REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
CORTE DI APPELLO DI L’AQUILA SEZIONE PER LE CONTROVERSIE CIVILI
Composta dai seguenti magistrati:
ha pronunciato la seguente
SENTENZA n. 549/2019 pubblicata il 20/03/2019
nella causa in grado di appello iscritta al n° /2015 del ruolo generale e promossa
DA
XXX, nata a il (c.f.),
YYY, nato a il (c.f.), ZZZ, nata a il (c.f.) e KKK, nato a il (c.f.), quali eredi di JJJ, nato a il ed ivi deceduto il (c.f.), elettivamente domiciliati in, presso lo studio dell’avv., rappresentati e difesi dall’avv., come da mandato a margine dell’atto di citazione;
– appellante-
CONTRO
HHH, nata a il (c.f.) e QQQ, nato a il (c.f.), quali eredi di PPP, nato a il ed ivi deceduto il (c.f.), elettivamente domiciliati in via presso lo studio dell’avv., che li rappresenta e difende come da mandato a margine della comparsa di costituzione e risposta;
– appellato-
OGGETTO
Appello avverso la sentenza non definitiva n. /03 del 16/9-27/10/2003 e la sentenza definitiva n. /13 del 6-17/12/2013 pronunciate dal Tribunale di Teramo
CONCLUSIONI DELLE PARTI
Per gli appellanti: Piaccia all’Ecc.ma Corte d’Appello adita:
in via istruttoria disporre la rinnovazione delle indagini peritali ovvero sentire a chiarimenti il CTU di prime cure geo. ***, perché di risponda alle osservazioni sollevate dai convenuti mediante
CTP in atti;
nel merito ritenuta l’indivisibilità dell’immobile della cui divisione si tratta, ricomprendere per intero l’immobile stesso nella porzione dei convenuti, aventi diritto alla quota maggioritaria, con addebito dell’eccedenza secondo la stima operata dal CTP, p.i. ***; condannare gli appellati a voler rimborsare ai convenuti le spese affrontate per l’ammodernamento dello stesso immobile, quantificabili in € 15.300.000, ovvero in quella diversa che parrà di giustizia; respingere la domanda degli attori volta ad ottenere il pagamento del corrispettivo per l’uso del cespite comune; in via del tutto subordinata rideterminare la stessa somma secondo le indicazioni del CTP *** nella propria relazione, estinguendola per compensazione con le somme dovute per miglioramenti di cui al precedente punto sino alle quantità corrispondenti, con esclusione di qualsivoglia sua rivalutazione; provvedere alle spese come per legge.
Per gli appellati: accertare e dichiarare l’inammissibilità e/o improcedibilità dell’impugnazione proposta;
in ogni caso rigettare l’appello proposto da XXX YYY, ZZZ e KKK, eredi di JJJ, in quanto in fondato in fatto ed in diritto con conseguente conferma delle impugnate sentenze rese dal Tribunale di Teramo. Con vittoria di spese ed onorario del giudizio.
RAGIONI IN FATTO E DIRITTO DELLA DECISIONE
Con sentenza parziale n. /2003 il Tribunale di Teramo ha dichiarato aperta in data 2/11/1989 la successione di KKK in favore dei figli PPP e JJJ, ha ritenuto la stessa regolata dal testamento pubblico del 14/2/1968 per notaio di, ha dichiarato che l’immobile caduto in successione è divisibile in due autonome unità abitative e, con separata ordinanza, ha rimesso le parti davanti al GI per la determinazione dell’esatto valore delle quote e per l’esame delle ulteriori domande.
Con sentenza definitiva n. 1271 del 6-17/12/2013 il medesimo Tribunale ha assegnato a JJJ (deceduto nelle more) la porzione di immobile pari a 2/3 e a PPP (deceduto nelle more) la porzione di immobile pari ad 1/3 come descritte nella relazione di CTU a firma del geom. ***, ha condannato gli eredi di JJJ al pagamento in favore degli eredi di PPP della somma di € 4.350,00, a titolo di conguaglio per la quota assegnata, oltre rivalutazione ed interessi dal 16/9/2010 alla data di pubblicazione della sentenza ed interessi legali da tale ultima data al saldo, e della somma di € 41.948,78, oltre interessi legali dal 16/9/2010 al saldo, quale valore locatizio della gestione della abitazione.
