N. R.G. 156/2023
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
CORTE DI APPELLO DI FIRENZE TERZA
SEZIONE CIVILE
La Corte di Appello di Firenze, terza sezione civile, in persona dei Magistrati:
dott. NOME COGNOME Presidente dott. NOME COGNOME Consigliere dott.
NOME COGNOME Consigliere Relatore all’udienza di discussione del 19.3.2025 ha pronunciato, ex art. 437 cod. proc. civ., la seguente
SENTENZA N._532_2025_- N._R.G._00000156_2023 DEL_24_03_2025 PUBBLICATA_IL_24_03_2025
nella causa civile di II Grado iscritta al n. r.g. 156/2023 promossa da:
(C.F. con il patrocinio dell’Avv. COGNOME NOME COGNOME/I nei confronti di (CF (CF con il patrocinio dell’Avv. COGNOME NOME COGNOMECF ) e dell’Avv. COGNOME NOME COGNOME/I avverso la sentenza n. 1583/2022 emessa dal Tribunale di Pisa e pubblicata il 14/12/2022
CONCLUSIONI
In data 19.3.2025 la causa veniva posta in decisione sulle seguenti conclusioni:
Per parte appellante:
“Voglia la Ecc.ma Corte di Appello di Firenze, contrariis rejectis, in via pregiudiziale e cautelare, inaudita altera parte, o previa fissazione di apposita udienza, ex art. 283 c.p.c., sospendere e/o revocare la provvisoria esecutività della sentenza n. 1583/2022 R.S. pubblicata il giorno 14.12.2022, resa dal Tribunale di Pisa, Giudice Dott.ssa NOME COGNOME nella causa iscritta al n. 3018/2018 R.G.C., notificata il giorno 20.12.2022, per i motivi tutti meglio dedotti nel presente atto;
in tesi, nel merito, in parziale riforma della sentenza n. 1583/2022 R.S. pubblicata il giorno 14.12.2022, resa dal Tribunale di Pisa, Giudice Dott.ssa C.F. NOME COGNOME nella causa iscritta al n. 3018/2018 R.G.C., notificata il giorno 20.12.2022, accogliere per tutti i motivi esposti in narrativa, il proposto appello, con ogni provvedimento consequenziale;
sempre nel merito, rimettere la causa in istruttoria rinnovando interamente la C.T.U. acquisita agli atti del giudizio di primo grado;
con vittoria di spese, compensi di causa ed eventuali spese per la C.T.P. e per la C.T.U., oltre il rimborso forfettario per spese generali ed oltre IVA e CPA come per legge relativi ad entrambi i gradi di giudizio”.
Per parte appellata:
“in via preliminare, rigettare la richiesta di sospensione ex art. 283 c.p.c. in quanto infondata e con riserva di ogni ulteriore argomentazione nell’eventuale udienza di discussione;- ulteriormente in via preliminare e di rito, rigettare l’appello avversario in quanto tardivamente proposto e/o comunque in ogni modo tardivamente iscritto per tutte le ragioni espresse in atti e per l’effetto confermare la sentenza impugnata;
– in subordine di cui al punto che precede, rigettare l’appello in quanto inammissibile ex art. 342 c.p.c.;
– nel merito, rigettare l’appello in quanto infondato in fatto e in diritto per tutte le ragioni espresse in atti e per l’effetto confermare la sentenza impugnata;
– nella denegata ipotesi, qualora venga riformato il capo della sentenza relativo alla condanna in forma specifica, accogliere le conclusioni già rassegnate in primo grado di cui a i punti 2) e 4) delle note autorizzate per l’udienza del 4.11.2022 nella parte inerente le domande assorbite di condanna per equivalente e di compensazione e che si riportano:
“in denegata ipotesi, qualora controparte non adempia a tale obbligazione, condannare la ricorrente al pagamento in favore della resistente ora delle somme necessarie all’esecuzione delle opere di bonifica, così come indicate nella CTU” e “in ipotesi di mancato rigetto della domanda di parte ricorrente, compensare le somme che risulteranno dovute a titolo di indennità per la perdita dell’avviamento commerciale con il controcredito vantato da e per l’effetto condannare la pagamento in favore della e/o del controcredito che risulterà dovuto all’esito della compensazione”; – in via ulteriormente subordinata, ammettere le prove richieste e non ammesse in primo grado;
– con vittoria di spese e compensi”.
