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Codice Civile
Codice Penale

Impianti di telecomunicazioni, canoni di occupazione

La sentenza chiarisce l’interpretazione dell’art. 93 del Codice delle Comunicazioni Elettroniche in materia di oneri per l’occupazione di beni pubblici da parte degli operatori di telecomunicazioni. Stabilisce l’illegittimità della pretesa di canoni superiori a quelli previsti dalla normativa per le occupazioni successive alla sua entrata in vigore, anche in presenza di contratti pregressi.

Pubblicato il 14 November 2024 in Diritto Civile, Giurisprudenza Civile

N. R.G. 17887/2023

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

TRIBUNALE ORDINARIO di TORINO Ottava Sezione Civile Il Tribunale, nella persona del Giudice dott.ssa NOME COGNOME ha pronunciato la seguente

SENTENZA N._5539_2024_- N._R.G._00017887_2023 DEL_05_11_2024 PUBBLICATA_IL_05_11_2024

nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. 17887/2023 avente a oggetto:

opposizione ad accertamento esecutivo delle entrate patrimoniali ex art. 1 comma 792 l. 160 del 2019 tra (in forma abbreviata, con il patrocinio degli avvocati COGNOME e COGNOME in forza di procura alle liti telematica, apposta su foglio separato, da intendersi posto in calce all’atto di citazione ex art. 83 terzo comma c.p.c. e allegata al fascicolo digitale ex art. 83, terzo comma, c.p.c., elettivamente domiciliata in Milano, INDIRIZZO PARTE ATTRICE , rappresentato e difeso dall’Avv. NOME COGNOME dell’Avvocatura comunale, giusta procura generale alle liti allegata alla comparsa di costituzione e risposta, elettivamente domiciliato in , INDIRIZZO CONVENUTO CONVENUTA CONTUMACE Udienza di discussione in data 4.11.2024

CONCLUSIONI

Per “NEL MERITO: annullare con ogni miglior formula i due avvisi di accertamento impugnati.

SEMPRE NEL MERITO:

se e quando i convenuti avranno specificato quali siano le convenzioni inter partes alle quali si riferiscono gli addebiti indicati negli avvisi di accertamento impugnati, accertare e dichiarare il diritto della odierna attrice opponente al rinnovo delle concessioni (ove specificate ex adversis) relative ai siti cui si riferisce la pretesa creditoria azionata con gli accertamenti esecutivi (rinnovo delle convenzioni di cui ai doc. 1, 2, 3 e 7 avv.) a fronte del pagamento delle somme stabilite ex lege, nella misura di 800,00 annui anche in applicazione dell’art. 1 comma 831 bis L. 160/2019 o –in assoluto subordine- nella diversa misura che l’Ill.mo Tribunale riterrà conforme. SEMPRE NEL MERITO:

se e quando i convenuti avranno specificato quali siano le convenzioni inter partes alle quali si riferiscono gli addebiti indicati negli avvisi di accertamento impugnati, accertarsi e dichiararsi l’applicabilità dell’art. 93 CCE (oggi 54) e dell’art. 1 comma 831 bis L. 160/2019 in relazione alla detenzione delle aree di cui è causa;

accertarsi e dichiararsi (per le ragioni esposte nella narrativa dell’atto di opposizione e della prima memoria ex art. 171 ter c.p.c. e ferma la domanda di nullità/inefficacia degli avvisi di accertamento impugnati) la nullità – originaria o sopravvenuta – o l’inefficacia sopravvenuta delle disposizioni contrattuali intercorse e/o vigenti tra le parti in punto determinazione del corrispettivo con riferimento a ogni singola concessione azionata in giudizio (anche con riferimento all’art. 5 della convenzione 27.03.2015 sub doc. 1 avv., all’art. 5 della convenzione 25.11.2014 sub doc. avv., all’art. 4 della convenzione 26.04.2017 sub doc. 3 avv., art. 6 della convenzione 27.06.2019 sub doc. 7 avv.), per violazione di norme imperative: art. 93 del Codice delle Comunicazioni Elettroniche e art. 63 del D. Lgs. 446/1997, art. 1 comma 831 bis L. 160 del 2019, con conseguente sostituzione ex art. 1419 cd. civ. delle predette singole disposizioni nulle o inefficaci, con la previsione dell’obbligo di pagamento delle somme ex lege dovute e determinate -con riferimento ciascuna area- nella misura di euro 800,00, a far a data dall’entrata in vigore del comma 831 bis dell’art. 1 della L. 160 del 2019, revocandosi e/o annullandosi i due avvisi di accertamento impugnati e accertando che nulla è dovuto al per i titoli apparentemente dedotti ovvero, in estremo subordine, ridursi il preteso credito nella misura che sarà dimostrata dovuta in corso di causa o ritenuta di giustizia. Accertarsi e dichiararsi la compensazione (con attribuzione della relativa eccedenza a favore della opponente) delle somme corrisposte nel periodo di vigenza delle convenzioni con gli importi a qualsiasi titolo dovuti dalla odierna conchiudente per il periodo successivo e per tutta l’effettiva durata delle occupazioni.

