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Codice Civile
Codice Penale

Inammissibilità dell’appello per difetto di specificità

La sentenza si focalizza sul principio di specificità dei motivi di appello, affermando che il generico dissenso rispetto alla decisione di primo grado non è sufficiente. L’appellante deve indicare con precisione le ragioni per cui ritiene errate le valutazioni del Tribunale, supportando le proprie argomentazioni con riferimenti a fattispecie giuridiche e prove concrete.

Pubblicato il 03 December 2024 in Diritto Civile, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

235/24

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE DI APPELLO DI GENOVA SEZIONE SECONDA CIVILE

In persona dei Consiglieri:

Dott. NOME COGNOME Presidente Dott.ssa NOME COGNOME Consigliere Dott. NOME COGNOME Consigliere relatore ha pronunciato la seguente

sentenza N._1360_2024_- N._R.G._00000235_2024 DEL_13_11_2024 PUBBLICATA_IL_14_11_2024

nella causa tra:

rappresentato dall’avv. NOME COGNOME per procura in calce alla citazione di appello.

APPELLANTE CONTRO già persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata dall’avv. NOME COGNOME come da procura allegata alla comparsa di costituzione di appello Parole chiave:

specificità motivi di appello

CONCLUSIONI

DELLE PARTI:

PER PARTE APPELLANTE:

“Voglia l’Ill.ma Corte di Appello di Genova adita, disattesa ogni contraria istanza ed eccezione, anche in via istruttoria ed incidentale, accoglimento della presente impugnazione ed in riforma della sentenza del ,:

– in via pregiudiziale e cautelare, per tutti i motivi dedotti in appello, e considerata la sussistenza del periculum in mora e dei gravi motivi , come da apposita istanza in calce al presente atto, sospendere provvisoria esecutività della sentenza impugnata;

– in via preliminare, rimettersi la causa sul ruolo per l’espletamento dei mezzi istruttori già richiesti e non ammessi e/o rigettati;

– all’esito dell’istruttoria e/o nel merito, riformare i capi della sentenza come impugnati pertanto accogliere domande promosse dall’odierno appellante in primo grado, tutte comprese nessuna esclusa, anche se del caso quelle proposte in via subordinata.

Con vittoria di spese e competenze professionali di entrambi i gradi di giudizio, con rimborso degli importi che l’appellante denegata ipotesi rigetto dell’istanza di sospensione, sarà costretto pagare alla appellata in esecuzione della sentenza primo grado (con riserva produrre documentazione degli avvenuti pagamenti).

Con ogni altra pronuncia di ragione e di legge”.

PER PARTE APPELLATA:

“Piaccia all’Ecc.ma Corte di Appello, ogni diversa e contraria istanza disattesa e previe le declaratorie tutte del caso, rigettare l’appello quanto inammissibile, infondato e non provato.

In ogni caso, respingere la domanda del signor in quanto preclusa dal giudicato costituito dalla sentenza resa dal Tribunale di Lucca n. 1873/14, inammissibile, infondata e comunque non provata.

Con vittoria di spese e onorari di causa”.

Il giudizio di primo grado ha citato in giudizio, innanzi al Tribunale di Massa, la (oggi ed ha sostenuto:

• Di essere socio di maggioranza della RAGIONE_SOCIALE;

• Che la società in questione aveva stipulato un contratto di affidamento per anticipo fatture per £ 400.000.000 con la Cassa di Risparmio di *** (poi poi • Di essere stato costretto dai dirigenti della banca, tramite minaccia revoca dell’apertura credito, prima chiudere conti correnti intrattenuti da RAGIONE_SOCIALE con altri istituti di credito, mantenendo rapporti soltanto con Cassa di Risparmio di *** s.p.a., e, poi, a fare una serie di regalie a favore di e di (dirigenti responsabili dell’Ufficio Crediti della banca) e, infine, a nominare un nuovo amministratore alla società, tale • Che la gestione di quest’ultimo aveva aggravato il dissesto della società, che era fallita;

• Che dell’operato illecito dei funzionari coinvolti nella vicenda era tenuta a rispondere la banca convenuta, ex art. 2049 c.c., per “culpa in eligendo” o “in vigilando”, avendo essa l’obbligo di comportarsi secondo la diligenza qualificata nella gestione dei rapporti intrattenuti con la propria clientela ed avendo il dovere di protezione nei suoi confronti;

• che l’attore, in conseguenza della vicenda per cui è causa, aveva patito gravi danni, sia di natura della convenuta al risarcimento dei danni patiti a causa della scorretta gestione da parte di questa dei suddetti rapporti bancari.

