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Codice Penale

Impugnazione incidentale tardiva, sempre ammissibile

Sempre ammissibile l’impugnazione incidentale tardiva anche quando attinga un capo della decisione diverso da quello oggetto del gravame principale.

Pubblicato il 21 September 2022 in Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

La Corte di Appello di Napoli – II sezione civile, in persona dei Magistrati:

ha emesso la seguente

SENTENZA n. 3826/2022 pubblicata il 16/09/2022

nella causa civile, in grado d’appello, iscritta al n.r.g. 1783/2016, assunta in decisione all’udienza del 6 aprile 2022

TRA

Condominio “XXX” in Ischia

APPELLANTE

CONTRO

YYY, c.f., ZZZ, c.f., KKK, c.f. e JJJ, c.f., rappresentati e difesi, giusta mandato a margine della comparsa di costituzione e risposta contenente appello incidentale, dagli Avvocati

APPELLATI – APPELLANTI INCIDENTALI

NONCHÉ

MMM, c.f.; NNN, c.f.; OOO, c.f.; RRR, c.f., eredi di ***

EREDI DELL’APPELLANTE – NON COSTITUITI

OGGETTO: appello a sentenza del Tribunale di Napoli, sezione distaccata di Ischia, n. 2096/2016 datata 12 febbraio 2016, pubblicata il 17 febbraio 2016 e notificata l’11 marzo 2016 in materia di rivendica di aree condominiali con eccezione e domanda di usucapione

CONCLUSIONI: come da verbali di causa che si abbiano per integralmente trascritti

RAGIONI DI FATTO E DIRITTO DELLA DECISIONE.

1. Con atto di citazione ritualmente notificato il Condominio XXX e il condomino *** hanno impugnato la sentenza n. 2096/2016 datata 12 febbraio 2016, pubblicata il 17 febbraio 2016 e notificata l’11 marzo 2016, con cui il giudice unico del Tribunale di Napoli, sezione distaccata di Ischia, ha respinto le domande attoree volte ad accertare l’occupazione abusiva delle aree di proprietà condominiale edificate in ampliamento dell’interno 501 e a reprimere le realizzazioni abusive all’interno del 401 e, non riconoscendo alcuna indennità per l’illegittima occupazione, ha rigettato anche la domanda per il risarcimento dei danni causati dal maggior aggravio statico derivante dalle costruzioni in ampliamento della proprietà dei convenuti all’interno 501 e per le realizzazioni abusive nell’interno 401 nonché la domanda volta ad ottenere i danni derivanti dall’eliminazione delle pluviali; ha invece dichiarato che YYY, ZZZ, KKK e JJJ hanno usucapito la proprietà della copertura del terrazzo originariamente scoperto e pilastrato prospiciente l’interno 401, dell’estradosso di detta copertura costituente terrazzo prospiciente l’interno 501, nonché del terrazzo prospiciente l’interno 501 ed ha compensato le spese di lite, ponendo definitivamente a carico delle parti in uguale misura le spese di consulenza.

1.1. Il Condominio appellante ha – preliminarmente – chiesto di rimettere, ai sensi dell’art. 354 c.p.c., la causa riunita, individuata in primo grado dal numero di procedimento 95697/2005, al Tribunale, previa sua separazione dal giudizio riunito e distinto dal n.r.g. 95493/2005, per essere la sentenza nella parte in cui l’ha decisa affetta da nullità per insanabile difetto di contraddittorio.

Ha osservato a tal proposito come il giudice di prime cure, decidendo la domanda proposta in maniera autonoma ma indubbiamente connessa e quindi riunita al giudizio precedentemente proposto dal Condominio, da *** e ***, avrebbe dovuto disporre l’integrazione del contraddittorio ex art. 102 c.p.c. nei confronti di tutti i condomini del “XXX”, quali comproprietari dei beni comuni, annoverandosi tra questi i terrazzi di cui gli attori hanno domandato l’acquisto per usucapione, essendo la regolare costituzione del rapporto processuale requisito imprescindibile per poter accedere ad una pronuncia nel merito e la questione rilevabile d’ufficio dal giudice.

1.2. Nel merito, parte appellante ha protestato l’erroneità della statuizione di avvenuto acquisto per usucapione dai convenuti e attori nel giudizio riunito *** e *** dei manufatti abusivi da costoro occupati, sia in ragione del fatto che dette consistenze neppure sarebbero esistite al tempo dell’assegnazione, come reso palese dalle planimetrie catastali e dalle istanze di condono presentate in data 10 dicembre 1985, non essendo i manufatti in contestazione stati allora ancora realizzati, sia per essere stata omessa la verifica del contenuto delle singole domande di condono, relative non già ai manufatti realizzati sui beni condominiali, quanto alle parti comuni e al cambio di destinazione della struttura, con la specifica per talune difformità nei singoli alloggi.

L’incerta datazione delle opere, ad opinione di parte appellante, renderebbe evanescente la prova, doverosa per chi afferma di avere acquistato per usucapione, del possesso a iniziare da una data certa, non bastando l’indicazione generica di un’epoca antecedente le domande di condono, presentate a dicembre 1985.

Al difetto di omessa individuazione di una data certa di decorrenza del termine utile all’acquisto a titolo originario si accompagnerebbe, secondo la difesa appellante, l’inidoneità delle domande di condono a testimoniare la data effettiva di realizzazione dei manufatti abusivi, necessaria per accertare il decorso del ventennio utile ad usucapire. A dire degli appellanti, il Tribunale avrebbe con superficialità omesso di considerare che alcun termine potrebbe ritenersi decorso avendo il 30 dicembre 1985 ***, dante causa degli appellati, partecipando all’atto di assegnazione, manifestato la volontà contraria ad un possesso uti dominus e connotato di esclusività, avendo – anzi – riconosciuto compresi tra i beni comuni in base all’art. 1117 c.c. i terrazzi oggetto di contestazione.

Parte appellante ha anche deplorato la soluzione prescelta dal giudice di prime cure riguardo all’interversione nel possesso, ritenendo malamente applicato l’art. 1168 c.c. in assenza della prova dell’immissione nel possesso dei beni condominiali (i terrazzi), risultando viceversa provata la detenzione, tramutatasi in possesso solamente per gli appartamenti contraddistinti con i nn. 401 e 501.

A parere della difesa appellante, né dalla delibera del 9 dicembre 1976 di assegnazione in godimento, né dal successivo atto di assegnazione del 30 dicembre 1985 di trasferimento del possesso, si trarrebbe la prova dell’assegnazione dei terrazzi, essendo indicati i soli interni nn. 401 e 405.

Ancora, parte appellante ha contestato la decisione del Tribunale laddove ha evinto l’interversione dal non avere la detenzione per assegnazione previsto la realizzazione di trasformazioni né abusi.

In ordine alla valutazione delle prove, la difesa di parte appellante ha evidenziato che, ove il Tribunale avesse adeguatamente compreso le testimonianze raccolte in primo grado, particolarmente quelle provenienti da ***, ***, *** e ***, sarebbe pervenuto al rigetto della domanda avversaria.

Ha quindi contestato omesso esame e pronuncia sulla sua domanda risarcitoria per il ristoro del danno materiale da avvenuta modifica delle pluviali e da danno statico ed estetico inferto al fabbricato, deprecando la mancata loro quantificazione dall’ausiliare del Tribunale, nonostante l’evidenza degli illeciti perpetrati ai danni dei beni comuni. Il Condominio ha – infine – reiterato la richiesta di risarcimento del danno da “occupazione abusiva”, corollario dell’auspicato accoglimento delle sue domande di accertamento delle condotte abusive poste in essere dagli appellati e del conseguente ordine di abbattimento, arretramento e rimessione in possesso dei beni condominiali sottratti al godimento comune, da conteggiarsi in base ai calcoli del consulente tecnico.

