N. R.G. 2907/2022
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE D’APPELLO DI MILANO
Sezione Terza civile nelle persone dei magistrati:
dott. NOME COGNOME Presidente est. dott. NOME COGNOME Consigliere dott. NOME COGNOME Consigliere ha pronunciato la seguente
SENTENZA N._54_2024 N._R.G._00002907_2022 DEL_09_01_2024 PUBBLICATA_IL_09_01_2024
nella causa iscritta al n. r.g. 2907/2022 promossa in grado d’appello (C.F. elettivamente domiciliato in – 20129 presso lo Studio dell’avv. (COGNOME. che rappresenta e difende come da procura in atti -APPELLANTE CONTRO (C.F. , elettivamente domiciliata in – 20146 , presso lo studio dell’avv. (COGNOME. , che la rappresenta e difende come da procura in atti -APPELLATA/APPELLANTE
INCIDENTALE OGGETTO:
appello avverso la sentenza del Tribunale di Milano n.2309/2022 pubblicata il emessa nel procedimento n. R.G. C.F. C.F. C.F. C.F. 27749/2019, in materia di “Altri istituti del diritto delle locazioni”.
CONCLUSIONI
Per “Voglia l’Ecc.ma Corte d’Appello di Milano, contrariis reiectis, in riforma della ordinanza così come specificato nell’atto introduttivo del giudizio di appello così giudicare:
Nel merito in via principale -Accertare la somma dovuta da a titolo di indennità di occupazione, dal fino all’ estinzione del diritto, nell’ammontare di euro 561,44 mensili (somma parametrata al 50% del valore locatizio dell’immobile);
-Condannare la signora al pagamento, in favore di , della somma di € 28.633,19, dovuta a far data da compreso, a titolo di indennità di occupazione dell’immobile per cui è causa;
-Condannare la signora al pagamento, in favore di , della somma di € 561,44 mensili dal fino all’estinzione del diritto;
-Accertare che nessuna somma è dovuta dal in favore della resistente a titolo di restituzione del 50% delle spese straordinarie sostenute dalla stessa per la manutenzione del bene in comproprietà per i motivi di cui in narrativa, in quanto non risultano in alcun modo provate e giustificate tali spese;
-Porre le spese processuali e di CTU del Primo Grado a carico esclusivo della signora -Confermare
la sentenza impugnata in ogni altra sua parte, in particolare, in relazione alla improcedibilità della domanda di divisione dei beni immobili proposta dalla signora In ogni caso Con vittoria di spese di entrambi i gradi di giudizio”.
PER “Voglia l’Ecc.ma Corte d’Appello di Milano, contrariis reiectis, così giudicare:
In via principale RIGETTARE l’appello avverso e tutte le domande del Signor in quanto infondate in fatto e in diritto, per tutti i motivi dedotti in atti;
Con appello incidentale, RIFORMARE la sentenza di primo grado nella parte in cui ha disposto in favore del Signor una somma a titolo di indennità di occupazione, RIGETTANDO in toto la pretesa avversaria, nulla spettando al Signor a tale titolo per i motivi esposti in atti;
Con appello incidentale, RIFORMARE la sentenza di primo grado nella parte in cui ha rigettato la domanda ex art. 2041 c.c. proposta dall’esponente.
In riforma del provvedimento di prime cure, si chiede di CONDANNARE il Signor ex art. 2041 c.c., a rifondere in favore della Signora la somma pari a € 13.754,11 (pari al 50% delle somme corrisposte dalla Signora per le rate di mutuo scadute e sinora pagate (doc. 30, doc. 38, doc. 41, doc. 42, all. C), o quella diversa somma ritenuta di Giustizia, nonché a corrispondere in futuro le provviste necessarie ad assolvere il 50% delle prossime rate semestrali fino a estinzione del mutuo contratto per l’acquisto dell’immobile, o la minore maggiore somma ritenuta di giustizia.
In via istruttoria
Si richiede di essere ammessi alla prova per interpello e per testimoni sui seguenti capitoli di prova:
1. Vero che nei mesi di ottobre e iniziarono percolamenti d’acqua nell’appartamento sito al 5^ piano dello stabile dei abitazione sottostante al terrazzo dell’appartamento dei INDIRIZZO.
2. Vero che nel furono eseguiti interventi straordinari e urgenti di impermeabilizzazione sul terrazzo dell’appartamento di proprietà dei INDIRIZZO per un valore di € 3.050,00, il tutto come da fattura che si rammostra (doc. 33);
3. Vero che la Signora corrispose all’impresa esecutrice l’intera somma dovuta per le opere di cui al capitolo che precede e pari a € 3.050,00;
4. Vero che la Signora fu sanzionata dalla Guardia di Finanza per aver effettuato in contanti il pagamento di cui al punto che precede, come da documentazione che si rammostra (doc. 39);
5. Vero che la Signora comunicò più volte al Signor necessità e l’urgenza dei lavori di cui ai capitoli che precedono (rifacimento balcone), nonché, successivamente al compimento delle opere, gli richiese il rimborso del 50% delle spese sostenute;
6. Vero che nel mese di la caldaia dell’appartamento si ruppe e fu dichiarata non a norma, come da documentazione che si rammostra (doc. 35) e in casa da allora mancò l’acqua calda;
7. Vero che la Signora dovette inviare una raccomandata a.r.
al Signor per comunicargli la necessità di sostituire la caldaia rotta
con una nuova e conforme alla normativa vigente;
8. Vero che nel furono eseguiti interventi straordinari e urgenti per la sostituzione della caldaia rotta con una nuova, conforme alla normativa di sicurezza vigente, con spesa pari complessivamente a € 2.550,00 come da documentazione che si rammostra (doc. 34 e doc. 40).
