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Illegittimità del licenziamento per mancato scontrino

Nel caso di un dipendente addetto alla ristorazione su treni, l’omissione dell’emissione di uno scontrino e il trattenimento di una somma di denaro, pur costituendo un’azione grave e contraria ai doveri del lavoratore, non giustificano automaticamente il licenziamento. Il giudice, nel valutare la legittimità del licenziamento, deve valutare la proporzionalità tra la condotta contestata e la sanzione irrogata, tenendo conto della gravità del fatto, delle sue conseguenze e dell’intensità dell’elemento intenzionale.

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Pubblicato il 23 febbraio 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile

All’esito della camera di consiglio, non essendo nuovamente connesse via Microsoft Teams le parti, il Giudice pronuncia la seguente sentenza contestuale, ai sensi dell’art. 429 c.p.c., contenente il dispositivo e l’esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

TRIBUNALE ORDINARIO DI TORINO SEZIONE LAVORO Il Giudice, dott. NOME COGNOME ha pronunciato la seguente

SENTENZA N._444_2025_- N._R.G._00004519_2024 DEL_14_02_2025 PUBBLICATA_IL_14_02_2025

nella causa iscritta al n. 4519/2024 R.G.L. promossa da:

(C.F. ) rappresentato e difeso dall’Avv. NOME COGNOME e dall’Avv. NOME COGNOME elettivamente domiciliato in Torino, INDIRIZZO presso lo studio professionale dei difensori RICORRENTE CONTRO (C.F. e P.IVA: ) rappresentata e difesa dall’Avv. NOME COGNOME e dall’Avv. NOMECOGNOME, elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO presso lo studio professionale dei difensori CONVENUTA C.F. P. del danno per lesione dell’immagine personale

CONCLUSIONI

DELLE PARTI Come da verbale

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con ricorso ex art. 414 cpc, depositato in data 24/5/2024, ha allegato:

– di essere stato assunto quale lavoratore dipendente dalla (società che svolge servizi di ristorazione sui treni) in data 2/8/2016, in forza di contratto a tempo pieno e determinato, con scadenza all’1/10/2016, quale addetto ai servizi di ristorazione a bordo treno;

– di essere stato confermato a tempo indeterminato, dopo proroghe del primo contratto, a far data dall’11/12/2017;

– di avere sempre svolto mansioni di responsabile del servizio di bordo, nonostante il formale inquadramento contrattuale a livello inferiore a quello previsto per tale figura;

– di avere comunque ottenuto il riconoscimento formale della qualifica di responsabile dei servizi di bordo a far data dall’ottobre del 2022;

– di avere ricevuto dalla società datrice di lavoro, in data 9/10/2023, contestazione disciplinare;

era addebitato all’esponente di avere effettuato nella carrozza ristorante di treno diretto da Torino Porta Nuova a Firenze S.MRAGIONE_SOCIALE un’operazione di vendita di alimenti (un toast ed un succo di frutta), in data 4/9/2023, incassando 8.50 euro in contanti dal cliente, non emettendo lo scontrino e trattenendo l’importo;

– che la contestazione disciplinare è stata letta all’esponente ad alta voce in un ufficio, con la porta aperta, senza avere riguardo alla riservatezza della comunicazione, provocando così la diffusione di voci, tra i colleghi, in merito alla pendenza del procedimento;

orale;

– che, ciò nonostante, la , in data 26/10/2023 ha comminato il licenziamento per giusta causa.

Il Signorile ha impugnato tale licenziamento, in questa sede, per i seguenti motivi:

– insussistenza del fatto contestato;

non vi è stata appropriazione della somma di denaro indicata nella contestazione;

– che non vi sia stata appropriazione di denaro potrebbe essere confermato da addetto al controllo dei servizi di ristorazione, il quale si trovava, nell’ora indicata nella contestazione, a bordo del treno per svolgere le sue mansioni;

il treno in discorso, nel giorno del fatto contestato, era poi pieno di clienti, tanto da non essere stato possibile effettuare il servizio di welcome drink in una delle carrozze;

non sarebbe poi possibile verificare se sul treno, il 4//2023, fossero stati effettivamente caricati tutti i toast ed i succhi di frutta indicati nella bolla di carico;

le disposizioni aziendali vigenti nel settembre del 2023, poi, prevedevano che la bolla di scarico della merce fosse predisposta non alla fine della tratta di competenza del ricorrente (quindi, a Firenze, ove il ricorrente è stato sostituito da altro responsabile del servizio), ma a fine della corsa del treno (a Napoli), non essendo quindi possibile verificare se l’ammanco degli alimenti indicati nella contestazione sia avvenuto nella tratta sino a Firenze o nella tratta sino a Napoli;

il palmare in uso al ricorrente il 4/9/2023, potrebbe avere avuto un malfunzionamento, ed avere emesso due volte lo stesso scontrino, o potrebbe essere stata consegnata al cliente una semplice stampa di una copia relativa ad altra operazione;

il responsabile dei servizi di bordo non ha poi un fondo cassa per i contanti (dovendo usare denaro proprio), né dispone durante il viaggio di un cassetto per la gestione dei contanti, ragione per la quale il denaro dell’operazione contestata potrebbe essere stato confuso con quello del ricorrente;

dello scontrino fiscale non è tipizzata da alcuna norma del Contratto Collettivo, mentre la distrazione di somme, sebbene tipizzata, deve essere commessa con dolo, elemento che nel caso di specie è insussistente, potendo al più essersi verificato un errore commesso in buona fede;

il danno eventualmente arrecato, poi, è di lieve entità, corrispondendo a pochi euro;

– tardività della contestazione;

l’art. 66 del CCNL di riferimento (mobilità) prevede un termine massimo di 30 giorni dal fatto perché si possa procedere a contestazione disciplinare;

termine non rispettato nel caso di specie;

– in via di estremo subordine, sarebbe necessario riqualificare il licenziamento quale recesso per giustificato motivo soggettivo, con conseguente condanna della pagamento, quantomeno, dell’indennità sostitutiva del preavviso.

Il Signorile ha quindi chiesto la reintegra nel posto di lavoro, oltre alla tutela indennitaria ex art. 3 co 2 dlvo 23/2015;

in subordine, la tutela indennitaria ex art. 3 co 1 dlvo 23/2015;

in via di ulteriore subordine, la tutela indennitaria ex art. 4 dlvo 23/2015;

in via di estremo subordine, il pagamento dell’indennità sostitutiva del preavviso.

Il Signorile ha poi chiesto la condanna della al risarcimento del danno da lesione della sua immagine, in ragione della lettura ad alta voce della contestazione disciplinare presso l’ufficio della convenuta.