RAGIONI DI FATTO
E DI DIRITTO DELLA DECISIONE Con atto di citazione, regolarmente notificato, (di seguito, per brevità, anche solo “ ”) conveniva in giudizio, innanzi questa Corte di Appello, (di seguito anche solo “ ) ed proponendo gravame avverso la sentenza n. 1583/2022, emessa dal Tribunale di Pisa e pubblicata il 14/12/2022, che, decidendo sul ricorso proposto da e sulle domande riconvenzionali spiegate dalla resistente, aveva così disposto:
“rigetta la domanda articolata dalla società ricorrente perché infondata;
rigetta la domanda articolata in via riconvenzionale dalla parte resistente avente ad oggetto il pagamento dell’indennità di occupazione perché infondata;
accoglie la domanda riconvenzionale articolata dalla parte resistente e avente a oggetto il pagamento della somma di € 1218,94 a titolo di rimborso i.v.a., e per l’effetto condanna la parte ricorrente a pagare alla società intervenuta la somma di € 1218,94 oltre interessi dalle date del pagamento al saldo;
accoglie la domanda riconvenzionale e per l’effetto condanna la società ricorrente a compiere le opere di rimessione in pristino del fondo, descritte dal c.t.u. alle pagine 68 e ss. della relazione in atti come imputabili alla società necessarie ai fini della bonifica in base alla legislazione di settore;
condanna la parte ricorrente a rifondere alla società resistente e alla società intervenuta ex art. 111 c.p.c. due terzi delle spese di lite, compensate nella misura di un terzo, che liquida per entrambe in € 12.000,00 per compensi, oltre spese generali e accessori di legge.
Pone definitivamente a carico di entrambe le parti, ricorrente e resistente/intervenuta, le spese di c.t.u., già liquidate in atti, nella percentuale di due terzi (ricorrente) e un terzo (resistente)”.
1 – Il giudizio di primo grado.
1.1.
– Con ricorso ex art. 447-bis c.p.c., aveva adito il Tribunale di Pisa, esponendo:
di avere stipulato, in data 1.6.1993, quale conduttrice, un contratto di locazione ad uso commerciale, avente ad oggetto un terreno ed un immobile ubicato in Pisa, INDIRIZZO
che detto immobile era stato originariamente concesso in locazione dall’allora proprietario e poi, in data 10.3.1994, era stato acquistato da , la quale lo aveva conferito nella società – di cui era socia accomandante – RAGIONE_SOCIALE NOME COGNOME RAGIONE_SOCIALE, che aveva proseguito la locazione senza soluzione di continuità;
che, successivamente, la RAGIONE_SOCIALE aveva variato la forma societaria in che, in data 31.5.2017, il rapporto di locazione era cessato per volontà ed iniziativa della locatrice, a seguito di procedura di sfratto per finita locazione intentata da quest’ultima;
che, pertanto, la ricorrente aveva interesse ad agire in giudizio per ottenere il pagamento dell’indennità ex artt. 34 e 35 della l.n. 392/1978, quantificata nella misura di € 22.311,00 o della diversa somma accertata in corso di causa, oltre interessi e rivalutazione monetaria.
1.2.
– Si costituiva in giudizio contestando integralmente la domanda avversaria di cui chiedeva il rigetto;
spiegava, inoltre, domanda riconvenzionale per ottenere la condanna della ricorrente al pagamento di quanto necessario per la rimessione in pristino del fondo, di quanto dovuto a titolo di indennità di occupazione a seguito della dichiarazione di risoluzione del contratto e per tutto il periodo in cui il fondo era stato indisponibile, di quanto dovuto al locatore a titolo di rimborso del credito iva per i canoni di locazione.
1.3.
– Interveniva in giudizio ex art. 111 c.p.c., quale beneficiaria, a seguito di scissione parziale di di parte del suo patrimonio in cui era ricompreso anche il terreno originariamente locato a , associandosi alle difese già svolte dalla dante causa.
1.4.