9. Vero che il Signor è a conoscenza del fatto che sua figlia NOME, dal 1996 (data di nascita di costei) ad oggi ha sempre vissuto senza soluzione di continuità nell’appartamento di di proprietà al 50% del Signor 10. Vero che dal 1996 a oggi e in particolare da fino a oggi, il Signor si è sempre astenuto dal richiedere alla figlia lasciare l’abitazione di o di restituirgli le chiavi di casa.
Si indicano a testimoni i Signori:
residente in residente in residente in dell’impresa , residente in la Signora , residente in residente in Signora residente in In ogni caso
Con condanna del Signor all’integrale refusione delle spese di lite processuali e tecniche di primo e secondo grado”.
[… N.R.G. 2907/2022 RAGIONI IN FATTO E DIRITTO DELLA DECISIONE
Con ricorso ex art.702 bis c.p.c. del il sig.
adiva il Tribunale di Milano chiedendo di accertare che a decorrere dall’ la sig.ra –ex consorte– occupava indebitamente e in via esclusiva la casa coniugale ubicata -censita al Catasto fabbricato al foglio , mapp. 142, sub. , categoria A/3 (appartamento);
sub. categoria C/2 (cantina); sub. , categoria C/6 (autorimessa- di cui era comproprietario nella misura del 50%, e per l’effetto di condannare stessa alla corresponsione dell’indennità occupazione per la somma di Euro 577,50 mensili a far data dal primo e sino all’effettivo rilascio.
In particolare, il ricorrente rilevava che i predetti beni immobili erano stati acquistati dai coniugi in data e che, in data giudice del procedimento divorzile aveva revocato, a decorrere dal mese di il precedente provvedimento di assegnazione della casa coniugale disposta in favore della sig.ra deduceva che sebbene con pec del avesse formalmente chiesto alla resistente il pagamento di un’indennità di occupazione di Euro 577,50 mensili con decorrenza da -pari al 50% di quanto risultante dalla valutazione della locazione mediante l’applicazione dell’Accordo Locale della l’ex coniuge aveva corrisposto la minore somma di Euro 700,00 per i mesi di marzo e continuando ad occupare l’immobile in via esclusiva e impedendo al ricorrente comproprietario il godimento dei frutti civili ritraibili dallo stesso. Si costituiva in giudizio la sig.ra che insisteva per il rigetto delle pretese attoree e, in via riconvenzionale, chiedeva di accertare che il valore dell’indennità per il mancato godimento dell’immobile era pari a Euro 280,00 mensili, tenuto conto di quanto già da lei pagato a partire da con condanna del **** ricorrente alla restituzione delle somme ricevute in eccedenza, alla restituzione nella misura del 50% delle somme corrisposte per il pagamento dei ratei del mutuo contratto per l’acquisto dei beni immobili in questione e al rimborso delle spese di manutenzione straordinarie. Inoltre, chiedeva la divisione giudiziale della comunione riguardante le unità immobiliari in oggetto e la nomina di un CTU per la valutazione dell’immobile.
A sostegno delle proprie prospettazioni, la sig.ra deduceva che dal sino alla data del ricorso aveva corrisposto all’ex coniuge la somma di Euro 350,00 mensili a titolo di indennità di occupazione;
che l’indennità mensile richiesta dal sig. era errata in quanto non teneva conto della collocazione dell’immobile, sito in una zona notoriamente degradata, precisando che, in applicazione del criterio indicato nell’accordo Locale della e del criterio della valutazione OMI, il canone locatizio era pari alla minore somma di Euro 278,00 mensili.
Eccepiva, inoltre, di non occupare l’immobile in via esclusiva ma con la figlia pertanto il ricorrente era legittimato a chiedere un’indennità parametrata al 25% della sua quota di proprietà e solo a far data dal data in cui aveva chiesto, per la prima volta, il pagamento della predetta indennità.
Infine, chiedeva la condanna del ricorrente al rimborso del 50% delle rate del mutuo da lei versate per una somma pari a Euro 9.169,41, oltre alla restituzione del 50% delle spese straordinarie per l’impermeabilizzazione del terrazzo, pari ad Euro 3.056,47, e per la sostituzione della caldaia, pari a Euro 2.250,00.
Alla prima udienza del il giudice disponeva la conversione del rito sommario in ordinario e, a seguito del deposito delle memorie ex art.183, comma VI, c.p.c., nominava il CTU Arch. al fine di quantificare l’eventuale indennità di occupazione, di verificare la possibilità di una divisione in natura dell’immobile nonché, in difetto, di accertare il suo valore e di considerare eventuali conguagli tra le parti, tenendo conto dei complessivi crediti/debiti rispettivamente vantati.