La banca convenuta si è costituita in giudizio ed ha chiesto di respingere ogni domanda nei suoi confronti.

La causa, istruita con prove documentali e testimoniali, è stata decisa con la sentenza 575 del 2023, che ha così statuito:

“rigetta la domanda proposta da nei confronti di Condanna l’attore alla rifusione, in favore della convenuta, delle spese processuali, che liquida, complessivi 10.000,00 per compenso professionale ex D.M. 10.03.2014 n. 55, oltre rimborso spese generali ed oltre I.V.A. e C.P.A., se dovuti come per legge”.

Il Tribunale ha sostenuto che non era legittimato, in veste di socio, a far valere un danno riflesso derivante dalla diminuzione del patrimonio della società, in quanto “l’autonomia patrimoniale di detta società non consente di considerare riferibile alla sfera giuridica del (sia pure pro quota) pregiudizio patrimoniale rilevante sub specie danno emergente (in chiave di riduzione del capitale sociale), così come in termini di lucro cessante (per il venir meno o la limitazione della possibilità di conseguire profitto patrimoniale, presupposto della eventuale distribuzione di utili tra i soci e, quindi, in funzione di contrazione della redditività delle quote sociali di questi ultimi)”. aveva agito anche quale rapporto obbligatorio sottostante facente capo alla debitrice principale (la predetta società) nell’ipotesi in cui la controversia attenesse a pretesa creditoria fatta valere dalla banca nei confronti della stessa correntista (e/o dei suoi fideiussori);

diversamente, nel caso in esame egli stesso ha spiegato una domanda (di natura risarcitoria) nei confronti della banca convenuta, di tal che essa può considerarsi effettivamente pertinente alla sua sfera giuridica personale soltanto nella misura in cui siano stati prospettati fatti che abbiano determinato un pregiudizio personale e diretto a carico del medesimo (vale a dire diverso da quello riferibile alla società, secondo quanto dianzi precisato), non potendo, altrimenti, prestazione della garanzia fideiussoria in favore della compagine sociale trasformare l’ipotetico danno subito quest’ultima in un danno “proprio” del garante. Un pregiudizio di tal genere potrebbe, in ipotesi, essere integrato dagli esborsi dallo stesso personalmente sostenuti per le “regalie” (effettuate in varie forme) in favore dei funzionari di Cassa di Risparmio di *** spa”.

Per quanto riguarda tali spese, peraltro, non vi era prova del fatto che l’attore le avesse sostenute in proprio.

“Pare peraltro poco credibile che, ove quest’ultimo si fosse trovato in uso stato di soggezione rispetto ai predetti funzionari e fosse stato effettivamente costretto a quelle “regalie” ed a sottostare alle loro illecite pretese al fine di impedire la revoca degli affidamenti concessi dalla conservato traccia documentale di detti esborsi, ammontanti quel considerevole importo complessivo, tenuto anche conto della natura dei beni oggetto di acquisto (orologi di valore e preziosi)”.

Anche “le informazioni raccolte nel corso delle indagini, quali compendiate nella citata nota di Polizia Giudiziaria del 14.05.2008 attengono, in definitiva, anch’esse a condotte pregiudizievoli per RAGIONE_SOCIALE, non già per la sfera giuridica personale dell’attore”;

Dalla richiamata informativa, peraltro, non paiono emergere elementi di prova a sostegno dell’assunto attoreo, circa lo stato di soggezione morale cui sarebbe stato costretto il dai funzionari di Cassa di Risparmio di *** s.p.a. con i quali ebbe ad interloquire, così come in ordine alle minacce dagli stessi provenienti ed a fronte delle quali soltanto, in base alla propria linea difensiva, egli avrebbe provveduto alle già ricordate “regalie” in loro favore, al fatto che la nomina del (già dipendente della società) ad amministratore di RAGIONE_SOCIALE, autore della denunciata condotta di spoliazione del patrimonio dell’ente, sarebbe avvenuta fine compiacere medesimi funzionari ed alla stipulazione del mutuo ipotecario finalizzato a ripianare l’esposizione debitoria della società soltanto per effetto della minaccia della revoca degli affidamenti concessi, ove ciò non fosse avvenuto. Le allegazioni in questione, a ben vedere, non trovano riscontro negli atti di indagini trasfusi nell’anzidetta informativa di P.G., se non nella dichiarazione resa, in quel contesto, dal medesimo giudizio civile”.