– All’esito dell’istruttoria, articolatasi nell’assunzione di prove documentali e nell’acquisizione del fascicolo del procedimento di a.t.p., il tribunale decideva nei termini sopra esposti, sulla base delle seguenti considerazioni:
(-) non poteva essere riconosciuto alla ricorrente il diritto a percepire l’indennità di avviamento, in quanto le parti avevano pattuito, nel contratto di locazione, che l’immobile sarebbe stato utilizzato per uso deposito e magazzino e, quindi, non per l’esercizio di attività a contatto diretto con il pubblico;
(-) peraltro, se era vero che la ricorrente aveva provato che il locatore era a conoscenza del mutamento di destinazione dell’immobile (in cui veniva esercitata attività commerciale con contatto diretto con il pubblico), era altrettanto vero, in quanto non contestato, che aveva trasferito altrove la proprietà attività commerciale, dal che si doveva dedurre l’insussistenza di alcuna perdita di clientela;
(-) per quanto riguardava le domande riconvenzionali proposte dalla resistente, doveva accogliersi quella per il pagamento del credito IVA sul canone, nonché quella volta ad ottenere l’esecuzione delle opere di ripristino del fondo, così come individuate dal c.t.u. nell’ambito del procedimento di a.t.p. , state l’impegno assunto dal conduttore nel contratto;
(-) per converso, non poteva accogliersi la domanda per il pagamento dell’indennità di occupazione, stante la disponibilità manifestata dal conduttore di procedere alla restituzione dell’immobile.
2 – Il giudizio di secondo grado.
2.1.
–
Avverso tale sentenza proponeva appello , per i seguenti motivi:
1) con il primo, denunciava l’erroneità della decisione per avere rigettato la domanda volta ad ottenere il pagamento dell’indennità ex artt. 34 e 35 della l.n. 392/1978.
In particolare, il primo giudice non aveva considerato che il diritto al percepimento di tale indennità consegue automaticamente ed in misura prestabilita alla cessazione del contratto di locazione di immobile adibito a uso diverso da quello di abitazione, senza che sia necessaria la sussistenza in concreto dell’avviamento e della sua perdita e senza che rilevi la circostanza che il conduttore, successivamente alla disdetta del contratto, abbia cessato di svolgere ogni attività nell’immobile locato prima della cessazione del rapporto. 2) con il secondo, si doleva dell’accoglimento della domanda di condanna alla esecuzione delle opere di ripristino, rilevando, sul punto, la non condivisibilità delle risultanze della c.t.u. espletata nell’ambito del procedimento di a.t.p..
Per tali ragioni è stata formulata dall’appellante richiesta di riforma della sentenza gravata in accoglimento delle conclusioni come in epigrafe trascritte, con condanna della controparte alla rifusione delle spese di lite di entrambi i gradi di giudizio.
2.2.
– Radicatosi il contraddittorio, nel costituirsi in giudizio, eccepivano preliminarmente l’inammissibilità dell’appello perché tardivamente proposto;
per il resto, contestavano, perché infondate, le censure mosse da parte appellante nei confronti della sentenza impugnata, della quale chiedevano per contro la conferma con vittoria delle spese anche in questo grado di giudizio.
2.3.
– Con ordinanza del 31.7.2024, la Corte rigettava l’istanza di sospensione dell’efficacia esecutiva della sentenza impugnata e, contestualmente, disponeva il mutamento del rito ex artt. 426 e 439 c.p.c., assegnando alle parti termine perentorio per l’eventuale integrazione degli atti introduttivi mediante deposito di memorie e documenti.
2.4.
– Previa acquisizione del fascicolo d’ufficio di primo grado (RG 3018/2018), all’udienza del 19.3.2025, sulle conclusioni delle parti precisate come in epigrafe trascritte, la causa veniva decisa con dispositivo letto in udienza.
Si dava altresì atto, nel verbale di udienza, che le parti rinunciavano a presenziare alla lettura del dispositivo allontanandosi dall’aula.
*** 3 – Occorre, preliminarmente, affrontare la questione relativa alla tempestività del gravame – sollevata dalle società appellate nella comparsa di costituzione e risposta e sulla quale l’appellante ha avuto modo di prendere posizione nelle note di trattazione scritta depositate il 9.7.2024 nonché nella memoria autorizzata depositata il 20.2.2025 – su cui questa Corte si è già pronunciata nelle sentenze n. 1248/2022, n. 548/2023 e n. 167/2024, che si richiamano quali precedenti interni conformi ex art. 118 disp. att. c.p.c. 3.1. – Orbene, trattasi di giudizio svoltosi (correttamente) in primo grado secondo le forme del rito locatizio – conclusosi con sentenza pronunciata dopo la discussione ai sensi dell’art. 429 c.p.c. – ed introdotto in appello (erroneamente) con atto di citazione.