In data , il CTU depositava la relazione dalla quale emergeva che dai sopralluoghi eseguiti dagli accertamenti espletati, sulla base dell’esame dello specifico segmento di mercato immobiliare, delle indagini e delle valutazioni svolte, il canone locativo attribuibile ai beni in esame era pari a Euro 965,00 mensili.
Quanto alla divisione, riconosceva una possibile ipotesi divisionale dell’unità immobiliare a destinazione residenziale, fatti salvi gli aspetti riguardanti la mancata completa e piena divisione della proprietà immobiliare, la mancanza di certezza sull’ottenimento dell’autorizzazione riferita rispetto dei requisiti illuminotecnici di alloggio monoaffaccio orientato interamente a nord e la mancanza di un completo godimento dei beni risultanti dalla divisione.
Inoltre, quantificava il valore complessivo dei beni in Euro 257.265,00.
Relativamente agli eventuali conguagli, dava atto che con riguardo al canone locativo mensile dell’appartamento con relative pertinenze valutato in complessivi Euro 965,00 -la cui corrispondente quota del 50% era pari a Euro 482,50- dovevano essere detratti gli importi già versati dalla resistente a titolo di indennità di occupazione in favore del ricorrente come desumibili dai documenti prodotti in giudizio (docc.17 e 36 Fascicolo resistente).
Considerato, infine, che il ricorrente non aveva incassato il vaglia postale del mese di e che aveva predisposto rimborso alla disponente (Doc.37 Fascicolo resistente), l’importo complessivo versato dalla resistente risultava pari, a tale titolo, ad Euro 2.800,00.
Con riferimento alla domanda riconvenzionale di restituzione nella misura del 50% delle somme sostenute per il pagamento del mutuo inerenti alla comproprietà dell’immobile, il CTU rilevava che erano state corrisposte:
la rata semestrale di mutuo scaduta in data quella scaduta in data e la rata con scadenza in data ciascuna pari a Euro 3.056,47, con un esborso complessivo di Euro 9.169,41 (docc.30 e 38 Fascicolo resistente).
Precisava, dunque, che, in caso di accoglimento di tale domanda, il ricorrente avrebbe dovuto corrispondere alla resistente il 50% delle rate di mutuo per un importo complessivo di Euro 4.330,00, già dedotto l’importo di Euro 254,70 portato in compensazione e riferito alla mensilità di , effettivamente da questi corrisposto.
Quanto alla restituzione del 50% delle spese straordinarie sostenute dalla resistente per la manutenzione del bene in comproprietà, dava atto di una fattura emessa per lavori di rifacimento dell’impermeabilizzazione del terrazzo per un importo pari a Euro 3.050,00 e di un esborso per la sostituzione della caldaia non funzionante pari a Euro 2.550,00 a saldo della fattura emessa in data (docc.32, 33 e 34 Fascicolo resistente), con il conseguente obbligo del resistente di restituire la somma complessiva di Euro 2.800,00. Tribunale Milano, con sentenza n.2309/2022, resa nel procedimento come sopra instaurato n.R.G.27749/2019, pubblicata il , accertava che la somma dovuta dalla sig.ra al sig. a titolo di indennità di occupazione per il periodo dal fino all’estinzione del diritto ammontava a Euro 241,24 mensili in ragione del 25% del valore locatizio dell’immobile; condannava la sig.ra al pagamento in favore del sig. della somma di Euro 3.231,25 a titolo di indennità di occupazione dell’immobile per cui è causa dovuta a far data dal nonché al pagamento in favore dello stesso della somma di Euro 241,25 mensili dall’ fino all’estinzione del diritto;
dichiarava improcedibile la domanda di divisione dei beni immobili;
condannava al pagamento in favore della resistente della somma di Euro 2.800,00, dovuta a titolo di restituzione del 50% delle spese straordinarie sostenute dalla resistente per la manutenzione del bene in comproprietà;
compensava le spese di lite e poneva le spese di CTU a carico delle parti in proporzione delle rispettive quote di proprietà.
Ha rilevato il Tribunale, da un lato, la correttezza degli esiti della CTU e, dall’altro, il diritto del sig. di ottenere l’indennità di occupazione a decorrere dal data in cui aveva manifestato l’intenzione di utilizzare il bene in maniera diretta, osservando che la convenuta non aveva contestato la debenza della ridetta indennità, ma, anzi, aveva effettuato nei confronti dell’ex coniuge pagamenti a tale titolo.
In ragione di ciò, e tenuto conto degli importi già corrisposti, il Tribunale ha condannato quest’ultima al pagamento della complessiva somma di Euro 3.231,25 in applicazione delle quote indicate nella consulenza tecnica e sulla base dei documenti prodotti fino al deposito della relazione peritale, essendo le ulteriori produzioni effettuate oltre tale termine tardive quindi, inammissibili.
dichiarato improcedibile la domanda di divisione dei beni immobili per omessa allegazione dei certificati delle iscrizioni e trascrizioni, ovvero dei certificati notarili sostitutivi relativi all’ultimo ventennio, senza i quali restavano ignote le vicende successive all’acquisto e financo la proprietà attuale dei beni.
