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Illegittimo licenziamento per mancato repêchage

Il giudice ha stabilito che il licenziamento per giustificato motivo oggettivo è legittimo solo se sussiste un nesso di causalità tra la scelta imprenditoriale e il recesso, e se il datore di lavoro ha adempiuto all’obbligo di repêchage, offrendo al dipendente altre mansioni compatibili con il suo stato di salute.

Pubblicato il 13 January 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile

N. 9039/24 R.G.L.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

TRIBUNALE DI MILANO SEZIONE LAVORO in composizione monocratica e in funzione di Giudice del Lavoro, in persona della dott.ssa NOME COGNOME ha pronunciato la seguente

SENTENZA N._4934_2024_- N._R.G._00009039_2024 DEL_04_01_2025 PUBBLICATA_IL_06_11_2024

nella controversia di primo grado promossa (C.F. con l’Avv. COGNOME e l’Avv. COGNOME del Foro di Padova, domiciliato digitalmente presso l’indirizzo di posta elettronica certificata – RICORRENTE – contro P.IVA.

con l’Avv. COGNOME del Foro di Bari, elettivamente domiciliata presso lo Studio del difensore Bari, INDIRIZZO – RESISTENTE – Oggetto: licenziamento per giustificato motivo oggettivo All’udienza di discussione i procuratori concludevano come in atti.

FATTO con ricorso depositato in data 18 luglio 2024, conveniva in giudizio avanti al Tribunale di Milano – Sezione Lavoro – per sentir accogliere le seguenti conclusioni:

“- accertata l’illegittimità del licenziamento, condannarsi , in persona del legale rappresentante pro tempore, a reintegrare e a pagargli un’indennità di euro 1.959,00 dalla data del licenziamento sino alla reintegrazione, oltre al versamento dei contributi assistenziali e previdenziali per il medesimo periodo, ovvero, in subordine, al pagamento di 24 mensilità della retribuzione individuata, – con rivalutazione e interessi legali ex artt. 429 c.p.c. e 1284 c.c.”.

Con vittoria delle spese di lite, da distrarsi in favore dei procuratori che si dichiaravano antistatari.

Si costituiva ritualmente in giudizio eccependo l’infondatezza in fatto e in diritto delle domande di cui al ricorso, e chiedendo il rigetto delle avversarie pretese;

in particolare, la convenuta concludeva:

“per le motivazioni evidenziate in premesse per il rigetto integrale della domanda di parte ricorrente (sia reintegratoria, che risarcitoria e/o indennitaria) risultando la stessa del tutto inammissibile ed infondata in fatto ed in diritto, Subordinativamente e solo per scrupolo difensivo, in caso di denegato accoglimento totale o parziale dell’avversa richiesta risarcitoria, detrarre dal ristoro quanto aliunde percepito dal ricorrente”.

Con vittoria delle spese di lite.

Esperito inutilmente il tentativo di conciliazione e ritenuta la causa matura per la decisione, all’udienza del 6 novembre 2024, il Giudice invitava alla discussione e, all’esito, decideva come da dispositivo pubblicamente letto, riservando il deposito della motivazione a 60 giorni ai sensi dell’art. 429 c.p.c. così come modificato dalla Legge 133/2008.

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Come risulta dalla documentazione di causa, è stato assunto da (cfr. doc.

1, fascicolo ricorrente) il 19 marzo 2021 – con decorrenza 25 marzo 2021 e originaria scadenza al 30 giugno 2021 – in forza di un contratto di lavoro a tempo determinato e full-time, con inquadramento nel III livello C.C.N.LRAGIONE_SOCIALE e mansioni di “manutentore elettrico alle dirette dipendenze gerarchiche del Diretto di Cantiere” (doc. 2, fascicolo ricorrente);

il contratto di assunzione è stato trasformato in tempo indeterminato con decorrenza 24 marzo 2022 (doc. 3, fascicolo ricorrente).

*** 1.1.

Il rapporto è proseguito sino al 31 dicembre 2023, quando si è risolto a seguito di licenziamento per giustificato motivo oggettivo formalizzato il 19 dicembre 2023:

“…Le comunichiamo la risoluzione del rapporto di lavoro a far data dal 31/12/2023, per effetto della soppressione del posto di lavoro cui la RAGIONE_SOCIALE è stata adibita nel corso del contratto, a seguito della cessazione in data 31/12/2023 dell’appalto di Acque del Chiampo CIG NUMERO_DOCUMENTO

Le specifichiamo, altresì, che non è stato possibile individuare per la S.V. possibilità occupazionali alternative in ambito aziendale, neanche con riferimento a mansioni di livello inferiore…” (doc. 4, fascicolo ricorrente).