Il Signorile ha infine chiesto il riconoscimento, dall’inizio del rapporto, del diritto all’inquadramento contrattuale corrispondente alle mansioni da lui effettivamente esercitate (di responsabile dei servizi di bordo), e delle relative differenze retributive, nonché della rifusione dell’usura e delle spese connesse all’utilizzo, per conto della convenuta, del telefono mobile personale durante lo svolgimento delle proprie mansioni.

Si è costituita in giudizio , contro-deducendo ed eccependo:

– che il ricorrente non ha svolto le mansioni di responsabile dei servizi di bordo sin dall’inizio del rapporto;

di bordo, aveva la responsabilità degli incassi durante il turno del lavoro;

alla fine del turno del 4/9/2023 ha compilato, come era suo onere, la scheda di incasso dei contanti e delle altre forme di pagamento, sigillando altresì una busta contenente i contanti incassati nel turno, posta poi in una delle casseforti site nei presidi della convenuta presenti presso le stazioni ferroviarie (ove sarà ritirata da personale del servizio di portavalori);

il 4/9/2923 il ricorrente, intorno alle 10.17 stava svolgendo servizio di vendita di alimenti nella carrozza ristorante del treno Frecciarossa Torino-Napoli, con fine turno alla stazione di Firenze S.M., quando era raggiunto da e da incaricati di società di investigazioni incaricata del servizio di controllo a bordo;

il ricorrente vendeva al toast ed un succo di frutta, per il corrispettivo di euro 8.50, versati in contanti dall’investigatore, non emettendo il Signorile lo scontrino (tanto risulta da relazione redatta dalla società di investigazioni, RAGIONE_SOCIALE);

tale importo, comunque, sarebbe dovuto risultare quale eccedente gli incassi della giornata, anche se non contabilizzato, laddove il ricorrente avesse provveduto a versarlo nella relativa busta;

ma non è stato rinvenuto nella busta degli incassi, ragione per la quale si è concluso per la sottrazione dell’importo da parte del ricorrente;

tanto ha gravemente leso il rapporto fiduciario esistente tra il ricorrente e la società esponente, posto che il responsabile dei servizi di bordo è incaricato, come risulta dal mansionario aziendale, alla gestione dei valori incassati, in assenza di controllo diretto da parte della società (con ciò dovendosi riporre particolare fiducia nell’operato del responsabile);

– le difese del ricorrente (rassegnate anche nella sede disciplinare) sono non pertinenti, posto che né la particolare affluenza di clienti sul treno (comunque non nella carrozza ristorante) né l’assenza di un fondo cassa giustificano l’accaduto;

irrilevante è la conclusione del servizio del ricorrente a Firenze e l’eventuale incertezza sulla tratta nella quale vi sarebbe stata la sottrazione, posto che la condotta della vendita senza scontrino e l’indebito trattenimento del del palmare, posto che in tale eventualità il responsabile del servizio può emettere ricevuta fiscale compilata a mano;

– il licenziamento è misura proporzionata alla condotta, posto che, oltre ad essere tipizzata quale ipotesi di recesso datoriale immediato, la condotta di sottrazione di somme integra, comunque, la giusta causa di licenziamento, anche laddove sia di lieve entità;

l’omissione dello scontrino fiscale rileva invece quale strumento per occultare la commissione dell’illecito distrattivo;

– la contestazione disciplinare è stata tempestiva;

l’art. 66 del CCNL di riferimento pone sì il termine di 30 giorni dal fatto per provvedere alla contestazione, ma trattasi di termine non perentorio ma ordinatorio, che non è ricollegato a decadenza dal potere sanzionatorio;

l’immediatezza della contestazione, in ogni caso, deve essere valutata alla luce della struttura organizzativa dell’impresa e della complessità di questa, e della necessità di acquisire gli elementi istruttori in ordine alla condotta del dipendente sottoposto a procedimento di disciplinare;

nel caso di specie, la società è venuta a conoscenza dei fatti del 4/9/2023 solo il successivo 14/9, quando vi è stata comunicazione dell’accaduto da parte della società di investigazioni, e si sono poi rese necessarie verifiche interne ed istruttoria, prima di procedere alla contestazione.

ha quindi chiesto il rigetto del ricorso.

In corso di causa è stata tentata infruttuosamente la conciliazione della lite;

le domande relative al riconoscimento del livello contrattuale superiore e delle relative differenze retributive, nonché la domanda relativa al risarcimento del danno per uso del telefono personale per scopi aziendali sono state separate dalle domande con cui è stato impugnato il licenziamento, e dalla domanda risarcitoria per danno all’immagine, visto il disposto dell’art. 441 bis cpc. In corso di causa è stata svolta attività istruttoria.

2.1.

Preliminare alla trattazione dell’impugnazione del licenziamento è la valutazione , deve rilevarsi che l’oggetto della contestazione disciplinare mossa al ricorrente è precisamente il seguente (doc. 12 ricorrente, doc. 2 convenuta):

“ in data 4 settembre u.s. , Ella svolgeva la prestazione lavorativa a bordo del treno 9311 in partenza dalla stazione di Torino Porta INDIRIZZO e diretto alla stazione di Firenze Santa Maria Novella virgola in qualità di responsabile dei servizi di bordo e, emergeva che ella fosse al bar allorché:

– alle 10.17 circa, un cliente presenta a bordo treno si recava presso il bar per effettuare una consumazione;

nello specifico, il cliente Le chiedeva n. 1 succo di frutta, n. 1 toast.

per tale acquisto, Ella richiedeva al cliente il pagamento di euro 8,50.

Tuttavia, dopo aver ricevuto dal cliente la somma richiesta, Ella ometteva di emettere lo scontrino fiscale.

In conseguenza dell’episodio segnalato, la scrivente procedeva ad eseguire delle verifiche sulla documentazione amministrativa in proprio possesso.

Nello specifico, l’azienda ha provveduto ad eseguire il controllo delle ricevute fiscali estratte dal palmare in dotazione per l’esecuzione dei servizi a bordo treno, incrociandole le risultanze con i dati relativi agli incassi in contanti da Ella dichiarati, nella Sua qualità di Responsabile, sia nel Rapporto dotazioni di servizio sia nella busta di versamento n. NUMERO_DOCUMENTO.

All’esito di tale controllo è emerso che l’importo in contanti di euro 62,50 (sessantadue/50) da ella indicato quale totale degli incassi in contanti sul Rapporto dotazioni di servizio e nella busta di versamento, coincide con il totale delle ricevute emesse attraverso i palmari;

di conseguenza le somme in contanti da Ella ricevuta in pagamento per le vendite sopra indicate e per le quali non emetteva lo scontrino fiscale – per un totale di euro 8,50 – non risulterebbero neppure tra le somme totali pervenuta alla scrivente per le vendite effettuate a bordo del treno 9311.

