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Impianti audiovisivi e controllo a distanza dell’attività dei lavoratori

La Corte di Appello di Messina, in riforma della pronuncia di primo grado, aveva dichiarato la legittimità del licenziamento irrogato da XXX Spa a YYY con lettera del 2 novembre 2017. Anche nel vigore della nuova normativa è stata ritenuta rilevante “la contestazione, al lavoratore, di un fatto reato incidente sul patrimonio del datore di lavoro, mediante esame di informazioni raccolte da un impianto in precedenza autorizzato” (Cass.

Pubblicato il 20 October 2024 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile

La Corte di Appello di Messina, in riforma della pronuncia di primo grado, aveva dichiarato la legittimità del licenziamento irrogato da XXX Spa a YYY con lettera del 2 novembre 2017.

La Corte territoriale aveva preso visione del filmato contenuto in un DVD depositato dalla società sin dalla fase sommaria del giudizio di primo grado, contenente le riprese della biglietteria tratte dall’impianto aziendale di videosorveglianza installato sulla base di un Accordo aziendale del luglio 2015.

La Corte, sulla base di tale visione, aveva accertato che le operazioni di cassa registrate erano pienamente corrispondenti ai fatti addebitati nella lettera di contestazione all’YYY, addetto alla biglietteria; aveva ravvisato l’elemento intenzionale nei due episodi contestati all’autore e consistenti nel non avere consegnato ai clienti il resto dovuto, senza poi registrare l’esubero di cassa; aveva valutato tali fatti idonei a ledere irrimediabilmente il vincolo fiduciario, in considerazione delle mansioni in concreto rivestite, comportanti maneggio di denaro.

In ordine alle contestazioni mosse, la Corte aveva constatato che l’impianto audiovisivo di controllo era stato installato dalla società a seguito di accordo con le organizzazioni sindacali, il quale prevedeva quale finalità dichiarata l’esigenza di tutela del patrimonio aziendale e dei beni demaniali avuti assentiti in concessione, e la salvaguardia di esigenze di sicurezza.

Aveva poi argomentato che, nel caso di specie, le modalità di attuazione delle riprese di videosorveglianza garantivano il rispetto della dignità e della riservatezza del dipendente, e dunque anche del principio di proporzionalità del mezzo utilizzato rispetto allo scopo, poiché le telecamere erano state posizionate in modo da consentire la visione di un angolo delimitato dell’area di scambio tra denari e titoli di viaggio, senza alcuna possibilità di identificazione visiva immediata degli addetti, possibile solo successivamente, come chiarito nell’accordo, in caso di dettagliato reclamo della clientela.

In merito alla circostanza che, nella specie, l’identificazione dell’YYY era stata operata in assenza di un reclamo della clientela, la Corte aveva ritenuto che la disposizione di garanzia contenuta nell’accordo andava considerata in relazione alla finalità precipua dell’accordo, ossia quella di tutela del patrimonio aziendale e dei beni demaniali in concessione, ma tale garanzia non poteva essere estesa alla diversa e ben più grave ipotesi in cui attraverso le immagini di videosorveglianza risultasse la perpetrazione di illeciti penali.

Per la cassazione di tale sentenza proponeva ricorso il lavoratore.

La fattispecie concreta si colloca, ratione temporis, nell’ambito di applicazione del comma 1 dell’art. 4 St. lav. modificato dall’art. 23 del D.Lgs. n. 151 del 2015 e successive integrazioni, trattandosi di impianto visivo, dal quale “derivi anche la possibilità di controllo a distanza dell’attività dei lavoratori”, installato “previo accordo collettivo” sottoscritto con le organizzazioni sindacali, dichiaratamente “per esigenze organizzative e produttive, per la sicurezza del lavoro e per la tutela del patrimonio aziendale”.

Siamo pertanto al di fuori della tematica dei cd. “controlli difensivi in senso stretto”, i quali si situano, ancora oggi, “all’esterno del perimetro applicativo dell’art. 4” (così Cass. n. 25732 del 2021, punti 31 e 32; più di recente v. Cass. n. 18168 del 2023).
Secondo la classificazione operata proprio da Cass. n. 25732/2021 cit., la fattispecie si colloca “tra i controlli a difesa del patrimonio aziendale che riguardano tutti i dipendenti (o gruppi di dipendenti) nello svolgimento della loro prestazione di lavoro che li pone a contatto con tale patrimonio, controlli che dovranno necessariamente essere realizzati nel rispetto delle previsioni dell’art. 4 novellato in tutti i suoi aspetti”.