La erronea scelta dell’atto iniziale non è di per sé sola ostativa ad una valida interposizione del gravame, ma ha come conseguenza che la tempestività deve valutarsi con riferimento alla data di deposito dell’atto di citazione in cancelleria e non a quella della sua notificazione:
«Nelle controversie in materia di locazione, alle quali è applicabile, ai sensi dell’art. 447-bis cod. proc. civ., il rito del lavoro, la proposizione dell’appello si perfeziona con il deposito dell’atto in cancelleria nel termine di trenta giorni dalla notificazione della sentenza ovvero, in caso di mancata notifica, nel termine lungo di cui all’art. 327
cod. proc. civ., e ciò anche se l’appello sia proposto erroneamente con la forma della citazione, assumendo rilievo in tal caso solo la data di deposito della medesima» (così, fra tante, Cass. sez. 3^ civ. 22.4.2010 n. 9530).
Se, infatti, è ben possibile una sanatoria relativamente alla forma dell’atto prescelto ex art. 156, ultimo comma, c.p.c., non può però essere per tal via eluso il termine di decadenza per l’impugnazione (in questo caso quello breve dell’art. 325 c.p.c.), così che il momento utile ai fini del suo rispetto è dato dal deposito dell’atto di citazione, in quanto equipollente al deposito del ricorso;
a nulla rileva invece la data di notificazione (Cass. sez. lav. 10.7.2015 n. 14401:
«Nelle controversie soggette al rito del lavoro, l’inammissibilità dell’impugnazione, perché depositata in cancelleria oltre il termine di decadenza previsto dell’art. 434, comma 2, cod. proc. civ., o, in caso di mancata notifica della sentenza, nel termine di cui all’art. 327, comma 1, c.p.c., non trova deroga nell’ipotesi in cui l’appello sia stato irritualmente proposto con citazione anziché con ricorso, laddove l’atto, pur suscettibile di convalida ai sensi dell’art. 156, ultimo comma, c.p.c., non venga depositato entro il termine per proporre impugnazione. »).
3.2.
– Ora, la sentenza gravata è stata notificata a il 20.12.2022 (come dalla stessa riconosciuto e come, peraltro, risultante dalle relate versate in atti da parte appellata), cosicché, essendo la causa stata iscritta a ruolo il 26.1.2023 (pur essendo l’atto di citazione stato notificato il 18.1.2023), l’impugnazione è stata proposta oltre il termine di trenta giorni di cui all’art. 434, comma 2, c.p.c. 3.2.1.
– In proposito, contrariamente a quanto affermato da parte appellante, non può sostenersi che la scelta del rito sarebbe sostanzialmente indifferente.
Omette, infatti, la difesa dell’appellante di considerare che il giudizio di primo grado era stato correttamente trattato secondo le forme del rito locatizio, con la conseguenza che erronea è stata la scelta della parte di procedere all’interposizione del gravame nelle forme della citazione.
Peraltro, come affermato dalla Suprema Corte:
“alla controversia che, pur riguardando un rapporto compreso tra quelli indicati dagli artt. 409 e 442 c.p.c., erroneamente non sia stata trattata con il rito del lavoro, sono comunque applicabili le regole ordinarie in ordine ai termini per la proposizione dell’impugnazione, atteso che il rito adottato dal giudice assume una funzione enunciativa della natura della stessa, indipendentemente dall’esattezza della relativa valutazione e costituisce per le parti criterio di riferimento”
(cfr. ex plurimis Cassazione civile, ordinanza n. 14139 del 08/07/2020).
Alla stregua di tale principio, se in primo grado è stato seguito il rito speciale, anche il gravame andrà proposto nelle stesse forme (e, quindi, con ricorso e non con citazione).
Nella specie, il giudizio di primo grado era stato correttamente trattato, si ripete, nelle forme del rito locatizio, con la conseguenza che l’impugnazione, nelle forme ordinarie, della sentenza (pronunciata espressamente ai sensi dell’art. 429
c.p.c.) non può ritenersi in alcun modo giustificata.
3.2.2.
– Palesemente inconferente è, poi, il riferimento, da parte dell’appellante, alla giurisprudenza formatasi relativamente al rito sommario di cognizione (secondo cui “Nei procedimenti disciplinati dal d.lgs. n. 150 del 2011, per i quali la domanda va proposta nelle forme del ricorso e che, al contrario siano introdotti con citazione, il giudizio è correttamente instaurato ove quest’ultima sia notificata tempestivamente, producendo gli effetti sostanziali e processuali che le sono propri, ferme restando decadenze e preclusioni maturate secondo il rito erroneamente prescelto dalla parte; tale sanatoria piena si realizza indipendentemente dalla pronunzia dell’ordinanza di mutamento del rito da parte del giudice, ex art. 4 del d.lgs. n. 150 cit., la quale opera solo “pro futuro“, ossia ai fini del rito da seguire all’esito della conversione, senza penalizzanti effetti retroattivi, restando fermi quelli, sostanziali e processuali, riconducibili all’atto introduttivo, sulla scorta della forma da questo in concreto assunta e non di quella che avrebbe dovuto avere, avendo riguardo alla data di notifica della citazione, quando la legge prescrive il ricorso, o, viceversa, alla data di deposito del ricorso, quando la legge prescrive l’atto di citazione. ”, cfr. Cass., Sezioni Unite, sentenza del 12.1.2022, n. 758), sia perché, nel caso in esame, si verte in tema di rito locatizio sia perché l’errata individuazione del rito da seguire ha determinato la violazione di un termine perentorio (come definito dall’art. 326 c.p.c.) come tale certamente idoneo ad incidere sul principio del contraddittorio e sull’esercizio del diritto di difesa.