Alla luce di quanto emerso, quindi, Ella si sarebbe indebitamente appropriato di somme relative emettendo altresì di rilasciare lo scontrino fiscale.

Con il suo comportamento, Ella ha, quindi, leso l’immagine della sia nei confronti della committente sia della clientela presente a bordo treno, esponendo la scrivente anche a ripercussioni di natura fiscale ed amministrativa;

il tutto senza sottacere le perdite economiche che ne derivano in capo all’Azienda ”.

Il ricorrente ha poi sottoposto in sede disciplinare, sostanzialmente, le medesime difese illustrate in questa sede (doc. 13 ricorrente, doc. 3 convenuta).

La società convenuta ha intimato il licenziamento per giusta causa (doc. 4 convenuta), richiamando la contestazione sopra riportata, e ritenendo non superato dalle difese del Signorile quanto in essa espresso.

Ciò posto, deve rilevarsi che le procedure aziendali di contabilizzazione e di gestione degli incassi da parte del responsabile del servizio di bordo, a fine del turno di lavoro, dettagliatamente descritte da parte convenuta nella memoria di costituzione, non sono state contestate dal ricorrente, ragione per la quale non necessitano di prova;

in ogni caso, la stessa parte ricorrente ha confermato, in sede di prima udienza di trattazione, che “la busta porta valori diventa la busta di versamento di fine tratta di competenza del lavoratore, e quindi non può essere usata come fondo cassa, perché non è possibile chiuderla se non in modo definitivo, per poi effettuare il versamento finale relativo alla tratta di competenza del lavoratore (che nel caso di specie era )” (v. verbale 11/9/2024).

Parimenti non contestata è la contabilizzazione degli incassi esposta analogamente da pare convenuta nella memoria di costituzione, e deve comunque darsi atto che la stessa è documentata (doc. 16, 17, 18 convenuta);

in particolare, risultano incassati in contanti dal ricorrente e come tali contabilizzati, nel turno di servizio del 4 settembre 2023, euro 62,50, ed euro 62,50 sono i contanti indicati nella distinta di versamento della busta degli incassi redatta è poi, nel compendio documentale prodotto da parte convenuta, relazione di servizio, datata 14/9/2023, della RAGIONE_SOCIALE (doc. 14 convenuta), nella quale si dà atto dell’accesso degli investigatori presso la carrozza ristorante del treno 9311, in data 4/9/2023, tra le ore 10.12 e le ore 10.20; il alla presenza dell’ riferisce di aver acquistato al bar della carrozza un toast ed un succo di frutta, pagando euro 8.50 in contanti e di non aver ricevuto lo scontrino, non emesso, dall’addetto al servizio, da loro riconosciuto, sulla base del cartellino di riconoscimento, come “NOME RAGIONE_SOCIALE”.

Allegati alla relazione investigativa vi sono anche i biglietti del treno TARGA_VEICOLO, intestati ai due addetti al controllo (allegato 3 del doc. 13 convenuta).

Si può passare ad esaminare le deposizioni acquisite in corso di causa.

e l’ dipendenti della RAGIONE_SOCIALE sono stati infatti sentiti in qualità di testi all’udienza del 22/10/2024, alla quale ha presenziato anche il ricorrente personalmente.

Entrambi i testi hanno confermato quanto riportato in sede di relazione investigativa, ovvero “Confermo che il 4/9/2023 ero sul treno indicato al capo;

mi viene rammostrato il biglietto ferroviario allegato alla relazione doc. 14 convenuta, confermo che si tratta del mio biglietto e che con me vi era l’altro teste In quel frangente io e l’ altro dipendente della RAGIONE_SOCIALE, svolgevamo un servizio che ci era stato commissionato dalla Ho acquistato presso il vagone ristorante un toast ed un succo di frutta, ho pagato l’importo, di euro 8.50, in contanti ed in particolare in moneta e non ho ricevuto alcuno scontrino.

L’operazione di vendita è stata effettuata dal ricorrente qui presente”;

“Confermo che il 4 settembre del 2023 mi trovavo sul treno indicato al capo, riconosco il mio biglietto di viaggio a pag. 11 del doc. 14 di parte convenuta, che mi viene rammostrato;

ero con il mio collega.

La società nostra datrice di lavoro , e di verificare se venisse o meno emesso lo scontrino dell’operazione.

Ci era stato dato incarico di svolgere tale attività di controllo.

Immagino che il servizio di controllo fosse stato commissionato alla nostra società da parte della società convenuta, ma non lo so nello specifico, semplicemente ci era stato dato l’incarico dalla Key Investigation.

Verso le ore 10.15 circa io ed il mio collega siamo entrati nel vagone ristorante, il mio collega ha effettuato l’acquisto di beni alimentari, io sono rimasto in osservazione dell’operazione.

Il mio collega ha ordinato la merce, ovvero un succo di frutta ed un toast se non erro, ha pagato in contanti, dopo il pagamento non è stato emesso alcuno scontrino.

Io ho visto l’operazione appena descritta senza problemi in quanto ero di fianco al mio collega al bancone del vagone ristorante L’operazione di vendita è stata effettuata dal ricorrente qui presente, ho anche visto il suo nome di battesimo sulla targhetta che aveva sulla camicia”.

E’ stato sentito alla medesima udienza anche il , dipendente di addetto a svolgere controlli della qualità del servizio erogato dalla bordo dei treni, nei magazzini e nelle stazioni.

Il 4 settembre del 2023, il teste ha svolto servizio di controllo a bordo del treno TARGA_VEICOLO, salendo a Torino e scendendo poi a Bologna (il teste era quindi ancora sul treno quando è accaduto l’episodio oggetto di contenzioso, in quanto il treno TARGA_VEICOLO, pacificamente, è arrivato alla stazione di Bologna dopo le ore 11,00).

Il teste ha dichiarato di essersi mosso tra le diverse carrozze, durante il servizio di controllo, dovendo svolgere la propria attività anche in relazione al “servizio di welcome drink erogato presso la classe premium, il servizio executive ed anche il servizio mini-bar (tentata vendita che viene svolta dagli addetti lungo le carrozze)”.

Il ha poi riferito:

“Non so dire se verso le 10.15 fossi presso il vagone ristorante-bar (carrozza INDIRIZZO), verosimilmente potevo essere in quella carrozza in quanto durante la mattina più volte mi sono trovato lì, per acquisire informazioni e per svolgere il controllo a me demandato.

i due testimoni che hanno deposto prima di me e che ho incontrato in corridoio [ovviamente, il e l’ ;

in particolare non ricordo operazioni di vendita che hanno coinvolto gli stessi.