Sono state – quindi – reiterate tutte le pretese risarcitorie formulate nel corso del primo grado del giudizio.

2. Si sono costituiti in appello YYY, ZZZ, KKK e JJJ chiedendo il rigetto delle pretese di controparte e spiegando appello incidentale.

2.1. Con esso si è contestata la sentenza nella parte in cui il Tribunale, riconoscendo il loro acquisto per usucapione, ha incluso tra i beni oggetto di possesso utile a tal fine, attribuendogli dunque implicitamente natura condominiale, il terrazzo prospiciente l’interno 401, cespite invece assegnato loro in proprietà, deducendo, relativamente ad esso, violazione del combinato disposto degli artt. 112 e 116 c.p.c..

Hanno anche deprecato la decisione di ritenere il terrazzo antistante l’immobile al terzo piano, prospiciente l’interno n. 501, di proprietà condominiale, contrariamente a quanto desumibile dalla planimetria catastale 719/1975 e dall’atto del 30 dicembre 1985, all’uopo evidenziando come la proprietà esclusiva del terrazzo posto al secondo piano, prospiciente l’interno 401, riportato dalla scheda catastale 711/1975, si estenda anche alla sua copertura composta dal lastrico solare a livello del terzo piano, superna al portico del piano inferiore. Accertata la natura condominiale dei beni pretesi in proprietà dall’attore, il Tribunale, accogliendo la domanda del giudizio riunito di avvenuto loro acquisto per usucapione, avrebbe pronunciato in maniera satisfattiva delle loro ragioni ma, una volta revocato in dubbio il titolo dell’acquisto come decretato dal Tribunale, ossia quello originario, sussisterebbe l’interesse degli appellati a far rilevare il vizio di ultrapetizione del primo giudice che, recependo le conclusioni del C.T.U. che ha ritenuto condominiale l’intero terrazzo del cespite 401, avrebbe omesso di considerare che la domanda attorea ha riguardato le sole aree edificate in ampliamento degli interni 401 e 501, senza che alcuna pretesa abbia interessato il rilascio del terrazzo che, a dire degli eredi ***, sarebbe loro pervenuto perché rappresentato nella scheda catastale n. 711 del 25 novembre 1975 richiamata dal titolo di acquisto atto per notar *** del 30 dicembre 1985. A loro opinione, dunque, la pretesa del Condominio attore avrebbe riguardato unicamente la scala in ferro che, a dire di questi, avrebbe collegato indebitamente l’estradosso della copertura del terrazzo già pilastrato facente parte dell’appartamento int. 401 con il terrazzo antistante l’appartamento int. 501 e ne sarebbe prova il fatto che l’assegnazione per notar ***, nel descrivere i confini del cespite, non contiene alcun riferimento ad un terrazzo condominiale, ma solo alla scala e alle unità immobiliari n. 402 e 407. È stata evocata anche la misura dell’appartamento riportata dalle tabelle millesimali e il regolamento condominiale dell’anno 1986 che indica come vadano conteggiati i balconi e le aree di pertinenza esclusiva. Si è infine richiamata l’azione di danni da infiltrazioni proposta dal condomino *** con citazione notificata il 23 aprile 2011 che ha individuato negli odierni appellanti incidentali i proprietari dei terrazzi dai quali sarebbero pervenute le percolazioni nocive.

Hanno quindi concluso perché sia riconosciuta loro la proprietà esclusiva del terrazzo, prospiciente l’interno 401, nonché dell’estradosso di detta copertura, costituente il terrazzo prospiciente l’interno 501, con conseguente rigetto della domanda avversaria di ripristino dello stato dei luoghi e di risarcimento del danno statico, estetico oltre che da rimozione delle pluviali, con vittoria di spese diritti ed onorari.

3. In grado di appello non è stata svolta ulteriore attività istruttoria mentre è stato acquisito il fascicolo del primo grado del giudizio.

All’udienza del 6 ottobre 2021, fissata per la precisazione delle conclusioni, è stato dichiarato il decesso dell’appellante *** ed il giudizio è stato perciò interrotto.

Dopo la sua regolare riassunzione che non ha visto costituirsi gli eredi dell’***, all’udienza del 6 aprile 2022 le parti hanno rassegnato le rispettive conclusioni e la Corte ha riservato la causa in decisione concedendo i termini di cui all’art. 190 c.p.c. per lo scambio delle comparse conclusionali e delle memorie di replica.

4. Per meglio comprendere i fatti di causa giova riferire quanto accaduto in primo grado.

4.1. Con l’atto di citazione notificato il 3 – 10 ottobre 2005 che ha generato il giudizio iscritto al n.r.g. 493/2005 il Condominio “XXX” ha evocato dinanzi alla sezione distaccata di Ischia del Tribunale di Napoli YYY, ZZZ, KKK e JJJ, tutti eredi di ***, proprietari delle unità immobiliari della palazzina “A” all’interno del complesso condominiale distinte dagli interni 401 e 501, denunciando che costoro si sarebbero resi autori di ampliamenti dei loro cespiti occupando, con manufatti abusivi, le aree di proprietà comune. Per l’effetto hanno chiesto all’Autorità giudiziaria di dichiarare i convenuti occupanti abusivi delle aree di proprietà del Condominio “XXX” edificate in ampliamento dell’interno 501 e per le realizzazioni abusive all’interno del 401, condannando gli stessi all’arretramento entro le dimensioni di cui ai grafici allegati all’atto di acquisto del 30 dicembre 1985 nonché al pagamento in favore dell’ente gestorio di una somma a titolo di indennità di occupazione abusiva delle aree sottratte alla fruizione condominiale per tutto il tempo della loro condotta, oltre al risarcimento dei danni causati dal maggior aggravio statico derivato dalle costruzioni in ampliamento della proprietà dei convenuti all’interno 501 e dalle realizzazioni abusive relative all’interno 401, nonché per l’eliminazione delle pluviali, vinte le spese del giudizio.

4.1.1. Costituendosi per l’udienza fissata il 21 dicembre 2005 i convenuti hanno domandato il rigetto della domanda, a loro dire nulla per estrema genericità, in quanto basata su falsi presupposti, avendo *** e i suoi aventi causa usato i beni ex adverso pretesi condominiali come propri fin dal momento in cui sono stati immessi nel possesso degli appartamenti (9 dicembre 1976), presentando per essi le domande di sanatoria, di talché sarebbe comunque maturato il loro acquisto per usucapione.

4.2. Con successivo atto di citazione notificato in data 21 dicembre 2005 (che ha originato il giudizio n.r.g. 697/2005 di cui tuttavia il fascicolo processuale precedente la riunione non è disponibile, ancorché agevolmente ricostruibile), YYY, ZZZ, KKK e JJJ, anche quali eredi di ***, hanno dedotto di aver usucapito la superficie antistante gli appartamenti di loro proprietà all’interno del Condominio XXX in Ischia e distinti dagli interni 401 e 501, essendone venuti in possesso sin dal 1976, anno dal quale sarebbe ampiamente decorso il tempo necessario ai sensi dell’art. 1158 c.c.. Hanno precisato che, dall’epoca di assunzione del possesso degli immobili di cui è causa, ossia dal 9 dicembre 1976, ***, prima, e i suoi aventi causa, anche ai sensi dell’art. 1146 c.c., avrebbero usato come proprio il terrazzo antistante l’appartamento n. 501, tanto da far eseguire, nell’arco del trentennio, ogni necessario lavoro manutentivo di ordinaria e straordinaria amministrazione, assumendone gli oneri amministrativi economici e burocratici. A dimostrazione della cosa hanno ricordato come in data 10 dicembre 1985 *** abbia presentato domande di sanatoria edilizia, assunte al protocollo del Comune di Ischia ai nn. e, precisando come la successiva sanatoria abbia interessato la copertura del terrazzo originariamente scoperto, estendendosi anche all’estradosso di questa, ossia al lastrico solare, entrambi beni nel possesso continuato pacifico e ininterrotto degli istanti da quasi trent’anni.