Gli eredi di JJJ hanno impugnato entrambe le sentenze, articolando i seguenti motivi di gravame: 1) erroneità della determinazione del valore dell’immobile in € 1.000,00 al mq, effettuata dal CTU geom. *** senza precisare le indagini eseguite, senza tener conto della banca dati delle quotazioni immobiliari dell’Agenzia del Territorio e dello stato di conservazione documentato fotograficamente in atti; 2) erroneità dell’affermata divisibilità dell’immobile, tenuto conto della diminuzione del valore commerciale delle singole quote rispetto all’intero e delle spese necessarie per realizzare le modifiche strutturali di entità ben superiore ad € 8.000 come quantificate dal CTU geom. *** nella propria relazione; 3) erroneità del capo di sentenza che ha rigettato la richiesta di rimborso delle spese di miglioramento eseguite sull’immobile per la non corretta valutazione delle deposizioni testimoniali acquisite; 4) non debenza dell’indennità per l’uso esclusivo dell’immobile, non avendo il comproprietario fatto richiesta di uso turnario, e comunque erroneità del calcolo per la sua determinazione. Ha concluso pertanto come in epigrafe.
Gli eredi di PPP hanno resistito al gravame, eccependone in via preliminare l’inammissibilità per violazione dell’art. 342 c.p.c..
Preliminarmente, va disattesa l’eccezione di inammissibilità dell’appello, atteso che l’atto di gravame contiene argomentazioni atte a confutare quanto ritenuto in prime cure rendendo possibile, attraverso l’esame complessivo dell’atto, l’individuazione dell’oggetto della domanda e degli elementi di fatto e di diritto sui quali essa si fonda. È infatti da escludere che la riforma abbia trasformato l’appello da gravame a motivi illimitati, in impugnazione a critica vincolata, atteso che i possibili motivi di censura non vengono limitati a specifici errores in procedendo o in iudicando.
La parte appellante ha del resto censurato l’iter logico-giuridico seguito dal primo giudice, indicando con inequivocabile nettezza i motivi dell’evidenziato dissenso, prospettando una propria alternativa ricostruzione fattuale e proponendo essa stessa un ragionato progetto alternativo di decisione fondato su precise censure rivolte alla sentenza di primo grado. Il requisito della specificità dei motivi di impugnazione è quindi da ritenersi (nella fattispecie) rispettato, atteso che alle (non scindibili) argomentazioni della sentenza impugnata sono state contrapposte le puntuali allegazioni del reclamante, finalizzate ad inficiare il fondamento logico-giuridico delle prime, in riferimento alle quali non sembra che possa affermarsi ictu oculi l’insussistenza di una “ragionevole probabilità di accoglimento”. Per quanto sopra, deve dunque ritenersi che l’atto di appello in esame contiene tutte le argomentazioni volte a confutare le ragioni poste dal primo giudice a fondamento della propria decisione, con conseguente ammissibilità del gravame.
Il primo motivo di appello, con il quale si contesta la determinazione del valore dell’immobile caduto in successione effettuata dal CTU geom. *** e recepita dal primo giudice in sentenza, appare meritevole di accoglimento nei limiti di cui in prosieguo.
Il predetto CTU tenendo conto delle condizioni dell’immobile descritte a pag. 4 del proprio elaborato, nonché dei valori medi indicati dall’Osservatorio Mercato Immobiliare dell’Agenzia del Territorio della provincia di Teramo per il 1° semestre del 2008 in relazione a fabbricati di tipo residenziale/commerciale riferiti alla zona di ubicazione, ha stimato il valore commerciale dell’abitazione in € 1.000,00 al mq.; ha poi fissato in € 220,00 al mq il valore delle due corti, tenuto conto del fatto che si tratta di due particelle ben definite, potenzialmente commerciabili separatamente dall’abitazione e del loro “potenziale edificatorio”, sfruttabile dai condividenti ovvero dai proprietari confinanti.