In ogni caso non memorizzo tutte le persone che si alternano alla carrozza bar.

Non so rispondere in merito all’operazione di vendita indicata al capo”.

a poi riferito:

“Quella mattina, vista l’assenza di un dipendente di il ricorrente si è anche spostato dalla carrozza bar per aiutare con lo svolgimento dell’attività di welcome drink in carrozza premium, ad ogni fermata del treno e quindi ad ogni ingresso eventuale di passeggeri nuovi.

In particolare, un addetto alla ristorazione svolgeva il servizio di welcome drink, il COGNOME lo aiutava facendo il refill del carrello portato dall’addetto, ma non faceva lui direttamente il servizio di welcome drink appunto”;

aggiungendo:

“Posso dire di non aver assistito ad alcuna operazione irregolare di vendita senza scontrino, in quanto in caso contrario avrei dovuto segnalare la circostanza a per emettere penale nei confronti della società convenuta.

Ribadisco però che non sono stato presso la carrozza bar tutta la mattina”.

Alla luce delle risultanze istruttorie, può quindi affermarsi che la materialità della condotta contestata al COGNOME è stata provata.

I due investigatori della RAGIONE_SOCIALE hanno infatti confermato l’operazione di vendita dei due alimenti effettuata dal ricorrente, con ricevimento da parte di questi di euro 8.50 in contanti, a fronte dei quali non è stato emesso lo scontrino.

La deposizione dei due dipendenti della società di investigazioni private non può essere messa in dubbio dalla deposizione del il quale, come si è rilevato, ha dichiarato di non aver visto operazioni di venduta senza emissione di titolo fiscale, ma ha altresì dichiarato di non ricordare se intorno alle 10.15 si trovasse nella carrozza ristorante, e, soprattutto, ha dichiarato di non essere rimasto con il ricorrente durante tutto il suo servizio di controllo.

Anzi, verosimile che l’evento contestato al ricorrente sia accaduto quando il teste non si trovava con il COGNOME (anzi, tanto è anche in astratto altamente probabile, in quanto poco plausibilmente il ricorrente avrebbe potuto porre in essere una condotta come quella in esame alla presenza di un controllore della qualità del servizio della committente , posto che, come dallo stesso ichiarato, laddove egli avesse assistito ad operazione di vendita senza scontrino avrebbe dovuto segnalare l’accaduto a , che avrebbe provveduto a sanzionare la Parte ricorrente ha eccepito, nel corso dell’odierna discussione, che le deposizioni dei due investigatori, testimoni oculari del fatto addebitato al Signorile, sarebbero inutilizzabili, in quanto, per recente giurisprudenza di legittimità, i controlli difensivi del datore di lavoro in merito ad eventuale attività illecita posta in essere dal lavoratore sarebbero consentiti solo in caso di previa sussistenza di fondato sospetto che simili condotte siano poste in essere. Parte convenuta ha però eccepito che tale deduzione difensiva sarebbe tardiva, in quanto avrebbe dovuto essere formulata solo in sede di prima udienza di trattazione, dopo che la parte ricorrente aveva preso visione della relazione investigativa redatta dalla RAGIONE_SOCIALE sulla base di quanto riportato dagli stessi Deve ritenersi che l’eccezione di parte ricorrente non sia tardiva, posto che trattasi di difesa su elemento in diritto (l’utilizzabilità del materiale istruttorio, in realtà non solo della sede giudiziale, ma anche della sede disciplinare) che risulta rilevabile anche in via officiosa. Deve però osservarsi che il tema posto da parte ricorrente si pone al di fuori della tipologia di fattispecie in esame.

La giurisprudenza di legittimità citata da parte ricorrente (Cass. ord. n. 807/2025 e Cass. sent. N. 3045/2025) dà infatti continuità ad indirizzo esegetico inaugurato dalla stessa Suprema Corte con le sentenze n. 25732/2021 e n. 34092/2021, indirizzo per il quale “In tema di cd. sistemi difensivi, sono consentiti i controlli anche tecnologici posti in comportamenti illeciti, in presenza di un fondato sospetto circa la commissione di un illecito, purché sia assicurato un corretto bilanciamento tra le esigenze di protezione di interessi e beni aziendali, correlate alla libertà di iniziativa economica, rispetto alle imprescindibili tutele della dignità e della riservatezza del lavoratore, sempre che il controllo riguardi dati acquisiti successivamente all’insorgere del sospetto; non ricorrendo le condizioni suddette la verifica della utilizzabilità a fini disciplinari dei dati raccolti dal datore di lavoro andrà condotta alla stregua dell’art. 4 st.lav. novellato, in particolare dei suoi commi 2 e 3” (Cass. n. 25732/2021 cit.; in termini sovrapponibili la successiva 34092/2021).

Ma la Suprema Corte ha enunciato tale principio in materia di controlli difensivi posti in essere dal datore di lavoro mediante videosorveglianza o controlli c.d. tecnologici (degli apparati elettronici/di comunicazione usati dai lavoratori), al di fuori dell’ambito di disciplina e dei limiti dell’art. 4 l. 300/1970 (v. massima sopra citata), ovvero in ambito potenzialmente invasivo della sfera di riservatezza dei lavoratori stessi, con sistemi che per di più possono essere indiscriminati (e non mirati), posto che deve intendersi tutelata la riservatezza personale anche sul luogo di lavoro e nelle conseguenti comunicazioni che ivi avvengono. In buona sostanza, per la RAGIONE_SOCIALE tali controlli, che possono avvenire, lo si ribadisce, anche sena il rispetto dei precisi limiti e delle precise garanzie previste dall’art. 4 l. 300/1970, devono rispettare il principio di proporzionalità tra esigenza di difesa e rispetto dell’ambito di dignità e riservatezza del lavoratore, e quindi anche l’astrattamente meritevole esigenza di tutela del patrimonio aziendale deve essere posta in bilanciamento con i valori appena sopra indicati.

Il punto di equilibrio è stato quindi rinvenuto dalla Cassazione nella sussistenza di un fondato sospetto circa l’attuazione di illecito in azienda, che appunto legittima l’espletamento di controllo al di fuori delle disposizioni dell’art. 4 Statuto dei lavoratori.

D’altronde, le pronunce della RAGIONE_SOCIALE hanno dato anche attuazione a pronunce della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, che si erano “aziendali” e rispetto dell’art. 8 della Convenzione (rubricato:

“Diritto al rispetto della vita privata e familiare”;

per la CEDU, infatti, nella vita privata va compresa anche quella professionale).