Inoltre, il carattere perentorio del termine previsto per la proposizione dell’appello risponde all’esigenza del collegamento delle impugnazioni con principi di ordine pubblico processuale, con specifico riferimento a quello di certezza delle relazioni giuridiche derivante dal giudicato, come tali sottratti alla disponibilità delle parti.
La contraria tesi sostenuta da parte appellante finirebbe per tradursi in una disapplicazione dei termini perentori, come tale inaccettabile.
Per quanto esposto, si impone la dichiarazione di inammissibilità del gravame, perché tardivamente proposto.
4 – Le spese del grado seguono la soccombenza e si liquidano ex D.M. 55/2014, come modificato da ultimo dal D.M. 147/2022, § 12, secondo il presente computo (valore indeterminabile – complessità media):
Fase di studio della controversia, valore medio:
€ 2.518,00
Fase introduttiva del giudizio, valore medio:
€ 1.665,00 Fase istruttoria/trattazione, valore medio:
€ 3.686,00 Fase decisionale, valore minimo:
€ 2.144,00
Compenso tabellare:
€ 10.013,00, oltre 15% per rimborso forfetario, IVA (se ed in quanto dovuta) e CAP come per legge.
Si applica il valore minimo per quella decisionale, in quanto articolatasi nella sola discussione orale, e non si riconosce l’aumento, ex art. 4, comma 2, del D.M. 55/2014, per il numero delle parti assistite in quanto lo stesso non ha comportato alcun aggravio dell’attività difensiva.
4.1.
– Ai fini dell’individuazione del valore della causa, in mancanza di elementi offerti dalle parti, lo stesso deve essere considerato indeterminato, non potendosi tenere conto della dichiarazione di valore ai fini del contributo unificato.
Difatti, come affermato dalla Suprema Corte:
“in tema di contributo unificato, la dichiarazione del difensore è ininfluente ai fini dell’individuazione del valore della domanda, poiché essa è indirizzata al funzionario di cancelleria, cui compete il relativo controllo, sicché, non appartenendo tale dichiarazione di valore alle conclusioni della citazione, deve escludersi la possibilità di considerarla come parte della “domanda”, nel senso cui vi allude il primo comma dell’art. 10 c.p.c., quando dice che “il valore della causa, ai fini della competenza, si determina dalla domanda a norma delle disposizioni seguenti”” (cfr. Cass. civ. n. 12770/2023). 4.2. –
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 – quater del d.P.R. n. 115 del 2002, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dell’appellante, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per l’impugnazione a norma del comma 1 – bis dello stesso art. 13, se dovuto.
La Corte di Appello di Firenze, definitivamente pronunciando, disattesa ogni contraria istanza eccezione e deduzione, sull’appello proposto da avverso la sentenza n. 1583/2022 emessa dal Tribunale di Pisa e pubblicata il 14/12/2022, così provvede:
1) dichiara inammissibile l’appello e, per l’effetto, conferma la sentenza impugnata;
2) condanna parte appellante al pagamento delle spese del presente grado di giudizio che liquida in € 10.013,00 per compenso professionale, oltre rimborso spese generali al 15%, IVA (se ed in quanto dovuta) e CAP come per legge.
Dichiara che sussistono i presupposti per il raddoppio del contributo unificato a carico dell’appellante.
Firenze, 19.3.2025 Il Consigliere relatore ed estensore dott. NOME COGNOME Il Presidente dott. NOME COGNOME Nota La divulgazione del presente provvedimento, al di fuori dell’ambito strettamente processuale, è condizionata all’eliminazione di tutti i dati sensibili in esso contenuti ai sensi della normativa sulla privacy ex D. Lgs 30 giugno 2003 n. 196 e successive modificazioni e integrazioni.
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