Segue verbale di udienza del 01/07/2022
TRIBUNALE DI CROTONE
REPUBBLICA ITALIANA
In nome del popolo italiano
Il giudice del lavoro dr. ha pronunciato la seguente
SENTENZA CONTESTUALE n. 557/2022 pubblicata il 01/07/2022
nella causa iscritta al n.2842/2019 del Registro Generale e promossa da
XXX, con gli avv.ti
Ricorrente nei confronti di
INPS, con l’avv.
Convenuto
CONCLUSIONI DELLE PARTI
La parte ricorrente ha chiesto: 1) l’accertamento negativo del diritto dell’INPS alla ripetizione delle somme versate in favore della parte ricorrente a titolo di: prestazione cat.MOB n.460328 dal 12/7/2012 al 31/12/2014 (vedi missive di recupero dell’1/4/2019 e del 21/5/2019 in atti); prestazione cat.TFR n.1830 dall’1/10/2001 al 4/7/2012 e dal 3/3/2010 al 31/5/2010 (vedi missive di recupero dell’1/4/2019, del 2/10/2019 e del 4/3/2020 in atti); 2) la condanna dell’INPS alla restituzione delle eventuali trattenute effettuate (come conseguenza del predetto recupero) su ulteriori prestazioni dovute in favore della parte ricorrente; 3) la condanna dell’Istituto al riaccreditamento della contribuzione figurativa annullata per effetto del suddetto recupero.
L’INPS ha contestato gli avversi assunti ed ha chiesto il rigetto del ricorso, deducendo che il recupero delle prestazioni oggetto del presente giudizio sarebbe legittimo perché posto in essere in attuazione della sentenza n.1518/2014 della Corte di Appello di Catanzaro in atti.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Il ricorso è fondato e deve essere accolto per le seguenti ragioni.
“In tema di indebito, anche previdenziale, ove l’accipiens chieda l’accertamento negativo della sussistenza del suo obbligo di restituire quanto percepito egli deduce necessariamente in giudizio il diritto alla prestazione già ricevuta, ossia un titolo che consenta di qualificare come adempimento quanto corrispostogli dal convenuto, sicché egli ha l’onere di provare i fatti costitutivi di tale diritto” (Sez. Un., n.18046/2010).
Come precisato da Cass., sez. lav., n.198/2011, il suddetto principio trova applicazione in quanto nel provvedimento di recupero emesso in via amministrativa dall’ente previdenziale siano richiamati i tratti essenziali della richiesta di restituzione, quali gli estremi del pagamento e l’indicazione, sia pure sintetica, delle ragioni che non legittimerebbero la corresponsione delle somme erogate, in modo da consentire al percettore della prestazione previdenziale/assistenziale, presunto debitore, di effettuare il necessario controllo sulla sua correttezza.
Nella fattispecie in esame è dunque applicabile il suesposto principio, atteso che dalle missive impugnate dalla parte ricorrente e dalla memoria difensiva dell’Istituto si evince che i presunti indebiti oggetto di recupero traggono origine dall’attuazione della sentenza n.1518/2014 della Corte di Appello di Catanzaro, che accertò e dichiarò la nullità della cessione del ramo d’azienda (effettuata dalla “*** s.p.a.” in favore della “*** s.r.l.”), con conseguente perduranza del rapporto di lavoro subordinato tra XXX e la cedente (“*** s.p.a.”), da doversi ritenere mai interrotto dal punto di vista giuridico, nonostante la cessionaria (“*** s.r.l.”) fosse subentrata in via di mero fatto nel rapporto lavorativo con XXX.
L’INPS, tra l’altro, non ha contestato specificatamente la sussistenza degli altri fatti costitutivi (che, quindi, devono ritenersi provati a mente dell’art.115 c.p.c.) delle prestazioni previdenziali prima liquidate e poi revocate con le missive di recupero in atti, essendosi limitato a sostenere che i presunti indebiti scaturirebbero dall’attuazione della sentenza n.1518/2014 della Corte di Appello di Catanzaro (che avrebbe sostanzialmente determinato la caducazione, almeno dal punto di vista giuridico, del rapporto di lavoro dipendente tra XXX e la “*** s.r.l.”).
Deve dunque valutarsi se in capo all’Istituto gravasse o meno l’obbligo di attuare la sentenza n.1518/2014 della Corte di Appello di Catanzaro e, in secondo luogo, se dall’attuazione di tale pronuncia sia derivata l’insorgenza degli indebiti oggetto dei provvedimenti di recupero.
Tanto premesso, questo Giudice ritiene che l’INPS non avesse alcun obbligo attuativo della summenzionata sentenza (resa in un procedimento in cui l’Istituto non era parte), alla luce del principio scolpito nell’art.2909 c.c. in forza del quale “l’accertamento contenuto nella sentenza passata in giudicato fa stato a ogni effetto tra le parti, i loro eredi o aventi causa” (tra l’altro, la pronuncia in argomento non conteneva alcun comando giudiziale rivolto all’INPS, ordinando soltanto alla “*** s.p.a.” di ripristinare il rapporto lavorativo con XXX, in virtù dell’accertata nullità della cessione del ramo d’azienda – effettuata dalla “*** s.p.a.” in favore della “*** s.r.l.” – ).
