N. R.G. 1977/2023
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
TRIBUNALE ORDINARIO di BRESCIA
SEZIONE LAVORO Il Tribunale, nella persona della Giudice dott.ssa NOME COGNOME ha pronunciato la seguente
SENTENZA N._1033_2024_- N._R.G._00001977_2023 DEL_07_11_2024 PUBBLICATA_IL_07_11_2024
nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. 1977/2023 promossa da:
con gli avv.ti COGNOME NOME COGNOME e COGNOME NOME COGNOME contro in persona del legale rappresentante pro tempore con l’avv. NOME COGNOME
Avente ad oggetto: ripetizione di indebito
MOTIVI IN FATTO ED IN DIRITTO DELLA DECISIONE
Con il presente ricorso ha convenuto in giudizio l’ per ottenere la declaratoria dell’insussistenza dell’indebito di euro 13.638,90 netti di cui gli era stata chiesta le restituzione e per far accertare di conseguenza il diritto dell’ alla ripetizione solo della somma da lui percepita a titolo di reddito da lavoro dipendente per l’anno 2021 o, in subordine, dei ratei di pensione relativi ai mesi di occupazione lavorativa, cioè gennaio ed agosto 2021. In fatto il ricorrente ha esposto:
– di aver presentato domanda di pensione “Quota 100” ex art. 14, d.l. 4/2019 accolta dall’ con decorrenza dal maggio 2021;
– di essersi rioccupato in data 10 settembre 2021 con contratto a tempo determinato con scadenza al 31 dicembre 2021;
– di aver percepito per tale attività un reddito complessivo di euro € 248,00;
– l’ in data 26 ottobre 2021 provvedeva a contestargli un indebito di euro 13.638,90 ;
– l’ alla data del deposito del ricorso aveva già trattenuto la somma di euro 10.229,04 – l’indebito de quo traeva origine dall’attività lavorativa prestata in quanto l’ convenuto, ritenuta l’incompatibilità ai sensi dell’art. 14 comm. 3 d. lgs. 4 del 2019 tra la prestazione lavorativa de qua e il trattamento pensionistico goduto, aveva reputato non già di decurtargli una quota di pensione pari al reddito da lavoro prodotto nel periodo, bensì di considerare incompatibile tout court il trattamento pensionistico con l’attività lavorativa svolta;
– di aver proposto infruttuosamente ricorso amministrativo in data 30 luglio 2022, rigettato dal Comitato provinciale con delibera n. 226225 del 21 settembre 2022.
In diritto ha sottolineato che l’art. 14, d.l. 4/2019 prevede unicamente l’“incumulabilità” non già l’“incompatibilità” fra pensione e reddito da lavoro e pertanto doveva comunque ritenersi sussistente il diritto all’erogazione del trattamento pensionistico, salva la detrazione di quanto percepito come reddito da lavoro dipendente nel medesimo anno.
costituitosi tempestivamente in giudizio, ha ribadito la correttezza del proprio operato conforme al disposto dell’art. 14, comma 3, D.L. 4/2019, che vieta il cumulo tra la pensione in quota 100 e qualsiasi reddito da lavoro dipendente con efficacia ex tunc e relativamente all’intero trattamento pensionistico.
Secondo l’ la distinzione prospettata da controparte tra incumulabilità e incompatibilità era irrilevante in quanto il senso del disposto normativo è quello di impedire che il pensionato in quota 100 possa instaurare rapporti di lavoro subordinato.
Così sinteticamente riassunte le tesi delle parti, questo giudice ritiene fondata la domanda subordinata del ricorrente alla luce della condivisibile interpretazione dell’art. 14, comma 3, D.L. 4/2019 dei giudici della sezione che già si sono pronunciati al riguardo (ved. sentenze prodotte in allegato alle note difensive dalla difesa del ricorrente).
I fatti sono pacifici inter partes.
L’art. 14, comma 3 D.L. 4/2019 convertito nella legge n. 26/2019 stabilisce che “La pensione quota 100 non è cumulabile, a far data dal primo giorno di decorrenza e fino alla maturazione dei requisiti per l’accesso alla pensione di vecchiaia, con redditi da lavoro dipendente o autonomo ad eccezione di quelli derivanti da lavoro autonomo occasionale, nel limite di 5.000,00 euro lordi annui.
” Secondo la previsione della non cumulabilità della pensione quota 100 con i redditi da lavoro dipendente comporta che, in caso di rioccupazione del pensionato, l’erogazione del trattamento pensionistico debba esser sospesa nell’anno di produzione del reddito lavorativo con obbligo per l’ente di procedere al recupero dei ratei di pensione corrisposti nel medesimo anno.