Con condanna dei convenuti alla rifusione delle spese e dei compensi professionali di lite sostenuti dalla attrice oltre accessori di disciplina professionale (art. 2, comma 2°, D.M. n. 55/14) e di legge (C.P.A. e I.V.A.).

Per “Voglia codesto Ill.mo Tribunale, disattesa ogni contraria istanza, eccezione e deduzione:

In via preliminare Dichiarare il difetto di legittimazione passiva del per i vizi riferibili al provvedimento impugnato, trattandosi di atto di spettanza esclusiva dell’Agente della Riscossione.

Nel merito, in via principale Rigettare l’opposizione e per l’effetto dichiarare legittimo il provvedimento impugnato;

in ogni caso, mandare assolto il da tutte le domande nei confronti dello stesso proposte.

Nel merito, in via subordinata Nella denegata e non creduta ipotesi di accoglimento delle argomentazioni avversarie, ridurre l’importo portato in ingiunzione a quanto effettivamente dovuto;

In ogni caso Con vittoria di spese ed onorari di giudizio ex D.M. 10 marzo 2014 n. 55, oltre a spese generali nella misura del 15% ex art. 2 e ad oneri riflessi ex art. 1, comma 208, L. n. 266/2005 (23,8% sull’imponibile), trattandosi di patrocinio reso da Avvocato iscritto all’Albo Speciale degli Avvocati degli Enti Pubblici;

IVA e CPA non dovuti.

RAGIONI DI FATTO

E DI DIRITTO DELLA DECISIONE (di seguito, ha proposto opposizione agli accertamenti esecutivi n. NUMERO_DOCUMENTO e n. NUMERO_DOCUMENTO, notificati a in data 14.09.2023, con i quali ha ingiunto il pagamento rispettivamente (i) di € 34.390,68, a titolo di entrata patrimoniale per indennità di occupazione e canoni per i mesi da febbraio a luglio 2022 e (ii) di € 57.603,50 a titolo di indennità di occupazione e canoni dal settembre 2020 al gennaio 2022, indicando quale ente creditore il A sostegno dell’opposizione ha addotto: 1. la nullità degli atti impugnati per mancata indicazione della normativa circa il rito applicabile all’impugnazione dell’atto, nonché per erronea indicazione dell’autorità giudiziaria competente;

2. l’illegittimità/nullità dell’atto impugnato per mancata prova della certezza, liquidità ed esigibilità dei pretesi crediti azionati, per non essere indicati il contratto e gli estremi del rapporto negoziale che avrebbe determinato le singole entrate patrimoniali; 3. l’illegittimità degli accertamenti impugnati alla luce della normativa di settore, per essere il legislatore, con le disposizioni di cui agli articoli 93 del D.Lgs. n. 259/2003, 63 L. 446/97 vigenti ratione temporis e 1 comma 831 bis L. 160/2019, intervenuto a “calmierare” il mercato delle aree utilizzate dagli operatori nell’ambito delle comunicazioni elettroniche. In particolare, sostiene (i) che con riguardo alle voci “indennità di occupazione” il Comune fa riferimento al proprio patrimonio indisponibile;

(ii) che, ratione temporis, ai sensi delle norme imperative e inderogabili costituite dall’art. 93 del D. Lgs. 259/03 come interpretato dall’art. 12, comma 3, del D. Lgs. 33/2016, integrato dall’art. 8-bis, comma 1, lettera c), D.L. 135/2018, convertito con modificazioni dalla L. 12/2019 e successivamente, dall’art. 1 comma 831 bis della L. 160/2019, per le occupazioni di beni pubblici funzionali all’erogazione del pubblico servizio di comunicazioni elettroniche, agli Enti Locali è fatto divieto di imporre oneri finanziari o reali diversi o ulteriori rispetto alla TOSAP, sia che si tratti di rapporti in corso in vigenza di concessione sia che si tratti di rapporti occupativi di fatto conseguenti alla scadenza delle concessioni. ha concluso chiedendo al Tribunale di annullare i due avvisi di accertamento impugnati;

II.

di dichiarare il diritto di al rinnovo delle concessioni relative ai siti cui si riferisce la pretesa creditoria azionata con gli accertamenti esecutivi a fronte del pagamento delle somme stabilite ex lege, nella misura di euro 800,00 annui anche in applicazione dell’art. 1 comma 831 bis L. 160/2019 o – in assoluto subordine- nella diversa misura ritenuta conforme dal tribunale;

III.

di dichiarare la nullità – originaria o sopravvenuta – o l’inefficacia sopravvenuta delle disposizioni contrattuali intercorse e/o vigenti tra le parti in punto determinazione del corrispettivo con riferimento a ogni singola concessione/locazione azionata in giudizio, per violazione di norme imperative