Ha rigettato la domanda riconvenzionale di condanna ex art.2041 c.c. avanzata dalla nei confronti del ricorrente volta ad ottenere la rifusione dell’importo di Euro 9.169,41, pari al 50% delle somme versate dalla sig.ra per le rate semestrali di mutuo del , nonché per quelle maturande fino ad estinzione del mutuo contratto per l’acquisto dell’immobile, in ragione del fatto che la sentenza resa dal giudice del divorzio aveva revocato l’obbligo di contribuzione a decorrere dal mese di.
Ha, peraltro, rilevato l’omessa allegazione della consistenza effettiva dell’ingiustificato arricchimento, del nesso di causalità diretta tra questo e il depauperamento asseritamente subito dalla resistente, nonché dell’assenza di una causa giustificatrice.
In proposito, ha osservato che i pagamenti eseguiti dalla sig.ra erano avvenuti in virtù del contratto di mutuo a lei intestato e che la complessiva regolamentazione dei rapporti economici tra i coniugi non costituiva oggetto del giudizio in corso.
Quanto alla restituzione del 50% delle spese straordinarie per la manutenzione dell’immobile, il Tribunale ha rilevato che la sig.ra aveva dimostrato sia la necessarietà dei lavori straordinari di rifacimento della impermeabilizzazione del terrazzo e di sostituzione della caldaia non funzionante sia la tempestiva comunicazione dei predetti interventi al ricorrente;
in ragione di ciò, ha accolto la domanda della sig.ra condannando il ricorrente a pagare alla ex- coniuge l’importo di Euro 2.800,00 a titolo di rimborso del 50% delle suddette spese straordinarie.
Con atto di citazione in appello notificato in data sig. ha impugnato la sentenza sulla base dei motivi di gravame di seguito esaminati.
La sig.ra si è costituita nel presente grado resistendo alle domande del sig. e proponendo appello incidentale con richiesta di riforma della sentenza impugnata nella parte in cui aveva riconosciuto un’indennità di occupazione e rigettato la domanda di condanna ex art.2041 c.c.
All’esito della discussione orale e precisate dalle parti le rispettive conclusioni, la causa è stata decisa come da dispositivo letto in udienza.
Con il primo motivo d’appello, il sig. ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui il giudice ha individuato, a suo dire erroneamente, il termine di decorrenza dell’indennità di occupazione con la pec del
Ad avviso dell’appellante, infatti, il dies a quo doveva farsi coincidere con la data del deposito del ricorso per la cessazione degli effetti civili del matrimonio (1.8.2018) ove, con richiesta revoca del provvedimento di assegnazione della casa coniugale disposta in favore della sig.ra sig. aveva manifestato chiaramente e inequivocabilmente la propria volontà di godere dell’immobile. Con il secondo motivo d’appello il sig. ha rilevato come l’occupazione senza titolo di un immobile, ovvero di una quota di proprietà, rientrerebbe nella categoria della responsabilità extracontrattuale con conseguente applicazione della disciplina di cui all’art.2043 c.c. e all’art.2055 c.c.;
pertanto, non era suo onore agire nei confronti della figlia in qualità di altro soggetto occupante, potendosi esercitare l’azione esclusivamente nei confronti della sig.ra , mentre sarebbe stato eventualmente onere di quest’ultima rivalersi nei confronti della figlia in via di regresso.
Il giudice avrebbe quindi errato nel quantificare la somma dovuta dall’appellata nella misura del 25% del canone di locazione, posto che non avrebbe dovuto tenere in considerazione la quota di spettanza della figlia.
Di conseguenza, ha chiesto di ricalcolare l’importo dell’indennità di occupazione sulla base del 50% del valore locatizio dell’immobile, pari ad Euro 482,50 mensili, con decorrenza dalla data di deposito del ricorso per la cessazione degli effetti civili del matrimonio.
Sul punto, la sig.ra ha, preliminarmente, osservato che alla luce della recente sentenza della Corte di Cassazione a Sezioni Unite n.33645/22, il danno da occupazione abusiva di immobile non può ritenersi sussistente “in re ipsa” trattandosi pur sempre di un “danno-conseguenza”;
pertanto, il proprietario che chieda in giudizio il risarcimento è tenuto a provare di aver subìto un’effettiva e concreta lesione del proprio patrimonio per non aver potuto -ad esempio- locare o altrimenti direttamente utilizzare il bene, ovvero per aver perso l’occasione di venderlo a prezzo conveniente o per aver sofferto altre situazioni pregiudizievoli.
Ha, inoltre, rilevato che la figlia viveva nell’immobile de quo per volontà di entrambi i genitori, e che, di conseguenza, era errato equiparare tale situazione a un’occupazione indebita.
In via di appello incidentale, la sig.ra ha dedotto che, sebbene il giudice avesse correttamente aderito all’orientamento giurisprudenziale che esclude la sussistenza di un danno in re ipsa nell’occupazione dell’immobile riconosciuto liceità dell’occupazione della figlia, aveva comunque errato nel riconoscere al sig. un’indennità pari al 25% del canone locatizio;
dunque, come puntualmente dedotto negli atti di primo grado, le richieste dell’ex coniuge dovevano ritenersi infondate ed avrebbero dovuto essere rigettate.