Per la Corte di Strasburgo, infatti, l’esistenza di un ragionevole sospetto circa la commissione di illeciti in azienda può ritenersi elemento legittimante misura di peso sufficientemente grave quale l’installazione occulta di videocamere di sorveglianza sul luogo di lavoro (sentenza della Grande Camera del 17 ottobre 2019, nel caso e altri c. Spagna), dovendo essere accertate le specifiche ragioni che giustificano l’adozione di misure di controllo anche su strumenti usati dal lavoratore per le comunicazioni (sentenza della Grande Camera del 5 settembre 2017, c. Romania). Ma nei casi quali quello in esame, ovvero di controlli occulti su eventuale commissione di illeciti da parte dei lavoratori mediante utilizzo di agenzie investigative, al di fuori dell’attività di vigilanza sull’attività lavorativa in senso stretto, non si pongono di sicuro problematiche di rispetto della riservatezza, anche sul luogo di lavoro, e non si pone alcuna problematica di compatibilità dei controlli con le previsioni dell’art. 4 l. 300/1970;

e non è quindi indispensabile la previa sussistenza di un fondato sospetto circa il compimento di attività illecite, subentrando in tale ambito una soglia di garanzia del lavoratore ben minore.

Si deve dare pertanto continuità al diverso indirizzo giurisprudenziale della S.C., ben rappresentato da Cass. n. 3590/2011, che si cita:

“Le disposizioni dell’art. 2 dello statuto dei lavoratori, nel limitare la sfera di intervento di persone preposte dal datore di lavoro a tutela del patrimonio aziendale, non precludono a quest’ultimo di ricorrere ad agenzie investigative – purché queste non sconfinino nella vigilanza dell’attività lavorativa vera e propria, riservata dall’art. 3 dello statuto direttamente al datore di lavoro e ai suoi collaboratori -,restando giustificato l’intervento in questione non solo per l’avvenuta perpetrazione di illeciti e l’esigenza di verificarne il contenuto, ma anche in ragione del solo sospetto o della mera ipotesi che illeciti può poi citare anche quanto statuito da Cass. ord. n. 15094/2018, secondo la quale: “in ordine alla portata degli artt. 2 e 3 della I. n. 300 del 1970, i quali delimitano, a tutela della libertà e dignità del lavoratore, in coerenza con disposizioni e principi costituzionali, la sfera di intervento di persone preposte dal datore di lavoro a difesa dei propri interessi, e cioè per scopi di tutela del patrimonio aziendale (art. 2) e di vigilanza dell’attività lavorativa (art. 3), va premesso che essi non precludono il potere dell’imprenditore di ricorrere alla collaborazione di soggetti (come, nella specie, un’agenzia investigativa) diversi dalla guardie particolari giurate per la tutela del patrimonio aziendale, né, rispettivamente, di controllare l’adempimento delle prestazioni lavorative e quindi di accertare mancanze specifiche dei dipendenti, ai sensi degli artt. 2086 e 2104 c.c., direttamente o mediante la propria organizzazione gerarchica; tuttavia ciò non esclude che il controllo delle guardie particolari giurate, o di un’agenzia investigativa, non possa riguardare, in nessun caso, né l’adempimento, né l’inadempimento dell’obbligazione contrattuale del lavoratore di prestare la propria opera, essendo l’inadempimento stesso riconducibile, come l’adempimento, all’attività lavorativa, che è sottratta alla suddetta vigilanza, ma deve limitarsi agli atti illeciti del lavoratore non riconducibili al mero inadempimento dell’obbligazione (cfr., in tali termini, Cass. n. 9167 del 2003); tale fermo principio è stato sempre ribadito, affermandosi che le dette agenzie per operare lecitamente non devono sconfinare nella vigilanza dell’attività lavorativa vera e propria, riservata, dall’art. 3 dello Statuto, direttamente al datore di lavoro e ai suoi collaboratori, per cui resta giustificato l’intervento in questione solo per l’avvenuta perpetrazione di illeciti e l’esigenza di verificarne il contenuto, anche laddove vi sia un sospetto o la mera ipotesi che illeciti siano in corso di esecuzione (v. Cass. n. 3590 del 2011; più di recente Cass. n. 15867 del 2017, con la giurisprudenza conforme ivi citata);

né a ciò ostano sia il principio di buona decidere autonomamente come e quando compiere il controllo, anche occulto, ed essendo il prestatore d’opera tenuto ad operare diligentemente per tutto il corso del rapporto di lavoro (cfr. Cass. n. 16196 del 2009;

per la legittimità del controllo datoriale a mezzo di agenzia investigativa in caso di mancata registrazione della vendita da parte dell’addetto alla cassa di un esercizio commerciale ed appropriazione delle somme incassate v. Cass. n. 18821 del 2008);

il divieto di controllo occulto sull’attività lavorativa vige anche nel caso di prestazioni lavorative svolte al di fuori dei locali aziendali, ferma restando l’eccezione rappresentata dai casi in cui il ricorso ad investigatori privati sia finalizzato a verificare comportamenti che possano configurare ipotesi penalmente rilevanti (come l’esercizio durante l’orario lavorativo di attività retribuita in favore di terzi su cui v. Cass. nn. 5269 e 14383 del 2000) ”.

Nel caso di specie, i due investigatori, dipendenti di società incaricata del controllo da parte di non hanno proceduto a verifica del rituale adempimento della prestazione da parte del Signorile (a questo provvedeva semmai la figura del ma su incarico della committente del servizio di ristorazione, ovvero ), ma a verifica dell’eventuale commissione di illecito (il teste ha dichiarato chiaramente che l’ambito del controllo demandato era la verifica in merito all’emissione degli scontrini, previo pagamento in contanti; è evidente che la finalità fosse proprio quella di verificare il prodromo di eventuale condotta di distrazione delle somme;

si ribadisce che per la semplice verifica dell’emissione regolare degli scontrini vi era il controllo del come dallo stesso dichiarato).

La giurisprudenza di legittimità sopra citata, e ritenuta applicabile alla fattispecie in esame, ha statuito espressamente che è sufficiente per il datore di lavoro, per demandare un controllo quale quello effettuato nel caso di specie, anche la sola mera ipotesi che un illecito sia consumato (non richiedendosi necessariamente un sospetto circostanziato);

mera ipotesi della incaricata con contratto oneroso del controllo in discorso.

Ne consegue la piena utilizzabilità delle attività di controllo, utilizzata da parte convenuta nella sede disciplinare, e delle deposizioni del e dell’ Parte ricorrente ha eccepito, in sede di discussione, che mancherebbe una prova fotografica o video della condotta addebitata, il che renderebbe inutilizzabili le prove raccolte.