(art. 93 del Codice delle Comunicazioni Elettroniche e art. 63 del D.Lgs. 446/1997, art. 1 comma 831 bis L. 160 del 2019), con conseguente sostituzione ex art. 1419 cod. civ. delle predette singole disposizioni nulle o inefficaci, con la previsione dell’obbligo di pagamento delle somme ex lege dovute e determinate nella misura di euro 800,00, a far a data dall’entrata in vigore del comma 831 bis dell’art. 1 della L. 160 del 2019 con revoca degli accertamenti impugnati;

IV.

di operare la compensazione tra le somme corrisposte nel periodo di vigenza delle convenzioni e gli importi a qualsiasi titolo dovuti dalla odierna conchiudente per il periodo successivo e per tutta l’effettiva durata dell’occupazione.

con condanna dei convenuti alla rifusione delle spese di lite.

si è costituito in giudizio e ha chiesto il rigetto dell’opposizione.

In fatto ha allegato:

– che era subentrata in due contratti stipulati tra la e Telecom:

(1) atto A.P. n. 1465 del 27 marzo 2015 intercorso tra la e Telecom per l’utilizzo di due aree site nell’edificio di proprietà comunale di INDIRIZZO per l’installazione di una stazione radio base per telefonia mobile con il canone annuo di € 20.000,00, durata nove anni, decorrenza 1.8.2011 e scadenza 31.7.2020 e (2) atto A.P. n. 1375 del 25 novembre 2014 intercorso tra la per l’utilizzo di una porzione dell’area di copertura dell’immobile di proprietà comunale sito in INDIRIZZO 5, per l’installazione di una stazione radio base per telefonia mobile, con il canone annuo di € 22.010,64, durata nove anni, decorrenza 1.11.2012 e scadenza 31.10.2021; – che con atto A.P. n. 2069 del 26 aprile 2017 era intercorso tra contratto per l’utilizzo di una porzione di area per il mantenimento di un impianto fisso di tele-radiocomunicazioni collocato sulla sommità di una torre faro, facente parte del più ampio complesso sportivo denominato “RAGIONE_SOCIALE”, sito in INDIRIZZO con il canone annuo di € 16.000,00, durata sei anni, decorrenza 1.05.2017 e scadenza 30.04.2023;

– che con atto A.P. n. 26 del 28 giugno 2019, la stipulava con un contratto per l’utilizzo di due aree site nell’edificio di proprietà comunale di INDIRIZZO per l’installazione di un impianto di telefonia mobile, con il canone annuo di € 23.260,32, durata in tre anni, decorrenza dal 1° luglio 2019 al 31 luglio 2021;

– che tutti i quattro contratti erano giunti a naturale scadenza e le aree erano ancora occupate e utilizzate da in regime di indennità di occupazione extra contrattuale, con previsione di pagamento dei seguenti canoni annuali:

(1) INDIRIZZO – Euro 21.0222,99;

(2) INDIRIZZO – Euro 22.509,38;

(3) INDIRIZZO – Euro 23.190,26;

(4) INDIRIZZO Mirafiori – Euro 17.132,76;

– che il , con note a mezzo pec prot.

n. 3301 dell’11.5.2023, n. 4194 del 13.6.2023 e n. 6027 del 4.9.2023, sollecitava il pagamento degli importi dovuti;

– che gli avvisi di accertamento opposti, regolarmente notificati da in qualità di concessionario per la riscossione del , erano stati emessi per recuperare i predetti importi.

In diritto ha sostenuto:

1. il difetto di legittimazione di esso esponente quanto ai vizi degli atti di accertamento;

2. l’infondatezza nel merito dei motivi di opposizione concernenti l’errata indicazione dell’autorità a cui proporre opposizione e l’indeterminatezza del credito azionato;

3. l’infondatezza della doglianza relativa alla violazione di norme imperative costituite dalla disciplina del settore tenuto conto delle seguenti circostanze:

(i) le somme pagate al per l’utilizzo di beni di proprietà pubblica sono del tutto in linea con i canoni riscossi dai proprietari privati;

(ii) i canoni erano stati concordati tra le parti;

(iii) l’area destinata ad ospitare gli impianti di telefonia non rientrava nel patrimonio indisponibile comunale ma in quella disponibile e il rapporto si inquadrava nello schema privatistico della locazione di immobile urbano;

(iv) non si verteva in fattispecie di messa a disposizione, da parte del , di opere e impianti infrastrutturali, bensì di concessione in uso di parte della copertura di alcuni edifici pubblici, acquisibili anche sul libero mercato, con conseguente inapplicabilità dell’art. 88, comma 6, D.Lgs. n. 259/2003;

(v) non si applicava il canone Cosap non essendo i beni sui quali sono posizionati gli impianti destinati all’uso pubblico;

(vi) non trovava applicazione l’art. 93 d.lgs. n. 259/2003 vertendosi sui canoni derivanti da accordi contrattuali sottoscritti tra le parti, con irrilevanza della natura dei beni oggetto degli accordi;

(vii) che l’art. 8 bis comma 1, lettera c), d.-l.