Tali valori sono stati contestati dagli appellanti in considerazione, quanto all’abitazione, del suo mediocre stato di conservazione e della applicabilità della quotazione relativa alle abitazioni di tipo economico e non a quelle residenziali; quanto alle corti, del fatto che parte delle stesse non è utilizzabile ai fini edificatori, mancando la distanza minima prevista dai regolamenti edilizi.
Le osservazioni appaiono parzialmente fondate. Dalla visura catastale acquisita in atti risulta (allegato E alla relazione di CTU) che l’unità abitativa è classificata A/4 e cioè come abitazione di tipo popolare. Il CTU al fine di calcolare il valore locativo della stessa, tenendo conto delle sue caratteristiche, ha proceduto ad una riclassificazione con categoria più alta assegnandole la classe A/3 e cioè abitazione di tipo economico. Ciò posto, questa Corte ritiene corretta l’osservazione svolta dagli appellanti per cui il valore commerciale da assumere a base della stima (desumibile dal medesimo tabulato dell’Osservatorio del Mercato Immobiliare utilizzato dal CTU) deve essere quello riferito alle abitazioni di tipo economico e non alla categoria superiore. Il valore di mercato di riferimento è quindi quello che va da un minimo di 720 €/mq a 970 €/mq.
Quanto invece alle condizioni di conservazione dell’abitazione entrambi i CTU, che si sono succeduti nel giudizio di primo grado, hanno rilevato la presenza di macchie di umidità dovute alla capillarizzazione e ad infiltrazioni di acqua, che l’impianto elettrico non è a norma e che non è presente un impianto citofonico, ciò nonostante hanno entrambi ritenuto che l’unità si presenti in normali condizioni di manutenzione. Tale giudizio non può essere superato dalla circostanza, evidenziata dagli appellanti nella relazione del proprio CTP, che il tetto si trova in cattive condizioni, atteso che dal rapporto di intervento dei Vigili del Fuoco (allegato sub C alla relazione del CTP ***) emerge che proprietario del tetto è YYY, mentre da tutte le relazioni tecniche acquisite risulta pacificamente che l’unità di cui si discute è posta al piano terra di un fabbricato sviluppato su due piani. Le condizioni del tetto non incidono pertanto direttamente sulle condizioni di manutenzione dell’unità da dividere, ma è solo causa di parte delle infiltrazioni già considerate.
Pertanto, applicando il medesimo criterio medio dei valori fissati dall’Osservatorio del Mercato Immobiliare utilizzato dal CTU geom. ***, il valore commerciale dell’abitazione deve essere fissato nel valore medio di € 850 al mq.. Tenuto conto della superficie lorda dell’abitazione pari a mq 149,20 (non risulta riproposta in questa sede l’osservazione relativa al calcolo della superficie al netto o al lordo), il valore commerciale della stessa deve essere fissato in complessivi € 126.820,00.
Le osservazioni svolte in relazione alle aree a corredo dell’abitazione non appaiono invece meritevoli di accoglimento, atteso che la stima effettuata dal predetto CTU trova il suo fondamento “nel potenziale edificatorio sfruttabile” delle due particelle (non contestata dal CTP) e non nella possibilità di sfruttamento a fini edilizi dell’intera estensione delle stesse. Il valore commerciale di dette aree deve quindi essere confermato in € 24.398,00 per la p.lla 132 e in € 14.300,00 per la p.lla 266.
Il valore complessivo dei beni caduti in successione è pertanto pari ad € 165.518,00.
Meritevole di accoglimento è anche il secondo motivo di gravame, con il quale gli appellanti contestano l’affermata divisibilità dell’immobile caduto in successione.
In punto di fatto occorre rilevare che il CTU, nel determinare in € 8.000 (€ 3.000,00 per realizzare la cucina nella porzione più grande ed € 5.000,00 per realizzare il bagno in quella più piccola) la spesa necessaria per “adeguare ad abitazione” entrambe le quote di fabbricato derivanti dalla divisione, ha completamente pretermesso di quantificare le spese per i lavori da lui stesso ritenuti necessari a pag. 4 della relazione integrativa e non ha tenuto conto delle ulteriori opere indicate dal CTP di parti appellanti da ritenersi ugualmente necessarie per procedere alla divisione. Il costo complessivo della divisione è pertanto ben superiore a quello indicato dal CTU e può ritenersi corrispondente alla spesa fissata dal CTP di parti appellanti in circa 30.000,00 €.