Tralasciando che la deposizione diretta in merito alla condotta del Signorile è, ad ogni evidenza, prova sufficiente del fatto, introdurre la necessità di una prova fotografica o video della condotta illecita del lavoratore vorrebbe dire far ricadere la fattispecie nelle ipotesi dell’art. 4 della l. 300/1970 o dei controlli difensivi intrusivi nella sfera personale del lavoratore, rendendo quindi vane le ipotesi previste dall’art. 2 della l. 300/1970 (che, lo si ribadisce, per la Corte di Cassazione consentono l’utilizzo di agenzie di investigazione) o dall’art. 3 dello stesso testo normativo (che prevedono invece il controllo e la vigilanza anche sull’attività lavorativa, se posti in essere da personale addetto direttamente dal datore di lavoro ad una simile attività, previa comunicazione ai lavoratori di nominativi e mansioni di tale personale). Per parte ricorrente, infine, le deposizioni dei due investigatori sarebbero inutilizzabili, in quanto retribuiti indirettamente dalla società convenuta, che ha presumibilmente remunerato l’agenzia di investigazione loro datrice di lavoro.

Tralasciando che un’eventuale eccezione di incapacità a deporre è preclusa dal non essere stata posta, al massimo, immediatamente dopo l’audizione dei due testi, deve osservarsi che:

– i due non hanno posizione ostativa all’assunzione della qualità di testimoni o addirittura interesse in causa, non essendo creditori della società convenuta, ma lavoratori remunerati dalla RAGIONE_SOCIALE (non avendo alcun rapporto con la , come dagli stessi dichiarato in sede di audizione);

– accedere alla tesi di parte ricorrente comporterebbe che i principi espressi dalla Corte di Cassazione e sopra riportati non potrebbero mai avere applicazione concreta, in quanto di lavoro, e i dipendenti o collaboratori della prima sono retribuiti anche grazie al contributo economico del secondo.

In conclusione, le deposizioni del e dell’ sono pienamente utilizzabili per la decisione.

2.2.

Così ricostruito il fatto, risultano irrilevanti le difese del ricorrente, di natura puramente dubitativa, e non storica, riportate al punto 1. del presente provvedimento, posto che:

– la condotta di vendita senza scontrino, come detto, è stata pienamente accertata;

– come correttamente osservato da parte convenuta, laddove l’importo pagato dal sebbene non contabilizzato, fosse stato comunque inserito dal ricorrente tra gli incassi della giornata, vi sarebbero stati, nella relativa busta da lui sigillata euro 8.50 in più rispetto ai 62.50 di contanti regolarmente contabilizzati;

l’assenza dell’importo dalla busta è logicamente compatibile soltanto con l’illecita sottrazione di esso da parte del Signorile.

La condotta contestata pertanto sussiste, e sussiste anche l’elemento soggettivo di essa, ovvero il dolo, in quanto la mancata emissione dello scontrino era chiaramente volta a rendere possibile la distrazione, circostanza che quindi rende evidente l’intenzionalità del complessivo comportamento del ricorrente.

Ciò posto, sussistente la condotta che ha portato al recesso datoriale (condotta nella quale il peso determinante è, prima ancora del mancato rilascio del titolo fiscale, anch’essa dotata di disvalore, la sottrazione del denaro), è sussistente anche l’illiceità di essa, in quanto (pacifica la violazione di natura penalistica) il CCNL applicabile al rapporto (CCNL della Mobilità/Area contrattuale Attività Ferroviarie;

doc. 10 ricorrente), all’art. 64, lett. a), prevede la sanzione del licenziamento senza preavviso in caso di “sottrazione o furto di somme” da parte del lavoratore, ed alla lett. d) prevede la medesima sanzione in caso di “violazioni dolose di leggi, di regolamenti o dei doveri che possano arrecare o abbiano arrecato forte pregiudizio all’azienda fatti o atti dolosi, comprese le violazioni dell’obbligo di fedeltà di cui all’art. 2105 c.c, di gravità tale da non consentire la prosecuzione del rapporto di lavoro”. Tanto è sufficiente per escludere la tutela reale di cui all’art. 3 co 2 dlvo 23/2015, in quanto non vi è prova diretta dell’insussistenza del fatto contestato, ma anzi la priva diretta della sussistenza.

2.3.

Deve essere esaminata la doglianza relativa all’assenza di proporzionalità della sanzione irrogata, funzionale ad ottenere la tutela obbligatoria di cui al comma 1 dell’art. 3 del dlvo 23/2015.

Ha osservato la Suprema Corte di Cassazione, in tema di giusta causa di licenziamento, che:

“la giusta causa di licenziamento deve rivestire il carattere di grave negazione degli elementi essenziali del rapporto di lavoro e, in particolare, dell’elemento fiduciario, dovendo il giudice valutare, da un lato, la gravità dei fatti addebitati al lavoratore, in relazione alla portata oggettiva e soggettiva dei medesimi, alle circostanze nelle quali sono stati commessi e all’intensità del profilo intenzionale, dall’altro, la proporzionalità fra tali fatti e la sanzione inflitta, per stabilire se la lesione dell’elemento fiduciario, su cui si basa la collaborazione del prestatore di lavoro, sia tale, in concreto, da giustificare la massima sanzione disciplinare; a tal fine, quale comportamento che, per la sua gravità, è suscettibile di scuotere la fiducia del datore di lavoro, può assumere rilevanza disciplinare anche una condotta che, seppure compiuta al di fuori della prestazione lavorativa, sia idonea, per le modalità concrete con cui essa si manifesta, ad arrecare un pregiudizio, non necessariamente di ordine economico, agli scopi aziendali ” (Cass. n. 15654/2012);