Sul punto, ha richiamato la propria circolare n. 117/2019 la quale, in caso di percezione di reddito da lavoro dipendente successivamente alla decorrenza della pensione, impone la sospensione della prestazione sino alla fine dell’anno in corso al momento della produzione del reddito e, in caso di ratei già riscossi, il loro recupero dalla data della decorrenza della pensione.
Si tratta, invero, di una previsione che, a parere di questo Tribunale e come già ritenuto da alcune pronunce della giurisprudenza di merito (Corte appello Perugia, sent. n. 33/2023; Trib. Firenze, sez. lav., sent. n.449/2022; Trib. Lucca, sent. n. 78/2023 e Trib. Brescia, sez. lav., sent. n. 393/2023, n. 553/2023 e n. 9124 ), non appare coerente con il dettato della norma richiamata.
Invero, laddove la norma dispone che “La pensione quota 100 non è cumulabile…con redditi da lavoro dipendente” introduce concetto letteralmente giuridicamente diverso dall’istituto dell’incompatibilità delle due prestazioni, quale il divieto di cumulare, nello stesso periodo, il reddito da lavoro e la pensione.
Detto altrimenti, la norma inibisce al titolare del trattamento pensionistico di beneficiare contemporaneamente di un reddito da lavoro dipendente.
Ciò posto, la conseguenza giuridica sostenuta dall’ente previdenziale – che, a fronte del riscontrato divieto di cumulo, ritiene tout court non dovuta l’intera pensione per l’anno in cui si è prodotto il reddito da lavoro dipendente con conseguente perdita del trattamento pensionistico – non solo non trova alcun riscontro nel testo normativo (che si limita a statuire l’incumulabilità della pensione conseguita con i redditi da lavoro), ma appare altresì del tutto sproporzionata e sanzionatoria, finendo per porsi in contrasto con la stessa funzione previdenziale e assistenziale propria del trattamento pensionistico ex art. 38, comma 2 cost. Come già rilevato dalla richiamata giurisprudenza di merito, l’interpretazione fornita da “susciterebbe dubbi di costituzionalità con riferimento all’art. 38, secondo comma Cost. secondo cui i lavoratori hanno diritto che siano preveduti ed assicurati mezzi adeguati alle loro esigenze di vita in caso di infortunio, malattia, invalidità e vecchiaia, disoccupazione involontaria. Sarebbe arduo sostenere la compatibilità con quel principio di una disposizione che escludesse diritto alla pensione per un intero anno, a fronte di un reddito di lavoro anche minimo, o, in ogni caso, insufficiente a soddisfare le esigenze primarie di vita dell’assicurato”.
(Corte di Appello di Perugia sentenza n. 33/2023) Quanto poi alla richiamata sentenza della Corte Costituzionale n. 234/2022 che ha statuito sulla non cumulabilità della pensione anticipata quota 100 con i redditi di lavoro, fatta eccezione per quelli di lavoro autonomo occasionale entro il limite di cinquemila euro lordi annui, la stessa giurisprudenza di merito, nuovamente qui richiamata e condivisa, ha osservato che nella pronuncia della Corte costituzionale“…non v’è alcun accenno alla questione della perdita del diritto per tutto l’anno in cui i redditi di lavoro siano stati percepiti, poiché il giudice a quo non l’ha sollevata, bensì soltanto adombrata. L’unico passaggio in cui la Corte vi accenna è contenuto nel secondo paragrafo del brano sopra trascritto, laddove essa definisce non irragionevole la pretesa del legislatore che chi sceglie di usufruire del trattamento anticipato esca dal mercato del lavoro.
Ad avviso del collegio, quell’affermazione costituisce un obiter dictum, da cui non è possibile inferire che la Corte Costituzionale abbia inteso dichiarare legittima la sospensione della pensione per l’intero anno, a fronte della percezione di un reddito di lavoro, qualunque ne sia l’ammontare.
” Ciò posto, questo giudice condivide il recentissimo orientamento della Corte d’Appello di Brescia, che, in accoglimento della distinzione fra incumulabilità ed incompatibilità di cui si è detto, riconosce il diritto dell’interessato a percepire la pensione solo per i mesi in cui non abbia svolto attività lavorativa, escludendo quindi il trattamento pensionistico per tutto il periodo in cui si espleta attività lavorativa.
“Ciò in quanto le norme invocate dall’ non prevedono una decadenza ex tunc dal diritto a percepire la pensione, sanzione che avrebbe dovuto essere prevista espressamente, comportando essa la mancata erogazione della pensione anche in relazione a periodi nei quali non sussiste alcuna violazione del divieto di cumulo.
In altri termini, i ratei di pensione la cui erogazione dev’essere sospesa sono soltanto quelli oggetto del divieto di cumulo, e cioè quelli relativi alle mensilità in cui il pensionato cumuli la prestazione con i redditi da lavoro dipendente.