Il pagamento di una somma mensile in favore del sig. era del resto avvenuta esclusivamente in via cautelare, stante l’esistenza sul punto orientamenti giurisprudenziali contrastanti.
Inoltre, il sig. aveva esercitato il suo diritto di comproprietario consentendo alla figlia di godere dell’immobile e non aveva subìto alcun pregiudizio, in quanto non aveva interesse a concedere in locazione o a vendere l’immobile, né ad utilizzarlo come propria dimora, posto che disponeva di altra abitazione e aveva sempre rifiutato la somma offerta dall’ex coniuge per acquistare la sua quota di proprietà.
I due motivi d’appello principale e il primo motivo d’appello incidentale sono strettamente connessi vanno trattati congiuntamente.
Preliminarmente, si osserva che, in punto di an debeatur, l’esistenza del diritto indennitario vantato dal sig.
non ha formato oggetto di contestazione nel giudizio di primo grado, ma è stato anzi riconosciuto dalla ex coniuge anche tramite fatti concludenti.
In particolare, nell’atto di costituzione in primo grado, la sig.ra ha affermato di non avere mai negato la sussistenza di tale diritto ed ha contestato esclusivamente l’entità delle somme richieste dall’ex marito, nonché la decorrenza della relativa obbligazione (pag.8 comparsa di costituzione e risposta), tant’è che aveva versato al sig. la somma di Euro 350,00 mensili a titolo indennitario.
Appare dunque contraddittoria la richiesta di riforma avanzata dalla sig.ra in sede di appello incidentale laddove ha denunciato l’errore del giudice nel “disporre qualsivoglia diritto di indennità in favore del sig.
Ed invero, contrariamente a quanto affermato in sede di appello, nelle conclusioni rassegnate in primo grado la sig.
non aveva chiesto il rigetto totale della domanda avversaria, bensì il rigetto delle “domande avverse, per i motivi indicati in atto”, nonché di accertare dichiarare l’effettivo valore dell’indennità “eventualmente” spettante per mancato godimento del 50% dell’abitazione, laddove i motivi richiamati avevano ad oggetto soltanto il quantum della pretesa creditoria.
L’utilizzo del termine “eventualmente”, del resto, non può da solo sopperire al difetto di allegazione, posto che era preciso onere della sig.ra contestare specificatamente le pretese avversarie anche in punto di an debeatur, cosa che non ha fatto.
Ne consegue che, per quanto riguarda i motivi d’appello in esame, il thema decidendum può riguardare soltanto la decorrenza e la quantificazione dell’indennità di occupazione, risultando nuova la domanda di insussistenza del diritto proposta per la prima volta in appello in una violazione del divieto di cui all’art.345 c.p.c. Ciò posto, occorre rilevare che la recente giurisprudenza di legittimità ha affermato che il provvedimento di assegnazione della casa familiare crea un vincolo di destinazione sui generis posto a protezione della prole che si configura quale diritto di godimento personale (Cass. SS.UU. n.18641/2022).
In proposito, l’interesse perseguito dal legislatore coincide con l’esigenza di tutelare la prole e, specificamente, con la necessità di non modificare l’habitat domestico dei figli e il contesto relazionale e sociale ove essi hanno vissuto prima del sorgere del conflitto tra i genitori (Cass. n.23501/2021).
L’assegnazione della casa familiare e l’eventuale revoca del provvedimento stesso, dunque, non dipendono da contingenze economiche riguardanti i coniugi, ma hanno ad oggetto esclusivamente l’interesse della prole, unico parametro attraverso cui il giudice deve compiere le proprie valutazioni.
Tanto è vero che anche nell’ipotesi di convivenza more uxorio del coniuge assegnatario o di nuovo matrimonio, la decadenza dalla predetta assegnazione è subordinata ad un giudizio di conformità all’interesse del minore (Corte Cost. n.308/2008).
Da ciò deriva che fintanto che perduri il provvedimento di assegnazione della casa coniugale, il godimento esclusivo del coniuge assegnatario non può configurare alcuna indebita occupazione in quanto trova la sua ragione d’essere nella necessità di perseguire il superiore interesse della prole.
Ad ogni modo è opportuno ricordare che il sacrificio imposto al coniuge non assegnatario è da ricollegare ai doveri di cui all’art.30 della Costituzione il quale impone a entrambi i genitori di mantenere, istruire ed educare i figli, responsabilità che assume un carattere sia personale sia patrimoniale e che perdura anche in caso di scioglimento del matrimonio.
All’interno dei doveri di mantenimento, dunque, è ricompreso anche quello di garantire ai figli la conservazione dell’ambiente domestico che prescinde da qualsiasi provvedimento giudiziale di assegnazione della casa familiare.
Nel caso di specie, il godimento dell’immobile de quo da parte della figlia non può certo equipararsi alla fattispecie dell’occupazione indebita posto che il sig. in qualità di genitore, è tenuto ad assolvere quel generico dovere di mantenimento costituzionalmente previsto.
altri termini, richiedere un’indennità occupazione per l’intera quota proprietà significherebbe attribuire doveri cui all’art.30 Cost. esclusivamente alla madre convivente, contrasto con responsabilità genitoriale che il nostro ordinamento colloca in eguale misura a carico di entrambi i genitori.
