del D.LGS. n. 23/2015, “1. Per i lavoratori che rivestono la qualifica di operai, impiegati o quadri, assunti con contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato a decorrere dalla data di 10 licenziamento illegittimo è disciplinato dalle disposizioni di cui al presente decreto.

2. Le disposizioni di cui al presente decreto si applicano anche nei casi di conversione, successiva all’entrata in vigore del presente decreto, di contratto a tempo determinato o di apprendistato in contratto a tempo indeterminato.

3. Nel caso in cui il datore di lavoro, in conseguenza di assunzioni a tempo indeterminato avvenute successivamente all’entrata in vigore del presente decreto, integri il requisito occupazionale di cui all’articolo 18, ottavo e nono comma, della legge 20 maggio 1970, n. 300, e successive modificazioni, il licenziamento dei lavoratori, anche se assunti precedentemente a tale data, è disciplinato dalle disposizioni del presente decreto”.

Ai sensi dell’art. 3, comma 3 del medesimo D.Lgs.

3. “Al licenziamento dei lavoratori di cui all’articolo 1 non trova applicazione l’articolo 7 della legge 15 luglio 1966, n. 604, e successive modificazioni”.

Nella specie, il ricorrente è stato assunto in data 18/11/2020 e, inoltre, la stessa cooperativa datrice di lavoro, come emerge dalla visura camerale, ha iniziato la propria attività con decorrenza dal 30/03/2017.

Pertanto, il primo motivo di ricorso è infondato.

Con un secondo motivo di ricorso, parte ricorrente lamenta l’insussistenza del giustificato motivo oggettivo posto alla base del licenziamento.

Come emerge dalla lettera del 21/01/2022 allegata in atti, il licenziamento è stato comminato ai sensi dell’art. 2118 c.c. per l’esigenza del riassetto organizzativo dell’attività lavorativa, attuato al fine di una più economica gestione di essa, imposta dall’andamento del settore operativo in cui opera l’azienda per la necessità di ridurre dei costi, quali quelli del personale dipendente, che incidono in misura rilevante sulla normale attività produttiva.

Inoltre, nella medesima lettera, si legge che, in riferimento alla 11 assunto, all’interno della organizzazione produttiva della cooperativa, non è dato riscontrare altre posizioni compatibili, utili per la continuazione del rapporto di lavoro.

L’art. 2118 c.c. sancisce per entrambe le parti del contratto di lavoro a tempo indeterminato il principio della libera recedibilità salvo l’obbligo del preavviso.

seguito dell’evoluzione dell’ordinamento (soprattutto dopo l’emanazione delle l. n. 604/1966 e l. n. 108/1990), tale principio è rimasto valido per il lavoratore, mentre è divenuto recessivo per il datore di lavoro, poiché la regola generale (enunciata dall’art. 1 l. n. 604/1966) è ormai quella per cui il dipendente può essere licenziato solamente per giusta causa ex art. 2119 o per giustificato motivo ex art. 3 l. n. 604/1966.

Ai sensi dell’art. 3 della legge n. 304/1966:

“ Il licenziamento per giustificato motivo con preavviso è determinato da un notevole inadempimento degli obblighi contrattuali del prestatore di lavoro ovvero da ragioni inerenti all’attività produttiva, all’organizzazione del lavoro e al regolare funzionamento di essa”.

Nella specie, come emerge dalla lettera di licenziamento, il rapporto di lavoro è stato interrotto per ragioni inerenti all’attività produttiva, all’organizzazione del lavoro e al regolare funzionamento di essa.

Secondo quanto stabilito dall’art. 5 della legge n. 604/1966:

“L’onere della prova della sussistenza della giusta causa o del giustificato motivo di licenziamento spetta al datore di lavoro”.