Per l’effetto hanno citato il Condominio nella persona del suo amministratore e chiesto di essere dichiarati proprietari di parte del secondo piano dell’originario fabbricato costituente il Grande Albergo dei ***, rappresentato dal terrazzo pilastrato, nonché ordinarsi la trascrizione dell’emananda sentenza presso la Conservatoria dei Registri Immobiliari di Napoli, con vittoria e spese di giudizio.

4.3. I giudizi – riuniti – sono stati istruiti tramite prova orale (escussione quali testimoni di ***, ***, ***, ***) e consulenza tecnica per cui si è officiato l’ing.*** e, all’esito della discussione orale, sono stati decisi con la sentenza oggetto dell’odierno gravame.

5. In essa il giudice, individuato l’oggetto della controversia nella verifica della proprietà in capo ai convenuti delle aree rivendicate dall’attore come proprietà indivisa condominiale, ha ritenuto, dall’esame dei titoli di trasferimento – precisamente dall’atto per notar del 30 dicembre 1985 – *** proprietario delle porzioni distinte dal numero (unità immobiliare composta da 4,5 vani confinante con scala e con porzione distinta con i nn. e, denunciata per accatastamento all’U.T.E. di Napoli con scheda del 25 novembre 1975, registrata al n. 711 e insistente sulla particella  del foglio ) e dal n. 501 (accatastata all’U.T.E. di Napoli con scheda del 25 novembre 1975 registrata al n. 719 ed insistente sulla particella  del foglio ).

Ne ha dedotto che non essendo il terrazzo in contestazione, come rilevabile dalla planimetria catastale e qualificato bene condominiale, menzionato nel rogito d’acquisto, esso non sia stato trasferito con questo a ***.

Nondimeno, il Tribunale ha escluso che esso sia oggetto d’occupazione abusiva da parte dei convenuti, avendo costoro acquistato, sebbene non in forza di un titolo derivativo, ma per usucapione, le aree pertinenziali (terrazzi) agli appartamenti conseguiti in proprietà e esattamente individuabili nell’area prospiciente la porzione 501, costituita dall’estradosso della copertura da loro realizzata sul terrazzo prospiciente la porzione 401 e che costituisce proiezione ad coelum del terrazzo sottostante.

Per l’effetto, il giudice di prime cure ha escluso sia il riconoscimento del danno materiale, per nulla dimostrato, sia del danno da occupazione sine titulo, rigettando dunque le domande attoree e dichiarando YYY, ZZZ, KKK e JJJ proprietari per usucapione della copertura del terrazzo originariamente scoperto e pilastrato prospiciente l’interno 401, nonché dell’estradosso di detta copertura costituente terrazzo prospiciente l’interno 501, nonché del terrazzo prospiciente l’interno 501, ordinando al Conservatore dei Registri Immobiliari di Napoli l’iscrizione della sentenza presso la Conservatoria dei Registri Immobiliari e compensando tra le parti le spese di lite al 50 % tra attore e convenuti, inclusi i costi di consulenza.

6. Preliminarmente va sostenuta la tempestività dell’appello principale in quanto seguito nei trenta giorni alla notifica della sentenza, così rispettando l’art. 325 c.p.c..

6.1. Altrettanto, va dichiarato ammissibile l’appello incidentale ancorché tardivo, con cui è stato chiesto di riconoscere la proprietà esclusiva in capo agli eredi *** del terrazzo – originariamente scoperto – prospiciente l’interno 401 e dell’estradosso di detta copertura costituente il terrazzo prospiciente l’interno 501.

Il Condominio ha eccepito la tardività dell’appello incidentale rispetto alla sentenza che loro stessi hanno notificato a controparte in data 11 marzo 2016 in quanto esso è contenuto nella comparsa di costituzione e risposta – tempestiva ai sensi dell’art. 166 c.p.c. – depositata il 29 luglio 2016, ossia almeno venti giorni prima l’udienza indicata in citazione dall’appellante (20 settembre 2016), ma oltre i trenta giorni dalla notifica suddetta. La tesi del Condominio riposa sul principio per il quale “In tema di notificazione della sentenza ai sensi dell’art. 326 c.p.c., il termine breve di impugnazione di cui al precedente art. 325 c.p.c. decorre, anche per il notificante, dalla data in cui la notifica viene eseguita nei confronti del destinatario, in quanto gli effetti del procedimento notificatorio, ed in particolare la decorrenza del termine predetto, vanno unitariamente ricollegati al suo perfezionamento e, proprio perché interni al rapporto processuale, sono necessariamente comuni ai soggetti che ne sono parti” (Cassazione civile, sez. un., 04.03.2019, n. 6278 in materia di scissione soggettiva degli effetti della notificazione). Il principio è quello per cui il termine breve di cui all’art. 325 c.p.c. decorra non solo nei confronti del destinatario della notificazione, ma anche nei confronti del notificante (ovviamente nel caso in cui sia soccombente su un capo della sentenza), il quale, pertanto, subisce gli effetti dell’attività sollecitatoria che ha imposto all’altra parte (Cassazione civile, sez. un., 19.11.2007, n. 23829; Cassazione civile, 12.06.2007, n. 13732; Cassazione civile, 06.03.2018, n. 5177). Si è invero osservato che l’unicità del decorso del termine di impugnazione tutela l’equilibrio e la parità processuale fra le parti e garantisce, inoltre, la certezza dei rapporti giuridici, in quanto il giudicato si forma contemporaneamente nei confronti di tutte. Al contrario, la diversità del decorso del termine di impugnazione determinerebbe una sorta di disparità di trattamento nei confronti del notificante che, ove parzialmente soccombente, vedrebbe decorrere il proprio termine breve per impugnare prima della decorrenza del medesimo termine per il destinatario della notifica e prima ancora di avere la possibilità di verificare se tale notifica si sia perfezionata, con grave disarmonia sistematica, priva di ragioni ordinamentali giustificative (così Cassazione civile, sez. un. 13.06.2011, n. 12898).

Sennonché il principio per il quale l’impugnazione incidentale tardiva, da qualunque parte provenga, va dichiarata inammissibile laddove l’interesse alla sua proposizione non possa ritenersi insorto per effetto dell’impugnazione principale (su cui anche Cass. n. 12387/2016; Cass. n. 6156/2018 e, più recentemente, Cassazione civile, sez. III 24.08.2020 n. 17614), va conformato alla soccombenza che determina l’interesse all’impugnazione.

Non a torto gli eredi ***, avendo ottenuto una pronuncia loro totalmente favorevole (non essendo di immediato interesse, stante anche la natura autodeterminata dei diritti reali, che sia giudizialmente stabilito il titolo: se derivativo o se originario, del loro acquisto), hanno replicato richiamando l’art. 334 c.p.c..