Contrariamente a quanto affermato dall’appellante principale, pertanto, la figlia non è obbligata in solido con la madre a ristorare il pregiudizio subito dal padre per il mancato godimento del bene, posto che sua presenza all’interno della casa familiare trova giustificazione nel rapporto di filiazione.
Diversa è la posizione giuridica della sig.ra la quale, con il venire meno del provvedimento di assegnazione, ha perso il titolo per continuare a godere in via esclusiva dell’immobile de quo.
Invero, tema comunione, l’art.1102 c.c. consente comproprietario l’utilizzazione e il godimento della cosa comune anche in modo particolare e più intenso, ovvero nella sua interezza, ponendo il divieto di alterare la destinazione della cosa e di impedire agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto.
Entro tali limiti il godimento esclusivo del bene non è di per sé idoneo a creare un pregiudizio nei confronti dell’altro comproprietario che sia rimasto inerte o abbia acconsentito a detto utilizzo.
Di contro, quando il comproprietario abbia manifestato l’intenzione di godere direttamente del bene e ciò gli sia stato impedito dall’altrui utilizzo esclusivo, l’occupante è tenuto a pagare corrispondente quota dei frutti civili (Cass. n.18548/2022).
In altri termini, l’occupazione esclusiva di un comproprietario per divenire illecita necessita di due presupposti:
la manifestazione chiara e inequivoca dell’intenzione dell’altro contitolare di godere direttamente dell’immobile, nonché l’esistenza di un impedimento assoluto a utilizzare personalmente il bene.
L’uso della cosa comune, del resto, può estrinsecarsi o in maniera indiretta oppure mediante avvicendamento, e tuttavia, fino a quando non vi sia richiesta di un uso turnario da parte degli altri comproprietari, il semplice godimento esclusivo ad opera di taluni non può assumere la idoneità a produrre un qualche pregiudizio in danno di coloro che abbiano mostrato acquiescenza all’altrui uso esclusivo, salvo che non risulti provato che i comproprietari che hanno avuto l’uso esclusivo del bene ne abbiano tratto anche un vantaggio patrimoniale (Cass. n. 1738/2022).
Nel caso di specie, il sig. ha manifestato una chiara e univoca opposizione godimento esclusivo dell’immobile comproprietà solo con la pec del con la quale ha chiesto all’ex moglie il pagamento dell’indennità di occupazione.
Infatti, sebbene a partire dall’ la sig.ra avesse di fatto perso il titolo giustificativo del godimento esclusivo, l’odierno appellante non aveva esternato il proprio interesse ad un utilizzo diretto e in proprio del bene, ma anzi aveva continuato a non opporsi all’occupazione dell’ex moglie ed a tollerarla.
In tale contesto, il deposito del ricorso per la revoca del provvedimento di assegnazione non può sopperire all’inerzia del comproprietario e, di conseguenza, non può costituire il dies a quo per il decorso dell’indennità di occupazione.
Con il terzo motivo d’appello, il sig. ha lamentato l’omessa pronuncia del primo Giudice sulle specifiche contestazioni circa i lavori straordinari sostenuti dalla
In particolare, ha osservato che, quanto alla rivendicazione concernente gli interventi di impermeabilizzazione del terrazzo, la aveva depositato una lettera priva di sottoscrizione e una fattura in cui si dava atto del pagamento in contanti dell’importo di Euro 3.050,00 effettuato nel epoca in cui il d.l. n.201/2011 fissava in Euro 999,99 il limite per i pagamenti in contante;
tali circostanze, secondo il , avrebbero dovuto indurre il giudice a rigettare la richiesta dell’ex coniuge.
Quanto alla caldaia, ha rilevato che la non aveva dimostrato la corretta e periodica manutenzione dell’impianto e di conseguenza era suo esclusivo onore sostenere le relative spese.
Ha contestato, inoltre, l’esorbitante importo della fattura depositata controparte, producendo a tal riguardo un preventivo della società per l’acquisto della medesima caldaia ad un prezzo nettamente inferiore.
In subordine, ha dedotto che l’ex coniuge avrebbe in ogni caso beneficiato delle detrazioni fiscali del 50% e che per tale ragione la quota di partecipazione alle spese del comproprietario avrebbe dovuto in ogni caso essere rideterminata.
Il motivo è parzialmente fondato.
Il rimborso “pro quota” delle spese necessarie per consentire l’utilizzazione del bene comune spetta al partecipante alla comunione che le abbia anticipate per gli altri in forza della previsione di cui all’art.1110 cod. civ., disposizione che si applica sia alle spese per la conservazione del bene sia alle spese necessarie perché la cosa comune mantenga la sua capacità di fornire l’utilità sua propria secondo la destinazione impressale (Cass. n.2195/2016).
Ciò premesso, è un dato oggettivo che i lavori di impermeabilizzazione del terrazzo e quelli di sostituzione della caldaia costituiscano spese necessarie che, come tali, devono essere ripartite tra i comproprietari del bene.