n. 135/2018 convertito dalla l. n. 12/2019, n. 12, era norma innovativa e non interpretativa e non poteva, dunque, essere applicata retroattivamente;

4. l’infondatezza della domanda di rinnovo dei contratti, in quanto (i) le previsioni contrattuali non prevedevano alcun rinnovo tacito;

(ii) il rinnovo contrastava con la previsione regolamentare a mente del quale per addivenire al rinnovo di qualsivoglia contratto sono necessari l’assenza di morosità e il corretto adempimento degli obblighi contrattuali da parte del contraente (Cfr. Regolamento Comune n. 397);

(iii) per il rinnovo e la stipulazione dei contratti di INDIRIZZO, INDIRIZZO e INDIRIZZO occorreva l’autorizzazione della , essendo i beni sottoposti a vincolo di interesse artistico e culturale.

ha concluso chiedendo il rigetto delle domande proposte da Con la memoria ex art. 171 ter n. 1 c.p.c., INWIT (i) ha contestato di aver ricevuto gli avvisi bonari indicati dal (ii) ha sostenuto che tutte le concessioni avevano a oggetto beni indisponibili (iii) ha ribadito l’unicità delle pretese creditorie del soggetto pubblico in materia, da ricondursi – indipendentemente dal loro nome o dalla loro natura, per come prevista dagli strumenti regolamentari, di canone, contributo, tributo, ecc. – alla disciplina TOSAP o, in alternativa, COSAP; (iv) ha sostenuto che l’art. 8 bis del D. Lgs. 135/2018 integrava una norma imperativa applicabile ai rapporti di durata ancora in corso quali quelli in esame sia che si trattasse di convenzioni-contratto accessive alle concessioni di beni del patrimonio indisponibile, sia ai contratti di locazione di beni disponibili;

(v) ha affermato che lo scadere delle concessioni non comportava il venir meno del radicale divieto contenuto nell’art. 93 del d.lgs. n. 259 del 2003 applicabile alla occupazione a qualsiasi titolo effettuata di aree con infrastrutture di telecomunicazione;

(viii)

che i canoni dovevano essere di importo pari a € 800,00 a mente dell’art. 1, comma 831-bis, della Legge n. 160/2019.

Con la memoria ex art. 171 ter n. 2 c.p.c. il ha ribadito (i) di aver agito nell’esercizio della sua autonomia negoziale e paritetica ponendo in essere un ordinario rapporto di diritto privato (ii) che i luoghi in cui sono collocate le “antenne” non assolvono ad alcuna delle funzioni per i quali è prevista la sottoposizione al vincolo della demanialità o della indisponibilità patrimoniale;

(iii) che non rientrando nelle attribuzioni del l’esercizio del servizio dei telecomunicazioni, l’area a tale scopo destinata non può assumere la qualifica di patrimonio indisponibile comunale;

(iv) che i singoli utilizzi non riguardano gli interi immobili ma solo parti di essi, non specificatamente destinate al soddisfacimento dell’interesse della collettività e come tali non riconducibili all’istituto della concessione amministrativa.

Con ordinanza 18.3.2024, il Giudice ha rigettato le istanze istruttorie e ha fissato udienza per l’assunzione della causa a decisione previa concessione dei termini previsti dall’art. 189 c.p.c. con sostituzione dell’udienza di assunzione della causa a decisione con il deposito di note scritte effettuato da entrambe le parti in data 4.11.2024.

2.

Con un primo motivo di opposizione, sostiene la nullità degli atti impugnati per mancata indicazione della normativa circa il rito applicabile all’impugnazione dell’atto, nonché per erronea indicazione dell’autorità giudiziaria competente.

L’eccezione è priva di fondamento.

Assorbente risulta il rilievo che l’omessa indicazione delle informazioni relative all’autorità cui proporre ricorso e del termine entro cui il destinatario può impugnare non determina l’invalidità del provvedimento, ma comporta eventualmente sul piano processuale la scusabilità dell’errore in cui sia eventualmente incorso il ricorrente, da esaminarsi caso per caso, con conseguente possibilità di remissione in termini (cfr. Cassazione n. 25023/2021).

Nel caso di specie ha correttamente impugnato l’atto ex art. 32 del D. Lgs. n. 150/2011 in forza del quale “le controversie in materia di opposizione all’ingiunzione per il pagamento delle entrate patrimoniali degli enti pubblici di cui dell’articolo 3 del testo unico delle disposizioni di legge relative alla riscossione delle entrate patrimoniali dello Stato e degli altri enti pubblici approvato con regio decreto 14 aprile 1910, n. 639, sono regolate dal rito ordinario di cognizione.

È competente il giudice del luogo in cui ha sede l’ufficio che ha emesso il provvedimento opposto”.

Ciò posto, il primo motivo di opposizione deve essere rigettato.

3. Con un secondo motivo di opposizione, sostiene l’indeterminatezza della pretesa azionata con gli atti di accertamento opposti.

L’assunto è privo di fondamento in quanto gli atti di accertamento contengono sufficienti indicazioni per consentire a di ricondurre le pretese in essi contenute ai rapporti in essere con il.