In altre parole, la tesi dell’appellante per cui l’appello incidentale sarebbe inammissibile in quanto tardivo non considera che gli appellanti incidentali sono parsi soddisfatti interamente dalla sentenza e che l’interesse a dichiarare non condominiale la terrazza, accertamento implicito per l’accertamento della maturata sua usucapione, è sorto solo per conseguenza dell’impugnazione di quest’ultimo.

La Corte territoriale è persuasa che la preclusione eccepita dal Condominio potrebbe sussistere solo se l’interesse degli eredi *** non fosse sorto per effetto dell’appello principale di cui è stato latore, ma già in conseguenza dell’emanazione della sentenza, il che non è.

Su tale specifica questione, considerata di valore nomofilattico, la sesta sezione della Corte regolatrice, con l’ordinanza n. 27692 del 2017, ha rimesso la causa alla quarta, ponendo quale discrimine per la valutazione della preclusione o al contrario della possibilità di applicare l’art. 334 c.p.c. proprio il tema che il ricorso incidentale tardivo possa giustificarsi soltanto nel caso in cui l’interesse a impugnare sorga quale conseguenza diretta dell’impugnazione principale (con richiami al precedete costituito da Cassazione n. 17017/2015) e che viceversa non possa esserlo laddove l’impugnazione incidentale sia rivolta a contestare capi della sentenza impugnata che non sono stati oggetto d’impugnazione. Si tratta, nella seconda eventualità, di fattispecie estranea al caso sub judice.

Ebbene, l’orientamento di legittimità ritiene ormai pacificamente sempre ammissibile l’impugnazione incidentale tardiva anche quando attinga un capo della decisione diverso da quello oggetto del gravame principale o se investe lo stesso capo per motivi diversi da quelli già fatti valere, quante volte l’interesse ad impugnare sorga dall’eventualità che l’accoglimento dell’impugnazione principale modifichi l’assetto giuridico originariamente accertato dal primo giudice.

6.2. Altra questione è verificare se la proprietà esclusiva del terrazzo sia stata già proposta in primo grado, cosa di cui la difesa del Condominio dubita, fatto di per sé idoneo a rendere inammissibile l’appello incidentale.

La risposta è certamente affermativa e per convincersene è sufficiente la lettura della comparsa di costituzione e risposta nel giudizio introdotto per primo dal Condominio (n.r.g. 493/2005), resistendo alla cui azione YYY e ZZZ hanno immediatamente negato la proprietà comune assumendo che le consistenze immobiliari ex adverso reclamate siano state nella esclusiva e solitaria disponibilità del proprio dante causa che ne avrebbe goduto animo domini fin dall’assegnazione del dicembre 1976 e che solamente la natura al tempo abusiva non avrebbe consentito che venissero indicate dalle planimetrie catastali e, dunque, nell’atto seguente per notar  del dicembre 1985, mentre i successivi condoni in loro favore, a seguito della domanda di sanatoria edilizia presentata anch’essa a dicembre 1985, avrebbe consacrato un acquisto pacifico, indisturbato e ultra-trentennale.

Ancor più chiare rivendicazioni dei beni tuttora contesi sono contenute nella citazione del 21 dicembre 2005 che ha introdotto l’azione di usucapione distinta con il n.r.g. 697/2005 e poi riunito.

Il rilievo da ultimo svolto è utile alla decisione a prescindere dalla soluzione relativa al merito dell’appello incidentale.

7. Va individuata, in risposta alla questione della non integrità del contraddittorio riguardo alla domanda riconvenzionale di usucapione accolta dal primo giudice, oggetto del primo motivo dell’appello principale, qual è la materia devoluta alla cognizione della Corte e, ancor prima, al Tribunale.

Il Condominio ha contrastato la decisione del primo giudice di ritenere impedita la pretesa petitoria dall’avvenuta usucapione dei beni contesi reiterando l’azione di rivendica e di tutela della proprietà condominiale di alcune aree (esattamente il terrazzo a livello del secondo piano con relativo porticato – interno n. 401 – sanato con L.E. n. 41/2000 e il lastrico a livello del terzo piano che costituisce la copertura del portico al livello inferiore appena descritto e la superficie non residenziale – terrazzo a livello del terzo piano, sanata con C.E. n. 40/2000), insistendo nella condanna al rilascio dei beni suddetti, a suo avviso detenuti senza titolo dagli appellati. Ha perciò domandato l’arretramento degli ampliamenti dell’interno 501 e delle realizzazioni relative all’interno 401 affinché i beni siano riportati alla condizione descritta dai grafici allegati all’atto di acquisto del 30 dicembre 1985, con riduzione degli abusi indicati nella domanda prot. n. 30472 del 9 dicembre 2004 avanzata ai sensi della legge n. 326/2003 ossia tettoia e due bagni realizzati al piano secondo e ampliamento dell’appartamento al piano terzo (int. n. 501). Ha anche reiterato la domanda di condanna al ripristino delle pluviali; di condanna degli occupatori abusivi all’indennità di occupazione e al risarcimento dei danni, quest’ultimi sia per avere alterato le pendenze del solaio di copertura, sia per avere, al fine di creare le strutture in ampliamento, eliminato due canali pluviali, sia per avere generato nocumenti statici ed estetici al fabbricato (con richiesta di integrazione della consulenza d’Ufficio per quest’ultimo profilo risarcitorio).

7.1. A tale pretesa si sono opposti – come già fatto nel primo grado e in particolare nel giudizio riunito n.r.g. 697/2005 (di cui sono disponibili gli atti ancorché non il fascicolo d’Ufficio riunito a quello più antico, invece presente, e per la cui istruzione è stata ammessa la prova orale dopo la disposta riunione, di cui tuttavia manca il provvedimento) – gli eredi di ***, sostenendo la correttezza della pronunciata usucapione e, quanto al resto, formulando l’eccezione di prescrizione del diritto al risarcimento danni in forma specifica. Riguardo a tale ultima attività processuale il Condominio ha osservato che l’eccezione è stata proposta per la prima volta in appello e che tardiva è anche la produzione della documentazionelettera a firma dell’Avvocato che reca indicazione dell’anno 1981 – a conforto, ai sensi dell’art. 345 c.p.c..

Con l’appello incidentale si è anche obiettata in limine litis l’errata affermazione di condominialità di tutti i beni dichiarati usucapiti compreso un cespite relativamente al quale, invece, l’acquisto in titolarità esclusiva sarebbe avvenuto per effetto dell’assegnazione e – dunque – di un trasferimento immobiliare derivativo.

7.3. La materia petitoria involge l’accertamento della natura condominiale o esclusiva di taluni beni e in base ad essa è necessario – in via preliminare – verificare se il contraddittorio è stato validamente costituito tra tutti gli interessati al giudizio.

Per sincerarsene occorre muovere dalle possibilità che ha l’amministrazione di un Condominio di rappresentare gli interessi di tutti i consociati.

È noto come le azioni reali esperibili contro singoli condomini o contro terzi e dirette a ottenere statuizioni relative alla titolarità, al contenuto o alla tutela dei diritti reali dei condomini su cose o parti dell’edificio condominiale che esulino dal novero degli atti meramente conservativi (al cui compimento l’amministratore è autonomamente legittimato ex art. 1130 c.c., n. 4) possono essere esperite dall’amministratore previa autorizzazione della sola assemblea, ex art. 1131 c.c., comma 1, adottata con la maggioranza qualificata di cui all’art. 1136 c.c..