“la giusta causa di licenziamento deve rivestire il carattere di grave negazione degli elementi essenziali del rapporto di lavoro e, in particolare, dell’elemento fiduciario, dovendo il giudice valutare, da un lato, la gravità dei fatti addebitati al lavoratore, in relazione alla portata oggettiva e soggettiva dei medesimi, alle circostanze proporzionalità fra tali fatti e la sanzione inflitta, per stabilire se la lesione dell’elemento fiduciario, su cui si basa la collaborazione del prestatore di lavoro, sia tale, in concreto, da giustificare la massima sanzione disciplinare; quale evento “che non consente la prosecuzione, anche provvisoria, del rapporto”, la giusta causa di licenziamento integra una clausola generale, che richiede di essere concretizzata dall’interprete tramite valorizzazione dei fattori esterni relativi alla coscienza generale e dei principi tacitamente richiamati dalla norma, quindi mediante specificazioni che hanno natura giuridica e la cui disapplicazione è deducibile in sede di legittimità come violazione di legge, mentre l’accertamento della ricorrenza concreta degli elementi del parametro normativo si pone sul diverso piano del giudizio di fatto, demandato al giudice di merito e incensurabile in cassazione se privo di errori logici e giuridici” (Cass. n. 6498/2012); “per stabilire in concreto l’esistenza di una giusta causa di licenziamento, che deve rivestire il carattere di grave negazione degli elementi essenziali del rapporto di lavoro ed in particolare di quello fiduciario e la cui prova incombe sul datore di lavoro, occorre valutare da un lato la gravità dei fatti addebitati al lavoratore, in relazione alla portata oggettiva e soggettiva dei medesimi, alle circostanze nelle quali sono stati commessi ed all’intensità dell’elemento intenzionale, dall’altro la proporzionalità fra tali fatti e la sanzione inflitta, stabilendo se la lesione dell’elemento fiduciario su cui si basa la collaborazione del prestatore di lavoro sia in concreto tale da giustificare o meno la massima sanzione disciplinare ” (Cass. n. 35/2011); “per stabilire in concreto l’esistenza di una giusta causa di licenziamento, che deve rivestire il carattere di grave negazione degli elementi essenziali del rapporto di lavoro ed in particolare di quello fiduciario, occorre valutare da un lato la gravità dei fatti addebitati al lavoratore, in relazione alla portata oggettiva e soggettiva dei medesimi, alle circostanze nelle quali sono stati commessi ed all’intensità dell’elemento intenzionale, dall’altro la proporzionalità fra tali fatti e la sanzione inflitta, stabilendo se la lesione tale da giustificare o meno la massima sanzione disciplinare” (Cass. n. 19270/2006). La Corte di Cassazione ha poi ritenuto che:

“In tema di licenziamento per giusta causa e per giustificato motivo soggettivo, la tipizzazione contenuta nella contrattazione collettiva non è vincolante, spettando al giudice la valutazione di gravità del fatto e della sua proporzionalità rispetto alla sanzione irrogata dal datore di lavoro, avuto riguardo agli elementi concreti, di natura oggettiva e soggettiva, della fattispecie” (Cass. n. 33811/2021);

“In tema di licenziamento per giusta causa e per giustificato motivo soggettivo, non è vincolante la tipizzazione contenuta nella contrattazione collettiva, rientrando il giudizio di gravità e proporzionalità della condotta nell’attività sussuntiva e valutativa del giudice, avuto riguardo agli elementi concreti, di natura oggettiva e soggettiva, della fattispecie, ma la scala valoriale formulata dalle parti sociali costituisce uno dei parametri cui occorre fare riferimento per riempire di contenuto la clausola generale dell’art. 2119 c.c.” (Cass. n. 17321/2020); “In tema di licenziamento per giusta causa, non è vincolante la tipizzazione contenuta nella contrattazione collettiva, rientrando il giudizio di gravità e proporzionalità della condotta nell’attività sussuntiva e valutativa del giudice, avuto riguardo agli elementi concreti, di natura oggettiva e soggettiva, della fattispecie, ma la scala valoriale formulata dalle parti sociali deve costituire uno dei parametri cui occorre fare riferimento per riempire di contenuto la clausola generale dell’art. 2119 c.c.” (Cass. n. 16784/2020; conforme, Cass. n. 14063/2019).

Si devono pertanto sviluppare le seguenti considerazioni – come si è già detto, la sottrazione di denaro è condotta espressamente prevista dalla contrattazione collettiva di riferimento come giusta causa di licenziamento;

– indipendentemente da tale previsione, la condotta è socialmente riprovata e destinataria di sanzione penale;

caso di specie, posto che il responsabile dei servizi di bordo ha la gestione diretta degli incassi e, al di fuori di controlli di natura strettamente contabile (salvo eccezionali controlli quali quello demandato alla RAGIONE_SOCIALE), la società convenuta non ha possibilità di verificare eventuali azioni illecite e depauperative del patrimonio aziendale, dovendo riporre un particolare e qualificato affidamento nella condotta di tale figura aziendale;

– non rileva, visto quanto sopra indicato, la modestia dell’importo sottratto dal ricorrente;

per la Corte di Cassazione “Nel licenziamento disciplinare, la gravità del fatto va valutata, al fine di verificare il rispetto della regola codicistica della proporzionalità della sanzione, sulla base di una serie di elementi che non possono esaurirsi nelle dirette conseguenze meramente economiche prodotte al datore di lavoro dalla condotta contestata, ma possono riguardare sia il grado di responsabilità collegato alle mansioni affidate al lavoratore, sia le modalità della condotta, specie se rivelatrice di una particolare propensione alla trasgressione, sia l’incidenza dei fatti sulla permanenza del vincolo fiduciario che caratterizza lo specifico rapporto di lavoro. (Fattispecie relative ad appropriazione indebita compiuta da addetto alla riscossione di pedaggi autostradali, mediante particolari artifici)” (Cass. n. 1558/2000);

“Nel licenziamento per giusta causa ciò che rileva nella valutazione della proporzionalità tra fatto addebitato e recesso non è l’assenza o la speciale tenuità del danno patrimoniale arrecato dal dipendente al datore di lavoro, bensì la ripercussione sul rapporto di una condotta suscettibile di porre in dubbio la futura correttezza dell’adempimento, in quanto sintomatica di un certo atteggiarsi del lavoratore rispetto agli obblighi assunti” (Cass. n. 2404/2000);

“In tema di licenziamento per giusta causa, è irrilevante che i comportamenti addebitati al lavoratore abbiano o meno comportato un danno per il datore di lavoro, essendo invece rilevante solo l’idoneità dei suddetti comportamenti ad incidere negativamente sul rapporto fiduciario, indipendentemente dal concreto verificarsi di un danno e dall’entità di esso” (Cass. n. non va riferita alla tenuità del danno patrimoniale subito dal datore di lavoro, dovendosi valutare la condotta del prestatore di lavoro sotto il profilo del valore sintomatico che può assumere rispetto ai suoi futuri comportamenti, nonché all’idoneità a porre in dubbio la futura correttezza dell’adempimento e ad incidere sull’elemento essenziale della fiducia, sotteso al rapporto di lavoro” (Cass. n. 19684/2014)¸” In tema di licenziamento per giusta causa, la modesta entità del fatto addebitato non va riferita alla tenuità del danno patrimoniale subito dal datore di lavoro, dovendosi valutare la condotta del prestatore di lavoro sotto il profilo del valore sintomatico che può assumere rispetto ai suoi futuri comportamenti, nonché all’idoneità a porre in dubbio la futura correttezza dell’adempimento e ad incidere sull’elemento essenziale della fiducia, sotteso al rapporto di lavoro”; va a questo punto ribadito che non rileva la modestia dell’importo sottratto (euro 8.50), ma l’aspetto sintomatico della condotta del , il quale era stato preposto dalla società convenuta ad un servizio ed ad una funzione che comportavano il costante affidamento di patrimonio aziendale (beni di consumo ed incassi);

una condotta quale quella accertata ha minato in modo determinante, sena alcun dubbio, la possibilità di riporre nel lavoratore la necessaria fiducia circa il rituale adempimento del contratto di lavoro, soprattutto in relazione alla peculiarità della posizione del ricorrente in azienda e delle mansioni a lui affidate;

– a fronte di ciò non può essere valorizzata ed anzi non rileva l’incensuratezza del ricorrente (anche se pacifica), proprio in ragione della gravità intrinseca del disvalore della condotta posta in essere e dell’incrinamento irreparabile del vincolo fiduciario, sopra descritti.