È poi indubbio l’avvenuto effettivo pagamento della fattura n.29 del 2015 di € 3.050,00, posto che la sanzione amministrativa irrogata alla sig.ra conferma ulteriormente la veridicità di quanto attestato in calce al documento fiscale emesso dall’impresa edile circa l’utilizzo dei contanti.
Sul punto, pertanto, l’appello non può essere accolto.
Quanto alla sostituzione della caldaia e alle relative spese, dimostrate dalla inerente documentazione prodotta, occorre rilevare che la fattura n.352 del 2019 emessa dalla società indica la detrazione fiscale del 50% ex L. n.214/2011 e reca la dicitura “bonifico bancario detrazione 50%”.
Tali rilievi inducono a ritenere che la sig.ra abbia beneficiato delle detrazioni fiscali previste ex lege sopportando, di fatto, un peso economico inferiore rispetto a quanto indicato in fattura.
A ciò si aggiunga che, a fronte delle contestazioni sollevate dal sig. l’ex consorte nulla ha dedotto sull’eventuale fruizione delle agevolazioni fiscali, omettendo prendere posizione sul punto, con Orga conseguenza che l’eventuale condanna al rimborso del 50% dei costi riportati in fattura determinerebbe una illegittima sperequazione tra le parti con indebito vantaggio per la Pertanto, in assenza di contestazioni e in presenza dei riscontri documentali, va rideterminata quota partecipazione alle spese per sostituzione della caldaia del sig. nella misura del 25% dell’importo totale, con conseguente condanna a rimborsare la minore somma, rispetto a quella determinata in sentenza, di € 637,50.
Con il quarto motivo d’appello, il sig. ha dedotto che il CTU, Arch. avrebbe errato a considerare l’immobile de quo come non immediatamente disponibile sul libero mercato alla stregua di un appartamento occupato da un inquilino con contratto di locazione a lungo termine ovvero di un occupante abusivo, posto che la sig.ra era la comproprietaria del bene.
Ha poi contestato il metodo della cosiddetta “formula inversa” della determinazione del valore a partire dal canone locativo utilizzato dal CTU, in quanto non aveva senso parlare di locazione di un bene già occupato;
ha rilevato, inoltre, che il CTU avrebbe potuto e dovuto utilizzare i valori della colonna C1 della “Tabella dati” relativi alla recente compravendita di un immobile analogo sito nello stesso palazzo, nella stessa scala, allo stesso piano e con gli ingressi conformi a quello per cui è causa, senza operare l’errata decurtazione del 10% per l’asserita non disponibilità dell’immobile oggetto di causa e senza necessità di effettuare ulteriori confronti con altri beni aventi caratteristiche completamente diverse. In particolare, ha osservato che l’utilizzo dei dati della compravendita del bene analogo avrebbe dovuto indurre il CTU ad assegnare all’immobile un valore complessivo di Euro 299.131,651 (calcolato sul valore di €/mq 2.582,06), stima, tra l’altro, confermata dagli accertamenti compiuti dal CTP, ing. dai quali emergeva un canone annuo di Euro 12.249,44, dato da R=V*i = (€ 299.131,651) * (4,095%) = €/anno 12.249,44, per un canone mensile di Euro 1.122,87.
Il motivo è infondato e va rigettato.
Preliminarmente occorre rilevare che le contestazioni alla CTU possono proporsi anche in sede d’appello purché non introducano nuovi fatti costitutivi, modificativi o estintivi, nuove domande o eccezioni, ma si riferiscano esclusivamente all’attendibilità e alle valutazioni della relazione tecnica (Cass. SS. UU. n.5624/2022);
entro tali limiti, dunque, il motivo di gravame sfugge alla censura di inammissibilità dedotta da controparte.
Ciò premesso, si osserva come i criteri di calcolo utilizzati dall’Arch. siano chiari, precisi e dettagliati, privi di contraddizioni contenutistiche e logiche, avendo questi messo a confronto due metodi estimativi esistenti nel settore riferimento (quello diretto o sintetico e quello indiretto o analitico) e sottoposto poi i risultati ottenuti alla verifica di congruità secondo il criterio del “Market Comparison Approach”.
In particolare, il CTU –in risposta ai rilievi critici del CTP del sig. osservava, primo luogo, che presenza all’interno dell’immobile della sig.ra e della figlia incideva inevitabilmente sulla quotazione di mercato, non essendo possibile prescindere dallo stato di fatto in cui versava il bene, a nulla rilevando la natura legittima o meno dell’occupazione.
In secondo luogo, chiariva che la valutazione di stima del Market Comparison Approch, conforme agli Standard Internazionali Valutazione (IVS), presuppone il ricorso ad almeno tre immobili di confronto e, pertanto, il riferimento esclusivo all’immobile di recente compravendita sito nello stesso stabile degli ex coniugi non era sufficiente.
Il corretto utilizzo dei criteri estimativi di settore e le puntuali osservazioni ai rilievi critici delle parti consentono di non ravvisare i profili di censura mossi dall’appellante alla CTU.