1.2.

Con il presente giudizio, il lavoratore chiede di accertare l’illegittimità del licenziamento che contesta, sia per violazione dei criteri di scelta, sia per violazione dell’obbligo di repêchage;

conclude, pertanto, come sopra precisato.

Il ricorso deve essere accolto nei limiti e per le ragioni di seguito evidenziate.

*** * *** 2. Sotto un profilo di ordine generale, deve rammentarsi quanto segue.

2.1.

Il giustificato motivo oggettivo di licenziamento determinato da ragioni tecniche, organizzative e/o produttive è rimesso alla valutazione del datore di lavoro ed è precluso al Giudice sindacare la scelta dei criteri di gestione dell’impresa, espressione più tipica della libertà di iniziativa economica di cui all’art. 41 Costituzione.

In tali ipotesi rientra senz’altro il caso del riassetto organizzativo attuato per ottenere una più economica gestione dell’impresa, rispetto alla quale non è consentito sindacare la scelta dei criteri che vi sono posti a fondamento;

non è nemmeno sindacabile, nei suoi profili di congruità e opportunità, la scelta imprenditoriale che abbia comportato la soppressione del posto di lavoro cui era addetto il dipendente licenziato, a condizione che risulti l’effettività e la non pretestuosità del riassetto organizzativo operato (sul punto, Cass. Civ., Sez. Lav., 30 novembre 2010, n. 24235).

Il licenziamento per giustificato motivo oggettivo, peraltro, non può ritenersi legittimato nel solo caso in cui la parte datoriale si trovi nella necessità di affrontare una situazione di crisi o, comunque, una sfavorevole e duratura congiuntura economica:

l’orientamento, da tempo consolidato presso questo Tribunale, ha trovato definitiva conferma nella sentenza a mezzo della quale il Supremo Collegio ha chiarito che, “ai fini della legittimità del licenziamento individuale intimato per giustificato motivo oggettivo ai sensi dell’art. 3 l. n. 604 del 1966, tra le ragioni inerenti all’attività produttiva ed all’organizzazione del lavoro rientrano anche quelle dirette ad una migliore efficienza gestionale ovvero ad un incremento della redditività dell’impresa purché si traducano in un effettivo mutamento dell’assetto organizzativo dell’impresa dal quale derivi la soppressione di una determinata posizione lavorativa”, e che, “ai fini della legittimità del licenziamento per giustificato motivo oggettivo, l’andamento economico negativo dell’azienda non costituisce un presupposto fattuale che il datore di lavoro debba necessariamente provare ed il giudice accertare, essendo sufficiente dimostrare l’effettività del mutamento dell’assetto organizzativo attraverso la soppressione di una individuata posizione lavorativa, a meno che il datore di lavoro non abbia motivato il licenziamento richiamando l’esigenza di far fronte a situazioni economiche sfavorevoli” (Cass. Civ., Sez. Lav., 7 dicembre 2016, n. 25201). 2.2.

Nei limiti delineati dal principio della libertà di iniziativa economica riconosciuta dall’ordinamento costituzionale, dunque, il controllo del Giudice sulla legittimità di un licenziamento per giustificato motivo oggettivo attiene fondamentalmente all’esigenza di verificare l’esistenza di un puntuale e concreto nesso di causalità tra le ragioni aziendali addotte a giustificazione del recesso e il recesso medesimo: ai sensi dell’art. 30, co. 1, Legge 183/2010, “in tutti i casi nei quali le disposizioni di legge nelle materie di cui all’articolo 409 del codice di procedura civile e all’articolo 63, comma 1, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, contengano clausole generali, ivi comprese le norme in tema di… recesso, il controllo giudiziale è limitato esclusivamente, in conformità ai princìpi generali dell’ordinamento, all’accertamento del presupposto di legittimità e non può essere esteso al sindacato di merito sulle valutazioni tecniche, organizzative e produttive che competono al datore di lavoro o al committente. L’inosservanza delle disposizioni di cui al precedente periodo, in materia di limiti al sindacato di merito sulle valutazioni tecniche, organizzative e produttive che competono al datore di lavoro, costituisce motivo di impugnazione per violazione di norme di diritto”.