In particolare, la descrizione della pretesa patrimoniale come indennità di occupazione o canone, lo specifico periodo di imputazione, l’importo dei singoli canoni e indennità e il richiamato all’avviso bonario sono elementi di per sé sufficienti a consentire alla opponente di comprendere a quale pretesa patrimoniale gli avvisi fanno riferimento.

A fortiori, si rileva che si è compiutamente difesa sin dal primo atto introduttivo con riguardo alle pretese ex adverso azionato e il suo diritto nel presente giudizio non è risultano in alcun modo leso dal contenuto degli avvisi.

Ne consegue che anche il presente motivo di opposizione è infondato.

4. Prima di esaminare il merito dell’opposizione appare preliminarmente necessario ripercorrere l’evoluzione normativa dell’art. 93 del D. Lgs. n. 259/2003 (Codice delle Comunicazioni Elettroniche):

il testo originario, in vigore sino al 31.05.2012, rubricato “Divieto di imporre altri oneri”, stabiliva:

“1. Le pubbliche Amministrazioni, le Regioni, le Province ed i Comuni non possono imporre, per l’impianto di reti o per l’esercizio dei servizi di comunicazione elettronica, oneri o canoni che non siano stabiliti per legge.

2.

Gli operatori che forniscono reti di comunicazione elettronica hanno l’obbligo di tenere indenne l’Ente locale, ovvero l’Ente proprietario, dalle spese necessarie per le opere di sistemazione delle aree pubbliche specificamente coinvolte dagli interventi di installazione e manutenzione e di ripristinare a regola d’arte le aree medesime nei tempi stabiliti dall’Ente locale.

Nessun altro onere finanziario o reale puo’ essere imposto, in base all’articolo 4 della legge 31 luglio 1997, n. 249, in conseguenza dell’esecuzione delle opere di cui al Codice, fatta salva l’applicazione della tassa per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche di cui al capo II del decreto legislativo 15 novembre 1993, n. 507, oppure del canone per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche di cui all’articolo 63 del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446, e successive modificazioni ed integrazioni, calcolato secondo quanto previsto dal comma 2, lettera e), del medesimo articolo, ovvero dell’eventuale contributo una tantum per spese di costruzione delle di cui all’articolo 47, comma 4, del predetto decreto legislativo 15 novembre 1993, n. 507. ”;

Con il D. Lgs n. 70/2012, in vigore dall’1.06.2012, la norma è stata modificata come segue:

“1. Le Pubbliche Amministrazioni, le Regioni, le Province ed i Comuni non possono imporre per l’impianto di reti o per l’esercizio dei servizi di comunicazione elettronica, oneri o canoni che non siano stabiliti per legge.

2.

Gli operatori che forniscono reti di comunicazione elettronica hanno l’obbligo di tenere indenne la Pubblica Amministrazione, l’Ente locale, ovvero l’Ente proprietario o gestore, dalle spese necessarie per le opere di sistemazione delle aree pubbliche specificamente coinvolte dagli interventi di installazione e manutenzione e di ripristinare a regola d’arte le aree medesime nei tempi stabiliti dall’Ente locale.

Nessun altro onere finanziario, reale o contributo puo’ essere imposto, in conseguenza dell’esecuzione delle opere di cui al Codice o per l’esercizio dei servizi di comunicazione elettronica, fatta salva l’applicazione della tassa per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche di cui al capo II del decreto legislativo 15 novembre 1993, n. 507, oppure del canone per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche di cui all’articolo 63 del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446, e successive modificazioni, calcolato secondo quanto previsto dal comma 2, lettere e) ed f), del medesimo articolo, ovvero dell’eventuale contributo una tantum per spese di costruzione delle gallerie di cui all’articolo 47, comma 4, del predetto decreto legislativo 15 novembre 1993, n. 507. ”;

Il D.Lgs. 15 febbraio 2016, n. 33 (di attuazione della Direttiva 2014/61/UE del Parlamento Europeo), all’art. 12, terzo comma, ha previsto che:

“L’articolo 93, comma 2, del decreto legislativo 1° agosto 2003, n. 259, e successive modificazioni, si interpreta nel senso che gli operatori che forniscono reti di comunicazione elettronica possono essere soggetti soltanto alle prestazioni e alle tasse o canoni espressamente previsti dal comma 2 della medesima disposizione.

”;

L’art. 8-bis del D.L. 14 dicembre 2018, n. 135, convertito con modificazioni dalla L. 11 febbraio 2019, n. 12, ha integrato l’art. 12, terzo comma, del D.Lgs. 15 febbraio 2016, n. 33, predetto, recita:

“L’articolo 93, comma 2, del decreto legislativo 1° agosto 2003, n. 259, e successive modificazioni, si interpreta nel senso che gli operatori che forniscono reti di comunicazione elettronica possono essere soggetti soltanto alle prestazioni e alle tasse o canoni espressamente previsti dal comma 2 della medesima disposizione, restando quindi escluso ogni altro tipo di onere finanziario, reale o contributo, comunque denominato, di qualsiasi natura e per qualsivoglia ragione o titolo richiesto.