Orbene, tenuto conto che il valore commerciale di entrambe le quote a seguito del frazionamento sarà inferiore all’originario valore unitario, per la diminuita funzionalità abitativa delle unità immobiliari rese indipendenti, e che la minore quota ereditaria da assegnare a PPP è pari ad € 55.172,67 (165.518,00/3) e cioè ad un importo non di molto superiore alla spesa ritenuta necessaria per il frazionamento, appare evidente che la divisione, pur materialmente possibile, appare non comoda in conformità ai principi di diritto affermati dalla Suprema Corte (cfr. per tutte Cass. n. 12498 del 29/05/2007; n. 16918 del 19/08/2015).
Avendo JJJ, titolare della quota pari ai 2/3 dell’intero immobile, chiesto l’assegnazione, lo stesso deve essere condannato a versare al condividente la quota a lui spettante come sopra indicata.
Tale importo deve essere maggiorato di rivalutazione dal 16/9/2010 alla data di pubblicazione della sentenza di primo grado (17/12/2013) e di interessi legali da tale ultima data fino al soddisfo, non risultando impugnato tale capo della decisione.
Meritevole di accoglimento è ancora il terzo motivo di gravame, teso al riconoscimento del diritto al rimborso delle spese sostenute per i miglioramenti.
Il giudice di primo grado ha rigettato la domanda in esame ritenendo, sulla base delle dichiarazioni della teste HHH che non fosse stata acquisita prova che le spese de quibus fossero state sostenute da JJJ. L’assunto non è condivisibile.
Da un lato occorre rilevare che la teste (oggi parte) non solo è portatrice di un interesse all’esito della lite, ma ha reso dichiarazioni in sé non credibili, nella misura in cui, dopo aver affermato che il de cuius aveva provveduto al pagamento dei lavori in oggetto utilizzando gli arretrati a lui liquidati per l’accompagnamento, ha aggiunto che ella aveva chiesto al suocero di poter usufruire di parte di detta somma perché “appena sposata e in difficoltà economica”. Ma, come evidenziato dagli appellati e come desumibile dai dati anagrafici degli appellati (moglie e figlio del condividente PPP) i due eventi (lavori di ristrutturazione e matrimonio della teste) sono ben distanti nel tempo (rispettivamente alla fine degli anni ottanta e alla fine degli anni sessanta del secolo scorso).
Di contro tutti gli ulteriori testi hanno univocamente affermato di aver ricevuto l’incarico e di essere stati pagati da JJJ.
In punto di quantum la spesa relativa all’impianto di riscaldamento e a quello idraulico è stata indicata dal teste *** in £. 3.00.000, la spesa relativa alla posa in opera del pavimento (che il teste *** ha quantificato in una somma tra i tre e i sei milioni di lire) è stata quantificata dal CTU geom. *** in £. 6.000.000, tenendo conto delle quotazioni del mercato all’epoca dei lavori, mentre infine la spesa per gli infissi (non indicata dal teste ***) è stata valutata dal medesimo CTU in £. 3.800.000. La spesa sostenuta (non contestata nel suo importo dai convenuti) è quindi pari a complessive £. 15.300.000, equivalenti ad € 7.901,78.
In applicazione del principio di diritto consolidato nella giurisprudenza della Suprema Corte (da ultimo vedi Cass. ord. 5135 del 21/2/2019), per cui “Il coerede che sul bene comune da lui posseduto abbia eseguito delle migliorie può pretendere, in sede di divisione, non già l’applicazione dell’art. 1150 c.c. – secondo cui è dovuta un’indennità pari all’aumento di valore della cosa in conseguenza dei miglioramenti – ma, quale mandatario o utile gestore degli altri eredi partecipanti alla comunione ereditaria, il rimborso delle spese sostenute per il suddetto bene comune, esclusa la rivalutazione monetaria, trattandosi di debito di valuta e non di debito di valore”, gli appellati devono essere condannati al rimborso in favore degli appellanti della quota parte delle spese predette, pari ad € 2.633,93 (7.901,78/3). Tale importo dovrà essere maggiorato degli interessi legali dalla data della domanda (11/3/1996) al saldo.