Del resto, il procedimento penale era stato archiviato, in quanto non erano emerse “condotte che si siano tradotte in una reale coartazione della volontà del (cfr in proposito anche le puntuali considerazioni del Procuratore della Repubblica di Massa contenute nella richiesta di archiviazione in data 10.03.09 in atti che qui si richiamano) all’epoca in ottimi rapporti con gli odierni indagati”.

L’ipotesi, sostenuta nel provvedimento di archiviazione, secondo cui “le “regalie” e i “favori” che l’attore si determinò a fare avrebbero avuto la funzione di consentire alla società dallo stesso partecipata di beneficiare di un credito bancario al quale non avrebbe altrimenti avuto modo di accedere”, non era meno verosimile quella sostenuta dall’attore.

In ogni caso, secondo il Tribunale, risultava fondata l’eccezione di giudicato proposta dalla parte convenuta, con conseguente inammissibilità della domanda proposta.

Infatti, gli stessi comportamenti oggi oggetto della domanda risarcitoria erano stati posti fondamento delle eccezioni proposte nell’ambito dell’opposizione a decreto ingiuntivo (iscritto presso il Tribunale di Lucca, sez. dist. Viareggio, RG 6239/06) ottenuto dalla banca avversaria, conclusasi con la sentenza n. 1873/2014, passata in giudicato, che aveva respinto tale eccezione proposta dall’odierno attore.

Inoltre, sentenza cui sopra aveva riconosciuto un credito a favore di ed a di parte attrice qui azionati.

In merito ai danni non patrimoniali lamentati da parte attrice, il Tribunale ha sostenuto che non vi era “margine per dare corso alla C.T.U. medico- legale richiesta fine accertare ricoducibilità, sotto profilo causale, delle patologie di cui lo stesso risulta alla vicenda oggetto di giudizio;

richiesta, così come formulata, connotata da inammissibile finalità esplorativa.

Tale ultima considerazione vale, evidentemente, per l’istanza di esibizione ex art. 210 c.p.c. sulla quale insistito l’attore nelle conclusioni precisate, che va, pertanto, del pari disattesa”.

2 Il giudizio di appello ha impugnato la sentenza del Tribunale di Massa n. 575/23 ed ha chiesto che, in riforma della stessa, venissero accolte le domande proposte in primo grado.

La banca si è costituita in giudizio ed ha chiesto che la sentenza impugnata venisse confermata, con declaratoria di inammissibilità dell’appello ex artt. 342 e 348 bis c.p.c. e, comunque, che questo venisse dichiarato infondato.

La causa è stata trattenuta in decisione in data 30 ottobre 2024, sulle conclusioni delle parti come riportate in epigrafe.

3 i motivi di appello Con il primo motivo, l’appellante ha impugnato il capo con il quale il Tribunale aveva accolto l’eccezione di giudicato, in quanto, nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, il sig. aveva eccepito la nullità e gli inadempimenti , avanti il Tribunale di Massa, parte attrice aveva proposto domanda risarcitoria per le condotte illecite commesse dai dipendenti della banca.

Vi era, quindi, una diversità di oggetti che escludeva possibilità invocare giudicato.

Infatti, “la presente lite ha ad oggetto una richiesta di risarcimento dei danni del tutto estranea al procedimento giudiziale ex adverso evocato, ove non era stata proposta alcuna domanda riconvenzionale (né si può sostenere che vi fosse un obbligo in tal senso sotto pena di successiva improponibilità della domanda).

In quella sede il Sig. si difese dalle pretese creditorie della banca, in questa sede, invece, chiede il risarcimento dei danni (anche fisici e morali) patiti a seguito di taluni comportamenti di alcuni funzionati dell’Istituto di credito”.

Con il secondo motivo, parte appellante ha impugnato il capo con il quale il Tribunale aveva accolto l’eccezione di difetto di legittimazione attiva dell’attore.

L’appellante non era solo socio della RAGIONE_SOCIALE, ma anche fideiussore di tale società ed in tale veste aveva subito in prima persona vessazioni azioni esecutive personali promosse dalla banca descritte nell’atto di citazione che gli avevano causato nocumento sofferenze fisiche psichiche costituenti danno diretto e come tale risarcibile.

Con il terzo motivo, l’appellante ha impugnato la sentenza in questione, nella parte in cui il Tribunale aveva negato che vi fosse prova del danno da lui patito.

L’istruttoria svolta aveva personalmente l’appellante, il quale aveva subito diverse vessazioni, causa grandi sofferenze e prostrazioni.