Inoltre, tale criterio, di fatto, determinerebbe, seppur non per l’intero anno come inteso dall’ bensì solo per il periodo di lavoro svolto, in via di fatto, una forma di vera e propria incompatibilità fra le due voci (l’una esclude in toto l’altra) e non già una incumulabilità (scomputo di una voce dall’altra) come previsto dal dettato normativo, finendo quindi, ancora una volta, per confondere due concetti ben distinti.
Infine, anche tale soluzione, determinando la perdita dell’intera pensione per tutto il periodo lavorato a prescindere dal reddito in concreto prodotto, si tradurrebbe in una vera e propria sanzione punitiva che la norma non prevede e che, per le conseguenze che è destinata a produrre nei casi, come quello in esame, non garantirebbe il soddisfacimento dei bisogni di vita del pensionato.
Contrariamente a quanto sostenuto dall’ l’efficacia ex tunc del divieto di cumulo non è desumibile dall’espressione “a far data dal primo giorno di decorrenza della pensione e fino alla maturazione dei requisiti per l’accesso alla pensione di vecchiaia” utilizzata dall’art. 14 del d.l. n. 4 del 2019.
Tale espressione, infatti, è tesa soltanto a delimitare l’arco temporale durante il quale vale il divieto di cumulo.
Durante tale periodo, la pensione ed il reddito da lavoro dipendente non sono cumulabili, ma la sospensione dell’erogazione della pensione interviene solo nelle mensilità in cui sussiste la violazione, e ciò in quanto il pensionato, nei mesi in cui non aveva ancora ripreso il lavoro, aveva pieno diritto di beneficiare della pensione.
Un tale risultato stante le gravose conseguenze che determina, avrebbe dovuto essere espressamente previsto dal legislatore di modo che colui che fa richiesta di accesso a tale titolo pensionistico sia reso edotto ab origine delle conseguenze che deriverebbero dallo svolgimento contestuale di una attività da lavoro dipendente.
Maggiormente conforme al dato letterale e idoneo ad evitare evidenti disparità di trattamento si ritiene sia dunque il criterio che scomputa il reddito da lavoro dai ratei pensionistici;
in tal caso infatti, colui che ha percepito un reddito pari o maggiore al trattamento pensionistico si vedrebbe scomputare in tutto o in buona parte la pensione potendo comunque disporre di una fonte reddituale idonea a garantirgli un adeguato sostentamento, mentre colui che ha prodotto un reddito modesto si vedrebbe comunque corrispondere il rateo pensionistico, ovviamente, al netto di quanto percepito e quindi nel rispetto del divieto di cumulo previsto dalla norma.
” ( così Corte di Appello di Brescia Sentenza n. 379/2023 pubbl. il 13/03/2024 RG n. 286/2023).
Alla luce di quanto sopra esposto, in conseguenza dell’attività di lavoro svolta, stima il Tribunale che il ricorrente non debba essere privato del diritto alla pensione per l’intero periodo di riferimento, dovendosi riconoscere il diritto all’erogazione del trattamento pensionistico soltanto nei mesi nei quali non ha percepito un reddito da attività lavorativa subordinata.
Pertanto va dichiarata l’illegittimità del provvedimento di indebito del 26 ottobre 2021 ritenendosi indebita solamente la percezione dei ratei di pensione versati nei mesi di settembre ottobre e novembre 2021.
Ne consegue che l’istituto va condannato a restituire al ricorrente la differenza fra le somme illegittimamente trattenute e l’importo dei ratei di pensione dei mesi di settembre ottobre e novembre 2021.
Le spese di lite stante la parziale reciproca soccombenza possono essere compensate in ragione di un mezzo fra le parti.
Il residuo mezzo, liquidato come specificato in dispositivo, va posto a carico dell’ Si concede la distrazione a favore dei difensori dichiaratesi antistatari
Definitivamente pronunciando ogni contraria istanza ed eccezione disattesa così provvede:
1- dichiara la compatibilità con la pensione quota 100 in godimento del ricorrente con i redditi di lavoro dipendente prodotti nel corso dell’anno 2021;
2- dichiara il diritto dell’ alla ripetizione della somma indebitamente percepita per i mesi di settembre ottobre e novembre 2021 ;
3- condanna l’ a restituire al ricorrente la differenza fra le somme illegittimamente trattenute e l’importo di cui al punto 2;
4- compensa le spese di lite in ragione di un mezzo fra le parti 5- condanna l’ a rimborsare alla parte ricorrente il residuo mezzo che si liquida in euro 2500,00, oltre IVA, CPA e spese generali al 15%, con distrazione a favore del difensore dichiaratosi antistatario Fissa il termine di 60 giorni per il deposito della sentenza.
Sentenza provvisoriamente esecutiva.
Così deciso in Brescia il 30/09/2024 il Giudice del lavoro Dott. NOME COGNOME
La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di
Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.
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