Ove si tratti, invece, di azioni a tutela dei diritti esclusivi dei singoli condomini, la legittimazione dell’amministratore trova il suo fondamento soltanto nel mandato a lui conferito da ciascuno dei partecipanti alla comunione, e non anche nel predetto meccanismo deliberativo dell’assemblea condominiale — ad eccezione della (in tal caso equivalente) ipotesi di unanime deliberazione di tutti i condomini — atteso che il potere di estendere il dominio spettante ai singoli condomini in forza degli atti di acquisto delle singole proprietà è del tutto estraneo al meccanismo deliberativo dell’assemblea condominiale e può essere conferito, pertanto, solo in virtù di un mandato speciale rilasciato da ciascuno dei condomini interessati (in argomento, Cassazione civile, sez. II, 07.10.2020, n. 21533).

La Corte regolatrice ha quindi chiarito che ove un condomino, convenuto dall’amministratore con azione di rilascio di uno spazio asseritamente di proprietà comune, proponga (non un’eccezione riconvenzionale di usucapione, al fine limitato di paralizzare la pretesa avversaria, ma) una domanda riconvenzionale, ai sensi degli artt. 34 e 36 c.p.c., diretta a conseguire la dichiarazione di proprietà esclusiva del bene, viene meno la legittimazione passiva dell’amministratore rispetto alla contro-domanda, dovendo la stessa, giacché incidente sull’estensione del diritto dei singoli, svolgersi nei confronti di tutti i condomini, in quanto viene dedotto in giudizio un rapporto plurisoggettivo unico e inscindibile su cui deve statuire la richiesta pronuncia giudiziale. A maggior ragione sia detto quando la domanda di usucapione sia speculare a quella di rivendica ma proposta autonomamente e successivamente riunita alla prima, per evitare possibili contrasti di giudicato e per connessione.

Nell’ipotesi in cui una siffatta domanda (riconvenzionale od autonoma ed indi riunita) venga proposta e decisa solo nei confronti dell’amministratore, la giurisprudenza nomofilattica cui si presta convinta adesione ha ritenuto che il contraddittorio non possa ritenersi validamente instaurato, e, in difetto di giudicato esplicito o implicito sul punto, tale invalida costituzione del contraddittorio può essere denunciata o essere rilevata d’ufficio anche in sede di legittimità, ove gli elementi che rivelano la necessità del litisconsorzio emergano con evidenza dagli atti (Cassazione civile, sez. II, 16.01.2020, n. 789).

7.4. Così è capitato nel caso di specie e il vizio della instaurazione di un regolare contraddittorio con gli interessati ha costituito oggetto di specifico motivo di appello dal Condominio soccombente.

Il suo amministratore, infatti, ha fatto con ragione constatare che la proposizione della domanda avversaria, in quanto diretta alla dichiarazione di un acquisto di porzioni immobiliari altrimenti comuni, esula dalla materia per cui esiste la sua rappresentanza sostanziale e – per conseguenza – la sua legittimazione processuale (in argomento, Cassazione civile, 16.10.2019, n. 26208; Cassazione civile, 15.03.2017, n. 6649; Cassazione civile, 31.08.2017, n. 20612; Cassazione civile, 17.04.2019, n. 10745; Cassazione civile, 22.02.2013, n. 4624; Cassazione civile, 03.09.2012, n. 14765; Cassazione civile, sez. II, 08.09.2009, n. 19385; Cassazione civile, sez. II, 25.07.2005, n. 15547; Cassazione civile, sez. II, 01.12.1997, n. 12136; Cassazione civile, sez. II, 21.08.1996, n. 7705;).

7.5. Al difetto di valida costituzione del contraddittorio, in assenza di giudicato espresso o implicito sul punto, il giudice d’appello deve rimediare.

7.5.1. Parte appellante ritiene che vada disposta l’integrazione del contraddittorio nei confronti dei litisconsorti pretermessi (in argomento, Cassazione civile, sez. VI, 15.01.2019, n. 848) la qual cosa comporterebbe, anche d’ufficio, la rimessione del giudizio al primo giudice, ex art. 354 comma II c.p.c. (Cassazione civile, sez. III, 19.11.2003 n. 17519). In altre parole, il giudice di appello – dichiarata la nullità della notifica dell’atto introduttivo del giudizio (e, quindi, dell’intero procedimento di primo grado e della relativa sentenza) nei confronti dei litisconsorti pretermessi, dovrebbe limitarsi a dichiarare la nullità del primo pronunciamento, senza che per altro nulla possa impedire “la prosecuzione della domanda spiegata dal Condominio nei confronti degli odierni appellati nel procedimento recante n.r.g. 95493/2005 perché spiegata a contraddittorio integro e sufficientemente istruita” (così pagina 7 della citazione in appello).

7.5.2. Si tratta di soluzione che non persuade nel caso presente in cui nessun consorte di lite nel giudizio di usucapione è stato evocato (giudizio riunito, ma pur sempre autonomo, iscritto al n.r.g. 697/2005) in quanto la citazione che l’ha introdotto è stata notificata al solo amministratore del Condominio che, per le ragioni indicate, non è legittimato.

Deve allora trovare applicazione il principio secondo cui se nessuno dei soggetti legittimati (e tali solo unicamente i condomini) è stato vocato in causa, non si può configurare una situazione di litisconsorzio necessario e, quindi, non si può porre un problema di integrazione del contraddittorio che presuppone la presenza in giudizio di almeno uno dei litisconsorti (in argomento, Cassazione civile, sez. VI, 15.12.2020, n. 28447). Invero, il provvedimento d’integrazione presuppone che il processo sia stato validamente instaurato almeno contro uno dei legittimati passivi; altrimenti, nel caso in cui il soggetto convenuto in giudizio sia diverso da quello nei cui confronti si sarebbe dovuto agire, non si deve disporre l’integrazione del contraddittorio, ma deve essere rigettata la domanda per difetto di una delle condizioni dell’azione (così Cassazione civile, sez. II, 27.02.2002, n. 2886). Ebbene, posto che la domanda di usucapione va proposta nei confronti di ciascuno dei condomini che – soli – possono disporre del diritto in questione e non nei confronti dell’amministratore del condominio che, carente del relativo potere, non è litisconsorte necessario dei singoli condomini ed è perciò sfornito di legittimatio ad causam oltre che di legittimatio ad processum per difetto del potere di rappresentanza dei singoli condomini, esulando la controversia dalle attribuzioni conferitegli dall’art. 1130 c.c., tra l’amministratore e i legittimati passivamente non sussiste consorzio nella lite. In altri termini, ove, come nella specie, sia stato erroneamente evocato in giudizio il solo amministratore, la domanda dev’essere dichiarata inammissibile non ricorrendo le ipotesi dell’art. 102 c.p.c. concernente la necessità di integrazione del contraddittorio in primo grado, né dell’art. 354 c.p.c., riguardante la rimessione della causa da parte del giudice di appello al primo giudice, ove questi non abbia provveduto alla detta integrazione, che si riferiscono all’ipotesi di litisconsorzio necessario di natura sostanziale e postulano che almeno uno dei soggetti legittimati sia stato evocato in giudizio (per un caso di costituzione di servitù, Cassazione civile, sez. II, 14.11.1989, n. 4840).

Il fatto che abbia proposto appello anche il condomino *** non consente di ritenere che costui sia stato parte “processuale” nel giudizio riunito di primo grado n.r.g. 697/2005 in cui non è stato né vocato né vi è intervenuto e dimostrazione ne è la stessa intestazione della sentenza del Tribunale. L’esercizio della facoltà – sicuramente esistente – del singolo condomino di intervenire nel giudizio che abbia visto quale parte l’ente gestorio (da ultimo, Cassazione civile, sez. VI, 19.11.2021, n. 35576) non recupera alcuna posizione processuale che sarebbe stata necessaria per predicare l’applicabilità – anche officiosa – dell’art. 102 c.p.c. e che, invece, è irrimediabilmente mancata.