Sul punto, l’appellante ha richiamato le dichiarazioni dei testi Con l’ultimo motivo, il sig. ha impugnato il capo della sentenza che aveva sostenuto che, in ogni caso, il credito risarcitorio fatto valere da poteva essere compensato con quanto dovuto da quest’ultimo alla banca, per effetto della sentenza conclusiva del giudizio opposizione a decreto ingiuntivo (RG 6239/06) svoltosi presso il Tribunale di Lucca, in quanto l’eccezione di compensazione ha per oggetto una circostanza non rilevabile d’ufficio e, dunque, risultava tardivamente proposta ai sensi e per gli effetti di cui agli artt. 166 e 167 c.p.c. 4 L’inammissibilità dell’appello In relazione al primo motivo di appello, si osserva che la sentenza ha respinto le pretese di parte appellante, facendo riferimento diverse ragioni. Seguendo l’ordine di esposizione delle argomentazioni proposte dal Tribunale, si osserva che la prima si fonda su questioni di merito, legate al difetto di prova degli elementi costitutivi dell’illecito attribuito da parte attrice alla banca, per il tramite dei suoi dirigenti.

La seconda, invece, fonda ragioni processuali specificamente, sull’effetto preclusivo derivante dall’esistenza di un giudicato relativo ai medesimi fatti oggetto di causa.

sia su questioni processuali che su questioni di merito, bisogna identificare qual è, tra i due blocchi di argomentazioni, quello che costituisce la reale ratio decidendi.

Infatti, ove questa si fondi su problematiche processuali viene meno la potestas decidendi del Giudice, che non è più titolare del potere di esaminare nel merito la questione sottoposta al suo esame, per cui le susseguenti considerazioni sul merito della causa devono ritenersi ininfluenti ai fini della decisione quindi, prive di effetti giuridici, con la conseguenza che la parte soccombente non ha l’onere né l’interesse ad impugnarle, essendo invece tenuta censurare soltanto dichiarazione d’inammissibilità quale costituisce la vera ragione della decisione (Cass. 11675/20). Se, invece, la motivazione si regge su ragioni di merito, il riferimento ad eventuali cause di inammissibilità improponibilità risulta superfluo costituisce una motivazione abundantiam, che, però, rimane fuori dall’oggetto della decisione, per cui non esiste neppure un interesse della parte alla relativa impugnazione, in quanto il relativo capo non è in grado di incidere sulla ratio decidendi della sentenza impugnata, che ha valutato la fondatezza delle argomentazioni della parte (Cass. 7995/22).

L’ipotesi qui in esame è quest’ultima.

Infatti, il riferimento agli effetti del giudicato costituisce un mero obiter dictum, come si evince sia dall’ordine di esposizione della motivazione (vi mentre avrebbe dovuto essere il contrario, come si evince dall’art. 279 c.p.c.), sia soprattutto dal dispositivo (che prevede il rigetto delle domande proposte, nomenclatura tipica di una pronuncia che ha esaminato il merito della domanda e non di una declaratoria di tipo processuale;

sul punto, Cass. 7995/22).

Da quanto precede, discende che parte appellante non ha interesse ad impugnare il capo sul giudicato, in quanto non idoneo a produrre effetti pregiudizievoli in merito alla domanda proposta, con conseguente inammissibilità del primo motivo di appello.

Il secondo motivo è inammissibile per violazione dell’art. 342 c.p.c. Il Tribunale, con una articolata motivazione, ha riconosciuto un parziale difetto di legittimazione attiva da parte dell’attore a far valere alcuni dei danni oggetto della domanda di risarcimento (quelli prodottisi direttamente nella sfera patrimoniale della società e solo di riflesso nel patrimonio del sig. , sia che questi agisse in qualità di socio, sia che questi agisse in veste di fideiussore.

Parte appellante ha ribadito che, in tale ultima veste, il sig. era legittimato ad agire per il risarcimento dei danni.

Ma neppure la sentenza impugnata affermato contrario:

provvedimento ha solo specificato quali pregiudizi potevano essere fatti valere dall’appellante, da identificarsi in quelli prodottisi direttamente nel suo patrimonio, con esclusione di quelli riflessi, nel secondo motivo di appello, che non si pone in contraddizione con tale assunto e che, quindi, risulta carente sotto il profilo dell’art. 342 n. 3 c.p.c. Anche il terzo motivo di appello è inammissibile.

La sentenza, dopo avere esaminato nel merito le deposizioni rese dai testi (pagg. 9 e 10), ha, comunque, escluso sia che vi fosse prova di un danno al patrimonio personale del sig. che una condotta prevaricatrice (e, quindi, illecita) da parte dei funzionari di banca.