Meritevole di parziale accoglimento è infine l’ultimo motivo di gravame, con il quale gli appellanti da un lato affermano di non essere tenuti a versare alcun indennizzo per l’uso esclusivo dell’immobile dividendo, non avendo gli appellati fatto richiesta di un uso turnario dello stesso, dall’altro contestano la quantificazione di detto indennizzo effettuata dal primo giudice.
Il primo profilo non è condivisibile. La Suprema Corte (in tal senso vedi la stessa sentenza citata n. 24647 del 3/12/2010, ma anche più di recente sent. n. 13619 del 30/5/2017) è univoca nell’affermare che “se la natura di un bene immobile oggetto di comunione non ne permette un simultaneo godimento da parte di tutti i comproprietari, l’uso comune può realizzarsi o in maniera indiretta oppure mediante avvicendamento; peraltro fino a quando non vi sia richiesta di un uso turnario da parte degli altri comproprietari, il semplice godimento esclusivo ad opera di taluni non può assumere la idoneità a produrre un qualche pregiudizio in danno di coloro che abbiano mostrato acquiescenza all’altrui uso esclusivo, salvo che non risulti provato che i comproprietari che hanno avuto l’uso esclusivo del bene ne abbiano tratto anche un vantaggio patrimoniale”. La Corte di Cassazione ha tuttavia chiarito che il possessore del cespite ereditario ha comunque l’obbligo di rendere il conto in relazione ai frutti maturati prima della divisione, ma che il diritto a chiedere il pagamento dell’indennità di occupazione sorge solamente dopo aver formalizzato la richiesta di utilizzo per turnazione del bene al comproprietario “esclusivo”, ovvero se la stessa non sia possibile e chi è nel possesso ne trae vantaggio patrimoniale.
Nel caso di specie se è vero che l’immobile è stato utilizzato in via esclusiva dal germano JJJ come propria abitazione e non è stato né allegato né provato che dopo la morte del de cuius il fratello PPP abbia fatto richiesta di uso turnario del bene, è anche vero che sicuramente il primo ha tratto un vantaggio patrimoniale dall’uso dell’immobile pari al canone di locazione non versato per usufruire di una abitazione. In questi stessi termini si è espressa la Corte di Cassazione la quale, nella sentenza invocata dagli appellanti, afferma che correttamente il giudice di primo e secondo grado avevano riconosciuto al comproprietario, che non aveva goduto dell’immobile, una indennità liquidata in via equitativa facendo riferimento all’equo canone.
Il capo di sentenza di condanna degli appellanti al pagamento in favore degli appellati di un indennizzo per l’uso esclusivo del bene deve quindi essere confermato quanto all’an. In punto di quantum, gli appellanti contestano i parametri individuati dal CTU geom. *** riferiti al costo di costruzione, alla tipologia catastale, alla vetustà e allo stato di conservazione.
Quanto al costo di costruzione il CTU, dopo aver individuato il costo di costruzione base al mq in forza dell’art. 14 della L. 392/78 (fabbricati costruiti prima del 1975) in £. 225.000, ha rivalutato detto importo al 1987 (data di esecuzione degli ultimi interventi edilizi) in £. 1.033.669 nella prima relazione e in £. 992.115 in quella integrativa. Orbene, entrambe le somme risultano superiori all’importo che l’art. 1 del DPR 4/5/1989 n. 182 fissa in relazione agli immobili costruiti negli anni 1987-1988 tra un minimo di £. 890.000 e un massimo di £. 950.000. E’ evidente che, anche a voler ritenere che l’anno di costruzione, tenuto conto delle modifiche rispetto alla piantina catastale e dei lavori di ristrutturazione effettuati alla fine del 1987, debba essere individuato in tale ultima data, invece che in quella di originaria costruzione (1949), il costo di costruzione non possa essere superiore a quello fissato dalla legge per un immobile in toto realizzato nel 1987, ma deve essere pari al minimo ivi previsto e cioè £. 890.000.