Ne consegue che, non essendo ammissibile la domanda di usucapione, la decisione del Tribunale che l’ha accolta (capo 2 del dispositivo) va riformata, travolgendo anche l’ordine impartito al Conservatore dei registri immobiliari contenuta nel capo successivo.

8. Ebbene, l’appello alla sentenza che ha accolto la domanda avversaria di usucapione perché pronunciata in difetto di contraddittorio impone di verificare nel merito la pretesa attorea nel giudizio iscritto al n.r.g. 493/2005, nel corso del quale è stata proposta un’eccezione riconvenzionale per contrastarla, per le ragioni sommariamente indicate al §

4.1.1. e con le difese riferite anche al § 6.2..

A questo punto occorrono due riflessioni.

8.1. La prima è che rispetto all’eccezione di usucapione alcuna integrazione di contradditorio sarebbe occorsa ed essa ben ha potuto muoversi al solo amministratore condominiale in quanto limitata a contrastarne la pretesa. Come anticipato al § 7.3. sussiste una notevole differenza tra domanda ed eccezione di usucapione in quanto, essendo la seconda volta semplicemente a contrastare la domanda avversaria, senza ampliare il thema decidendi, è validamente proposta contro chi agisce a difesa di un bene o di un diritto cadente nella sua legittimazione. Val la pena richiamare il consolidato orientamento giurisprudenziale per cui “la distinzione tra domanda riconvenzionale ed eccezione non dipende dal titolo posto a base della difesa del convenuto, e cioè dal fatto o dal rapporto giuridico invocato a suo fondamento, ma dal relativo oggetto, e cioè dal risultato processuale che il convenuto intende con essa ottenere, che è limitato al rigetto della domanda proposta dell’attore; di conseguenza non sussistono limiti al possibile ampliamento del tema della controversia da parte del convenuto a mezzo di eccezioni, purché vengano allegati a loro fondamento fatti o rapporti giuridici prospettati come idonei a determinare l’estinzione o la modificazione dei diritti fatti valere dall’attore, e in base ai quali si chieda la refezione delle domande da questo proposte e non una pronunzia di accoglimento di ulteriori e diverse domande” (così Cassazione civile, 25.10. 2016, n. 21472; Cassazione civile, 11.12.1987. n. 9174).

Ampia è la giurisprudenza – che nel caso presente non è neppure necessario scomodare, essendo l’eccezione di usucapione ampiamente contenuta nella comparsa di cui si è detto al § 4.1.1. – per la quale finanche “l’eventuale inammissibilità della domanda riconvenzionale non impedisce al giudice di considerare i fatti (o i rapporti giuridici) dedotti a suo fondamento nella più limitata ottica dell’eccezione, al limitato effetto di impedire l’accoglimento della domanda avversaria” (Cassazione civile, sez. III, 15.04.2010, n. 9044).

8.2. La seconda considerazione riguarda la tempestività dell’eccezione di usucapione formulata nel giudizio iscritto in primo grado al n.r.g. 493/2005.

Gli atti del fascicolo cartaceo sono parziali, ma nella produzione dell’Avvocato è contenuta la sua costituzione che reca la data del 19 dicembre 2005 verosimilmente prodotta alla successiva udienza del 21 dicembre 2005 i cui verbali non sono disponibili. Ad ogni modo, è solo all’udienza del 17 ottobre 2008 che il giudice ha disposto rinvio per la trattazione con termini fino a venti giorni prima detta udienza per la proposizione delle eccezioni – processuali e di merito – non rilevabili d’Ufficio. Ebbene, a quella data l’eccezione di usucapione era stata ampiamente proposta.

Ed invero il giudizio è stato introdotto ad ottobre 2005 di talché ad esso non si applica la novella del capoverso dell’art. 167 c.p.c. per la quale è solo con la tempestiva costituzione che il convenuto può proporre, oltre alle domande riconvenzionali, le eccezioni in senso proprio, in quanto le disposizioni della legge n. 80 del 14 maggio 2005 che ha convertito il D.L. 14 marzo 2005, n. 35 sono vigenti dal 1° marzo 2006 e relative ai soli giudizi introdotti successivamente.

9. Venendo dunque al merito, con il secondo e il terzo motivo di appello il Condominio ha contrastato la domanda – cognibile come eccezione – di usucapione e contestato la decisione del Tribunale riguardo ad essa, attingendo – con gli argomenti anticipati al § 1.2. – il ragionamento del Tribunale sulla sufficienza temporale, ritenendola invece perplessa nella data iniziale del possesso, a torto desunto dall’istanza di condono che non sarebbe neppure certo abbia riguardato le superfetazioni e i terrazzi per cui è causa (quanto meno nell’attuale consistenza). Ha poi escluso che possa ravvisarsi atto d’interversione nel possesso in colui che abbia ricevuti assegnati beni esattamente individuati, con esclusione di quelli condominiali, unici interessati dagli abusi. Infine ha deplorato un’inesatta valutazione della prova.

Altra censura ha riguardato la decisione sulle domande risarcitorie da trasformazione dei beni comuni e da occupazione arbitraria degli stessi.

9.1. I motivi – di cui è possibile la trattazione congiunta – non sono fondati.

Il giudice di primo grado ha individuato la manifestazione del possesso utile ad usucapire nella realizzazione delle opere abusive da parte di *** in quanto, volendolo ritenere prima d’allora solo detentore dei beni comuni, in forza dell’atto di assegnazione del lontano 1976, con le imponenti trasformazioni senza richiesta di autorizzazione alcuna, opere certamente visibili anche dall’esterno del fabbricato e tali da rendere inattuabile l’uso collettivo, costui ha impresso una destinazione esclusiva ad essi, contraria all’interesse dell’assegnante di cui ha – dunque – implicitamente negato la titolarità dei cespiti. Per le stesse egli ha conseguito le concessioni edilizie nn. 40 e 41 entrambe del 3 luglio 2000.

Il massivo intervento su beni concessi volontariamente in godimento integra la condotta di interversione da detenzione in possesso utile all’usucapione.

All’esito degli interventi che il Tribunale ha indicato sintomatici di possesso le consistenze immobiliari attualmente in uso agli eredi *** sono state così descritte dal C.T.U. ing.: un appartamento al piano secondo, contraddistinbto dal numero di interno 401, ed un appartamento al terzo piano, contraddistinto dal numero di interno 501. L’appartamento n. 401 è risultato composto da un ampio ingresso-soggiorno, cucina, quattro bagni, cinque camere da letto e un ampio terrazzo in gran parte porticato, con uno sviluppo di superficie utile complessiva di circa 260 mq, di cui 110 mq interni e 150 mq esterni.

L’appartamento n. 501 è risultato composto da un ingresso-cucina-soggiorno, bagno, camera da letto e terrazzo antistante, con uno sviluppo di superficie utile complessiva di circa210 mq, di cui 30 mq interni, 40 mq esterni pavimentati e 140 mq esterni non praticabili.

I due cespiti sono risultati tra loro comunicanti mediante una scala in ferro che collega i due terrazzi.

Vi è ragione di ritenere che fin dall’esecuzione delle opere strutturali che li hanno nel tempo così conformati, *** e i suoi aventi causa hanno posseduto per un ventennio (compiutosi alla notifica della citazione di primo grado) i beni quali esistenti all’attualità e prima d’ora riportati dalle istanze di condono nn. 20384 (riferita all’appartamento interno 401) e 20410 (riferita all’appartamento interno 501), entrambe presentate il 10 dicembre 1985 e autocertificate realizzate negli anni 1976 e 1981.