”.

Come condivisibilmente argomentato dalla Corte d’Appello di Torino nella pronuncia n. 619/2021, la portata della disciplina legislativa in esame, nell’evoluzione derivante dalle modifiche di cui si è dato conto, è stata recentemente chiarita dal Consiglio di Stato, sez. VI, nella sentenza 3 giugno 2020, n. 3467, e può essere così sintetizzata:

“a. l’art. 93 CCE è espressione di un principio fondamentale dell’ordinamento in materia di telecomunicazioni, in quanto persegue la finalità di garantire a tutti gli operatori un trattamento uniforme e non discriminatorio attraverso la previsione del divieto di porre a loro carico oneri o canoni, posto che – ove ciò non fosse – ogni singola amministrazione munita di potestà impositiva potrebbe liberamente prevedere obblighi pecuniari a carico dei soggetti operanti sul proprio territorio;

b. la norma ha posto un limite al potere impositivo unilaterale degli enti territoriali ma non ha contemplato minimamente eventuali canoni pattuiti convenzionalmente nell’ambito di concessioni-contratto aventi ad oggetto beni demaniali o patrimoniali indisponibili;

c. l’art. 12, terzo comma, del D. Lgs. n. 33/2016, sopra citato, ha chiarito che la disposizione deve essere interpretata nel senso che gli operatori che forniscono reti di comunicazione elettronica siano sottoposti soltanto alle tasse o canoni (TOSAP o COSAP) previsti dal secondo comma dell’art. 93, con ciò restando per tali soggetti esclusa l’applicabilità del primo comma, concernente genericamente l’attività di “impianto di reti” o di “esercizio dei servizi di comunicazione elettronica”;

d. trattasi di norma di interpretazione autentica, come stabilito anche da Cass. civ., sez. 1, n. 283/2017;

e. diversa valenza deve invece essere attribuita all’integrazione apportata alla citata norma di interpretazione autentica dall’art. 8-bis del D.L. n. 135/2018, il quale ha esteso il contenuto precettivo della limitazione dei poteri impositivi unilaterali degli enti territoriali ad oneri che trovino la loro fonte in qualsiasi altro titolo, e – quindi – anche ai canoni riconducibili a titoli convenzionali, quali (per quanto di rilievo nella fattispecie all’esame del Consiglio di Stato) convenzioni accessive ad atti di concessione in uso di beni pubblici che, in via pattizia, disciplinano l’assetto patrimoniale del rapporto concessorio; f.

infatti, mentre la norma di interpretazione autentica si limita a chiarire e precisare il significato della norma interpretata rendendo vincolante una tra le varie interpretazioni possibili, non può attribuirsi natura interpretativa alla disposizione che integri il precetto della disposizione preesistente aggiungendone uno nuovo e allargandone l’ambito di applicazione a fattispecie esulanti da quello originario;

g. conseguentemente, l’estensione del divieto impositivo di cui al secondo comma dell’art. 93 del CCE a fattispecie di determinazione del canone che trovino il loro titolo in una fonte contrattuale e pattizia, accessiva alla concessione in uso del bene pubblico, estensione scaturente dall’art. 8 bis, citato, è applicabile solo alle fattispecie future”.

La Corte ha quindi evidenziato che nel caso esaminato dal Consiglio di Stato, l’art. 8 bis è stato ritenuto non applicabile, in quanto la fattispecie al suo esame si era esaurita sotto la disciplina previgente, essendo la concessione- contratto venuta a scadenza il 14 marzo 2017.

Ha, invece, sostenuto che la disposizione trovi applicazione alle convenzioni pendenti alla data della sua entrata in vigore, per il periodo ad essa successivo.

Sul punto, la Corte d’Appello ha richiamato il principio affermato dalla Corte di Cassazione nella pronuncia n. 1689/2006, ribadito nell’arresto n. 17150/2016, secondo il quale “relativamente ad un rapporto contrattuale di durata, l’intervento, nel corso di essa, di una nuova disposizione di legge diretta a porre, rispetto al possibile contenuto del regolamento contrattuale, una nuova norma imperativa condizionante l’autonomia contrattuale delle parti nel regolamento del contratto, in assenza di una norma transitoria che preveda l’ultrattività della previgente disciplina normativa non contenente la norma imperativa nuova, comporta che la contrarietà a quest’ultima del regolamento contrattuale non consente più alla clausola di operare, nel senso di giustificare effetti del regolamento contrattuale che non si siano già prodotti, in quanto, ai sensi dell’art. 1339 cod. civ., il contratto, per quanto concerne la sua efficacia normativa successiva all’entrata in vigore della norma nuova, deve ritenersi assoggettato all’efficacia della clausola imperativa da detta norma imposta, la quale sostituisce o integra per l’avvenire (cioè per la residua durata del contratto) la clausola difforme, relativamente agli effetti che il contratto dovrà produrre e non ha ancora prodotto”. Le argomentazioni svolte dalla Corte d’Appello di Torino nella sentenza richiamata sono condivisibili e comportano quale conseguenza che l’art. 8 bis del D.L. n. 135/2018, convertito con modificazioni dalla L. 11 febbraio 2019, n. 12 richiamato è norma che si applica ratione temporis ai rapporti di durata che risultino produttive di effetti al momento della entrata in vigore della disposizione stessa.