Passando all’appello incidentale, la sig.ra con il secondo motivo, ha rilevato come il giudizio divorzile, in occasione del quale era stato revocato l’obbligo del sig. di contribuire alle rate del mutuo nella misura del 50% ai sensi degli artt.177, lett.A) e 186 c.c., avesse un oggetto diverso dal presente procedimento, volto ad accertare l’ingiustificato arricchimento dell’ex coniuge secondo la norma dell’art.2041 c.c.
In proposito ha dedotto che:
la revoca del provvedimento di contribuzione non impedisce alla parte lesa –in presenza ingiustificato arricchimento ex art.2041 c.c.– di proporre la distinta e autonoma domanda di cui all’art.2041 c.c., completamente avulsa dal rapporto matrimoniale;
contrariamente a quanto affermato dal giudice di primo grado, era stata allegata e provata la consistenza (e il fatto unico costitutivo) dell’ingiustificato arricchimento parte del sig. ovvero l’acquisto dell’abitazione coniugale senza versare il dovuto corrispettivo;
era stato altresì provato il rapporto di causalità diretta tra l’ingiustificato arricchimento del sig. e il depauperamento subìto dalla sig.ra quale aveva acquistato il bene utilizzando i propri proventi.
Il motivo è infondato e va rigettato.
Nell presente procedimento non può non tenersi conto dell’esito del giudizio divorzile e degli accordi economici intervenuti tra i coniugi.
Invero, la ragione ostativa all’accoglimento della domanda arricchimento senza causa risiede proprio nella volontà manifestata dalla sig.ra di aderire alla revoca dell’obbligo di contribuzione dell’ex marito.
Gli ex coniugi, infatti, già durante la fase presidenziale del giudizio sullo scioglimento degli effetti civili del matrimonio, erano giunti ad un accordo di divorzio che prevedeva “gli obblighi economici derivanti dal mutuo ipotecario sulla casa coniugale come da contratto”.
In tal modo, la sig.ra aveva espressamente manifestato la propria volontà diretta alla revoca dell’obbligo di contribuzione dell’ex marito al pagamento delle rate, accollandosi per intero l’estinzione del mutuo a lei intestato, pur consapevole della propria condizione economica, del diritto di proprietà del signor e del diritto di questi di godere della propria quota dell’immobile.
A fronte di siffatta dichiarazione, che si inserisce nel contesto di un più ampio assetto degli interessi economici reciproci delle parti, l’appellante incidentale non può ora dolersi di una situazione giuridica da lei stessa prima voluta e accettata, esperendo in questa sede un’azione che si pone in totale contraddizione con il giudicato e con la volontà manifestata nel giudizio di divorzio.
Ad ogni buon conto, considerato il descritto contesto, va confermato quanto correttamente affermato dal giudice di primo grado, cioè che la sig.ra non ha dimostrato l’esistenza dei presupposti dell’azione di arricchimento ex art.2041 c.c. quali “a) la mancanza di un titolo specifico idoneo a far valere il diritto di credito;
b) l’unicità del fatto causativo dell’impoverimento, sussistente quando prestazione resa dall’impoverito sia andata vantaggio dell’arricchito e lo spostamento patrimoniale non risulti determinato da fatti distinti, incidenti su due situazioni diverse e in modo indipendente l’uno dall’altro” (Cass. n.29672/2021), ciò ulteriormente dimostra l’infondatezza della domanda.
Alla luce di tutte le considerazioni svolte, la sentenza impugnata va riformata soltanto sul punto relativo alla condanna del sig.
al pagamento delle spese per la sostituzione della caldaia nella misura del 50%, dovendosi, per quanto sopra osservato, ritenere dovuta la minor somma, rispetto a quella determinata dal Tribunale, di € 637,50, mentre la sentenza va nel resto confermata, stante l’infondatezza degli ulteriori motivi d’appello principale e la totale infondatezza dell’appello incidentale.
Per principio sancito dall’art.91 c.p.c., ritenendosi sostanzialmente reciproca soccombenza delle parti, vanno compensate integralmente tra le parti anche le spese del presente grado di giudizio.
Si dà atto, ai sensi dell’art.13, comma 1-quater, D.P.R. n.115/2022, della sussistenza dei presupposti per il versamento, a carico della soccombente appellante incidentale dell’ulteriore importo pari al contributo unificato versato.
Corte d’Appello Milano, definitivamente pronunciando sull’appello principale proposto da contro e sull’appello incidentale proposto da avverso la sentenza del Tribunale di Milano n.2309/2022 pubblicata il , emessa nel procedimento n. R.G.27749/2019, così provvede:
-in parziale accoglimento dell’appello principale, condanna al pagamento a favore di della minore somma di € 637,50 per il titolo di cui in motivazione, con restituzione dell’eccedenza eventualmente versata in esecuzione della sentenza di primo grado;
– rigetta per il resto l’appello proposto da – rigetta l’appello incidentale proposto da – compensa interamente tra le parti anche le spese del presente grado di giudizio;
– dà atto della sussistenza dei presupposti di cui all’art.13, c.1quater DPR n.115/2002 per il pagamento, da parte di dell’ulteriore importo pari al contributo unificato versato.
Così deciso in Milano, nella camera di consiglio del Il Presidente est.
dott.ssa NOME COGNOME
La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di
Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.
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