Deve pertanto ritenersi sussistente la proporzionalità della sanzione espulsiva irrogata, in quanto la condotta illecita ha pienamente i caratteri della giusta causa.

2.4.

Deve essere rigettato anche il motivo di impugnazione relativo alla tardività della contestazione disciplinare.

Parte ricorrente fonda tale motivo, anzitutto, sulla base del disposto ’addebito deve essere tempestiva, di norma entro 30 giorni dal momento in cui l’azienda è venuta a conoscenza del fatto contestato e tenuto conto della natura dell’addebito e dei tempi tecnici imposti da eventuali esigenze istruttorie”.

Secondo la Corte di Cassazione “In tema di sanzioni disciplinari, il termine di trenta giorni per la contestazione dell’addebito, previsto dall’art. 61, comma 2, del c.c.n.l. per i lavoratori del settore ferroviario del 16 giugno 2003 [norma che, come si ricava dalla motivazione della pronuncia, è quasi sovrapponibile a quella sopra citata], non è perentorio, in considerazione della formulazione della disposizione, che ricorre all’inciso “di norma” ed impone la valutazione delle circostanze del caso concreto, nonché della mancanza di una comminatoria espressa di decadenza per il caso di suo superamento” (Cass. n. 22930/2016).

Ne consegue che in ogni caso non può ritenersi sussistente decadenza in conseguenza dell’intervenuto decorso dei 30 giorni previsti dalla norma contrattuale.

Ma, ciò che più rileva, il CCNL fa decorrere il termine (ordinatorio) in discorso dal momento nel quale il datore di lavoro abbia conoscenza del fatto che viene addebitato al lavoratore.

Nel caso di specie, la ha avuto conoscenza (peraltro solo parziale) del fatto in data 14/9/2023, quando della RAGIONE_SOCIALE ha inviato al referente della la relazione investigativa redatta in pari data sulla scorta dei riscontri del e dell’ (doc. 14 convenuta), provvedendo poi a contestare il fatto al Signorile in data 9/10/2023, e quindi nel rispetto dei 30 giorni previsti dal CCNL.

Secondo la giurisprudenza di legittimità, poi, in tema di licenziamento disciplinare, l’immediatezza della contestazione va intesa in senso relativo, dovendosi dare conto delle ragioni che possono cagionare il ritardo, quali il tempo necessario per l’accertamento dei fatti o la complessità della struttura organizzativa dell’impresa (Cass. n. 16841/2018, Cass. n. quanto poi contestato al ricorrente solo mediante la comunicazione dei rilievi svolti dalla RAGIONE_SOCIALE (14 settembre 2023, come si è rilevato) e poi mediante preciso riscontro contabile sulla situazione degli incassi dei contanti e delle ricevute fiscali emesse in data 4 settembre 2023, il che ha comportato un’ulteriore attività istruttoria. Alla luce di tanto non può dirsi che la contestazione, comunicata solo il 9 ottobre, possa dirsi tardiva.

Come anticipato, pertanto, anche tale motivo di impugnazione deve essere rigettato.

2.5.

Come si è sopra ritenuto, la condotta del ricorrente integra pienamente i caratteri della giusta causa, non potendo pertanto procedersi a riqualificazione del recesso come licenziamento per giustificato motivo soggettivo, ed alla conseguente condanna della convenuta al pagamento dell’indennità sostitutiva del preavviso.

3.

La domanda di risarcimento del danno all’immagine deve essere rigettata.

Tale domanda si fonda su un unico assunto, ovvero:

“Gli incaricati della società convenuta, peraltro, il 9 ottobre 2023 hanno letto al ricorrente la contestazione disciplinare ad alta voce e in un ufficio con la porta aperta, senza alcun riguardo alla riservatezza della comunicazione.

Nell’arco di poche ore, le voci sui contenuti dell’addebito e sulla sospensione del lavoratore si erano già diffuse fra tutti i suoi colleghi, arrecando al medesimo un notevole discredito e un danno d’immagine che potranno essere quantificati in via equitativa” (ricorso introduttivo, pag. 5, punti 35 e 36).

Non sono state ammesse prove orali su tale aspetto, in quanto trattasi di allegazione del tutto generica, priva di riferimenti temporali esatti (in quale momento del 9 ottobre 2023 sia successo l’episodio, non è dato sapere), ma soprattutto di un’esatta contestualizzazione del fatto e del nesso causale tra di esso ed il danno qui lamentato;

in altri termini, non è noto chi possa avere sentito la lettura ad alta voce della contestazione disciplinare, a causa della porta lasciata aperta, e quindi di come possa essersi diffusa la notizia della pendenza del procedimento tra i colleghi soprattutto se tale diffusione sia effettivamente ricollegabile al comportamento datoriale);

neppure è nota l’esatta diffusione della notizia (quante persone ne siano venute a conoscenza).

Anche la domanda risarcitoria, in assenza di precise allegazioni, ancora prima dell’assenza di prova, deve essere pertanto rigettata.

4. In punto spese di lite, deve ritenersi che non vi siano ragioni per discostarsi dalla regola generale della soccombenza, ai sensi dell’art. 91 c.p.c..

Le spese sono liquidate sulla base del parametro medio dello scaglione di valore indeterminabile, media complessità.

REPUBBLICA ITALIANA

In Nome del Popolo Italiano Il Tribunale Ordinario di Torino – Sezione Lavoro Visto l’art. 429 c.p.c. disattesa ogni contraria domanda, eccezione e deduzione, – rigetta il ricorso;

– condanna alla rifusione delle spese processuali in favore di , spese liquidate in complessivi euro 11.327,00, oltre a rimborso forfettario al 15%, iva e cpa.

Torino, 14/2/2025 Il Giudice dott. NOME COGNOME

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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