Se, allora, non sono sindacabili le scelte gestionali e organizzative effettuate dal datore di lavoro, può e deve essere verificata in concreto – ove contestata – la sussistenza di un nesso causale tra quelle scelte e il conseguente licenziamento.

In questa specifica prospettiva, il sindacato giudiziale non può che muovere dalle ragioni invocate dall’imprenditore a giustificazione del recesso e cristallizzate nella lettera di licenziamento, dovendosi ritenere assolutamente preclusa la possibilità di una successiva modifica o integrazione delle stesse, anche in ossequio a quanto sancito dall’art. 2, co. 2, Legge 604/1966 – per come modificato dall’art. 1, co. 37, Legge 92/2012 – a mente del quale “la comunicazione del licenziamento deve contenere la specificazione dei motivi che lo hanno determinato”. La motivazione addotta a fondamento del licenziamento costituisce, dunque, al tempo stesso, ambito e limite del sindacato giudiziale.

Sul punto, la giurisprudenza di legittimità ha avuto modo di chiarire che – ai fini della legittimità del recesso per giustificato motivo oggettivo – è sempre necessario che le ragioni addotte dal datore di lavoro a giustificazione del medesimo incidano, in termini di “causa efficiente” sulla posizione lavorativa del dipendente licenziato:

“affinché possa configurarsi la legittimità del licenziamento per giustificato motivo oggettivo, non è sufficiente accertare la sussistenza delle ragioni addotte dal datore di lavoro a sostegno della modifica organizzativa da lui attuata, essendo sempre necessario che dette ragioni incidano, in termini di causa efficiente, sulla posizione lavorativa ricoperta dal lavoratore licenziato, solo così potendosi verificare la non pretestuosità del recesso” (Cass. Civ., Sez. Lav., 28 marzo 2019, n. 8661).

La mancanza di una correlazione causale e, prima ancora, inevitabilmente, l’impossibilità stessa di configurare una connessione eziologica anche potenziale costituiscono, non solo prova dell’insussistenza della ragione giustificatrice del licenziamento di un determinato dipendente, ma, di fatto, dimostrazione dell’uso illegittimo del potere di recesso datoriale;

in proposito, il Supremo Collegio ha ritenuto che “…i giudici del merito, ai quali compete, hanno correttamente effettuato in concreto una valutazione circa l’effettività della ragione addotta dall’imprenditore a giustificazione del recesso, traendo dalla mancanza di nesso causale con la posizione lavorativa del lavoratore una dissonanza che svela l’uso distorto del potere datoriale” (Cass. Civ., Sez. Lav., 11 novembre 2019, n. 29101 – parte motiva).

Qualora il controllo sull’effettività delle ragioni (intese quale nucleo essenziale composto di fatto, nesso di causalità e posizione lavorativa interessata dal recesso) dia esito negativo, dovrà necessariamente concludersi per l’illegittimità del licenziamento in ragione della verificata insussistenza della causa giustificatrice posta a fondamento del recesso.

2.3.

L’individuazione del dipendente da licenziare deve fondarsi, sempre, su criteri di scelta oggettivi, nonché essere conforme ai principi di correttezza e buona fede (cfr. Cass. Civ., Sez. Lav., 11 giugno 2004, n. 11124; Cass. Civ., Sez. Lav., 9 maggio 2002, n. 6667).

Contrariamente a quanto sostenuto da parte attrice, in assenza di una espressa previsione normativa in tal senso, la scelta tra più lavoratori non deve necessariamente essere operata applicando i criteri di cui all’art. 5 Legge 223/1991:

questi ultimi possono, senz’altro, assurgere a esempio di parametri obiettivi di scelta;

tuttavia, sono legittimi anche criteri diversi, a condizione che risultino obiettivi e non strumentali all’espulsione di un lavoratore non gradito (Cass. Civ., Sez. Lav., 8 luglio 2016 n. 14021).