La responsabilità delle opere delle quali *** si è dichiarato autore (o quanto meno soggetto interessato ad appropriarsene), è stata certificata anche in sede penale, oltre che amministrativa.

Non vi è ragione di dubitare del tempo sufficiente all’usucapione.

In maniera del tutto condivisibile e coerente con quanto emerso dalla documentazione allegata agli atti e dall’esito della disposta consulenza eseguita dall’ing., il Tribunale ha ritenuto le opere databili in epoca sicuramente anteriore alle istanze di condono che le hanno riguardate, ragion per cui l’obiezione dell’appellante secondo cui sarebbe occorsa una certezza superiore non coglie nel segno.

È un elemento proveniente direttamente dalla legge che le opere condonabili ai sensi dell’art. 31 della legge n. 47 del 28 febbraio 1985 sono le costruzioni e le altre opere cui difetta la concessione che siano state ultimate entro la data del 1° ottobre 1983, indifferentemente eseguite senza licenza o concessione edilizia o autorizzazione a costruire prescritte da norme di legge o di regolamento, ovvero in difformità dalle stesse oppure in base a licenza o concessione edilizia o autorizzazione annullata, decaduta o comunque divenuta inefficace, ovvero nei cui confronti sia in corso procedimento di annullamento o di declaratoria di decadenza in sede giudiziaria o amministrativa.

La disposizione suddetta precisa che “… si intendono ultimati gli edifici nei quali sia stato eseguito il rustico e completata la copertura, ovvero, quanto alle opere interne agli edifici già esistenti e a quelle non destinate alla residenza, quando esse siano state completate funzionalmente”, precisando altresì che “Alla richiesta di sanatoria ed agli adempimenti relativi possono altresì provvedere coloro che hanno titolo, ai sensi della L. 28 gennaio 1977, n. 10, a richiedere la concessione edilizia o l’autorizzazione nonché, salvo rivalsa nei confronti del proprietario, ogni altro soggetto interessato al conseguimento della sanatoria medesima”.

Ebbene, nella dichiarazione sostitutiva che correda entrambe le istanze l’epoca delle opere è sicuramente precedente il termine di legge.

Il buon esito della pratica amministrativa dimostra che in capo a *** esistevano i presupposti – anche temporali – per accedere al condono.

È infatti inverosimile che per eseguire l’ampio porticato sovrastato dal terrazzo che ha prolungato quello preesistente a livello dell’interno 501 e le opere edilizie di ampliamento degli appartamenti possa essere occorso un tempo nullo, nel quale unico caso l’interruzione della prescrizione acquisitiva ad ottobre 2005 per effetto della notifica della citazione darebbe ragione al Condominio attore.

Le opere suddette, in quanto destinate all’utilizzo esclusivo di *** e dei suoi familiari, che da allora ne hanno infatti usato, è irrilevante che possano avere trovato occasione nell’originaria assegnazione del 1976 o in un fatto apprensivo autonomo. Il ragionamento del Condominio per cui il titolo non avrebbe immesso in alcuna detenzione ***, di talché alcuna interversione sarebbe immaginabile riguardo ai beni condominiali, non si risolve in vantaggio per l’appellante in quanto, elidendo la volontà del titolare del diritto, ma non il fatto dell’occupazione, renderebbe addirittura più agevole la posizione del convenuto e la prova a suo carico, avendo all’origine un’apprensione e non una detenzione.

Ancora, non offre alcun argomento contrario alla conclamata esistenza delle opere significative di un possesso esclusivo il fatto che nell’atto assegnazione per notar *** del 30 dicembre 1985 alcuna menzione sia ad esse contenuta, trattandosi al tempo di manufatti non condonati e dunque non commerciabili.

In ogni caso, posto che l’acquisto non è avvenuto in base al titolo, per le ragioni che si leggono nella sentenza (e che anche l’appellante ha stigmatizzato), appellata dagli eredi *** limitatamente alla parte del terrazzo prospiciente l’interno n. 401, mai neppure reclamato dal Condominio, comunque trasferito in forza della planimetria catastale 711/1975 e dall’atto del 30 dicembre 1985 che la richiama, la rilevanza del rogito del notaio *** per quanto in esso non è indicato è solamente indiziaria e per nulla probatoria. Ebbene, esso ha assegnato a *** “del fabbricato A: a) porzione distinta con il numero 401, composto da vani 4,5 confinante con scala e con porzione distinta con i nn. 402 e 407; denunciata per l’accatastamento all’UTE di Napoli con scheda del 25.11.1975 registrata al n. 711 ed insistente sulla particella del foglio ; b) porzione del fabbricato A, distinta con l’interno 501, accatastata all’UTE di Napoli con scheda del 25.11.1975 registrata al n. 719 ed insistente sulla particella  del foglio ”, aggiungendo che ciascun assegnatario (tale da un decennio precedente), per quanto di suo interesse, ha “provveduto … per la porzione … assegnata, ad inoltrare istanza al Comune di Ischia per l’ottenimento delle relative concessioni in sanatoria ed a pagare le relative oblazioni”. La clausola conferma la preesistenza dell’abuso oggetto d’istanza di condono e dimostra – dunque – l’esistenza del ventennio utile all’usucapione dubitata dall’appellante.

Nel titolo di trasferimento non sussiste invece alcun riconoscimento di condominialità dall’assegnatario che, anzi, individuato quale autore degli abusi d’epoca ad esso anteriore, è stato conservato nel “possesso” conseguito all’attività contraria al Condominio proprietario.

Giova aggiungere che la planimetria catastale datata 25 novembre 1975 prot. n. 711 dell’immobile interno 401, nel rappresentare lo stato dei luoghi qual è all’attualità, riporta il terrazzo esterno senza i volumi poi oggetto della domanda di sanatoria (dunque corroborando il fatto che autore possa esserne stato ***), rappresentando però già i pilastri, sebbene non ancora sormontati dal solaio che ne ha permesso il completamento in un portico.

Analogamente, la planimetria catastale datata 25 novembre 1975 prot. n. 719 dell’immobile interno 501 rappresenta lo stato dei luoghi del cespite in maniera sostanzialmente corrispondente all’attualità, ma anche in questo caso senza i volumi oggetto della successiva domanda di sanatoria.

Le domande di sanatoria presentate da *** riportate con i nn. 20384 (riferita all’appartamento interno 401) e 20410 (riferita all’appartamento interno 501) sono state, come anticipato, assunte al protocollo del Comune in data 10 dicembre 1985 ed entrambe si confermano sintomatiche del possesso per le motivazioni già espresse.

La prima ha riguardato 50,32 mq di superficie abitabile realizzata da *** nel 1981, ossia dopo la consegna e prima dell’assegnazione (modello A), nonché 66,60 mq di superficie utile interna e 160,37 mq di superficie non residenziale (terrazzo pilastrato), quest’ultima realizzata già dalla *** in difformità dalla licenza, ma assegnata insieme all’appartamento n. 401 (modello B), opere databili tra il 1976 e il 1981.

La seconda ha riguardato opere in difformità della licenza edilizia, senza aumenti di superficie, per 11,23 mq di spazi interni abitabili e 52,92 mq di terrazzo (solo modello A), realizzato quest’ultimo dalla *** nel 1976 e condonato da ***.