Nel caso di specie i primi tre rapporti oggetto di causa che trovano la loro fonte nelle concessioni 27.03.2015 (doc. 1 , 25.11.2014 (doc. 2 , 26.04.2017 (doc. 3 producevano ancora effetti al momento dell’entrata in vigore dell’art. 8 bis richiamato mentre la concessione 27.06.2019 (doc. 7 è sorta nel vigore di tale disposizione.

Ne consegue che per le prime tre concessioni si è verificata una inefficacia sopravvenuta del rapporto concessorio limitatamente al periodo successivo all’entrata in vigore di detta norma, ai sensi dell’art. 1339 cod. civ., posto che i tre rapporti devono ritenersi assoggettati all’efficacia della clausola imperativa imposta dall’art. 8 bis richiamato, mentre per il rapporto relativo all’utilizzo delle due aree site nell’edificio di proprietà comunale di INDIRIZZO in quanto stipulato successivamente all’entrata in vigore della disposizione, la norma relativa alla determinazione del canone risulta in contrasto con la disciplina legislativa vigente. Il Comune, peraltro, assume che l’art. 8 bis del D.L. n. 135/2018, convertito con modificazioni dalla L. 11 febbraio 2019, n. 12 non trovi applicazione in quanto i luoghi in cui sono collocate le “antenne” non assolvono ad alcuna delle funzioni per i quali è prevista la sottoposizione al vincolo della demanialità o della indisponibilità patrimoniale e appartengono, dunque, al patrimonio disponibile dell’Ente.

L’assunto non può essere condiviso.

Come sostenuto nella richiamata della Corte d’Appello di Torino n. 619/2021 “Il Consiglio di Stato ha efficacemente chiarito che l’art. 93, secondo comma, del CCE poneva un limite al potere impositivo unilaterale degli enti territoriali nell’ambito dei beni demaniali o patrimoniali indisponibili.

La locuzione secondo cui nessun altro onere finanziario, reale o contributo può essere imposto, in conseguenza dell’esecuzione delle opere di cui al Codice o per l’esercizio dei servizi di comunicazione elettronica, al di fuori della Tosap o del Cosap (la sottolineatura è dello scrivente) porta senz’altro ad escludere che la norma potesse trovare applicazione con riferimento ai beni del patrimonio disponibile, come tali non oggetto di atti unilaterali impositivi ma di libera contrattazione.

Diversamente è da ritenersi dopo l’entrata in vigore dell’art 8 bis.

Siccome la norma introduce un limite al potere dell’Amministrazione anche in fattispecie di determinazione del canone che trovino il loro titolo in una fonte contrattuale e pattizia, la disposizione deve trovare applicazione sia nei casi di convenzioni-contratto accessive alle concessioni di beni del patrimonio indisponibile, come precisato dal Consiglio di Stato, sia ai contratti di locazione di beni disponibili”.

Le argomentazioni svolte dalla Corte d’Appello, che si condividono, comportano l’irrilevanza della natura del bene – appartenente al demanio non disponibile o disponibile – ai fini dell’applicazione dell’art. 8 bis del D.L. n. 135/2018, convertito con modificazioni dalla L. 11 febbraio 2019, n. 12.

A fortiori la natura indisponibile dei beni si evince (1) quanto al contratto relativo all’immobile sito in INDIRIZZO, dalla descrizione dello stesso nell’atto AP 1465 del 27.3.2015 (doc. 1 del Comune) nel quale si indica espressamente alla riga sei della seconda pagina che trattasi di bene demaniale indisponibile;

(2) quanto al contratto relativo all’immobile sito in INDIRIZZO, dalla descrizione dello stesso A.P. n. 1375 del 25 novembre 2014 (doc. 2 Comune) nel quale si indica espressamente alle righe 18 e 19 della seconda pagina che trattasi di bene demaniale indisponibile;

(3)

quanto al contratto relativo all’immobile denominato “RAGIONE_SOCIALE”, sito in INDIRIZZO, l’appartenenza del bene al patrimonio indisponibile ai sensi dell’art. 826 cod. civ., u.c., deriva «dall’essere un impianto sportivo essendo destinati al soddisfacimento dell’interesse proprio dell’intera collettività allo svolgimento delle attività sportive che in essi hanno luogo”» (cfr. Cassazione 4430/2014);

(4) quanto al contratto relativo all’immobile sito in INDIRIZZO alla pagina due riga 20 si legge che si tratta di bene indisponibile.