Il datore di lavoro dovrà sempre essere ammesso a provare di aver applicato quel criterio, differente, ma ugualmente neutrale e, in quanto tale, legittimo (Cass. Civ., Sez. Lav., 28 marzo 2011, n. 7046);

il Supremo Collegio, d’altronde, ha chiarito che, “in tema di licenziamento per giustificato motivo oggettivo, ravvisato nella soppressione di un posto di lavoro in presenza di più posizioni fungibili perché occupate da lavoratori con professionalità sostanzialmente omogenee, ove non sia utilizzabile il criterio dell’impossibilità di repêchage, il datore di lavoro deve individuare il soggetto da licenziare secondo i principi di correttezza e buona fede e, in questo contesto, la l. n. 223/1991, art. 5, offre uno “standard” idoneo ad assicurare una scelta conforme a tale canone, ma non può escludersi l’utilizzabilità di altri criteri, purché non arbitrari, improntati a razionalità e graduazione delle posizioni dei lavoratori interessati” (Cass. Civ., Sez. Lav., 30 agosto 2018, n. 21438). *** * *** 3. Circoscritti i principi di riferimento, nel merito, si osserva quanto segue.

*** 3.1.

Il ricorrente è stato licenziato “…per effetto della soppressione del posto di lavoro cui la RAGIONE_SOCIALE è stata adibita nel corso del contratto, a seguito della cessazione in data 31/12/2023 dell’appalto di Acque del Chiampo CIG NUMERO_DOCUMENTO” (doc. 4, fascicolo ricorrente).

Il fatto posto a fondamento del licenziamento – ossia, la cessazione dell’appalto di Acque del Chiampo – e l’adibizione di al suddetto appalto possono ritenersi pacifici in giudizio posto che il ricorrente non li ha contestati, limitandosi a lamentare la violazione dei criteri di scelta.

A tacer d’altro, costituendosi in giudizio, documentalmente provato la sottoscrizione di una “scrittura privata di risoluzione per mutuo consenso del contratto di appalto per il servizio di manutenzione elettromeccanica dell’impianto di depurazione di Acque del Chiampo RAGIONE_SOCIALE” (doc. 5, fascicolo resistente), con successivo svincolo della cauzione a suo tempo prestata da (doc. 6, fascicolo resistente).

*** 3.2. lamenta, dunque, la “violazione dei criteri di scelta del licenziando (i.e. anzianità)”.

Fermo quanto già osservato in ordine all’insussistenza di un obbligo di applicazione dei criteri di cui all’art. 5 Legge 223/1991, e considerato che non è in contestazione che il lavoratore fosse l’unico dipendente con quelle mansioni adibito all’appalto ormai cessato (l’altro, circostanza pacifica in giudizio, era un “impiegato supervisore operativo” – pag. 6, memoria), sussiste un nesso di causalità diretta tra il fatto posto a base del licenziamento e la scelta dell’odierno ricorrente quale dipendente da licenziare. Ne consegue che, sotto questo specifico profilo, il licenziamento per cui è causa va esente da censure.

*** 3.3.

Il lavoratore si duole, poi, della violazione dell’obbligo di repêchage e la doglianza risulta fondata.

3.3.1. Quello di repêchage è obbligo che sorge in conseguenza della sussistenza del fatto posto a giustificazione del licenziamento:

un datore di lavoro è obbligato ad adibire il lavoratore licenziato ad altre mansioni reperibili in azienda, solo ove la ragione addotta a fondamento del recesso effettivamente sussista e risulti causalmente connessa alla posizione lavorativa in esame.

Come noto, a seguito di un significativo revirement, la Corte di Cassazione ha affermato che “spetta al datore di lavoro l’allegazione e la prova dell’impossibilità di “repêchage” del dipendente licenziato, in quanto requisito di legittimità del recesso datoriale, senza che sul lavoratore incomba un onere di allegazione dei posti assegnabili, essendo contraria agli ordinari principi processuali una divaricazione tra i suddetti oneri” (Cass. Civ., Sez. Lav., 22 marzo 2016, n. 5592; conformi Cass. Civ., Sez. Lav., 30 gennaio 2024, n. 2739; Cass. Civ., Sez. Lav., 20 ottobre 2017, n. 24882).

3.3.2.

Nel caso di specie, on ha soddisfatto l’onere della prova posto a suo carico.

Costituendosi in giudizio, difatti, la società non ha dedotto né chiesto di provare l’oggettiva inesistenza di altre mansioni reperibili in azienda;

invero, la convenuta ha ha affermato che, “in altri cantieri su tutto il territorio nazionale, …non vi erano e non vi sono posizioni lavorative compatibili con le limitazioni e prescrizioni disposte all’esito della visita medica del 16 febbraio 2023.

In ambito aziendale, come risulta anche dall’allegato mansionario (all.to 8), non vi è difatti possibilità di impiegare unità, con mansioni di operaio, che non comportano movimentazione di carichi superiori a 15 Kg” (pag. 7, memoria; cfr. doc. 3, fascicolo resistente).