In caso di licenziamento per giustificato motivo oggettivo, il lavoratore ha soltanto l’onere di allegare l’illegittimo rifiuto del datore di continuare a farlo lavorare in assenza di un giustificato motivo, mentre incombono sul datore di lavoro gli oneri di allegazione e prova dell’esistenza del giustificato motivo oggettivo, che include anche l’impossibilità del c.d. repêchage, ossia 12 In particolare, incombe sul datore di lavoro, anche mediante elementi presuntivi e indiziari, l’onere di provare l’effettività delle ragioni che giustificano l’operazione di riassetto organizzativo e le ragioni inerenti alle attività produttive che rendono impossibile impiegare il dipendente nella organizzazione aziendale, da accertare in base agli elementi di fatto sussistenti alla data della comunicazione del recesso. È onere del datore di lavoro fornire, dunque, la prova dell’effettività delle ragioni poste a fondamento del licenziamento per giustificato motivo oggettivo, dell’esistenza del nesso di causalità tra le ragioni inerenti all’attività produttiva o l’organizzazione del lavoro e il licenziamento del lavoratore e dell’impossibilità impiegare quest’ultimo altri ruoli mansioni nell’ambito dell’organizzazione aziendale (c.d. repêchage).

Tuttavia, il datore di lavoro, che non si è costituito in giudizio, nulla ha provato in ordine alla sussistenza delle dedotte ragioni organizzative.

Né dalla lettera di licenziamento, allegata in atti, emergono elementi che consentano al giudice di verificare l’effettiva esistenza del motivo di licenziamento addotto e l’impossibilità di impiegare il lavoratore nella organizzazione aziendale.

Di contro, da un esame della visura camerale della società datrice di lavoro, allegata in atti, non sembra emergere una contrazione dell’attività lavorativa, considerando che i dipendenti, alla data del 30/09/2021, risultano essere nel numero di 7, mentre nel 2019 erano 2 e, nel 2020, erano 5:

il numero dei dipendenti risulta, dunque, essere progressivamente aumentato a partire dal 2019.

Pertanto, alla luce della scarna documentazione presente in atti, che non è stata suffragata da altre allegazioni fornite dal datore di lavoro, che non si è costituito, non emergono le ragioni organizzative dedotte a fondamento del licenziamento, né le esigenze di mercato che hanno portato ad una necessità di 13 dell’organizzazione aziendale, ma, al contrario, dalla visura camerale emerge un incremento progressivo delle assunzioni di dipendenti dal 2019 al 2021.

Pertanto, non è stato provato né allegato dal datore di lavoro che le addotte ragioni inerenti l’attività produttiva e l’organizzazione del lavoro, comprese quelle dirette ad una migliore efficienza gestionale ovvero ad un incremento della redditività, abbiano causalmente determinato un effettivo mutamento dell’assetto organizzativo che richiedeva la soppressione di un’individuata posizione lavorativa (Cassazione, Sez. L – , Sentenza n. 752 del 12/01/2023), ossia quella del ricorrente.

Inoltre, non è stata provata dal datore di lavoro la soppressione delle mansioni del ricorrente che, secondo quanto dallo stesso allegato (e secondo quanto emerge anche dalla lettera di assunzione), si occupava del trasporto dei prodotti dell’azienda e della consegna in tutta Italia.

Nondimeno, non è stata provata l’impossibilità di impiegare il lavoratore in altre mansioni nell’ambito dell’organizzazione aziendale, né sono state fornite allegazioni in virtù delle quali la scelta del dipendente da licenziare è ricaduta proprio sul ricorrente.

Inoltre il teste , escusso all’udienza del 13/09/2022, ha confermato che, anche dopo il licenziamento del ricorrente, ha continuato ad acquistare le arance dell’azienda resistente quando erano disponibili presso un mercato di Roma (“Quando la cooperativa è presente al mercato acquisto ancora adesso le arance lì”) circostanza che, in difetto di qualsivoglia allegazione da parte del datore di lavoro, lascia intendere che l’attività fosse ancora florida e che i prodotti dell’azienda venissero consegnati in Italia E’ vero che il ricorrente non ha provato che vi fossero posizioni aperte presso l’azienda con riferimento alla sua qualifica: tuttavia, non essendo stata offerta una prova contraria dal datore di lavoro, titolare dell’onere della prova, i testi escussi nel corso dell’istruttoria processuale hanno confermato, sia pure in Infatti, il teste ha riferito che:

“So che il ricorrente, nel momento in cui è stato licenziato, ha dato disponibilità alla cooperativa datrice di lavoro per svolgere qualsiasi lavoro;

tanto mi consta perché me lo ha detto lui”, mentre il teste , compagna del ricorrente, ha dichiarato che “Io sapevo che il ricorrente sarebbe stato anche disponibile a trasferirsi presso un’area diversa rispetto a quella di Roma, pur rimanere a lavorare;

tanto mi consta perché me lo ha detto il ricorrente stesso.

Non so se il ricorrente abbia fatto presente ciò al datore di lavoro.

”, Sebbene si tratti di circostanze de relato actoris, apprese dallo stesso ricorrente, tuttavia, l’onere di provare la sussistenza dei motivi organizzativi dedotti e l’impossibilità di reimpiegare il ricorrente, prospettando anche allo stesso la possibilità di svolgere mansioni inferiori rispetto a quelle per le quali era stato assunto, incombeva sul datore di lavoro e, nella specie, non è stato assolto.

E’ vero che, in caso di licenziamento per giustificato motivo oggettivo, è sufficiente, per la legittimità del recesso, che le addotte ragioni inerenti all’attività produttiva e all’organizzazione del lavoro, comprese quelle dirette ad una migliore efficienza gestionale ovvero ad un incremento della redditività, causalmente determinino un effettivo mutamento dell’assetto organizzativo attraverso la soppressione di un’individuata posizione lavorativa, non essendo la scelta imprenditoriale che abbia comportato la soppressione del posto di lavoro sindacabile nei suoi profili di congruità ed opportunità, in ossequio al disposto della Cost., art. 41: tuttavia, nella specie nulla è stato allegato dal datore di lavoro, sicché la causale addotta non è stata provata e, dunque, appare pretestuosa (Cass. n. 10699 del 2017, Cass. n. 9468 del 2019).

A fronte delle allegazioni offerte dal ricorrente e delle risultanze processuali, nulla ha allegato il datore di lavoro, che non si è costituito in giudizio, con la conseguenza che non può dirsi provata la sussistenza della Pertanto, non avendo il datore di lavoro provato l’effettiva sussistenza delle ragioni poste a fondamento del licenziamento, che non emergono neanche dalle allegazioni in atti ma, al contrario, sono smentite dalle stesse (evincendosi, dall’esame della visura camerale, una progressiva espansione della cooperativa, con l’incremento del numero di dipendenti a partire dal 2019 fino al 2021), il ricorso va accolto, nella parte relativa alla declaratoria di illegittimità del licenziamento comminato. Con riferimento alla tutela accordabile all’esito della declaratoria di illegittimità del licenziamento, osserva il giudicante che, in seguito alle modifiche introdotte con il D.lgs. n. 23/2015, che trova applicazione ai rapporti di lavoro – come quello dell’odierno ricorrente – instauratisi successivamente alla sua entrata in vigore, la tutela reintegratoria ha assunto carattere residuale mentre, nella generalità dei casi, quando non ricorrono gli estremi del licenziamento per giustificato motivo oggettivo (o per giusta causa o per giustificato motivo soggettivo), il giudice dichiara estinto il rapporto di lavoro e condanna il datore di lavoro al pagamento di un’indennità di importo variabile, di misura non inferiore a 6 e non superiore a 36 mensilità. Infatti, l’art. 3 del Dlgs. n. 23 del 2015 così recita:

“ 1. Salvo quanto disposto dal comma 2, nei casi in cui risulta accertato che non ricorrono gli estremi del licenziamento per giustificato motivo oggettivo o per giustificato motivo soggettivo o giusta causa, il giudice dichiara estinto il rapporto di lavoro alla data del licenziamento e condanna il datore di lavoro al pagamento di un’indennità non assoggettata a contribuzione previdenziale di importo pari a due mensilità dell’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto per ogni anno di servizio, in misura comunque non inferiore a sei e non superiore a trentasei mensilità. 2. Esclusivamente nelle ipotesi di licenziamento per giustificato motivo soggettivo o per giusta causa in cui sia direttamente dimostrata in giudizio 16 resta estranea ogni valutazione circa la sproporzione del licenziamento, il giudice annulla il licenziamento e condanna il datore di lavoro alla reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro e al pagamento di un’indennità risarcitoria commisurata all’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto, corrispondente al periodo dal giorno del licenziamento fino a quello dell’effettiva reintegrazione, dedotto quanto il lavoratore abbia percepito per lo svolgimento di altre attività lavorative, nonché quanto avrebbe potuto percepire accettando una congrua offerta di lavoro ai sensi dell’articolo 4, comma 1, lettera c), del decreto legislativo 21 aprile 2000, n. 181, e successive modificazioni. In ogni caso la misura dell’indennità risarcitoria relativa al periodo antecedente alla pronuncia di reintegrazione non può essere superiore a dodici mensilità dell’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto.

Il datore di lavoro è condannato, altresì, al versamento dei contributi previdenziali e assistenziali dal giorno del licenziamento fino a quello dell’effettiva reintegrazione, senza applicazione di sanzioni per omissione contributiva.

Al lavoratore è attribuita la facoltà di cui all’articolo 2, comma 3. 3. Al licenziamento dei lavoratori di cui all’articolo 1 non trova applicazione l’articolo 7 della legge 15 luglio 1966, n. 604, e successive modificazioni”.

Pertanto, nella specie, non ricorrendo le residue ipotesi nelle quali, ai sensi dell’art. 3 decreto legislativo n. 23/2015, per effetto dell’accoglimento dell’impugnativa di licenziamento, il lavoratore deve essere reintegrato nel posto di lavoro, l’unica tutela accordabile all’odierno ricorrente è la tutela indennitaria.

Con riferimento alla quantificazione dell’indennità risarcitoria, osserva il giudicante che la Corte Costituzionale, con sentenza n. 194 del 1998, ha dichiarato illegittima la disposizione contenuta nell’art. 3 comma 1 del Dlgs.
n. 17 23/2015, nella parte in cui prevedeva, in caso di licenziamento ingiustificato, un criterio di calcolo dell’indennità rigido e ancorato alla sola anzianità di servizio.

Pertanto, alla luce di detta pronuncia, quando il giudice accerta che non ricorrono gli estremi per il licenziamento per giustificato motivo (giustificato motivo soggettivo o giusta causa) dei lavoratori assunti successivamente all’entrata in vigore del D.Lgs.n.
23/2015, può discrezionalmente determinare la misura dell’indennità risarcitoria, nel rispetto dei limiti previsti dalla legge, tenendo conto non solo criterio dell’anzianità di servizio, ma anche di altri criteri, quali il numero dei dipendenti occupati, le dimensioni dell’attività economica, il comportamento e le condizioni delle parti.

In seguito alla sentenza della Corte Costituzionale n. 194/2018 il criterio cardine per determinare l’indennizzo nel caso di licenziamento illegittimo è costituito dall’anzianità di servizio, ma, nel contempo, trovano applicazione anche gli altri criteri indicati dall’art. 8, l. n. 604 del 1966 e dall’art. 18, comma 5, l. n. 300 del 1970.

Pertanto, in applicazione dei predetti criteri, essendo stato il ricorrente assunto soltanto in data 19.11.2020 (calcolando due mensilità per ogni anno di servizio) e considerando la natura dell’attività economica che, come emerge anche dalla visura camerale, non presenta dimensioni rilevanti, al ricorrente, a titolo di indennità risarcitoria per l’illegittimo licenziamento subito, deve essere liquidata la somma corrispondente a 8 mensilità, calcolate sull’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto

Inoltre, parte ricorrente, unitamente all’impugnativa di licenziamento, formula una domanda volta alla liquidazione delle spettanze retributive non liquidate, per le mensilità indicate nel conteggio allegato al ricorso, comprensive di ferie non godute e di ex festività non godute, nonché a titolo di trattamento di fine rapporto. Nella specie, trovano applicazione i principi generali in materia di onere 18 azionato, può limitarsi ad allegare l’inadempimento della controparte, la quale dovrà fornire la prova dell’esatto adempimento.