Risultando nella specie autorizzata l’installazione dell’impianto, si pone la questione della utilizzabilità delle informazioni – le riprese visive – così raccolte “a tutti i fini connessi al rapporto di lavoro” (art. 4, u.c., St. lav.) e, quindi, anche ai fini dell’esercizio dell’azione disciplinare (cfr. Cass. n. 32683 del 2021).

La nozione di “patrimonio aziendale” tutelabile in sede di esercizio del potere di controllo a distanza dell’attività dei lavoratori è stata intesa, dalla giurisprudenza della Suprema Corte, in una accezione estesa.

Si è così riconosciuto “il diritto del datore di lavoro di tutelare il proprio patrimonio, costituito non solo dal complesso dei beni aziendali, ma anche dalla propria immagine esterna, così come accreditata presso il pubblico” (Cass. n. 2722 del 2012; sulla tutela dell’immagine aziendale v. pure Cass. n. 13266 del 2018); è stato anche considerato come patrimonio aziendale “il profilo del regolare funzionamento e della sicurezza degli impianti” (Cass. n. 10955 del 2015).

Costantemente, poi, è stata ritenuta lesiva del patrimonio aziendale la condotta di dipendenti potenzialmente integrante un illecito penale, sia ammettendo l’accertamento di fatti disciplinarmente rilevanti mediante filmati di telecamere installate in locali dove si erano verificati furti (Cass. n. 10636 del 2017) o a presidio della cassaforte aziendale (Cass. n. 22662 del 2016), sia in ipotesi di mancata registrazione della vendita da parte dell’addetto alla cassa ed appropriazione delle somme incassate (per tutte v. Cass. n. 18821 del 2008; sul controllo mediante agenzie investigative v., da ultimo, Cass. n. 17004 del 2024).

Anche nel vigore della nuova normativa è stata ritenuta rilevante “la contestazione, al lavoratore, di un fatto reato incidente sul patrimonio del datore di lavoro, mediante esame di informazioni raccolte da un impianto in precedenza autorizzato” (Cass. n. 32683/2021 cit., in un caso di “sottrazione furtiva di merce aziendale” ripresa da “telecamere di sicurezza”).

In definitiva, la tutela del patrimonio aziendale può riguardare la difesa datoriale sia da condotte di appropriazione di denaro o di danneggiamento o sottrazione di beni, le quali possono provenire anche da dipendenti dell’azienda e che giustificano la medesima protezione rispetto a quella dovuta a fronte di aggressioni esterne, sia dalla lesione all’immagine e al patrimonio reputazionale dell’azienda, non meno rilevanti dell’elemento materiale che compone la medesima (e non può dubitarsi che condotte fraudolente di dipendenti in danno di clienti siano anche idonee a pregiudicare l’immagine di una impresa).

In continuità con tale giurisprudenza e in conformità con il novellato dettato legislativo dell’art. 4 St. lav. – il quale consente l’impiego di impianti audiovisivi dai quali derivi anche la possibilità di controllo a distanza dell’attività dei lavoratori “esclusivamente” per le finalità indicate dal suo primo comma, tra cui appunto “la tutela del patrimonio aziendale” – la Suprema Corte ha ritenuto che, nella specie, lo strumento tecnologico di ripresa della biglietteria fosse installato, in modalità non occulte perché autorizzato dall’accordo sindacale, per tutelare il patrimonio aziendale, inteso in senso ampio, da possibili lesioni, interne o esterne, e sia stato impiegato per accertare comportamenti illeciti del dipendente, non concretanti un mero inadempimento nell’esecuzione della prestazione lavorativa, per cui la visione del filmato, con la conseguente identificazione degli addetti, non richiedeva il “dettagliato reclamo della clientela”, così come invece previsto dall’accordo del luglio 2015.

Per completezza, l’autorizzazione amministrativa dell’INL territoriale all’installazione dell’impianto tecnologico, necessaria in caso di mancanza di accordo sindacale, non può “rendere inutilizzabili le informazioni raccolte ai fini disciplinari” perché la clausola che impone un tale limite deve ritenersi “successivamente caducata e, quindi, tamquam non esset, in quanto in contrasto con la disposizione di cui all’art. 4 legge n. 300 del 1970 come modificata con le novelle del 2015 e del 2016″ (Cass. n. 32683/2021 cit.).

Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, Ordinanza n. 23985 del 6 settembre 2024

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