Nella domanda di condono presentata dalla società non sono inclusi i terrazzi (l’esatto oggetto di questa e i beni che sono stati condonati alla *** sono stati riassunti dal C.T.U. alle pagine 14 e 15 della sua relazione), per i quali esso è stato chiesto da *** che, dunque, la prima ha riconosciuto autore dell’opera, elemento sufficiente a indicarlo possessore e a retrodatare, dunque, l’inizio della sua relazione materiale con il bene utile ai fini dell’art. 1158 c.c. quanto meno dall’epoca dell’opera quale autocertificata a corredo delle istanze di condono.

Se è indubbiamente vero quanto si legge nella sentenza impugnata a proposito del fatto che l’affermazione di parte favorevole alla sua posizione non costituisce elemento probatorio, gli elementi indiziari deponenti nel senso che di dette opere la società costruttrice si sia disinteressata, rimettendone la definizione amministrativa (ma anche il completamento, l’ulteriore corso, in una parola l’ultimazione e l’“appropriazione”) e la loro esistenza da epoca databile tra il 1976 e il 1981 lascia ritenere ampiamente integrato l’elemento temporale di cui ha dubitato parte appellante.

Presentando la domanda di tutte dette superfici *** si è dimostrato possessore – delle opere abusive quali che esse siano e, a maggior ragione, dell’area su cui esse insistono – fin dalla loro realizzazione, diversamente non avendo interesse al chiesto condono, per altro in coerenza con la precisazione compresa nell’atto *** (rispetto alla quale non è neppure utile sapere se il riferimento ai condoni riguardi opere in precedenza fatte dalla *** nel 1975 o dai singoli assegnatari dopo il 1976). L’avere condonato opere realizzate da altri, infatti, non depone nel senso dell’esclusione dell’animus possidendi in quanto “Per escludere la sussistenza del possesso utile all’usucapione non è sufficiente il riconoscimento o la consapevolezza del possessore circa l’altrui proprietà del bene, occorrendo, invece, che il possessore, per il modo in cui questa conoscenza è rivelata o per i fatti in cui essa è implicita, esprima la volontà non equivoca di attribuire il diritto reale al suo titolare, atteso che l’animus possidendi non consiste nella convinzione di essere titolare del diritto reale, bensì nell’intenzione di comportarsi come tale, esercitando le corrispondenti facoltà” (in tema, Cassazione civile, sez. VI, 14.05.2021, n. 13153; Cassazione civile, sez. II, 16.01.2020, n. 795). Né rileva il fatto che solo successivamente possa essere stata aggravata la condotta con l’esecuzione di altri abusi (quelli oggetto dell’istanza di condono da YYY presentata il 9 dicembre 2004) e della scala di collegamento tra i due terrazzi, in quanto tutte opere su superfici in cui già era in corso il possesso utile all’usucapione.

Ciò detto in merito alla certezza della data a partire dalla quale si è riconosciuto un possesso astrattamente utile all’usucapione, per l’integrazione di esso (in luogo dell’originaria detenzione e a maggior ragione ove essa non sia ritenuta necessaria), è condivisibile l’affermazione di diritto che si legge nella sentenza impugnata per cui l’essere i detentori intervenuti materialmente sulla proprietà, con atti incompatibili con la volontà di rispettare l’altrui diritto, è condotta utile all’interversio possessionis in quanto volta ad imprimere sui beni fino ad allora detenuti nomine alieno una signoria di fatto uti domini. Ed infatti per trasformare la detenzione in possesso utile ad usucapionem, ex art. 1141, comma 2, c.c., occorre il compimento di idonee attività materiali di opposizione specificamente rivolte contro il proprietario-possessore, indubbiamente integrate dagli atti corrispondenti all’esercizio del possesso quali gli abusi della situazione di vantaggio determinata dalla materiale disponibilità del bene.

La disponibilità materiale dei beni contesi e – dunque – il loro possesso, del resto, è confermato dalle testimonianze raccolte da *** e *** che hanno riferito, per conoscenza diretta in quanto coinvolti direttamente nelle attività da loro svolte in un considerevole arco di tempo, dei lavori di manutenzione della guaina di copertura e delle ringhiere dei terrazzi da parte degli *** a proprie spese.

Rispetto ad esse, le testimonianze indicate dall’appellante – dal condomino *** che, appellando la sentenza, ha successivamente assunto al qualità di parte; dall’amministratore ***, in carica dal 1990 al 1994, che ha prima riconosciuto l’occupazione deprecata all’epoca del suo mandato e poi contraddittoriamente riferito che al tempo i lastrici condominiali erano fruibili da tutti i condomini – appaiono meno significative e poco circostanziate quanto ad episodi di esercizio del diritto incompatibile con il possesso ad usucapionem altrui.

9.2. La documentazione prodotta tardivamente in grado d’appello per corroborare ulteriormente la prova del possesso (tra cui la lettera a firma dell’Avvocato *** del luglio 1981 contenente richiesta di rimozione dei sigilli apposti in sede penale in relazione agli abusi commessi e la copia dell’atto di citazione notificata dal condomino *** danneggiato da infiltrazioni provenienti dal terrazzo di causa) è inutilizzabile in quanto tardiva ai sensi dell’art. 345 c.p.c..

Nondimeno, la sua espunzione dal materiale utilizzabile per decidere non muta la convinzione del Collegio che ritiene corretta la decisione di rigetto della domanda attrice a prescindere da questa.

9.3. La decisione sulle domande risarcitorie è conseguente al rigetto della domanda attorea utilmente contrastata dall’eccezione di usucapione di talché anche sul punto la sentenza va confermata.

10. L’appello incidentale si palesa privo dell’interesse a proporlo in esito alla decisione sulla domanda principale del Condominio che ha sostanzialmente fallito nella prova della proprietà comune dei beni rivendicati, di talché la sua disamina è ampiamente assorbita dalla sostanziale conferma del capo 1) del dispositivo della sentenza impugnata.

11. La diversa sorte dei due giudizi riuniti che integra un caso di soccombenza reciproca e la necessità della riforma della sentenza appellata quanto ai capi 2 e 3 del dispositivo determina che le spese del doppio grado del giudizio siano interamente compensate. Va anche confermata la decisione sulla ripartizione ugualitaria tra le parti dei costi di consulenza.

P.Q.M.

la Corte di Appello di Napoli – II sezione civile, definitivamente pronunciando sull’appello principale come in epigrafe proposto, assorbita la disamina dell’appello incidentale, tra le parti ivi indicate, così provvede:

⎯ in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Napoli, sezione distaccata di Ischia, n. 2096/2016 datata 12 febbraio 2016, pubblicata il 17 febbraio 2016 e notificata l’11 marzo 2016, dichiara inammissibile la domanda di usucapione proposta nel giudizio iscritto in primo grado al n.r.g. 697/2005 per la mancata instaurazione del giudizio nei confronti dei condomini, con conferma del rigetto della domanda attorea nel giudizio iscritto in primo grado al n.r.g. 593/2005;

⎯ compensa tra le parti integralmente le spese del doppio grado del giudizio.

Così deciso in data 6 luglio 2022

Il Consigliere est.

Il Presidente

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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Durante l’appuntamento: disponibilità all’ascolto e capacità a tenere distinti i dati essenziali del caso dalle componenti psicologiche ed emozionali.

Al termine dell’appuntamento: ti verranno forniti gli elementi di valutazione necessari e i suggerimenti opportuni al fine di porre in essere azioni consapevoli a seguito di un apprezzamento riflessivo di rischi e vantaggi. Il contenuto della prestazione di consulenza stragiudiziale comprende, difatti, il preciso dovere di informare compiutamente il cliente di ogni rischio di causa. A detto obbligo di informazione, si accompagnano specifici doveri di dissuasione e di sollecitazione.

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