A ciò si aggiunga che, in ogni caso, XXX e la “*** s.p.a.” hanno sottoscritto in data 21/10/2015 un verbale di conciliazione da cui si evince che la ricostituzione del rapporto lavorativo con la “*** s.p.a.” è intervenuta a far data dal gennaio 2015 (vedi punto M) del verbale conciliativo): le parti, inoltre, hanno rinunciato all’applicazione degli effetti della sentenza n.1518/2014 della Corte di Appello di Catanzaro (vedi punto 4) del verbale conciliativo), con la conseguenza che XXX ha sostanzialmente rinunciato al beneficio (accertato dalla summenzionata sentenza) della perduranza (dal punto di vista giuridico) del rapporto di lavoro subordinato con la “*** s.p.a.”.
Né può rilevare, ai fini della decisione della presente controversia, il fatto che (nel procedimento definito dal Tribunale di Crotone con la sentenza n.519/2018 in atti) XXX non abbia prodotto il predetto verbale conciliativo, beneficiando degli effetti della sentenza n.1518/2014 della Corte di Appello di Catanzaro ai fini del riconoscimento dell’indennità di mobilità rivendicata in quella sede, trattandosi di una circostanza che potrebbe al più legittimare l’Istituto (qualora ne ricorrano i presupposti) ad esperire un’eventuale impugnazione per revocazione ex art.395, n.3), c.p.c. della sentenza del Tribunale di Crotone n.519/2018 (ma del tutto irrilevante ai fini del presente giudizio, avente un oggetto affatto diverso da quello del procedimento definito dal Tribunale di Crotone con la sentenza n.519/2018).
Tanto basterebbe ai fini dell’accoglimento del ricorso. A questo si aggiunga che, in ogni caso, costituisce circostanza pacifica tra le parti quella del subentro (in luogo della “*** s.p.a.”), quantomeno in via di fatto, della “*** s.r.l.” nel rapporto lavorativo con XXX. La sentenza n.1518/2014 della Corte di Appello di Catanzaro, invero, accertando e dichiarando la nullità della cessione del ramo d’azienda (effettuata dalla “*** s.p.a.” in favore della “*** s.r.l.”), ha acclarato la perduranza sul piano giuridico (e non anche fattuale) del rapporto di lavoro subordinato tra XXX e la cedente (“*** s.p.a.”). Tanto premesso, questo Giudice ritiene che il subentro (in luogo della “*** s.p.a.”), quantomeno in via di fatto, della “*** s.r.l.” nel rapporto lavorativo con XXX, non essendo stato travolto dalla sentenza n.1518/2014 della Corte di Appello di Catanzaro (per le ragioni di cui si è detto sopra), costituisca idoneo titolo giustificativo dell’erogazione delle prestazioni previdenziali prima liquidate e poi revocate dall’INPS con le missive di recupero in atti. Deve infatti evidenziarsi che nel nostro ordinamento, se da un lato è vero che il contratto nullo è improduttivo di effetti giuridici, ciò non toglie che lo stesso possa comunque essere portato ad esecuzione, così producendo degli effetti (almeno di fatto): è quanto accaduto nella fattispecie in esame, in cui (nonostante la nullità della cessione del ramo d’azienda) il rapporto lavorativo tra XXX e la “*** s.r.l.” di fatto c’è stato ed è altresì cessato, così avendo legittimato l’erogazione dell’indennità di mobilità e delle prestazioni a carico del Fondo di Garanzia poi revocate dall’Istituto con le missive impugnate nel presente giudizio.
Come statuito dalla Suprema Corte in relazione all’indennità di disoccupazione (ma con considerazioni analogicamente estensibili quantomeno all’indennità di mobilità), “neppure può ritenersi idonea ad escludere l’indennità di disoccupazione la mera ricostituzione de iure del rapporto, sia pure con sentenza esecutiva, essendo necessario per garantire l’effettività della tutela che a detta reintegra sia data effettiva attuazione, con la realizzazione di una situazione de facto tale da escludere la sussistenza della situazione di disoccupazione protetta ex lege” (Cass., n.17793/2020).
Per quanto esposto, il ricorso è fondato e deve essere accolto.
Le spese di lite sono poste a carico dell’INPS (in omaggio al principio della soccombenza) e sono liquidate come in dispositivo. Nella liquidazione si è tenuto conto dell’assenza di attività istruttoria.
P.Q.M.
Accerta e dichiara l’insussistenza dell’obbligo della parte ricorrente di ripetere le somme erogatele dall’INPS, a titolo di prestazione cat.MOB n.460328 dal 12/7/2012 al 31/12/2014 ed a titolo di prestazione cat.TFR n.1830 dall’1/10/2001 al 4/7/2012 e dal 3/3/2010 al 31/5/2010 e, per l’effetto, condanna l’INPS alla restituzione delle eventuali trattenute effettuate (a titolo recuperatorio degli indebiti rivendicati nel presente giudizio) su ulteriori prestazioni dovute in favore della parte ricorrente, oltre che al riaccreditamento della contribuzione figurativa annullata in conseguenza del recupero.
Condanna l’INPS al pagamento delle spese di lite, liquidate in euro 3.200,00 per compensi professionali, oltre contributo unificato (se dovuto e versato), spese generali, IVA e CPA come per legge (con distrazione). Crotone, 01/07/2022.
Il Giudice
La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di
Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.
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