Tenuto conto della risalenza nel tempo dell’immobile, appare ugualmente corretto applicare in relazione al coefficiente correttivo della vetustà (indicato dal CTU in 1,00) le riduzioni indicate dal CTP degli opponenti (-1% dopo il sesto anno per i successivi quindi anni e -0,5 per i successivi trent’anni), giungendo pertanto al coefficiente di 0,70.
Quanto al coefficiente della categoria catastale, se è pur vero che l’immobile risulta accatastato nella categoria A/4, è anche vero che non è in contestazione il rilievo fattuale che ha portato il CTU a riqualificare la classe in A/3 e cioè il fatto che i servizi igienici sono interni all’immobile e non all’esterno in comune con altre unità immobiliari. Il coefficiente applicabile deve quindi essere confermato in 1,05 indicato dal CTU.
Infine, quanto allo stato di conservazione devono qui essere ribadite le considerazioni sopra già svolte in relazione al valore dell’immobile, con conseguente conferma del coefficiente di 1,00 fissato dal CTU.
In conclusione il costo base di costruzione dell’immobile deve essere così calcolato:
£. 890.000 x 0,70 (vetustà) x 1,00 (stato di conservazione) x 1,05 (categoria catastale) x 0,95 (classe demografica, non contestato) x 1,00 (ubicazione, non contestato) x 0,90 (livello di piano, non contestato) = £. 559.298.
Il valore locativo dell’immobile, tenuto conto della superficie convenzionale di 148,20 adottata dal Ctu e non contestata dalle parti, è quindi pari a: £. 83.066.939 (559.298 x 148,52, arrotondato per eccesso); il canone locativo annuo massimo è quindi pari alla fine del 1987 a £. 3.198.077 (83.066.939 x 3,85% arrotondato per difetto) e la somma che il coerede JJJ era tenuto a versare annualmente al fratello PPP è pari a £. 1.066.025, corrispondente ad € 550,56.
Tale importo deve essere rivalutato annualmente ai sensi dell’art. 32 L. 392/78 dalla data di apertura della successione (novembre 1989) fino al pagamento ella quota ereditaria sopra determinata, tenuto conto del fatto che la Corte di Cassazione pacificamente ragguaglia i frutti civili, quale ristoro della privazione della utilizzazione “pro quota” del bene comune, facendo “riferimento ai prezzi di mercato correnti dal tempo della stima per la divisione a quello della pronuncia” (cfr. Cass. sent. n. 14652 del 27/08/2012; n. 20394 del 05/09/2013; n. 18445 del 29/08/2014).
Tenuto conto della natura della causa e della soccombenza reciproca le spese di entrambi i gradi di giudizio devono essere integralmente compensate tra le parti.
P.Q.M.
La Corte d’Appello di L’Aquila, definitivamente pronunciando sull’appello proposto avverso la sentenza non definitiva n. 1252/2003 del 16/9-27/10/2003 e la sentenza definitiva n. /2013 del 6-17/12/2013 pronunciate dal Tribunale di Teramo, così decide nel contraddittorio delle parti: in parziale riforma delle sentenze in epigrafe, che per il resto conferma; dichiara non divisibile l’immobile caduto in successione e, assegnato lo stesso agli eredi di JJJ, condanna gli stessi al pagamento in favore degli eredi di PPP la quota a questi spettante pari ad € 55.172,67, oltre rivalutazione monetaria secondo gli indici ISTAT dal 16/9/2010 al 17/12/2013 e interessi legali successivi a tale ultima data fino al soddisfo; condanna gli eredi di PPP al rimborso in favore degli appellanti della somma di € 2.633,93 oltre interessi dal 11/3/1996 al saldo; condanna gli appellanti al pagamento in favore degli eredi di PPP della somma annua di € 550.56, oltre rivalutazione monetaria ai sensi dell’art. 32 L. 392/78, da novembre 1989 fino al saldo del pagamento della quota ereditaria; dichiara integralmente compensate tra le parti le spese di entrambi i gradi di giudizio.
L’Aquila, il 19/3/2019
Il Presidente
Il Consigliere Est. dr.
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Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.
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