Sennonché, al netto di ogni questione afferente al tema dei ragionevoli accomodamenti (che, come noto, grava il datore di lavoro di obblighi di ripescaggio “qualificati” cui sono connessi oneri della prova oltremodo severi), la prova sull’insussistenza di una posizione lavorativa compatibile con il giudizio di idoneità del ricorrente non è stata ammessa a causa dell’assoluta genericità e del contenuto evidentemente valutativo che connotava gli unici due capitoli di prova all’uopo formulati.

ha chiesto di provare che “il ricorrente non poteva essere ricollocato, al momento del licenziamento, in altri cantieri su tutto il territorio nazionale, in quanto non vi erano posizioni lavorative compatibili con le limitazioni e prescrizioni disposte all’esito della visita medica del 16 febbraio 2023” (cap. (f), memoria) e che “in ambito aziendale, come risulta anche dall’allegato mansionario, non vi è la possibilità di impiegare unità, con mansioni di operaio, che non comportano movimentazione di carichi superiori a 15 Kg” (cap. (g), memoria): di fatto, dunque, la società si è limitata a postulare ciò che avrebbe dovuto puntualmente dimostrare mediante – specifiche e circostanziate – deduzioni in ordine a ciascuna delle posizioni lavorative libere, alle mansioni ivi richieste e ai profili di eventuale incompatibilità con il giudizio di idoneità del ricorrente.

Poiché tutto questo è mancato, l’impossibilità di repêchage non può in alcun modo ritenersi provata.

*** * *** 4. Per questi motivi, il licenziamento risulta illegittimo.

Rispetto a quanto sin qui osservato, è del tutto irrilevante quanto dedotto da parte resistente circa il fatto che “il dipendente espresso la volontà… di non voler più continuare a lavorare non riuscendo a sostenerne la fatica e di voler attendere il pensionamento usufruendo dei benefici economici della NASPI” (pag. 7, memoria):

la risoluzione del rapporto di lavoro è intervenuta per giustificato motivo oggettivo e le ragioni, per come cristallizzate nella lettera di licenziamento, vincolano tanto il datore di lavoro quanto il sindacato giudiziale.

Pertanto, in parziale accoglimento del ricorso, il rapporto di lavoro deve essere dichiarato estinto alla data del licenziamento e eve essere condannata al pagamento – in favore di – di un’indennità non assoggettata a contribuzione previdenziale che, tenuto conto della qualità delle parti, dell’anzianità di servizio e dei vizi del licenziamento, si ritiene equo quantificare in un importo pari a 18 mensilità dell’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto (in ragione di € 1.959,00 lordi mensili), oltre interessi e rivalutazione dal dovuto al saldo effettivo. Trattandosi di un’indennità risarcitoria forfettizzata, nulla dovrà essere detratto a titolo di aliunde perceptum.

*** * *** 4. Considerata la parziale fondatezza del ricorso, deve procedersi alla compensazione – in misura di un terzo – delle spese di lite tra le parti.

Per il resto, la liquidazione segue la soccombenza e, pertanto, deve essere condannata alla rifusione delle restanti spese nella misura di cui al dispositivo e con distrazione in favore dei procuratori antistatari.

4.1.

Stante la complessità della controversia, visto l’art. 429 c.p.c., si riserva la motivazione a 60 giorni.

Sentenza provvisoriamente esecutiva ex art. 431 c.p.c.

il Giudice del Lavoro, definitivamente pronunciando, in parziale accoglimento del ricorso, accertata l’illegittimità del licenziamento intimato dichiara estinto il rapporto di lavoro alla data del licenziamento e condanna l pagamento di un’indennità non assoggettata a contribuzione previdenziale di importo pari a 18 mensilità dell’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto (in ragione di € 1.959,00 lordi mensili), oltre interessi e rivalutazione dal dovuto al saldo effettivo. Rigetta, per il resto, il ricorso.

Compensa, per un terzo, le spese di lite.

Condanna lla rifusione delle restanti spese che liquida in complessivi € 4.918,00 oltre spese generali e accessori come per legge, da distrarsi in favore dell’Avv. COGNOME e dell’Avv. Chies.

Sentenza provvisoriamente esecutiva.

Riserva a 60 giorni il deposito della motivazione.

Milano, 6 novembre 2024 IL GIUDICE DEL LAVORO dott.ssa NOME COGNOME

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