Il motivo di appello si è limitato ad esprimere un generico dissenso sulle conclusioni del Tribunale, dissenso motivato sulla lettura delle dichiarazioni rese dai testi , oltre che del teste dalle quali, secondo prospettazione di doveva evincersi che l’attore era stato vittima di vessazioni, che erano andate ben oltre l’ambito civilistico, causa di danni patrimoniali e non (pag. 7 ed 8 della citazione di appello).

Tuttavia, la censura proposta è del tutto generica, in violazione dell’art. 342 n. 2 c.p.c. Infatti, il Tribunale, come detto, ha esaminato le dichiarazioni dei testi sopra indicati ed è giunto a conclusioni opposte rispetto quelle dell’appellante.

Più specificamente, secondo il Tribunale, quanto teste questi aveva confermato l’esecuzione di lavori presso l’abitazione del dirigente di banca su incarico della RAGIONE_SOCIALE, ma resa de relato actoris e, quindi, priva di rilievo probatorio;

inoltre, quand’anche così fosse, la diminuzione patrimoniale si sarebbe prodotta nel patrimonio della società (che aveva eseguito i lavori non pagati) e non nel patrimonio della parte attrice.

Analogamente, con riferimento alla deposizione di il Tribunale ha ritenuto dimostrato l’esborso per regali per 150-200 milioni di Lire a favore dei dirigenti della banca e COGNOME, ma ha anche aggiunto che ciò non era sufficiente per accogliere la domanda proposta, dal momento che “Non vi è prova che i pagamenti de quibus siano stati effettuati con denaro personale dell’attore”.

Infine, con riferimento al teste questi confermato l’esito delle indagini dei Carabinieri, ma neppure tale deposizione era favorevole alla tesi attorea, in quanto “Al di là di quelle consistenti nelle dichiarazioni del le informazioni raccolte nel corso delle indagini, quali compendiate nella citata nota di Polizia Giudiziaria del 14.05.2008 attengono, definitiva, anch’esse a condotte pregiudizievoli per RAGIONE_SOCIALE, non già per la sfera giuridica personale dell’attore”.

Il motivo di appello formulato non ha indicato perché tali conclusioni, fatte proprie dal Tribunale all’esito della lettura delle deposizioni dei testi citati, erano censurabili e qual era l’errore compiuto dal Giudice nel percorso logico giuridico che aveva indotto il Tribunale alla conclusione esaminata dal Tribunale (teste , ma ciò non è sufficiente a sanare il difetto di specificità delle censure, in quanto l’appellante non ha spiegato per quale ragione quanto dichiarato dal teste avrebbe dovuto smentire la convinzione del Giudice di primo grado, tenuto conto del fatto che il teste è stato ascoltato solo sui rapporti tra la Amor e i comuni e non ha indicato come le dichiarazioni così rese smentirebbero l’assunto del Tribunale. Infine, non è stata mossa alcuna critica specifica neppure alla conclusione del Tribunale, di per sé decisiva, secondo cui, come risultava dal provvedimento di archiviazione del procedimento penale, “non emergano condotte che si siano tradotte in una reale coartazione della volontà del , per cui la tesi secondo cui “le “regalie” e i “favori” che l’attore si determinò a fare avrebbero avuto la funzione di consentire alla società dallo stesso partecipata di beneficiare di un credito bancario al quale non avrebbe altrimenti avuto modo di accedere” era tanto credibile quanto quella prospettata dal sig. Detto in altri termini, parte appellante non ha fornito, com’era suo onere ex art. 342 c.p.c., i tasselli, a giudizio del Tribunale mancanti, per poter ritenere integrata la fattispecie di cui agli artt. 2043 e 2049 c.c., né ha fornito argomenti a sostegno del maggior supporto probatorio della propria tesi rispetto a quella fatta propria dal Tribunale. Infine, una volta esclusa l’esistenza ’operatività della compensazione tra il credito del sig. e quello della banca.

5 Le spese di lite Le spese di lite seguono la soccombenza e vengono liquidate secondo valore indeterminabile complessità bassa.

Nulla in merito all’istruttoria, in difetto di adempimenti sul punto.

PQM

Dichiara inammissibile l’appello proposto e per l’effetto conferma la sentenza del Tribunale Massa 575/2023 pubblicata in data 05/10/2023;

condanna a rifondere a le spese di lite del giudizio di appello, spese che liquida in euro 6.946,00 per compensi, oltre spese generali ed accessori di legge.

Si dà atto che sussistono i presupposti per il pagamento da parte appellante di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione, ai sensi dell’art. 13, co.

1 quater, dpr 115/02.

Genova 5 novembre 2024 Il relatore il presidente NOME COGNOME NOME COGNOME

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