In particolare, in tema di contenzioso sulla retribuzione del dipendente, una volta che il lavoratore abbia fornito la prova dei fatti e dei titoli costitutivi delle pretese retributive, in relazione alla quantità e qualità del lavoro svolto, incombe sulla parte datoriale l’onere di fornire la prova liberatoria circa l’eventuale pagamento delle somme spettanti al lavoratore medesimo.

Tuttavia, incombe sul lavoratore che pretende il pagamento di spettanze retributive innanzitutto l’onere di provare la sussistenza del rapporto di lavoro.

Pertanto, l’azione intrapresa presuppone l’accertamento dell’esistenza di un rapporto di lavoro tra le parti, per i periodi dedotti in ricorso, che non è oggetto di contestazione e che in ogni caso è stato documentalmente provato, mediante l’allegazione della lettera di assunzione, della lettera di licenziamento, delle buste paga.

Una volta che il lavoratore abbia provato il rapporto di lavoro e allegato l’inadempimento, incombe sul datore di lavoro l’onere di provare di aver adempiuto alle obbligazioni retributive.

Nella specie, il datore di lavoro non ha contestato il mancato pagamento, né ha provato l’esatto adempimento della prestazione retributiva per le mensilità contestate, comprensive di ferie ed ex festività non godute, quali emergono dal conteggio allegato, nonché per il trattamento di fine rapporto.

Inoltre i conteggi allegati dal lavoratore appaiono coerenti con l’ultima busta paga allegata (risalente al mese di ottobre 2021), con la lettera di assunzione e con il CCNL di riferimento e non sono stati oggetto di contestazione da parte del datore di lavoro.

Pertanto, la domanda volta alla liquidazione delle spettanze retributive per le mensilità non corrisposte, unitamente al TFR, va accolta, con conseguente condanna del datore di lavoro alla corresponsione, in favore del ricorrente, della 19 complessiva somma di € 13339,51, oltre interessi e rivalutazione dal dovuto al soddisfo.

Le spese di lite, come liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza, che non è esclusa dalla contumacia (Cassazione civile sez. VI, n.13498/2018).

Si giustifica l’applicazione dei minimi tariffari, in ragione dell’assenza di questioni di fatto e di diritto spiccatamente complesse.

Il Tribunale di Locri, in funzione di Giudice del Lavoro, definitivamente pronunciandosi sul ricorso proposto N.RG.1093/2022, disattesa ogni contraria istanza, così provvede -Accoglie parzialmente il ricorso, dichiarando che non ricorrono gli estremi del licenziamento per giustificato motivo oggettivo comminato al sig. con lettera del 21/02/2022;

– Per l’effetto, dichiara estinto il rapporto di lavoro dalla data del licenziamento e condanna la, in persona del legale rappresentante p.t. , al pagamento di un’indennità di importo pari a 8 mensilità, calcolate sull’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto;

-Condanna la RAGIONE_SOCIALE Mandela, in persona del legale rappresentante p.t.
, a corrispondere, in favore del sig. la somma di €13339,51, oltre interessi e rivalutazione dal dovuto al soddisfo, a titolo di trattamento di fine rapporto, di mensilità retributive, ferie residue ed ex festività residue, non corrisposti;

– Condanna la , in persona del legale rappresentante p.t., alla refusione delle spese di lite, che liquida in € 2695,00, oltre spese generali, IVA e CPA come per legge, da distrarsi in favore dei procuratori costituiti per parte ricorrente, dichiaratisi antistatari.
Locri, 21/03/2023

Il giudice Dott.ssa NOME COGNOME

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