Si deve, da ultimo, precisare che l’art. 8 bis del D.L. n. 135/2018, convertito con modificazioni dalla L. 11 febbraio 2019, n. 12 si applica non solo ai canoni relativi ai periodi di vigenza delle concessioni, ma altresì alle indennità di occupazione peri periodi successivi.

La norma dispone che resta escluso “ogni altro tipo di onere finanziario, reale o contributo, comunque denominato, di qualsiasi natura e per qualsivoglia ragione o titolo richiesto”, estendendo l’esclusione di qualsiasi onere finanziario diverso dalla Tosap o dalla Cosap a qualsiasi ragione e titolo richiesto e, dunque, sia alle somme derivanti da occupazione del bene a titolo contrattuale, sia a titolo risarcitorio contrattuale – art. 1591 c.c.- o extra contrattuale.

Alla luce delle considerazioni svolte, in accoglimento dell’opposizione proposta deve procedersi all’annullamento degli accertamenti esecutivi n. NUMERO_DOCUMENTO e n. NUMERO_DOCUMENTONUMERO_CARTA

5.

Deve, invece, essere rigettata la domanda proposta da di dichiarare il diritto della odierna attrice opponente al rinnovo delle concessioni.

Si osserva, infatti, che tutti gli atti denominati “Concessione” prevedono l’espressa esclusione di tacito rinnovo e che non sussiste alcuna disposizione normativa che imponga all’ente convenuto il rinnovo richiesto.

Se, infatti, sussiste il dovere giuridico dell’amministrazione ex art. 88 D. Lgs. 259/03 ora trasfuso nell’art. 49 del D. Lgs. 207/2021 comma 13, di leale cooperazione con l’operatore di telecomunicazione che chiede la concessione per installare un impianto, destinato alla produzione di un servizio pubblico essenziale, tale dovere rientra nell’esercizio dell’attività amministrativa ed è assoggettato alla disciplina procedurale nella norma invocata da controparte espressamente prevista, procedura che deve essere seguita dall’operatore per l’installazione degli impianti. 6.Alla luce della disciplina normativa vigente e delle argomentazioni svolte, deve essere dichiarata la inefficacia sopravvenuta dei seguenti articoli (i) 5 della concessione 27.03.2015, (ii) 5 della concessione 25.11.2014, (iii) 4 della concessione 26.04.2017 e la nullità dell’art. 6 della concessione 27.06.2019 per contrasto con l’art. 93 co. 2 del d.lgs. n. 259/2003 e con l’art. 8bis del D.L. n. 135/2018 convertito con modificazioni dalla L. 11 febbraio 2019, n. 12 e deve disporsi la loro sostituzione automatica ai sensi degli artt. 1339 e 1419 co. 2 c.c. con il regime di cui al citato art. 93 co.2 e s.m.i. con conseguente debenza a decorrere dall’entrata in vigore del comma 831 bis dell’art. 1 della L. 160 del 2019 dell’importo annuale di € 800,00 per ogni impianto.

7. Deve rigettarsi, infine, la domanda di compensazione (con attribuzione della relativa eccedenza a favore della opponente) delle somme corrisposte nel periodo di vigenza delle convenzioni con gli importi a qualsiasi titolo dovuti dalla odierna conchiudente per il periodo successivo e per tutta l’effettiva durata delle occupazioni, trattandosi di domanda generica che non consente né l’individuazione delle maggiori somme già corrisposte, né degli importi effettivamente dovuti.

8. Le spese di lite devono essere interamente compensate tra le parti, alla luce della parziale soccombenza e della particolare natura delle questioni giuridiche trattate, nonché della presenza di orientamenti della giurisprudenza di merito fra loro contrastanti in ordine alla risoluzione delle questioni esaminate.

Il Tribunale di Torino, definitivamente pronunciando, disattesa ogni contraria istanza, eccezione deduzione, nella contumacia di ANNULLA gli atti di accertamento esecutivi n. NUMERO_DOCUMENTO e n. NUMERO_CARTA emessi da nei confronti di DICHIARA l’inefficacia sopravvenuta delle clausole contrattuali di determinazione del canone contenute nei seguenti articoli (i) 5 della concessione 27.03.2015, (ii) 5 della concessione 25.11.2014, (iii) 4 della concessione 26.04.2017 e la nullità dell’art. 6 della concessione 27.06.2019 per contrasto con l’art. 93 co. 2 del d.lgs. n. 259/2003 e con l’art. 8bis del D.L. n. 135/2018 (l. conv. n. 12/2019) con loro sostituzione automatica ai sensi degli artt. 1339 e 1419 co. 2 c.c. con il regime di cui al citato art. 93 co.2 e s.m.i. con conseguente debenza a decorrere dall’entrata in vigore del comma 831 bis dell’art. 1 della L. 160 del 2019 dell’importo annuale di € 800,00 per ogni impianto.

RIGETTA le ulteriori domande proposte da nei confronti di COMPENSA integralmente le spese di lite fra le parti.

Torino, 5 novembre 2024

Il Giudice dott.ssa NOME COGNOME

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